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3 videogiochi capolavoro per chi ha poco tempo

Talvolta, per immergersi al meglio all’interno del videogioco, tendiamo a scegliere prodotti con un importante longevità, in grado di tenerci incollati allo schermo con infinite quest e collezionabili. Ma si sa, con l’arrivo dell’età adulta il tempo per dedicarci alla nostra grande passione è sempre scarseggiante. Per fortuna però, non sempre maggiore longevità vuol dire maggiore qualità e i videogiochi capolavoro per chi ha poco tempo che vi mostreremo tra poco lo dimostrano in pieno.

What Remains of Edith Finch

Un titolo dalla durata di sole due ore di storia principale, mentre qualora si volesse completarlo al 100% la durata si alzerebbe a tre ore di gioco totali. Un videogioco così rapido che può portare a termine anche chi ha poco tempo, presenta in realtà un’insospettabile varietà di gameplay. Annoiarsi con questo titolo è davvero una sfida difficile da superare.

Videogiochi per chi ha poco tempo: What Remains of Edith Finch
Una strana casa che fa da sfondo ad un meraviglioso level design. Ambienti così curati se ne vedono gran pochi in giro.

Il gioco narra di un’eccentrica famiglia stanziata nell’ isola di Orcas. Il protagonista della nostra storia arriverà di fronte alle porte di casa Finches, e guidato dalle parole del diario di Edith Finch, ne esplorerà ogni suo meandro, venendo a conoscenza delle peculiari morti dei suoi residenti. Una maledizione sembra esser calata sulla famiglia Finches e sta al giocatore scoprire la storia nascosta di ogni membro della famiglia.

L’esplorazione della casa sarà molte volte interrotta da flashback, i quali rappresentano le vere perle di gameplay. Stili grafici e modalità di gioco cambiano ad ogni “livello”, il tutto contornato da un’ottima narrazione di fondo che ci lascerà sospesi, a domandarci come sono andate realmente le cose. Se preferite uno stile di gioco rilassato e semplice, allora What Remains of Edith Finch è un titolo da provare assolutamente, di cui abbiamo parlato anche in questo articolo.

Last Day of June

Last Day of June è un titolo uscito nel 2017, un’avventura story-driven pronta a sbalordire con il suo comparto grafico, ed i suoi “colpi di scena”. Questa capolavoro si attesta sulle quattro ore, rendendo inoltre disponibile una caccia ai collezionabili per chi fosse interessato, e una storia emozionante, che ci pugnalerà molte volte allo stomaco.

Videogiochi per chi ha poco tempo: Last Day of June
Una tragica notizia cambierà il mondo intorno a noi.

La storia si svolge in una piccola cittadina di campagna, dove tutto sembra emanare una sorta di perfezione sospesa, rimbalzante tra i visi solari dell’esuberante vicinato. Il nostro protagonista è un uomo sposato, ed anche la sua vita sembra galleggiare in quell’atmosfera meravigliosa contenuta nel quadro che è lo stile grafico. Ma tale perfezione durerà poco. Una tragica notizia cambierà il mondo intorno a noi, spegnendo quei vivaci colori che ci davano speranza, trascinando il protagonista in un’estenuante lotta per cambiare il passato.

Il comparto grafico, tecnico, la caratterizzazione dei personaggi, tutto ciò regala al giocatore un’esperienza che lo abbraccia a 360 gradi. Accontentando sia gli amanti delle storie curate sia gli amanti dei puzzle-games. Una silenziosa notte, un tè caldo e voglia di rilassarsi, sono questi gli elementi per godersi a pieno questo ennesimo capolavoro.

To The Moon

Infine, il vero e proprio Capolavoro con la “c” maiuscola. Uscito nel lontano 2011, dalla Freebird Games, ha segnato per sempre i cuori di molti videogiocatori. Il gioco è un Adventure Game che si attesta sulle tre ore; un tempo che può sembrare quasi troppo breve per suscitare una tale emozione, ma vi sbagliereste. In sole tre ore, To The Moon riesce a mantenere incollato il giocatore che ha poco tempo grazie alla meravigliosa storia e alla (leggermente datata, ma sempre gradita) grafica pixel-art, regalandoci un indimenticabile esperienza da giocare tutta d’un fiato.

Il tempo passa, ma certi capolavori non appassiscono mai.

Il gioco racconta le vicende di due scienziati della Sigmund Corporation, un organizzazione in grado, tramite una tecnologia avanzatissima, di modificare i ricordi di pazienti moribondi così da regalargli il loro ultimo desiderio. I nostri protagonisti sono degli esperti, ma il paziente che visiteranno questa volta, sarà diverso da tutti gli altri. Raccontare di più sarebbe veramente troppo per un’esperienza così breve, quindi lascio a voi il piacere della scoperta. Vi posso assicurare che non rimarrete delusi da questo capolavoro.

Se non avete mai sentito parlare di questo titolo, correte a comperarlo. Se invece lo conoscente già, allora forse potreste non essere a conoscenza dei sequel. A Bird Story, Finding Paradise e Impostor Factory sono tutte valide alternative; le durate sono simili, mentre la bellezza è tutta da scoprire.

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Diablo 4: uno sguardo a Druido e Negromante

Ed eccoci a parlare ancora una volta di Diablo 4, una delle release più importanti dell’anno. La scorsa settimana, grazie all’Accesso Anticipato, abbiamo potuto avere un assaggio del mondo di Sanctuary e di tutti gli orrori che ci offrirà. Oggi invece sono qui per darvi le mie impressioni sulle ulteriori due classi disponibili durante l’Open Beta, ovvero il Negromante ed il Druido.

Chiarisco subito che questa vuole essere una semplice panoramica delle due classi sopra citate, del feeling che restituiscono giocando. Ritengo superfluo analizzarne minuziosamente i vari aspetti basandomi su una open beta con level cap al 25. Se invece volete un’opinione generale sul gioco qui trovate il nostro articolo sull’accesso anticipato. Ora, fatta questa doverosa premessa, vediamo un po’ come se la cavano i due nuovi eroi di Sanctuarium.

L’erede di Rathma

Il Negromante è una delle classi più iconiche dell’ intera saga. Un incantatore che ha votato la sua intera vita allo studio delle arti più oscure, quali la magia delle ossa, delle ombre o, banalmente, la negromanzia.

Se adorate lo stile di gioco da “summoner” allora questa è la classe che fa per voi. Evocazione di scheletri combattenti, scheletri maghi e golem, questo è quello che da sempre contraddistingue il Negromante, e la sua iterazione di Diablo 4 non fa eccezione. Il poter contare su di un piccolo esercito di ossa ambulanti ha sempre il suo fascino, ma il necro non si limita a questo.

Il caro vecchio skilltree.

Questa volta possiamo contare su vari incantesimi del sangue, dell’ombra e delle ossa. Ovviamente non mancano i grandi classici che contraddistinguono questa classe da sempre, principalmente la Lancia d’ossa, la mitica Esplosione Cadaverica e le immancabili maledizioni, come la Vergine di Ferro. Peccato notare la mancanza delle spell basate sul veleno, che sembra esser diventato affare del Druido. Ma andiamo a quel che realmente ci interessa. Che feeling restituisce questa nuova(vecchia)classe su Diablo 4?

Si finisce sempre qui.

Il Negromante è, a mani basse, la star di questa open beta. O quantomeno lo è per me. Se dovessi descriverlo in una sola parola direi devastante. Un mix letale di minions, magie AoE, capacità difensive, debuff e danni altissimi, questo è il necro di Diablo 4, quantomeno durante i primi 25 livelli. Lanciarsi nel bel mezzo dei nemici per scaricare una nova di sangue e vedere lo schermo che fa “boom”? Lo potrete fare. Stare in disparte indebolendo gli avversari, a suon di maledizioni, mentre il vostro esercito ambulante fa piazza pulita? Potete fare anche questo.

Entrambi gli stili funzionano, già dai primissimi livelli. Ovviamente nulla vieta di esporsi in prima linea, assieme ai propri minions – cosa fatta dal sottoscritto – ed adottare uno stile ibrido caster/summoner, che ritengo anche essere il più divertente.

Sangue, scheletri e tante botte.

Una aggiunta degna di nota è la nuova meccanica del Libro dei Morti. Da questa schermata è possibile “personalizzare” le proprie summons, scegliendo il tipo di scheletro – ad esempio scheletri combattenti, difensori o mietitori – ed uno tra due effetti passivi. Interessante anche la possibilità di scegliere di non utilizzare affatto l’evocazione, garantendo ulteriori bonus passivi al Negromante.

Il Libro dei Morti. Io ad esempio utilizzo i mietitori.

Come premesso non starò qui ad elencarvi ogni singola abilità della classe, anche perché qualsiasi cosa nel kit del Negromante è efficace. Già da ora si intravedono diverse possibilità di building, e sembrano tutte valide. Di fatto non ho riscontrato alcun difetto nel necro, ed anzi, a tratti mi è sembrato che fosse anche troppo forte, visti gli innumerevoli strumenti offensivi e difensivi in suo possesso.

Insomma, se avete giocato la medesima classe nei precedenti capitoli vi sentirete subito a casa. E massacrerete orde di demoni senza alcuna difficoltà.

La furia della Natura

Ed ecco il secondo ritorno, un ritorno che si attendeva da ben 22 anni. Torna il Druido, ibrido incantatore/mutaforma introdotto nella saga nel lontano 2001, con l’ espansione di Diablo 2, Lord of Destruction. Che dire del Druido di Diablo 4? Se avete giocato il secondo capitolo della saga saprete già cosa aspettarvi.

Il Druido si può giocare principalmente in due modi, ovvero da guerriero con abilità di mutaforma, o da incantatore grazie ad i suoi incantesimi elementali di roccia, fulmine ed aria. Durante l’open beta io ho potuto provare a fondo solo il primo archetipo, vuoi per i pochi livelli disponibili, vuoi perché di aspetti leggendari che potenziassero l’altro banalmente non ne ho trovati.

Impersonare un lupo mannaro ha sempre il suo fascino.

Faccio subito una premessa, il Druido può funzionare, con i dovuti accorgimenti. Ma se con il Negromante la sensazione di poter sbaragliare tutto e tutti è lampante, con il Druido bisognerà invece sudare parecchio per portare la pelle a casa.

L’idea alla base del Druido è di utilizzare le skill primarie – i cosiddetti generatori – per accumulare Spirito (la risorsa principale della classe)per poi spenderli in pochi ma potenti attacchi. Un’idea semplice, che però a conti fatti non funziona, perché banalmente mancano i danni ed i generatori avrebbero bisogno di un buff.

Investire tutto nel Lupo Mannaro non è stata una grande idea.

Anche la gestione dello Spirito è macchinosa, poiché non si rigenera mai passivamente. Questo porta ad uno stile di gioco lento, dove dopo 3-4 cast delle skill da danno siamo costretti ad autoattaccare per rigenerarlo. Il Negromante e l’Incantatore ad esempio fanno più danni e gestire la loro risorsa primaria è più semplice ed intuitivo.

Carina l’idea di dare al Druido gli attacchi velenosi, ma anche lì, il veleno fa poco male, e soprattutto non viene accumulato nel bersaglio, rendendolo di fatto un debole DoT. L’unico modo di renderlo efficace è tramite svariati aspetti leggendari fondamentalmente.

Danni bassini, AoE decente ma davvero poca mobilità, questo è quello che ho notato durante la mia run. Aggiungiamoci che le capacità difensive del Druido al momento non sono poi così entusiasmanti, ed abbiamo una classe seriamente in difficoltà in molti scontri, soprattutto quelli con i boss. Menzione d’onore per l’odiosissima Den’s Mother, che mi ha davvero fatto penare.

Perché la meccanica degli Aspetti Animali sia stata bloccata rimane un mistero.

Per correttezza aggiungo anche che la meccanica unica della classe, gli Aspetti animali, non era disponibile durante l’open beta, inspiegabilmente aggiungerei. Di fatto il Druido era l’unica classe a non avere accesso a questa peculiarità, che sarebbe il corrispettivo dell’ Arsenale del Barbaro o il Libro dei Morti del Negromante.

Quello che ho detto fino ad ora non implica però che la classe sia da buttare. Io stesso ho sperimentato due build soddisfacenti. Una basata esclusivamente sul veleno e sul poterlo spargere tra i nemici grazie alla skill Rabies ed all’evocazione di due piccoli lupi mannari, anch’essi velenosi. Un’altra che andava ad utilizzare la meccanica dell’ Overpower assieme alla skill Pulverize. Entrambe però richiedevano la combo di aspetti leggendari, cosa di cui non necessitavo con Negromante o Incantatore ad esempio.

Per concludere vi dirò la verità, paradossalmente la classe che più mi ha divertito è proprio il Druido, pur con tutte le sue mancanze. Affinare la build, decidere se puntare sul veleno o sul danno puro e riuscire finalmente a concludere la beta è stato soddisfacente. Il Negromante, di contro, l’ho trovato fin troppo forte, qualsiasi specializzazione seguissi.

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Batman: i migliori e peggiori videogiochi dell’uomo pipistrello

Batman: il crociato incappucciato, nato nell’ormai lontano 1915 dalla mente di Bob Kane e Bill Finger, è indubbiamente uno dei più grandi e famosi supereroi del mondo. Visto il grande fascino e l’enorme popolarità del personaggio, non stupisce il gran numero di videogiochi dedicati al cavaliere oscuro. In questo articolo proponiamo una carrellata di dieci titoli che, nel bene e nel male, hanno caratterizzato la storia di Batman nel mondo dei videogiochi.

Per rendere le cose più divertenti, abbiamo pensato di stilare due vere e proprie classifica sulle opere di Batman, una dedicata ai peggiori mentre l’altra ai migliori. Buona Bat-Lettura a tutti!

Flop Five

Ed ecco a voi quelli che, a giudizio di chi scrive, rappresentano i cinque peggiori titoli mai realizzati su Batman. Prima di cominciare precisiamo che si è scelto di non considerare né i giochi mobile né i vecchi titoli LCD, ma solo giochi usciti per console e computer.

5. Batman Forever, 1995 (SNES, GENESIS, DOS)

Batman Forever
Batman Forever, nonostante le buone idee, fu penalizzato dai suoi controlli.

Uscito per sfruttare il successo della pellicola da cui è tratto, Batman Forever sfoggia una grafica digitalizzata molto simile a quella della serie Mortal Kombat e si presenta come una via di mezzo tra un plattform e un picchiaduro a scorrimento. Il titolo Acclaim possiede un buon comparto tecnico e offre una discreta varietà, anche grazie al gran numero di gadget utilizzabili.

Ciò che però lo affossa completamente è il suo sistema di controllo. Acclaim infatti ebbe la bella pensata di riproporre il sistema di combattimento di Mortal Kombat e di adattarlo a questo gioco. Ciò rese i salti un vero e proprio incubo e obbligò gli sviluppatori ad assegnare comandi vitali per la prosecuzione dell’avventura (come il rampino) a pulsanti secondari, spesso da usare anche in combinazione.Inutile dire quanto scomodi e frustranti risultassero questi comandi.

Batman Forever poteva essere un gioco più che discreto, ma a causa dei suoi controlli e della terribile monotonia dei combattimenti entra di diritto nella nostra flop five ed è destinato a restarci…forever!

4. Batman: The Caped Crusader, 1988 (PC)

Batman The Caped Crusader
Giocare a caped crusader era proprio come usare un fumetto interattivo. Il che non sempre è un bene…

Sviluppato a fine anni ottanta su praticamente tutti gli home computers, Batman: The Caped Crusader è una semplice avventura a scorrimento laterale basata su esplorazione e combattimenti. Nei panni di Batman, il giocatore ha la possibilità di scegliere se sfidare il Joker o il Pinguino, senza reali differenze tra un’avventura e l’altra.

Grafica e sonoro sono più che discreti per i tempi, ma ciò che rovina l’esperienza di gioco è la scelta degli sviluppatori di realizzare lo svolgimento dell’avventura tramite vignette. Ogni volta che Batman lascia una schermata, infatti, si ritroverà in una nuova vignetta con una nuova location. Quella che ha lasciato, tuttavia, non scomparirà, ma resterà sullo sfondo senza alcuno scopo se non quello di infastidire e confondere il giocatore.

Come se non bastasse, il sistema di combattimento è estremamente impreciso e legnoso e crea ben presto un senso di frustrazione. Anche in questo caso, un titolo potenzialmente interessante, rovinato da scelte discutibili e da una realizzazione non proprio impeccabile.

3. Batman Forever, 1996 (Arcade)

Batman Forever Arcade
L’arcade di Batman Forever è un titolo davvero terribile.

Ancora una volta un titolo dedicato al film di Joel Schumacher. Stavolta però si tratta di un gioco davvero terribile. Batman Forever è infatti un banale picchiaduro a scorrimento dotato di un gameplay incredibilmente scialbo e ripetitivo, con pochissime azioni di attacco disponibili e un numero davvero spropositato di nemici tutti uguali.

A peggiorare ulteriormente la situazione c’è il fatto che l’azione viene continuamente interrotta dalle animazioni dei power up dei personaggi, che spesso si rivelano inutili. Anche la grafica risulta ben al di sotto degli standard dei tempi. Un gioco davvero scialbo, senza nulla che lo renda interessante. Da evitare assolutamente.

2. Batman: Dark Tomorrow, 2003 (Gamecube, Xbox)

I numerosi bug grafici e i controlli resero Dark Tomorrow un vero e proprio incubo.

Dark Tomorrow è un’avventura 3D e propone una trama originale ispirata prevalentemente al Batman fumettistico. Sebbene il gioco proponga un buon numero di situazioni diverse (fasi stealth, combattimenti ed esplorazione) e riproponga in modo coerente le atmosfere delle storie di Batman, già all’uscita fu letteralmente rigettato da critica e pubblico.

Le ragioni dell’insuccesso sono da ricercare nei terribili controlli del gioco, che rendevano un incubo tentare di fare qualunque cosa a causa della loro oscena imprecisione. Il gioco inoltre presentava un numero incredibile di bug che andavano a peggiorare ulteriormente l’esperienza.

Come ciliegina sulla torta, Dark Tomorrow propone un ampio numero di finali, quasi tutti negativi. A causa dei problemi elencati, però, raggiungere l’unica good ending risultava quasi impossibile. Soprattutto per il fatto che uno dei sovraccitati bug era presente proprio nello scontro finale. Non c’è che dire, il gioco ha avuto davvero un domani oscuro.

1. Batman and Robin, 1998 (PlayStation)

Batman and Robin riuscì ad essere brutto quanto il film da cui era tratto.

Ed ecco il vincitore della nostra flop five! Tratto dal terribile film di Schumacher del 97, Batman and Robin è una sorta di clone di Tomb Raider che alterna sezioni di esplorazione a combattimenti coi vari nemici.

Purtroppo non c’è davvero nulla in questo gioco che funzioni bene. La grafica è poco pulita e molto confusionaria, il sonoro tende ad essere monotono e i controlli sono terribilmente imprecisi e poco funzionali, soprattutto a causa della pessima gestione della telecamera.

Non era semplice essere all’altezza della bruttezza del film da cui è tratto, ma Batman and Robin ci riesce alla grande e si porta a casa il primo posto della nostra classifica.

Top Five

Dopo esserci divertiti con la nostra flop five, passiamo ora a quelli che, sempre secondo chi scrive, sono i cinque migliori titoli dedicati all’uomo pipistrello. Naturalmente si tratta in gran parte di giudizi soggettivi, ma nessuno potrà negare l’ottima fattura dei giochi che andremo ad analizzare. Accendiamo i bat-segnali e lanciamoci!

5. Batman Returns, 1992 (SNES, Genesis)

Batman Returns offriva davvero un’ottima esperienza arcade.

Partiamo con un classico dei primi anni novanta. Batman Returns è un classico picchiaduro a scorrimento in stile arcade e permette ai giocatori di rivivere tutti i momenti salienti del film di Burton conditi da decine e decine di nemici da riempire di mazzate.

Pur risultando a tratti piuttosto ripetitivo, il gioco è dannatamente divertente e soddisfacente, grazie alla precisione dei suoi controlli e alla grande varietà di mosse e gadget a disposizione del giocatore. Anche la grafica ed il sonoro risultano di tutto rispetto e contribuiscono alla buona riuscita dell’esperienza. Da provare assolutamente, anche solo per un pomeriggio di sano divertimento.

4. The Adventures of Batman and Robin, 1994 (SNES)

La grafica e le atmosfere di TAOBAR erano davvero fedeli al cartone animato originale.

Rimaniamo nell’era dei sedici bit anche con questo divertentissimo classico, spesso dimenticato. Ispirato alla classica serie animata anni 90, The Adventures of Batman and Robin è un interessante mix tra plattform, avventura e picchiaduro a scorrimento e presenta una serie di livelli dedicati a quasi tutti i principali nemici di Batman.

La varietà dei livelli e del gameplay risulta davvero elevatissima e raramente il giocatore si troverà ad affrontare due livelli che risultino simili tra loro. I controlli sono precisi e immediati, mentre il comparto tecnico riesce a ricreare in maniera quasi perfetta le atmosfere della serie animata da cui il gioco è tratto, ancora oggi considerata un capolavoro assoluto dell’animazione.

Meritano una menzione particolare le battaglie coi boss, davvero ispirate ed epiche, sebbene molto difficili. Se non lo avete mai provate e siete fan di Batman recuperatelo assolutamente, anche solo tramite emulatore. Non ve ne pentirete!

3. LEGO Batman: Il Videogioco, 2008 (PS2, PS3, XBox, Gamecube, PC)

LEGO Batman Il Videogioco
Nella fortunata serie Lego non poteva certo mancare un gioco dedicato al crociato incappucciato!

Gradino più basso del podio per il primo titolo dedicato a Batman della fortunata serie lego. Esattamente come gli altri titoli della serie, Lego Batman è un’avventura in stile plattform ambientata nel mondo dei famosi mattoncini di origine danese.

Sia la risoluzione degli enigmi che i combattimenti obbligheranno il giocatore a fare largo uso dei mattoncini LEGO per la costruzione di armi, piattaforme e vari altri oggetti utili alla prosecuzione dell’avventura.

Oltre ad offrire un grande divertimento grazie alla semplicità dei comandi e alle atmosfere scanzonate tipiche della serie, Lego Batman è impreziosito dalla presenza di un numero davvero enorme di avversari dell’uomo pipistrello. Una volta terminato il gioco, sarà addirittura possibile rigiocare l’avventura vestendo i panni dei cattivi.

Nonostante la sua semplicità, Lego Batman si guadagna la medaglia di bronzo grazie all’enorme divertimento che sa regalare.

2. Batman: The Video Game, 1989 (NES)

Il gioco di Batman per NES fu davvero un classico del parco titoli della console nintendo.

Secondo posto per un grande classico dell’era otto bit. Batman: The Video Game si ispira in modo palese alla saga di Ninja Gaiden (basti pensare alla capacità di batman di utilizzare le pareti come trampolino), ma riesce a brillare di luce propria.

Il titolo Sunsoft è un action plattform davvero frenetico e divertente, con un livello di difficoltà molto elevato ma mai troppo frustrante o punitivo. I bonus e i potenziamenti delle armi sono numerosi ed estremamente appaganti e le sezioni plattform, per quanto ardue, risultano dannatamente soddisfacenti una volta superate.

Anche grafica e sonoro, se rapportato agli anni in cui il gioco è uscito, si mostra assolutamente all’altezza e riescono a ricreare perfettamente le atmosfere del primo film di Burton, a cui il gioco si ispira, pur scegliendo di non seguirlo in maniera troppo fedele. Ogni fan di Batman che si rispetti deve avere questo gioco nella sua collezione.

1. Arkham Asylum, 2009 (PS3, Xbox 360, PC)

La serie Arkham è stata davvero uno spartiacque per la vita videoludica di Batman.

Con ben poca sorpresa invece, si aggiudica il primo premio il gioco che ha elevato più di ogni altro lo status di Batman nel mondo dei videogiochi. Abbiamo scelto di inserire solo Asylum per scongiurare il rischio di ottenere una classifica monopolizzata da questi giochi.

La serie Rocksteady ha di fatto inventato un nuovo genere, quello delle avventure open world dedicate ai supereroi. Con il suo mix di azione stealth, esplorazione, risoluzione di enigmi e combattimenti a mani nude, la saga di Arkham ha da subito catturato i favori di critica e pubblico, ottenendo numerosi premi e riconoscimenti ed è ancora oggi il punto di riferimento per numerose produzioni (basti citare la serie Spider-Man di Sony).

Le trame e le atmosfere dei vari giochi, tutte originali e pensate appositamente per questa saga, sono davvero avvincenti, interessanti e ben strutturate e riescono ad accontentare sia i fan dei fumetti che quelli del Batman cinematografico.

Sebbene consideri City il migliore della saga, ho scelto di premiare Asylum poiché si tratta del precursore, nonché del gioco che ha gettato le basi per l’evoluzione dell’intera serie.

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Personaggi femminili nei videogiochi: perché è così difficile crearli?

Cosa rende un personaggio un buon personaggio? La forza di un protagonista deriva dalle sue azioni o da un innata abilità ricevuta alla nascita? Domande che sceneggiatori e autori si sono fatti centinaia di volte. Creatori di storie ed universi in tutto il panorama di intrattenimento. Film, libri, anime e fumetti, ma è nel videogioco che tutto brilla di più. La possibilità di poter interagire con il mondo intorno a noi rende i giocatori non solo spettatori, ma attori attivi nelle vicende vissute.

È proprio questa interattività a far entrare nei nostri cuori i personaggi che incontriamo e impersoniamo, ma non è tutto oro ciò che luccica. Protagonisti stereotipati, caricaturali, scialbi e chi più ne ha più ne metta. Il lavoro dello scrittore non è di certo facile, ma sembra diventare più arduo quando si tratta di scrivere dei bei personaggi femminili. Parlare di personaggi femminili è sempre un argomento spinoso, soprattutto perchè si è sempre sperimentato poco con loro. Negli anni non era infatti strano vedere la solita fotocopia del “middle- aged-bearded-man” invadere le posizioni da protagonista nei grandi titoli del passato.

Leggende immortali dei videogiochi, ma sembrano quasi confondersi se messi l’uno accanto l’altro.

Quando si parla di personaggi donna nei videogiochi ci vengono subito in mente grandi icone del passato, come ad esempio Lara Croft o Chun-Li, per nominarle alcune, ma nel panorama videoludico si nascondono gemme forse più brillanti delle iconiche “Donne forti” che siamo abituati a vedere senza alcuna debolezza o paura. Troppe volte infatti questa assenza di difetti è stata “appiccicata” alle nostre protagoniste preferite quasi come a mascherare una pigrizia di scrittura. Create con lo stesso stampino delle loro controparti maschili, si mescolano in un calderone di banalità, fuoriuscendone sterili. Forse la colpa è proprio di chi è troppo abituato a scrivere di protagonisti maschili o forse la colpa è del pubblico, che desidera solo immedesimarsi in quello.

Come si può risolvere quindi la caratterizzazione asettica dei personaggi femminili? Basterebbe semplicemente non renderli ne irragionevolmente forti ne esageratamente deboli. Sono proprio le debolezze a forgiare un individuo più forte, a dare quel colore in più, a rendere umani qualche decina di pixel. E se il tutto si unisce ad una sensibilità emotiva tipica femminile avremmo personaggi stupendi, come ad esempio: Madeline di Celeste.

Personaggi femminili: Madeline di Celeste
Al centro, Madeline da Celeste. Titolo a piattaforme indipendente che ha saputo unire i gusti dei videogiocatori che amano le sfide, a coloro che amano le storie curate.

Madeline, durante la sua avventura, dovrà affrontare forse il nemico più temibile di tutti: la depressione. Scalando l’altissima montagna di nome Celeste, dovrà combattere la parte più oscura di se stessa, che la ostacolerà costantemente infondendola di paura e rabbia. Questo è un personaggio che esce dai soliti “Standard da protagonista”, traendo forza non dall’assenza di paura, ma dalla propria sensibilità, coraggio e determinazione; non rifiutando una mano dagli amici incontrati sul percorso. La fragilità diventa la base per la ricostruzione di una Madeline nuova, in grado di far pace con i propri dubbi e la propria parte “malvagia”. Un esempio di come l’emotività può creare un personaggio forte anche senza l’uso di bicipiti performanti o destini profetizzati.

Talvolta negare la differenza fisiologica può creare discrepanze troppo evidenti e irrealistiche, rischiando di creare personaggi macchietta. Molte volte però si fa il contrario, ovvero accentuarle fino all’estremo. Dove manca una buona scrittura a volte si rimedia con forme prosperose, atte semplicemente a far dimenticare al giocatore la vuotezza di chi ha di fronte. In realtà queste potrebbero essere interpretate come scelte artistiche, ma è assai difficile saper muoversi in questa realtà, cadere nello stereotipo sessista è tanto spaventoso quanto frequente. Questo però non significa che là fuori esistano solamente personaggi donna volgari, assolutamente no. Sfruttare le caratteristiche del proprio sesso può essere molto vantaggioso se si ha una base solida. Base che Hideo Kojima riesce a costruire d’acciaio, creando un personaggio sicuramente indimenticabile per i tempi: Eva in Metal Gear Solid 3: Snake Eater.

Personaggi femminili: Eva di Metal Gear Solid
Eva da Metal Gear Solid 3, famosissimo titolo entrato nella storia.

Questa volta parliamo di un personaggio secondario, donna dai molteplici nomi, Eva è una spia doppiogiochista incaricata dal KGB di recuperare dati importanti sulla realizzazione di una nuova arma sperimentale. Nel corso della sua missione incontrerà il nostro caro Naked Snake, instaurando un rapporto indimenticabile sia con lui che con il giocatore. La terra del sol levante è solita sfornare personaggi femminili molto disinibiti, un modo facile e veloce per creare figure che spiccano nella memoria del giocatore, talvolta persino create appositamente per mandarle “in pasto” alle fantasie del pubblico.

Eva quindi potrebbe sembrare il prodotto di un ennesimo fan service, ma così non è. Ispiratissima ai personaggi del mondo di James Bond, Eva incarna la figura della femme fatale. Una donna intelligente e senza scrupoli, che conosce bene l’arte della seduzione. Eva trae forza dalla sua femminilità e dalla sua comprensione delle emozioni umane, cosa che pochi personaggi donna fanno. Intelligenza, furbizia, mentalità strategica, sensibilità; queste sono le caratteristiche di un personaggio che si fonda sul suo essere donna, in un muoversi in un confine tra genio e volgare che solo il Kojima dei tempi d’oro poteva manovrare.

Uno dei motivi per cui è così difficile creare personaggi femminili che risaltino sta proprio nel ruolo a cui di solito sono relegate. Da sempre nei titoli del passato le donne sono sempre state un supporto al giocatore o al protagonista, utilizzando una caratterizzazione di base che potesse essere facilmente ripetibile nel mondo di gioco. Quasi delle NPC insomma. Possiamo però dire con orgoglio che negli ultimi tempi questo ruolo sta cambiando, anche grazie alle maggiori sperimentazioni che si stanno facendo. Perché la chiave per la comprensione del problema è proprio quella: sperimentare. Per paura di creare qualcosa di non immedesimante per i giocatori non si è mai osato troppo con i personaggi donna (essendo la maggior parte dei giocatori del passato degli uomini), e anche se talvolta è rischioso farlo, provare a fare qualcosa innovativo è sempre la strada migliore. Questa stessa strada ci ha portato personaggi come Ellie in The Last of Us.

Personaggi femminili: Ellie di The Last of Us
Portabandiera della serie di The Last of Us, in grado persino di superare il protagonista del primo gioco.

Non saranno di certo le mie parole a convincere della bellezza di questo personaggio, probabilmente ogni giocatore se ne sarà già accorto da sé. Abbiamo conosciuto Ellie quando aveva solo 14 anni e l’abbiamo vista crescere in un mondo avvizzito, privata di ogni momento felice. Sono numerose le esperienze traumatiche che hanno reso Ellie quasi insensibile alla violenza, ma mai le hanno impedito di amare o versare lacrime per i propri cari. Ellie è solo una ragazza in un mondo di gente più forte, armata e organizzata di lei, ma grazie a furbizia, scaltrezza e un pizzico di fortuna riuscirà sempre ad avere la meglio.

Durante il gameplay ci si potrebbe persino scordare di star giocando un personaggio femminile. Questo vuol dire che ci troviamo di fronte ad un protagonista scritto estremamente bene, in grado di empatizzare con qualunque giocatore, nonostante il sesso o l’età. Una figura che non trae forza dalla propria femminilità, ma bensì dalla propria individualità.

Conclusione

Si sarebbe potuto parlare di molteplici altri personaggi donna che hanno saputo bucare lo schermo con equivalente vigore, ma le tre che abbiamo appena visto riescono, tramite le loro accentuate diversità, a riassumere le caratteristiche principali che accomunano la maggior parte delle eroine dei nostri videogiochi preferiti.

Quindi, cosa rende un personaggio femminile un buon personaggio? Probabilmente la risposta si cela in quella linea grigia tra lo sfruttamento delle peculiarità del proprio sesso e la negazione dello stesso.
Una matassa non facile da districare, ma che con il passare del tempo, e con l’aumentare delle sperimentazioni, riuscirà a regalarci altre straordinarie donne protagonista e non. In un mercato oramai saturo di quell’ideale di élite maschile che da sempre aleggia nell’immaginario del panorama videoludico.



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Cosa sono i Soulslike e cosa li contraddistingue

Grazie al recente successo commerciale che è stato Elden Ring, ultima fatica dello studio di sviluppo From Software, il termine Soulslike ha acquisito un’ancora più ampia diffusione. Ma che cos’è un Soulslike? Quali sono le caratteristiche che lo differenziano al punto da far scaturire la necessità di generare un nuovo termine?

Soulslike o Soulsborne?

In una recente intervista rilasciata a IGN relativa al venturo lancio di Amored Core 6, Hidetaka Miyazaki, considerato a diritto il padre dei souls, ha esplicitamente parlato di un tipo di gameplay “soulsborne” legittimando così una volta per tutte il termine. Nello specifico, Miyazaki risponde così alla domanda se ci debba aspettare un titolo “soulsborne” dal prossimo Armored Core:

No, non abbiamo fatto uno sforzo volontario per provare ad indirizzarlo verso un tipo di gameplay soulsborne.

Hidetaka Miyazaki

Ma cosa si intende esattamente per soulsborne? E che cosa cambia da soulslike? Domande dalla natura più che legittima scaturite da una comunicazione inefficace da chi ha popolarizzato determinati termini.

Chiunque abbia un’infarinatura base di linguistica, sa bene quanto siano rari nelle lingue i sinonimi assoluti: sarebbe inutile generare due parole per indicare la medesima cosa. Per soulslike si intende un genere – o sottogenere se preferite – di videogiochi tendenzialmente vicino al più ampio ombrello dell’action RPG. Soulsborne invece indica tutti i prodotti più o meno connessi ai canoni del soulslike partoriti direttamente dalla casa di sviluppo “madre” del genere: From Software.

Definire Bloodborne un soulslike a tutti gli effetti si era rivelato già compromettente all’uscita del titolo per PlayStation 4, data la sua natura spiccatamente più action e meno ruolistica rispetto alle esperienze passate. Non c’è da sorprendersi se poi, con Sekiro, la definizione di soulslike non bastasse più a racchiudere dei prodotti così sensibilmente differenti, legati solo da un matrice di tipo produttiva. Nasce così il termine soulsborne, per indicare i prodotti più “recenti” (da Demon’s Souls in poi) della casa di sviluppo; simili nelle sensazioni, ma molto differenti a livello ludico e di esperienze complessive.

Queste distinzioni fanno nascere spontanea una questione, che è stata rimandata dall’inizio di questo testo per poter preparare una solida base su cui basare il successivo discorso: quali sono gli elementi essenziali per comprendere di cosa si stia parlando quando si discute di soulslike?

Che cos’è un Soulslike?

Si può affermare, senza paura di sbagliarsi troppo, che il soulslike fondi le sue radici nella più ampia categoria dell’action RPG.

D’altronde, quando Demon’s Souls sbarcò per la prima volta su PlayStation 3, nessuno si sarebbe immaginato che una reinterpretazione del genere incentrata su un combat system più lento e meditato avrebbe dato luce a una vera e propria nuova varietà di videogiochi.

Non sorprende neanche che grande focus delle recensioni del periodo ponessero grande enfasi sulla spiccata difficoltà del titolo (caratteristica che ha contraddistinto le opere del 2022), oggi cappello anche del reparto marketing dei titoli From Software, con conseguenza che a un’utenza che ha ricevuto il fenomeno più passivamente, risulti essere l’elemento connotativo più evidente dei soulsborne.

In effetti Demon’s Souls arriva nel nel 2009, periodo in cui i videogiochi, puntando con sempre maggiore veemenza al pubblico generalista, allora in grande crescita, abbassavano incredibilmente il livello di sfida a favore di un’accessibilità forzosa ed eccessiva, generando dei titoli nei quali non solo perdersi era impossibile, con qualche freccia o indicatore costantemente presente a schermo, con degli apici nei quali persino il game-over non era contemplato, come dimostrava il reboot del 2008 di Prince of Persia e come confermerà Bioshock Infinite nel Marzo del 2013.

Tuttavia, la difficoltà non è una componente centrale per identificare un soulslike; infatti, piuttosto che di difficoltà, si dovrebbe parlare di severità nella punizione degli errori. Ma sopratutto, come sottolineava già la recensione di IGN di Demon’s Souls, è caratteristica dei soulslike la possibilità di personalizzazione del personaggio, non solo a livello estetico ma sopratutto a livello ludico, con delle armi ed equipaggiamenti che offrono approcci radicalmente diversi all’esperienza con un arsenale composto sia da armi veloci e agili, che spadoni impossibili e ingombranti, passando per armature in grado di modificare il numero di I-Frames durante una schivata.

L’atipica componente online che caratterizza i soulsborne non è una componente essenziale per un soulslike, ma è un’aggiunta gradita ai più, capace di donare maggiore longevità grazie alla componente PvP, ma anche come scusa per presentare storie e plausibili movimenti degli NPC all’interno del mondo di gioco, evocabili come fossero altri videogiocatori connessi e regalando l’illusione di un mondo vivo dietro al codice.

Il Gameplay

Il gameplay di un soulslike è senza dubbio l’elemento che meglio di qualunque altro ne definisce i connotati.

Delle riflessioni ponderate e meditate devono precedere l’input dei comandi. Premere compulsivamente il pulsante di attacco o di schivata, risulterà inevitabilmente in una morte prematura: nessuna disattenzione è concessa. Conoscere bene i movimenti del nemico aiuta molto, ma non è essenziale. È sufficiente riuscire a leggerne i movimenti, insieme a una buona dose di riflessi per anticipare quale sia il momento giusto in cui colpire, e quale quello per ritirarsi. È invece richiesta una buona conoscenza del moveset dell’arma impugnata.

Anche il gameplay, per quanto fresco e a modo suo innovativo, non è una vera invenzione della casa di sviluppo nipponica. I soulslike si contraddistinguono per i tempi di recupero lenti dopo ogni attacco, che lasciano scoperti alle violenze dei nemici in combinazione a una corretta gestione di stamina e cure, ma sono di per sé riconducibili alla celeberrima serie Monster Hunter di enorme successo nella terra del Sol Levante.

Il mondo di un soulslike

Per essere definito tale, il mondo di un soulslike deve essere provvisto di numerosi shortcut che colleghino l’intero mondo (come nel caso della prima metà di Dark Souls), o le singole zone delle varie aree che compongono il mondo di gioco (come nel caso di Bloodborne o Dark Soul III).

Le singole zone possono essere ricche di segreti, e i fan spesso apprezzano quando la densità di quest’ultimi tende verso l’alto, ma il world e level design non si deve limitare all’abbondanza di shortcut per spostarsi agilmente da un punto all’altro dell’area, bensì deve essere foriero di un tipo di narrazione che è stata ri-popolarizzata da Miyazaki. Non è un mistero, infatti, che tra le fonti di ispirazione del papà dei souls vi siano le opere di Fumito Ueda, in particolare ICO.

La trama dei souls, o più specificatamente in questo caso, la tanto decantata “lore” (pur consapevoli che non siano la stessa cosa), si ricava sì dalle descrizioni di armi, oggetti ed equipaggiamenti sparsi in giro per il mondo, ma anche da elementi visivi dello scenario.

Una statua mancante nell’area di un duplice boss che gli amanti del primo Dark Souls ricorderanno bene, ha generato a lungo discussioni e teorie da parte dei fan su chi fosse rappresentato in quella scultura e il conseguente rapporto dell’individuo mancante in questione con le altre rappresentazioni presenti. Una porta chiusa a chiave dall’esterno suggerisce che qualcuno abbia volontariamente rinchiuso il malcapitato che si celava nella stanza dietro la porta. Forse come punizione per i peccati commessi.

Insomma, come i mondi di Fumito Ueda sono in grado di raccontare delle storie senza l’ausilio di cutscenes esplicative o dialoghi esaustivi, così un soulslike deve essere in grado di narrare “silenziosamente” mediante l’ausilio di dettagli a schermo e modelli poligonali.

I “falsi”

Considerato il discorso appena concluso, qualcuno potrebbe domandarsi se quindi in qualche misura si possa quindi considerare Ico un soulslike. La riposta ovviamente è no. Come è stato discusso, il soulslike, come tra l’altro grande parte degli altri generi videoludici, fonda le sue radici in diversi altre macro-categorie. Come l’action RPG e il metroidvania, per cui è naturale trovare elementi apparentemente “souls” in giochi che concettualmente non potrebbero esserne più distanti.

Hollow Knight, ad esempio è un chiaro esempio di metroidvania che viene però spesso accomunato ai souls. Esso in realtà possiede delle caratteristiche “derivate” dai titoli di casa FromSoftware, come ormai è comune a moltissimi generi, sempre più difficili da incasellare in delle strette categorie e che amano miscelarsi generando nuove divertenti dinamiche); esempi sono: l’ambiguità degli NPC, mai del tutto esaustivi, la spiccata enfasi sulla narrazione ambientale silenziosa e, più in generale, un’atmosfera cupa e ineffabile molto vicina ai canovacci soulsborne.

Sia Doom che What remains of Edith Finch, ad esempio hanno in comune la visuale in prima persona (che per molti anni è stata prerogativa del genere dei doom-clones), ma ciò naturalmente non è sufficiente per ritenere i due giochi appartengano al medesimo genere.

La derivazione dei souls, allora (ma di quasi tutti i generi in verità), non si limita al banale assemblaggio di elementi presi ora dall’action RPG, ora del metroidvania, ma è una fine pratica di rielaborazione di meccaniche e dinamiche per dare luce ad un tipo di esperienza del tutto nuova.

In sintesi: le caratteristiche di un Soulslike

Le caratteristiche essenziali affinché un gioco possa essere considerato un Soulslike in definitiva non sono moltissime, ma appartengono ad aspetti diversi dell’interazione con il videogiocatore.

Dal punto di vista del gameplay puro, ci si aspetta un combattimento non necessariamente “lento”, ma comunque punitivo e meditato, con dei tempi di recupero a seguito di ogni attacco che lasciano scoperti, punendo così fretta o disattenzione dei videogiocatori. Anche la gestione della stamina fa parte del combat del genere, attaccare o schivare troppo frequentemente, oltre a essere poco efficace come approccio, porterà a un rapido consumo della stessa, lasciando il giocatore scoperto durante la fase di recupero.

Dal punto di vista dell’esplorazione o, più in generale del mondo di un soulslike, è prerogativa del genere una mappa interconnessa e ricca di segreti da scoprire, con shortcut che colleghino tra di loro o intere aree del mondo o all’interno delle singole zone di gioco.

In ultimo, pur se non essenziale, è caratteristica comune del genere una narrativa silenziosa, aspetto che non riguarda necessariamente la trama, ma che è in grado di trasmettere coerenza tra i personaggi del mondo e la loro locazione all’interno dello stesso, oltre ad aggiungere dettagli e significato alla storia del mondo che ci si accinge a esplorare.

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Editoriali

I 5 migliori giochi per Gamecube

Il Nintendo Gamecube non è certamente stata la più fortunata tra le piattaforme della grande N. La console di sesta generazione della casa di Kyoto, la cui epopea è durata dal 2001 al 2007, non è infatti riuscita ad imporsi come leader del mercato.

Causa di questo parziale insuccesso sono state alcune scelte commerciali poco azzeccate da parte di Nintendo (prima fra tutte quella di affidarsi ad uno strambo formato mini-dvd), oltre alla spietata concorrenza di Xbox e Playstation 2.

Tuttavia, Gamecube ha saputo conquistare un posto speciale nei cuori dei videogiocatori grazie all’incredibile qualità del suo parco titoli. In questo articolo riscopriamo i cinque giochi, in esclusiva, che più di tutti gli altri hanno segnato la storia del cubo viola di Nintendo.

Luigi’s Mansion

Luigi’s Mansion segna il debutto di Luigi nel ruolo di protagonista su Gamecube.

Nella nostra carrellata non potevamo che partire dal titolo di lancio di Gamecube, ovvero Luigi’s Mansion. Uscito insieme alla console nel settembre 2001, Luigi Mansion mette per la prima volta sotto i riflettori Luigi, il fratello del ben più famoso Mario, che in questo gioco viene “promosso” da semplice spalla del protagonista ad eroe assoluto dell’avventura.

Nel tentativo di salvare il fratello, Luigi deve esplorare una magione infestata dai simpatici ma letali fantasmi Boo. Per fare ciò, Luigi può ricorrere ad un vasto e strampalato arsenale di armi ed accessori. Tra essi spiccano la torce, in grado di svelare i fantasmi nascosti e l’aspirapolvere Poltergust 3000, che rappresenta la nostra arma principale.

Luigi’s Mansion va a stravolgere i canovacci della serie, eliminando gli elementi platform e gli ostacoli e concentrando l’attenzione sulla risoluzione di enigmi e sui combattimenti. Il gioco riesce a creare un mix vincente tra riflessività e azione e risulta sempre estremamente piacevole ed intrigante.

Dal punto di vista tecnico, il gioco presenta una grafica molto pulita e gradevole e un sonoro buffo e coinvolgente al punto giusto. L’unico neo di Luigi’s Mansion è rappresentato dalla sua longevità, non proprio elevatissima. Se ne avete l’occasione recuperatelo assolutamente. Avrete diverse ore di divertimento garantito.

Super Mario Sunshine

Mario Sunshine trasporta i possessori di Gamecube nelle assolate lande di Delfinia.

Super Mario Sunshine dovette raccogliere la pesante eredità di Super Mario 64, primo gioco 3D della serie. Sunshine tuttavia riesce a non sfigurare davanti all’illustre predecessore.

In questo gioco accompagniamo Mario durante la sua avventura all’isola di Delfinia, nel tentativo di fermare il malvagio Bowser Junior (qui al suo debutto nella saga), intenzionato a rapire Peach e ad imbrattare tutta l’isola con la sua vernice speciale.

Mario sarà costretto ad esplorare le varie aree dell’isola per raccogliere i soli custodi, in grado di riportare la situazione alla normalità. Per compiere quest’impresa il baffuto idraulico può fare affidamento sullo Splac 3000, specie di pompa in grado di emettere potenti getti d’acqua. Grazie ad essa Mario potrà ripulire le aree dell’isola infette dalla melma, nonché effettuare una serie di planate ed acrobazie particolari.

La struttura di Sunshine riprende direttamente quella di Mario 64, ma va ad espanderla. Partendo dalla città di Delfinia, che rappresenta l’area centrale del gioco, Mario potrà liberamente esplorare i vari livelli, che si presentano davvero vasti ed articolati.

Come in una sorta di open world, Mario è costretto perlustrare a fondo ogni area per riuscire a risolvere i vari enigmi e mettere le mani sugli agognati soli custodi. Il livello di sfida, rispetto agli altri titoli della serie, stavolta è davvero arduo, sia per quanto riguarda l’individuazione delle azioni da compiere, sia per la loro effettiva messa in atto.

Sunshine presenta un sistema di controllo molto ricco e stratificato, anche se non sempre immediatissimo, aspetto che contribuisce a creare grande frustrazione nei livelli più complessi. Grafica e sonoro sono, come sempre, estremamente curati e fungono da ottimo accompagnamento nella nostra avventura.

Se siete fan della serie di Mario recuperate assolutamente Sunshine, ma preparatevi ad una sfida davvero dura!

Super Smash Bros. Melee

Smash Bros. Melee per Gamecube è ancora considerato da diversi giocatori il migliore della saga.

E non poteva mancare quello che è considerato da molti il miglior picchiaduro per Gamecube. Smash Bros Melee prende tutto quanto c’era di buono nel primo gioco, uscito per Nintendo 64 e lo espande oltre ogni orizzonte.

Il roster di Melee conta più di venti combattenti diversi, provenienti da tutti i maggiori franchise di Nintendo, dai pokèmon a Legend of Zelda passando per Fire Emblem, saga che deve anche a Melee la sua diffusione in occidente.

I nostri eroi hanno una nutrita serie di stages in cui riempirsi allegramente di mazzate. Che siano sfide a tempo, battaglie all’ultima vita o un mix di regole personalizzato dal giocatore, gli scontri di Smash sono sempre adrenalitici e caotici. Questo grazie al perfetto sistema di controllo del gioco, che riesce a creare un incredibile equilibrio tra un party game e un vero picchiaduro competitivo.

I comandi di Melee sono apparentemente molto semplici, ma ottenere un controllo efficacie del personaggio e soprattutto una padronanza completa del suo intero set di mosse richiederà moltissima pratica ed altrettanto tempo.

Completano il quadro un enorme numero di modalità e regole per gli incontri e la possibilità di competere in 4 giocatori contemporaneamente, per dare vita a sfide davvero epiche in grado di mettere in discussione anche le amicizie più salde!

Anche se non siete amanti del genere consiglio caldamente di recuperare Melee e farci qualche partita, meglio ancora se in compagnia di un amico!

The Legend of Zelda: The Wind Waker

Windwaker è davvero una perla preziosa nel panorama dei titoli Gamecube.

Poteva mancare in una classifica di giochi Nintendo un esponente della saga di Legend of Zelda? Naturalmente no! La lotta con Twilight Princess è stata davvero durissima, ma ho deciso di premiare Wind Waker per la sua originalità e per l’importanza che ha avuto nell’evoluzione della serie.

In questo gioco l’indomito Link si trova ad esplorare una Hyrule completamente sommersa dalle acque. Di conseguenza, il nostro incappucciato eroe è costretto a navigare di isola in isola per raccogliere le reliquie necessarie a fermare il malvagio Ganondorf e salvare ancora una volta il suo mondo.

Nelle sue peregrinazioni Link sarà accompagnato da Re Drakar, trasformato da una maledizione in una barca di legno. Grazie alla Wind Waker, una magica bacchetta del vento, il nostro Link potrà controllare i venti, permettendo a lui e al re di setacciare tutto l’enorme oceano che compone la mappa del gioco.

Alla sua uscita, Wind Waker non fu apprezzato universalmente, soprattutto a causa del suo stile grafico molto simile ad un cartone animato, che non trovò il favore di molti videogiocatori.

Tuttavia ciò che rende Wind Waker un’esperienza davvero incredibile e l’assoluta libertà di movimento che il gioco consente, assolutamente inedita per gli anni in cui uscì. Dopo una breve parte introduttiva, durante la quale il percorso è obbligato, il giocatore ha la possibilità di organizzare in piena autonomia il suo viaggio.

L’esplorazione in Wind Waker è davvero ben fatta e coinvolgente e ci farà immedesimare completamente in Link durante le sue peregrinazioni marittime. Anche la grafica, per quanto particolare, resta estremamente piacevole e calzante. Stesso discorso per il sonoro, che offre alcune delle tracce più memorabili dell’intera saga. Merita una menzione in particolare la musica che accompagna gli spostamenti in barca di Link, davvero meravigliosa.

Ogni amante dei giochi di avventura e in generale ogni videogiocatore dovrebbe provare Wind Waker nella sua vita. Perdere questo capolavoro sarebbe davvero un peccato.

Metroid Prime

Metroid Prime è forse il miglior gioco in assoluto per Gamecube.

Concludiamo la nostra rassegna con quello che è forse il titolo che più di ogni altro i fan vorrebbero veder fare ritorno su Switch. Metroid Prime, uscito nel febbraio 2003 in Giappone, segna il passaggio della saga di Samus Aran alla terza dimensione.

Grazie ad un’inedita visuale in soggettiva, infatti, il giocatore viene trasportato direttamente dietro al visore della letale cacciatrice, pronto ad accompagnarla in una nuova incredibile avventura. Samus questa volta si ritrova ad esplorare la fregata Orpheon ed in seguito il pianeta Tallon IV, nel corso di una durissima lotta contro un enorme numero di creature mutate dal Phazon, micidiale liquido radioattivo.

Il grande merito di Prime sta nel fatto che ha saputo unire in maniera encomiabile la grafica tridimensionale e la modalità in prima persona con le meccaniche tipiche della saga. Non ci troviamo infatti di fronte ad un semplice FPS, bensì ad una vera e propria avventura in cui la risoluzione degli enigmi e l’esplorazione attenta delle aree rappresentano ancora il cuore pulsante del titolo.

Per completare la sua missione, infatti, Samus ha ancora una volta bisogno di sbloccare ogni potenziamento e ogni abilità della sua tuta. Questo porterà la bella cacciatrice a setacciare ogni angolo del pianeta, alla ricerca di ogni area rimasta libera.

Non manca naturalmente nemmeno l’azione, grazie al nutrito arsenale di cui Samus dispone e alla nuove possibilità fornite dalla visuale in soggettiva. Le armi a disposizione sono davvero moltissime, così come le trategie da seguire per sconfiggere i vari nemici.

La grafica del gioco, sfrutta fino all’ultima goccia le possibilità di Gamecube e riesce ad immergere totalmente il giocatore nell’avventura, ricreando un mondo futuristico davvero accattivante e terrorizzante.

Davvero un must assoluto per ogni possessore di Gamecube che si rispetti e di cui è ora disponibile anche una versione rimasterizzata per Nintendo Switch.

E voi che dite? Conoscevate tutti i titoli citati nell’articolo? E quali giochi avreste inserito nella vostra personale top five? Scrivetelo nei commenti qui sotto!

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Editoriali

I videogiochi come esperimenti d’interazione

Se c’è qualcosa che mi ha sempre affascinato particolarmente nel medium del videogioco rispetto a qualunque altro media, è l’attiva interazione con l’utente. Un film o un brano musicale, ad esempio, scorrono imperterriti a prescindere che un utente sia in grado di recepire il messaggio in quel dato momento. In quest’editoriale, cercherò di analizzare al meglio delle mie capacità portando degli esempi ritenuti illustri di cosa significhi davvero interagire con un videogioco, cercando di raccapezzarmi circa fino a dove è stata spinta la reciprocità del rapporto tra utente e software.

Videogiochi e Videogiocatori

Il medium videoludico (o quantomeno nella stragrande maggioranza delle sue declinazioni) per procedere necessita inderogabilmente di un individuo che vi si rapporti, compiendo delle determinate azioni affinché la narrazione possa proseguire.

Questo rapporto tra utente e software è sempre stato a tutti gli effetti il tratto caratterizzante del videogioco e, in quanto tale, è da semore grande motivo di studio e di sperimentazione da parte dei game designer più disparati. I risultati di tali esperimenti sono necessariamente variabili, eppure c’è da ammettere che quando il software riconosce il videogiocatore come entità fondante dell’esperienza, che questo sia esterno o interno alla narrazione, l’essere riconosciuto è sempre motivo di shock per l’utente. Il videogioco, quando abbatte la quarta parete, ci tira fuori dalla finzione rammentandoci del nostro ruolo nell’interazione e, in certi casi, se ben eseguito, tale escamotage finisce al contrario per immergerci ancora di più nella finzione.

Metal Gear Solid

Un esempio che è stato capace di distinguersi e di rimanere iconico nel tempo è sicuramente l’interazione con Psycho Mantis nel primo Metal Gear Solid. Poco prima dello scontro con il boss, durante una cutscene, questi mostrerà i suoi problemi -appunto- psichici leggendovi la memoria, elencando alcuni salvataggi presenti nella memory card.

Avviene dunque una strana simbiosi fra il giocatore ed il protagonista, in quanto durante il processo di “lettura dei ricordi” è implicito che i ricordi del protagonista coincidano con quelli del giocatore. Tuttavia, riconoscere il videogiocatore non si limita a includerlo nelle vicende del videogioco più o meno indirettamente come già sperimentava Kojima nel 1998.

Metal Gear Solid

Shadow of the Colossus

Appena nella generazione successiva, il 18 ottobre del 2005, Fumito Ueda rilascia sul mercato Shadow of the Colossus, oggi riconosciuto come un Cult da pubblico e critica specializzata. Pur essendo di per sé un action-adventure-puzzle game (rimarcando già allora quanto flebili e miscelabili fossero i generi in cui cerchiamo di far rientrare ogni possibile iterazione videoludica) si rifaceva in parte a quelli che erano gli stilemi già allora consolidati dei JRPG ma sublimandoli e portandoli all’esasperazione.

Era già ampiamente approvato che nei JRPG, a differenza di quanto avviene nei RPG di stampo occidentale, in cui l’utente interpreta personaggi blank su cui proiettare il personaggio che più si preferisce, nei giochi di ruolo provenienti dalla terra del sol levante, il videogiocatore è tenuto a impersonare un personaggio a sé stante con desideri e ambizioni proprie, indipendenti dalla volontà del giocatore, seppur delle scelte che abbiano un’influenza più o meno rilevante nella trama e che riguardino più da vicino l’utente siano sovente ben accette.

Shadow of the Colossus

In Shadow of the Colossus, si interpreta un personaggio di cui non si sa nulla, che abita un mondo altrettanto misterioso. Le informazioni date in mano al giocatore sono frammentate e sporadiche, capaci sì di far innamorare di quel mondo immaginario, ma la cui misteriosità tiene al contempo a debita distanza.

In questa iterazione, avviene esattamente l’opposto di quanto proposto da Kojima nello scontro con Psycho Mantis, il giocatore è tenuto ad identificarsi non più in una proiezione di sé che sfida la quarta parete, ma in un individuo di cui non conosce nulla, e per di più di cui non approva lo scopo finale.

L’intera missione di Wander (iconico protagonista del videogioco) è dalla dubbia moralità, e difficilmente può venire integralmente abbracciata dal giocatore: tutta l’esperienza è studiata affinché alla riuscita del nostro obiettivo, cioè quella di abbattere i suddetti colossi, il giocatore provi un ambiguo senso sì di gratificazione, ma comunque permeato di un controverso senso di colpa, da sentimenti di pura vergogna. Come se le azioni appena compiute fossero in qualche modo sbagliate, immorali, degenerate.

L’impegno del giocatore anche in questo caso è essenziale, in quanto come è stato evinto qualche paragrafo fa, la partecipazione del giocatore è fondamentale affinché il titolo possa proseguire nella narrazione. D’altro canto, però, lo sforzo in questo caso viene percepito come effimero,in quanto possiamo soltanto lasciarci trascinare dal flusso degli eventi, obbedendo alle regole imposteci da Ueda. È necessario che noi abbattiamo i prossimo titano, non importa quanto degenerato possa apparire ai nostri polpastrelli.

Hardware

Da allora sono stati numerosi i tentativi di modificare l’interazione diretta con il videogiocatore, coinvolgendolo più fisicamente con risultati dall’effetto decisamente variabili. Il primo esempio che giunge subito alla mente è senza dubbio l’esperimento di Xbox con il Kinect, che ha conosciuto decisamente poca fortuna sopratutto se confrontato ai ben più illustri Wiimote di Nintendo, da cui Microsoft ha certamente preso spunto.

In verità, la ricerca di un esperienza del genere ha radici ben più profonde con il fallimento che fu il Virtual boy, o i curiosi esperimenti di Playstation2 come Buzz o la dimenticata EyeToy. Ma oggi, grazie ai visori per la realtà virtuale, abbiamo conosciuto un tipo d’interazione che sfida i metodi classici di approccio al videogioco, pur senza snaturarlo del tutto.Senza però dover ricorrere a modifiche di natura Hardware, alcuni titoli dalla matrice più “tradizionale” sono stati in grado di riproporre in maniera più moderna alcuni tropes dell’interazione tra videogiocatore e videogioco di cui abbiamo discusso.

The Last of Us Part I

Primo tra tutti, The Last of Us Part I, che notoriamente costringe il giocatore a impersonare un individuo dall’indole violenta temprata da atroci sofferenze. In un colpo di scena ben congeniato e preparato, l’utente è nuovamente costretto a compiere delle azioni vergognose e immorali (per quanto riguarda ciò che definiamo come moralità oggi), di cui non condivide l’esito, eppure la sua unica possibilità è quella di procedere nell’esecuzione dei comandi, percependo come, questa volta, al contrario di quanto siamo troppo spesso portati a credere, è il videogioco a guidare il videogiocatore, lasciando scivolare l’inganno per cui è il videogiocatore a guidare le sorti dell’avventura.

Queste interazioni ci ricordano che non è così, anzi, nessuna scelta che possiamo compiere, nessuna strada che possiamo intraprendere non è già stata contemplata dal codice del software. Al videogiocatore non resta che l’illusione del controllo.

I videogiochi, infatti, illudono soltanto di poter compiere una scelta, The Last of Us Parte I lascia coraggiosamente cadere la maschera e ci insegna come le azioni compiute fino ad allora non fossero frutto della nostra volontà come giocatori, ma al contrario che noi non siamo che il mezzo attraverso cui la storia si protrae.

The Last of Us Part I

The Stanley Parable insegna che l’interazione è tutto

David Wreden con The Stanley Parable, segna un punto di svolta nel discorso attorno al videogioco, abbattendo formalmente l’idea protrattasi negli anni per cui nei videogames, la volontà del videogiocatore è direttamente chiamata in causa.

Compiere delle scelte in grado d’influenzare le vicende non è infatti compito dell’utente finale, bensì di chi il software lo sviluppa e decide come e quando dare la possibilità al giocatore di sentirsi protagonista, di sentirsi influente. Tutti i possibili esiti sono già stati previsti e collaudati.

Cosa rimane dunque al videogiocatore? Se ogni possibile conclusione è già ampiamente determinata a priori, qual è la funzione di compiere una scelta? Chiaramente in (quasi) nessun altro media ci si aspetta che la propria influenza abbia un impatto così rilevante, per cui anche solo godersi la narrazione proposta è una valida soluzione.

D’altronde non sono neppure tutti i giochi a suggerire all’utente che la sua partecipazione è determinante. Molti titoli definiti a ragione lineari si aspettano che le azioni del giocatore abbiano impatto solo durante la fase di gameplay, o magari il gameplay è l’unico elemento portante dell’esperienza. Tuttavia, al fine di godersi l’esperienza al massimo, è talvolta necessario dimenticare tutti i discorsi e le sovrastrutture che abbiamo imparato a riconoscere, e lasciarci al contrario travolgere da delle avventure davvero in grado di farci sentire protagonisti.

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Editoriali

DUNE: tutti i giochi da tavolo ambientati nel Duniverse

Dopo aver presentato tutti i videogiochi relativi all’universo Dune, focalizzerò ora l’attenzione sul variegato mondo dei giochi da tavolo, sempre relativo all’amato e immenso Duniverse. Allacciate le cinture, prendete un po’ di spezia e partiamo!

Il puro piacere dell’invenzione e della narrazione ad altissimo livello

Isaac Asimov

Dune – Avalon Hill, 1979

Il capostipite dei giochi da tavolo su Dune, primo e inconfondibile. Nel 1979, Avalon Hill pubblicò la prima edizione di Dune, un gioco da tavolo per 2-6 giocatori dai 12 anni in su della durata variabile stimata fra le 2 e le 4 ore.

Questa edizione ha sulla scatola l’immagine del vermone (Wurm box), immagine di pura fantasia dato che all’epoca non era ancora uscito il film di Lynch. Nel 1984 uscì la seconda edizione: il gioco era identico ma sulla scatola campeggiava la The Sting Cover (ispirata al film). Dello stesso anno sono due espansioni inedite, Spice Harvest e The Duel.

Giochi da Tavolo su Dune: Wurm Box
Dune, copertina “Wurm” prima edizione (1979)

Ogni giocatore interpreta una fazione politica tra le sei disponibili e dispone di venti unità di combattimento, cinque leader di differente forza e precise peculiarità di fazione.

La plancia del gioco rappresenta il pianeta Arrakis, diviso in sezioni radiali, ove sono presenti territori sabbiosi, terreni rocciosi e cinque fortezze. Nei territori sabbiosi si effettua la raccolta della Spezia (ma sono pericolosi a causa dei Vermi), le zone rocciose permettono di ripararsi dalle tempeste, mentre le fortezze sono da conquistare per vincere la partita (ma favoriscono anche i movimenti delle unità).

Ecco una veloce panoramica al funzionamento dei turni:

  1. la tempesta di sabbia si muove e distrugge le truppe allo scoperto;
  2. scoperta di un nuovo cumulo di Spezia (su zone sabbiose) o comparsa di un Verme su uno già presente;
  3. asta cieca delle carte Tradimento;
  4. sbarco delle truppe dallo spazio su un terreno a propria scelta (si paga spezia al giocatore che ha la Gilda Spaziale; i Fremen non sbarcano);
  5. spostamenti delle truppe sul pianeta in aree adiacenti (si paga spezia al giocatore che ha l’Imperatore);
  6. fase conflitto nelle aree in cui ci sono unità di fazioni differenti (e non alleate).

Al combattimento contribuiscono oltre alle unità anche i leader e le Carte Tradimento. Può influire anche la presenza di un proprio Traditore (scelto a inizio partita) nelle file avversarie. Chi perde elimina tutte le sue truppe, il vincitore solo quelle ingaggiate nello scontro.

Come già indicato, vince la fazione che controlla tre fortezze, da soli o in alleanza. Esistono però anche altre condizioni di vittoria dettate dalle fazioni giocate: per esempio le Bene Gesserit vincono se la loro predizione iniziale sul vincitore si rivela corretta.

Il gioco è antico, ma è ancora molto apprezzato, e rappresenta un vero must per gli appassionati di giochi da tavolo, in particolare per gli amanti di Dune.

Dune: un gioco di conquista, diplomazia e intrighi – Gale Force Nine, 2019

Dune: un gioco di conquista, diplomazia e intrighi

Fotocopia o quasi del primo Dune, una vera e propria riproposta moderna del medesimo gioco da tavolo. Il regolamento è stato rivisto in minima parte, la grafica aggiornata e le carte sono colorate e di maggiori dimensioni… ma non si è fatto molto di più.

Nel 2020 è uscita l’espansione Dune: Ixians & Tleilaxu che aggiunge due nuove fazioni e qualche nuova meccanica.

Nel 2022 viene pubblicata l’ulteriore espansione Dune: CHOAM & Richese con altre due fazioni, un paio di varianti e abilità da assegnare ai leder.

Il gioco base è stato anche localizzato in italiano.

Dune: un gioco di conquista e diplomazia – Gale Force Nine, 2022

Giochi da Tavolo su Dune: Un gioco di conquiste e diplomazia
Dune: un gioco di conquista e diplomazia (ma senza intrighi)

Versione “short” del classico gioco di Dune. Sempre per lo stesso editore viene presentato un gioco ancora simile ai precedenti, ma alleggerito e compresso (del resto, dal titolo si nota che manca la parola “intrighi”): si gioca in 2-4 giocatori per una durata di 30-60 minuti.

Anche questo titolo è stato tradotto e pubblicato in italiano.

Dune Betrayal – Gale Force Nine, 2021

Dune Betrayal

Gioco diverso dai precedenti, veloce e per un alto numero di giocatori. Sempre dello stesso editore, questo titolo è ancora più veloce e con meno regole. Il gioco può essere avvicinato quasi a un party game (seppur non per neofiti), dato che i giocatori possono essere da 4 a 8 e la partita ha una durata contenuta di 20-40 minuti.

Nel gioco ci sono solo due fazioni (Atreides vs Harkonnen) e i giocatori riceveranno carte identità che segretamente li schiereranno per una delle due. Durante le fasi del gioco si dovrà cercare di identificare i propri alleati e i propri nemici, dispensando difese e aiuti ai primi e attaccando senza pietà i secondi. Ciascun giocatore alla fine accumulerà o perderà punti per la propria casata e, sommando tutti i risultati, un indicatore si sposterà di un certo numero di posizioni, come fosse l’ago di una bilancia. La fazione che sottostà all’indicatore sarà quella vincente.

Squadra e diritti vincenti non si cambiano e quindi, anche per questo gioco, è disponibile la versione in italiano.

Dune Imperium – Dire Wolf, 2020

Opera con diverse meccaniche note, ma ben miscelate. Il risultato è un bel gioco da tavolo su Dune con la grafica ispirata ai film di Villeneuve. L’età consigliata è dai 14 anni in su (anche 12 secondo me) e si può giocare con 1-4 giocatori per partite della durata di circa 2 ore.

Dune Imperium

Questo gioco voglio spiegarvelo un po’ nel dettaglio dato che l’ho intavolato spesso e volentieri.

Ogni giocatore interpreta il leader di una delle quattro casate nobiliari presenti nel gioco (due leader per ognuna di esse fra cui scegliere) e ciascuno ha un paio di poteri speciali, uno passivo e uno che si attiva con la speciale carta “anello con sigillo” della propria famiglia.

Una delle meccaniche principali è quella del “deck building”: all’inizio ogni giocatore ha lo stesso mazzo di carte, ma poi può acquistarne di nuove, aggiungendole o sostituendole ad altre, costruendo al meglio il proprio motore di gioco.

L’altra meccanica più importante è quella del “piazzamento lavoratori”, nel caso di Dune parliamo di agenti. Questi possono essere inviati in modo esclusivo sulle caselle del tabellone per ottenerne i benefici: accumulare denaro (solari); raccogliere spezia; reclutare e schierare truppe (utili in fase battaglia); ottenere vantaggi e influenza presso i percorsi relativi a Impero, Gilda Spaziale, Bene Gesserit e Fremen, pescare carte, etc. Per piazzare gli agenti su un certo luogo occorre giocare dalla propria mano una carta che ne riporta il simbolo (sperando di averla!) e a volte è anche necessario pagare un certo costo in risorse (acqua, spezia, solari, carte).

Terminata la fase di piazzamento, si passa a quella di rivelazione: tutte le carte ancora in mano al giocatore vengono rivelate ed è possibile ottenere due effetti principali (ma ce ne sono anche altri). Si possono cumulare punti persuasione per comprare altre carte per il proprio mazzo e collezionare “spade”, utili per la fase di combattimento.

In base alle truppe schierate e alle spade accumulate ogni giocatore determina il proprio punteggio di forza (si possono anche giocare carte intrigo per scombussolare i punteggi): chi ha più forza vince lo scontro e ottiene dei benefici riportati sull’attuale carta combattimento (che cambia ogni turno di gioco). In base al numero di giocatori sono previsti anche premi minori per chi è sceso in battaglia ma non ha vinto.

Poi seguono un paio di fasi meccaniche per resettare e preparare il turno successivo e il gioco si ripete fin quando uno o più giocatori hanno superato 10 punti vittoria, oppure non ci sono più carte combattimento per cui scontrarsi. Chi fa più punti vince.

I punti vittoria possono essere accumulati in vari modi: con i combattimenti; comprando specifiche carte; procedendo lungo i percorsi relativi alle fazioni o aggiunti a fine partita per mezzo di specifiche carte intrigo.

Il gioco base è stato localizzato in italiano ed è da poco stata pubblicata in italiano anche la prima espansione (L’Ascesa di Ix). Una ulteriore espansione (Immortality) è in uscita in inglese e probabilmente sarà anch’essa tradotta nella nostra lingua.

Risorse digitali

Giochi da Tavolo su Dune: Imperium per Tabletop Simulator
Dune Imperium per Tabletop Simulator

Per giocare in 1 o 2 giocatori ci si avvale di un mazzo di carte (Casa di Hagal) che gestisce gli avversari: online è reperibile un’app capace di sostituirlo. Anche per PC (passando da Steam e installando Dire Wolf Game Room) si trova un’applicazione gratuita ben pensata: oltre a gestire il mazzo dell’automa, prevede anche due varianti di gioco ulteriori non previste nel gioco da tavolo (Esploratori di Arrakeen e Blitz!).

Seppure non esistano digitalizzazioni ufficiali del gioco da tavolo, è possibile intavolare il gdt a livello virtuale grazie a Tabletop Simulator – di cui abbiamo parlato nel nostro articolo dell’evoluzione digitale dei giochi da tavolo – e a un workshop gratuito ben scriptato (seppur con alcuni bug). Al momento la versione online include anche l’espansione L’Ascesa di Ix.

Dune: War for Arrakis – CMON, fine 2023

Autori italiani, due fazioni, chili di miniature e ambientazione sentita. Dune: War for Arrakis è un gioco di guerra da tavolo asimmetrico 1 contro 1 (ma è per 1-4 giocatori) della durata di circa due ore e dai 14 anni in su.

Il titolo è stato finanziato con successo su Kickstarter e prodotto da CMON, partorito dalle menti italianissime di Marco Maggi e Francesco Nepitello.

La versione fisica del gioco dovrebbe uscire solo entro la fine del 2023 e quindi la prova sul campo è da rimandare, ma gli sviluppatori hanno fatto la mossa incredibilmente interessante di rilasciare il gioco gratuitamente su Tabletop Simulator durante la campagna kickstarter: questo per consentire a tutti di provarlo e valutare meglio se sostenere oppure no il progetto.

Dune: War for Arrakis per Tabletop Simulator

Il gioco presenta molte meccaniche interessanti e trasuda l’ambientazione creata da Frank Herbert; inoltre, risulta essere una nuova versione del precedente gioco 1 contro 1 asimmetrico di CMON, War of the Ring; quest’ultimo è ambientato in modo simile nell’universo de Il Signore degli Anelli ed è apprezzatissimo dai giocatori.

Questi interpretano una delle due fazioni: la casa Harkonnen o la casa Atreides. Gli Atreides presentano i protagonisti del primo romanzo, che utilizzano le carte preveggenza per rievocare scene della storia e fare punti per vincere. Hanno il controllo sui potenti vermi delle sabbie di Arrakis e sono resistenti ai duri elementi naturali del pianeta. Gli Harkonnen sono i cattivi, inviano veicoli nel deserto per raccogliere la spezia e mirano a sterminare tutte le basi degli Atreides. Essi ottengono molte più azioni in un turno e hanno una potenza militare maggiore.

Una delle meccaniche principali è legata ai dadi azione che inseriscono alea, che aumenta, lato Atreides, grazie alla pesca casuale delle carte prescienza da soddisfare. Questi elementi pare abbiano creato un po’ di malcontento nella community dei giocatori; altri invece hanno rivelato che, a prescindere dai gusti personali, il problema è solo superficiale.

La curva di apprendimento del gioco è ripida, ma provando e riprovando non solo si riesce a capire come limitare l’alea e a compiere mosse interessanti anche quando i dadi o le carte non collaborano, ma addirittura si possono sviluppare strategie adeguate a contrastare l’avversario. A conti fatti, al momento pare che sia più difficile giocare in modo adeguato la fazione degli Atreides, ma molti giocatori hanno veramente gustato i numerosi dettagli del gioco (per esempio forze e debolezze dei leader) che sono spalmati assai bene sull’immaginario di Herbert.

Dune: i segreti della casa (Detective) – Portal Games, 2021

Dune: i segreti della casa

Gioco su Dune che ricalca le meccaniche della serie di giochi da tavolo “Detective: sulla scena del crimine”.

Seppur uscito sul mercato nel 2021, solo da fine 2022 è disponibile anche in italiano. Il gioco è un cooperativo per 1-5 giocatori che prevede un Prologo e tre Capitoli, ciascuno della durata di 2-3 ore.

Il gioco è il primo episodio di una trilogia e anch’esso è ispirato al famoso film di Villeneuve.

In questo gioco d’avventura story-driven profondamente tematico, i giocatori sono dei ribelli che combattono le macchinazioni della Casa Harkonnen. Per riuscire nell’intento, capitolo per capitolo dovranno raggiungere degli obiettivi, seguire piste e scoprire vari segreti.

Esistono varie risorse (limitate) fra cui la più importante è il tempo, da sfruttare al meglio per poter affrontare un determinato capitolo. Il tempo non sarà mai sufficiente per fare tutto quello che si vorrebbe e quindi sarà necessario prendere decisioni e concentrarsi solo su alcuni elementi offerti dalla storia.

Alla fine di ogni capitolo, giocato in modo collaborativo e con classici componenti fisici, il gioco prevede di stilare un rapporto e consultare e usare risorse digitali (un sito web) ove impostare la linea ribelle con elementi che influiranno la storia e gli avvenimenti del capitolo successivo.

A fine capitolo si potranno anche spendere i punti esperienza accumulati per ottenere nuove abilità per i personaggi giocanti e per i comprimari alleati.

Sulla carta non si vince e non si perde, anche se nel terzo capitolo esiste un tracciato relativo ai Punti Vittoria, ma si coopera per sviluppare una storia intrigante e coinvolgente… in linea con i princìpi basilari del gioco di ruolo.

I capitoli possono essere rigiocati per esplorare strade diverse (resettando la precedente run), ma quando vengono tutti completati, si avrà accesso a una specifica storia conclusiva di grande impatto, capace poi di influenzare in modo radicale i successivi giochi della trilogia.

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Editoriali

I migliori manageriali di calcio su mobile

Ah gli italiani! Popolo di navigatori, amanti ma soprattutto allenatori di calcio! Ammettetelo: quante volte vedendo la vostra squadra del cuore giocare, avete perlomeno pensato: «Io avrei spostato questo giocatore qui, io avrei inserito questo o quel giocatore, più pressing, meno pressing, forza di contropiede!». Ebbene, fortunatamente non tutti siamo allenatori, altrimenti sarebbe un problema, ma a soddisfare la nostra voglia di calcio ci pensa il nostro amato mondo digitale.

Oltre ai complessi gestionali per PC, abbiamo a disposizione anche ottimi manageriali di calcio su piattaforma mobile, che ci permettono di portare la nostra passione con noi grazie al nostro smartphone e scatenarla ovunque ci troviamo.

In questo articolo, passeremo in rassegna quello che di buono ci offrono gli store soffermandoci in particolare sui migliori tre videogiochi manageriali di calcio per mobile.

Calcio in mobilità

Doverosa premessa: non ci possiamo esimere dal consigliarvi anche – e soprattuto – titoli free to play con acquisti in app, poiché il contesto mobile è fortemente incentrato sulle microtransazioni. Del resto, i videogiocatori di titoli calcistici non dovrebbero scandalizzarsi dato che i giochi più importanti del genere, FIFA ed eFootball, vivono di pay-to-win.

Oltre ai tre titoli che trovate qui sotto, degni di menzione sono: Pro11, PES Club Manager, Soccer Manager, Football Management Ultra e New Star Manager.

Online Soccer Manager

Online Soccer Manager: manageriale di calcio mobile

OSM è un gioco che si distingue per avere le licenze ufficiali di giocatori e squdre. La grafica è stile fumettoso, anche se nel giorno della partita la visualizzazione è solo testuale, con schede che riportano statistiche e icone per sostituire giocatori e cambiare formazione e/o tattica.

Nel reparto tattico si può scegliere lo stile di gioco, le tattiche reparto per reparto, il tipo di marcatura, pressing, tipo di contrasti e ritmo partita. Insomma, un pacchetto abbastanza standard.

Gli allenamenti sono “gestiti” dai preparatori, uno per ogni profilo: portieri, difensori, centrocampisti e attaccanti. Un tipo di allenamento questo, per quanto mi riguarda abbastanza limitante. Abbiamo il mercato, una lista di trasferimento di giocatori più o meno costosi, in base al nostro budget. Non ci sono margini di contrattazione: se si dispone della cifra il giocatore metterà a servizio della propria squadra le sue abilità.

Esiste anche una valuta di gioco, che può essere acquistata con soldi reali e che garantisce vantaggi come, ad esempio, incrementare il proprio fondo ingaggi. Abbiamo inoltre la sezione scout, dove possiamo inserire le caratteristiche dei giocatori da ricercare, che verranno trovati poi in giro per il mondo e proposti al videogiocatore. Ovviamente a completare il tutto resta la gestione dello stadio e degli sponsor.

Un titolo carico le cui tattiche purtroppo non rispecchiano esattamente il gioco della squadra, anche perché la partita è solo testuale.

Top Eleven

Nonostante adotti lo stesso sistema free to play con acquisti in app, Top Eleven è davvero un bel gioco, assiduamente aggiornato dagli sviluppatori, massicciamente frequentato dagli utenti e con un sacco di eventi a cui partecipare. La partita, o meglio, le azioni salienti della partita sono in 3D e sono una gioia per gli occhi.

Resta il dubbio di quanto la tattica venga rispettata in partita poiché il timore è sempre quello che si agevolino gli utenti “paganti”. Per il resto Top Eleven può regalare diverse ore di divertimento, il comparto tattico è abbastanza standard con poca profondità e scelte sono molto generiche, alla stregua di Online Soccer Manager.

Dove Top Eleven eccelle è nell’allenamento squadra: si può scegliere di allenare i calciatori singolarmente, per reparto o l’intero team. La varietà di esercizi è notevole; l’allenatore inoltre deve assicurarsi di predisporre gli allenamenti quando la squadra è riposata, altrimenti i giocatori non aumenteranno di livello.

A questo proposito va detto che si hanno a disposizione dei pacchetti che possono essere acquistato attraverso le microtransazioni o regali dagli sponsor: pacchetti riposo, pacchetti morale e pacchetti curativi che possono essere utilizzati per migliorare la squadra.

Top Eleven: manageriale di calcio mobile

Il mercato è gestito dai token, ovvero monete virtuali regalate (poche) dal sistema o acquistabili (la quantità dipende dal vostro portafogli) tramite soldi reali che vi agevolano nell’asta. Sì perché per acquistare un giocatore o si partecipa ad un’asta dove gli utenti offrono token fino ad aggiudicarselo oppure, spendendo una somma di token fissata all’inizio, si possono prendere giocatori più forti. Inutile dire che, avendo a disposizione soldi reali, la migliore soluzione è la seconda.

A completare le attività che si possono effettuare in Top Eleven troviamo il vivaio, che ad inizio stagione riceve dei giovani talenti da fare crescere tramite allenamenti per poi ritrovarceli come giocatori della rosa nella stagione successiva. Presente ancha la gestione degli impianti sportivi, quindi stadio, strutture giovanili, campi di allenamento e non solo.

Infine, vale la pena parlare delle Associazioni: aggregazioni di utenti fino ad un massimo di sei, che si scontrano con altre associazioni per scalare una classifica generale divisa in varie serie a partire dalla “serie Bronzo” per finire con quella “Definitiva” che accorda ai vincitori premi importanti a livello di token e pacchetti di varia natura.

Football Manager 2023 Mobile

Come intuibile FM23 Mobile deriva direttamente dal suo fratello maggiore, Football Manager 2023, disponibile per PC e console, probabilmente il più completo manageriale in circolazione. I ragazzi di Sports Interactive hanno sempre fatto un ottimo lavoro, limando ed aggiornando, di anno in anno, il simulatore fino alla versione attuale.

FM23 Mobile è l’unico titolo a pagamento di questa lista (il costo è 9,99 euro), ma è anche il giusto compromesso tra le ottime caratteristiche di FM23 e la velocità di esecuzione tipica dei giochi mobile. In Footbal Manager 23 Mobile trovate le licenze ufficiali di numerosi campionati, anche se all’inizio di ogni stagione potete sceglierne un massimo di 5 per carriera. Questo influisce sia sui mercati in cui poter inviare gli osservatori che le nazioni allenabili.

La carriera ha un tempo limite di 30 anni, trenta stagioni quindi. Le partite sono esclusivamente contro l’IA, non esistono scontri online e, ovviamente potete giocare ogni qualvolta lo vogliate, senza alcun vincolo di orari come nei manageriali calcistici mobile precedentemente mostrati.

FM23 Mobile lascia più spazio all’allenatore che è in voi: niente accordi pubblicitari, niente ampliamento delle strutture della squadra. Voi siete l’allenatore ed in quanto tale a voi è affidata la gestione tattica, l’allenamento e la scelta degli uomini mercato.

Per il resto c’è una dirigenza che si occupa degli altri aspetti, con la quale potete, minimamente, interloquire. Quello che mi è sempre piaciuto di Football Manager, e FM23 Mobile non fa eccezione, è il rapporto che si crea con la propria squadra. Ci saranno momenti in cui bisogna prendere delle scelte che faranno felici o meno i propri uomini. Questa felicità o mancata sintonia influiscono sia sulla considerazione che loro hanno di voi, sia sulle prestazioni sul campo.

Football Manager 2023 Mobile: manageriale di calcio

Il comparto tattico è abbastanza completo: vi permettee di plasmare una tattica tutta vostra e la cosa si rifliette in campo. L’allenamento, pur se non gradevole come quello di Top Eleven, consente di sviluppare le caratteristiche che ritenete necessarie per ogni singolo giocatore.

Anche la scelta dello staff è compito vostro, poiché avrete la facoltà di ingaggiare sia l’allenatore in seconda, sia i preparatori e addirittura l’analista che a fine di ogni partita vi dirà come è andata, cosa ha funzionato e cosa no.

Una caratteristica mancante rispetto al fratello maggiore è la gestione degli addetti stampa. Le conferenze stampa non sono state portate sulla versione mobile, ma avrebbero dato quel tocco in più a un gioco mobile pressoché perfetto.

Football Manager 23 Mobile:

Play Store (Android)

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Aku Aku: storia dell’amichevole maschera di Crash Bandicoot

La maschera ha da sempre avuto un ruolo di assoluto rilievo nella storia dell’umanità, in varie e numerose forme espressive. Basti pensare al suo ruolo nel teatro dell’antica Grecia, o all’importanza delle feste in maschera, presenti in quasi ogni cultura e tradizione umana. Anche nella cultura pop, la maschera ha sempre trovato terreno fertile. Basti pensare all’incredibile successo ottenuto dagli eroi mascherati nel mondo dei fumetti e, più recentemente, anche sul grande schermo.

Persino nel mondo dei videogiochi la maschera ha ottenuto spesso e volentieri ruoli di primo piano. Ricordiamo per esempio Legend of Zelda: Majora Mask, titolo in cui proprio le maschere erano la fonte dei poteri di Link. Oppure la saga di Persona (il cui titolo significa proprio maschera in lingua latina), dove le maschere sono addirittura il perno della trama e della stessa estetica dei vari giochi.

Esiste tuttavia una particolare maschera dotata addirittura di vita propria e di una caratterizzazione talmente simpatica ed originale da renderla la spalla principale del protagonista di un’intera saga di videogiochi. Stiamo naturalmente parlando di Aku Aku, la simpatica maschera voodoo che da sempre accompagna Crash Bandicoot nelle sue strampalate avventure (anche nel recente quarto capitolo che abbiamo recensito). In questo articolo andremo a ripercorrere la storia della maschera amica di Crash Bandicoot, concentrandosi sull’evoluzione che ha avuto nel tempo.

Aku Aku: La maschera di Crash Bandicoot
La maschera Aku Aku ha accompagnato Crash fin dal primo titolo della serie.

Gli esordi su PlayStation

La prima apparizione della maschera Aku Aku coincide con il primo Crash Bandicoot, uscito sulla prima Playstation nell’ormai lontano 1996. Crash incontra il nostro mascherone subito dopo il filmato introduttivo del gioco, quando libera Aku Aku da una cassa di legno sulla spiaggia di N. Sanity.

La maschera raffigura un grosso volto con occhi, naso, denti e labbra ed è sormontata da quattro piume colorate. Completa il quadro un piccolo ciuffo di foglie che spunta alla sua base, a mo’ di pizzetto. Aku Aku rivela a Crash di essere uno spirito guardiano e gli suggerisce di raccogliere le sue parti sparse per tutta l’isola per ottenere la sua protezione.

Nel corso della sua avventura, Crash Bandicoot può collezionare fino a tre maschere di Aku Aku, contenute in alcune casse sparse per i vari livelli. Ogni maschera funge da scudo, permettendo al marsupiale di sopravvivere anche se colpito dai nemici. Ogni volta che una parte di Aku Aku viene liberata, risponderà col suo inconfondibile “Boo-roo-duh-gah!”, suono che diverrà iconico nel corso della serie, sebbene risulti ancora poco chiaro cosa significhi.

“Boo-roo-duh-gah!”: l’inconfondibile ingresso di Aku Aku

Nel caso il giocatore riesca a collezionare tutte e tre le maschere, Crash indosserà Aku Aku (che normalmente si limita a levitare al suo fianco) ottenendo un breve periodo di invincibilità, in modo analogo a quanto avveniva con la stella di Super Mario.

La situazione resta sostanzialmente invariata in Crash Bandicoot 2: Cortex strikes back, uscito l’anno successivo sempre sulla prima Playstation. Nella versione giapponese del gioco, tuttavia, viene utilizzato anche un secondo modello per le animazioni di Aku Aku. Tale modello appare in brevi filmati in cui la mschera fornisce a Crash alcuni consigli su come proseguire. Aku Aku qui si mostra con colori più chiari e con labbra e sopracciglia più grosse.

La simpatia e originalità di Aku Aku lo hanno reso un elemento fondamentale della serie.

La biografia della maschera di Crash Bandicoot

Una serie di informazioni aggiuntive sulla simpatica maschera sono state fornite dal manga di Crash Bandicoot, uscito in due edizioni tra 1996 e 1997. Viene qui rivelato per la prima volta che Aku Aku è in realtà lo spirito di un antico sciamano protettore dell’isola, che ha lasciato parte della sua essenza nelle varie maschere magiche. Viene anche fatto riferimento agli Antichi, i misteriosi padroni di Aku Aku, sebbene essi non siano mai comparsi nel corso della serie.

É tuttavia con il successivo capitolo della serie videoludica, ovvero Crash Bandicoot 3: Warped, che il ruolo di Aku Aku inizia a divenire più sostanzioso. In quest’avventura infatti il mascherone presenta un nuovo e più definito modello e beneficia finalmente di un doppiaggio, in virtù della grande mole di dialoghi di cui è protagonista.

In Warped i giocatori fanno anche la conoscenza di Uka Uka, fratello malvagio di Aku Aku, anch’egli segregato all’interno di una maschera Voodoo dall’aspetto tetro e minaccioso. Era stato proprio Aku Aku a sigillare il fratello malvagio quando era ancora in vita. Viene inoltre rivelato che la decisione di Aku Aku di confinare il suo spirito in una maschera era stata proprio dettata dalla volontà di continuare a proteggere la terra da un eventuale risveglio del fratello.

Nel corso dell’avventura, Aku Aku ha ancora il ruolo di power up e di occasionale consigliere dei protagonisti, ma nella battaglia finale contro Cortex e Uka Uka, la maschera scende in campo in prima persona, tenendo occupato il fratello e permettendo a Crash di sconfiggere il malvagio scienziato.

Aku Aku: La maschera in Crash Bandicoot 3
Crash Bandicoot 3 ha approfondito il personaggio ed il background di Aku Aku.

Aku Aku negli spin-off

Nel party game Crash Bash, Aku Aku è nuovamente al centro della trama. Il gioco infatti ruota attorno ad una sfida tra Aku Aku ed Uka Uka, che schierano i propri campioni all’interno di un torneo che sancirà la definitiva superiorità di una delle due maschere.

Nuovamente Uka Uka sarà il motore scatenante degli eventi di Crash Bandicoot: l’ira di Cortex, primo titolo della saga per le console a 128 bit. Questa volta la malvagia maschera libererà i terribili elementali, guidati dal malvagio Crunch Bandicoot (sotto il controllo di Uka Uka). Sarà ancora una volta Aku Aku a scoprire il piano del fratello e a permettere a Crash di sventare l’ennesima minaccia.

Nel successivo Crash Twinsanity Aku Aku si alleerà per la prima volta col fratello Uka Uka. Dopo l’ennesima sconfitta, infatti, la maschera maligna si unirà a Crash e Cortex contro gli Evil twins, nuovi villains del gioco. Le due maschere subiranno una sonora batosta, ma permetteranno a Crash e Cortex di trionfare sui nuovi nemici.

Il restyle di Aku Aku

Aku Aku: La maschera di Crash Bandicoot in Crash of the Titans
Crash of the Titans ha davvero rivoluzionato l’estetica della serie.

É tuttavia in Crash of the Titans – titolo uscito nel 2007 su praticamente ogni piattaforma possibile – che Aku Aku subisce i maggiori cambiamenti. A livello estetico, il design della maschera viene totalmente rivoluzionato, con un Aku Aku più largo e possente, dotato di una bocca enorme e di numerose foglie che gli spuntano dai fianchi a mo’ di braccia.

Anche per quanto riguarda il gameplay, Aku Aku ha un ruolo molto più attivo. La maschera infatti per tutta la durata dell’avventura è sempre al fianco di Crash e gli fornisce la capacità di sottomettere e controllare i Titani (o Mutanti), i principali antagonisti del gioco, divenendo a tutti gli effetti l’arma principale in dotazione al protagonista.

La situazione si ripete anche in Crash: Mind over mutants (in Italia Crash: il dominio sui mutanti), seguito diretto di Crash of the Titans. Anche in questo caso Aku Aku permette a Crash di sottomettere e sfruttare le enormi creature, sfoggiando l’inedita capacità di rimpicciolirsi per entrare nelle tasche del marsupiale.

In questi titoli Aku Aku fornisce a Crash altre interessanti abilità, come la capacità di scivolare sulla sua superficie e la possibilità di deflettere gli attacchi energetici dei nemici.

Le ultime apparizioni

Aku Aku è stato al fianco di Crash anche negli ultimi titoli a lui dedicati.

Dopo l’enorme insuccesso dei due titoli a base di Titani, la serie di Crash rimase a lungo nel dimenticatoio. Crash apparve come personaggio giocabile nella serie Skylanders, dove fece capolino anche il nostro Aku Aku, tornato al semplice ruolo di voce di supporto.

Seguirono Crash N. sane Trilogy e Crash Team racing Nitro-Fueled, titoli remastered delle due vecchie glorie della prima Playstation, che però non apportarono modifiche significative ai vecchi titoli in termini di trama e gameplay.

Negli ultimi due giochi della saga, ovvero Crash Bandicoot 4: It’s about time e Crash Bandicoot: on the run!, Aku Aku recupera il suo aspetto classico, molto più simile a quello sfoggiato nei primi capitoli della serie. In entrambi i titoli, inoltre, la maschera esercita di nuovo il suo duplice ruolo di guida saggia e power up protettivo.