Categorie
Editoriali

Difficili e story-driven: i videogiochi che raccontano il 2022

Ogni anno ha le sue parole chiave. Il 2022 dei videogiochi si può definire attraverso due concetti: elevata difficoltà e spiccata narrativa. L’anno ormai concluso ha visto l’uscita di diverse tipologie di novità: tripla A di grande spessore; grandi ritorni e imperdibili novità; tra questi, i migliori si sono contraddistinti per avere una trama peculiare – addirittura virtuosa – oppure richiedono un impegno che va ben oltre agli standard cui sono abituati i videogiocatori. Alcuni di questi titoli saranno sicuramente ricordati in futuro, perché hanno posto nuovi standard o si sono accaparrati la nomea di precursori. In questo articolo, vi racconto proprio questi videogiochi che a loro volta ci narrano il 2022 videoludico.

Narrativa e Difficoltà: Elden Ring

Elden Ring è il meglio tra i videogiochi del 2022

Elden Ring è il gioco dell’anno con oltre 17,5 milioni di unità vendute e 150 premi Game of The Year ricevuti. E lo è proprio perché racchiude in un’unica opera la narrativa criptica di Hidetaka Miyazaki, il fantastico mondo immaginato da George R.R. Martin e la difficoltà che contraddistingue i soulslike.

L’opera di Fromsoftware mostra un’industria videoludica lontana dai suoi stereotipi e che riassume al meglio il 2022. Elden Ring è un videogioco complesso e allo stesso tempo complicato da giocare. Miyazaki ha fornito meno spiegazioni possibili: i videogiocatori devono pagare tutti i propri errori, sia sul gameplay che nella mancata comprensione di trama o regole di gioco. Il risultato è un’opera che ha venduto milioni di copie e dimostrato che i videogiocatori apprezzano il bello aldilà dell’accessibilità (intesa come difficoltà di un titolo). Elden Ring: qualcuno lo ha amato, qualcuno lo ha abbandonato, ma nessuno ha detto che non è il miglior titolo del 2022.

Sua maestà, la Difficoltà

C’è una categoria di videogiocatori che è ingiustamente ignorata dal marketing moderno. Sono gli over 35, che rappresentano oltre il 35% dei videogiocatori italiani, la fetta più grande della torta videoludica del Bel Paese. Una parola che contraddistingue questa generazione di giocatori è: difficoltà. Quando hanno iniziato a giocare, per limitazioni tecniche e un po’ di sadismo degli sviluppatori, i videogiochi dovevano essere difficili da portare a termine, perché i contenuti all’interno dei dispositivi di memoria erano limitati dall’hardware oggi obsoleto.

Abituati a quei livelli di difficoltà, oggi i videogiocatori over 35 si lamentano della facilità dei titoli moderni. Il 2022 ha dimostrato che gli sviluppatori contemporanei sanno fare giochi difficili e che queste opere hanno anche mercato. Oltre al già citato Elden Ring, altri due si sono contraddistinti tra gli altri: Neon White e Sifu.

Neon White

Annapurna Interactive ha dato vita a uno sparatutto tanto impegnativo quanto divertente grazie a un level design dalla cura maniacale e una trama in stile visual novel ironica e a tratti demenziale.

Neon White è un videogioco difficile perché richiede un’alta precisione ed è pensato per gli amanti dei record: la sua alta rigiocabilità sta nel suo level design ricco di scorciatoie che permettono di migliorare il proprio punteggio con la giusta attenzione e precisione.

Sifu

Sifu è uno dei videogiochi più difficili del 2022

A inizio 2022, c’era una strana attesa per Sifu. Del resto, si tratta del secondo gioco di Sloclap, una software house francese ancora giovane. Nonostante questo, si vociferava di un interessante simulatore di kung-fu: il risultato è un eccelso action in terza persona estremamente difficile, ma mai ingiusto.

Oltre alla geniale gestione dell’età del protagonista, Sifu si fa notare per la gran mole di pattern di combattimento dei nemici che per essere battuti richiedono attenzione, studio e tanti riflessi.

Basta Walking Simulator

Tra la parte più tossica della community videoludica – ancora troppo folta per essere ignorata – c’è una parola – intrisa di ingiusto sarcasmo – che sminuisce un genere: walking simulator. Questi videogiocatori contestano la poca interazione di alcuni titoli e non tengono conto del valore culturale che alcuni generi portano al settore videoludico con le loro trame ricche e interessanti.

Il 2022 ha duramente colpito questa inutile critica grazie a tre opere story-driven molto diverse tra loro, ma unite da trame uniche: Immortality, Pentiment e Return to Monkey Island.

Immortality

Sam Barlow ha dimostrato già sette anni fa con Her Story che si può definire videogiocare anche cercare delle parole chiave e guardare dei filmati alla ricerca di indizi. Immortality fa qualcosa di molto simile, chiedendo al giocatore di visionare oltre 200 clip al fine di scoprire la maledizione che sembra colpire la carriera da attrice di Marissa Marcel.

Immortality racconta un thriller violento – al limite dell’horror – e chiede al videogiocatore di divertirsi guardando dei mini-filimati più e più volte. Sembra incredibile, ma il risultato è un videogioco capolavoro.

Pentiment

Quando si gioca a Pentiment, non può non venire in mente Pillars of Eternity. Due titoli completamente diversi, ma che hanno la peculiarità di costruire la biografia del protagonista man mano che si avanza con i dialoghi. Non è un caso: su entrambe le opere c’è la mano di Josh Sawyer, che questa volta abbandona la spada per concentrarsi solo sulle parole.

In un modo per certi versi simile a Immortality, Pentiment dimostra come una buona storia investigativa – unita alla libertà di prendere decisioni, sia buone che meno buone – può portare alla creazione di un videogioco unico, appassionante e divertente.

Return to Monkey Island

Ron Gilbert è tornato e mi piace credere che non sia un caso che lo abbia fatto nel 2022, dove i videogiochi narrativi hanno avuto un grande successo. Return to Monkey Island è semplicemente la ciliegina sulla torta di un anno fantastico per le storie avvincenti, che sicuramente porteranno delle conseguenze positive negli anni a venire.

More of the same

Per descrivere al meglio l’anno appena trascorso, bisogna anche citare giochi che continuano quanto di buono fatto nel recente passato. Mi riferisco a Xenoblade Chronicles 3, il JRPG di Monolith Soft in esclusiva su Nintendo Switch, ma soprattutto dei due blockbuster PlayStation: God of War Ragnarök e Horizon Forbidden West. Queste opere non possono essere definite difficili, ma il loro arco narrativo è un successo: probabilmente non raccontano pienamente il 2022, ma sarebbe stato sciocco ignorarli, poiché saranno la base di tante opere future dei rispettivi generi.

God of War Ragnarok è uno dei videogiochi del 2022 più interessanti

Conclusione

Il 2022 è stato un punto di svolta per la maturità dell’industria videoludica: la corsa all’oro dei videogiochi open world inutilmente prolissi si è attenuata durante l’ultimo anno e sono emersi – già da qualche anno in realtà – opere indipendenti che stanno ponendo le basi per un futuro a cui guardano incuriositi anche i più grandi. Un esempio è Pentiment che unisce l’indipendenza di Obsidian con la ricchezza di Microsoft.

Nel mezzo ci sono opere pronte per essere rilanciate, possibilità che solo un pubblico più maturo può garantire. Sto parlando di Return to Monkey Island per il ritorno di Ron Gilbert e Sifu, che ripropone in tempi più maturi – e in salsa moderna – God Hand di Shinji Mikami.

Maturità non è solo anticonformismo; anzi, sono i videogiochi di punta che ricercando la qualità dimostrano che il settore è in crescita. Elden Ring è la sua massima definizione, ma anche opere più classiche come Xenoblade Chronicles 3, God of War Ragnarök e Horizon Forbidden West dimostrano che ci sia una costante ricerca della perfezione anche su generi in voga che non hanno la necessità di cambiare. Su questo aspetto, per onestà intellettuale, devo ammettere che non tutti hanno imparato dagli errori, ma di fronte a un 2022 così interessante anche Game Freak dovrà ragionare sui suoi prossimi videogiochi perché un altro Pokémon Scarlatto e Violetto non sarà più scusato dalla critica videoludica e forse nemmeno dai videogiocatori.

Categorie
Editoriali

I 6 videogiochi di Shigeru Miyamoto che hanno cambiato la storia

Tra i guru dell’industria videoludica, Shigeru Miyamoto è (probabilmente insieme a Hideo Kojima) il più iconico. Fedele dipendente Nintendo da oltre 50 anni e appassionato innovatore del panorama dei videogiochi da oltre 40, Miyamoto ha fatto l’intera gavetta presso la Grande N svolgendo diversi ruoli, sempre con maggiore responsabilità: artist; game designer; producer; game director e anche general manager della compagnia fino al 2015. In praticamente tutti i titoli di coda di un videogioco Nintendo potete vedere il nome di Shigeru Miyamoto, ma tra questi ci sono 6 videogiochi pensati, disegnati o diretti da Shigeru Miyamoto che hanno cambiato la storia dei videogame: ve li racconto in questo articolo.

Metto le mani avanti: alcuni di voi potrebbero aspettarsi opere uniche come Star Fox e Pikmin; ottimi titoli che hanno divertito – e divertono – tanti appassionati, ma i videogiochi di cui vi sto per parlare hanno letteralmente cambiato il modo di concepire l’opera d’arte interattiva e posto le basi per le migliori opere disponibili sul mercato dal 1981 a oggi.

Donkey Kong – 1981

Shigeru Miyamoto entra nel mondo dei videogiochi agli inizi degli anni 80, periodo in cui il gaming era nei bar e nelle sala giochi. Siamo nell’era arcade e un cabinato del maestro giapponese ha cambiato la storia dei videogiochi per sempre: Donkey Kong.

L’opera è un gioco a piattaforme in cui il nostro alter ego – Jumpman, oggi noto a tutti come Super Mario – deve salvare la fidanzata Pauline da un aggressivo gorilla: Donkey Kong. Per farlo, il carpentiere deve salire fino in cima a un edificio in costruzione evitando gli ostacoli lanciati dal gorilla – tra cui gli iconici barili.

In un’intervista, Miyamoto spiegò che Donkey Kong è uno strambo cross-over tra King Kong, di cui è evidente la scena in cima all’Empire State Building, e Braccio di Ferro da cui riprende i personaggi: Jumpman è Popeye; Pauline è Olivia; Donkey Kong è Bruto.

Oggi Donkey Kong è visto come un precursore delle opere interattive, ma a suo tempo fu la salvezza di Nintendo; infatti, nel 1981 l’azienda nipponica era sull’orlo della bancarotta, anche a causa dell’incapacità di inserirsi nel mercato americano dei cabinati. Ci provò con RadarScope: fu un fallimento con appena 1.000 cabinati venduti su 3.000 esportati. L’impresa fu compiuta da Miyamoto, fresco di laurea in design industriale: propose Donkey Kong per il mercato statunitense e fu subito un grande successo.

Donkey Kong vendette 67.000 cabine negli USA, tra queste anche le 2.000 rimaste invedute di RadarScope che furono riconvertite nell’opera del nuovo fenomeno mondiale.

Super Mario Bros – 1985

Il Regno dei Funghi è stato attaccato da Bowser, un’enorme tartaruga con poteri draconici – villain tratto dall’anime Le 13 fatiche di Ercolino – che ha trasformato i Toad, gli abitanti fungo del luogo, in blocchi di mattoni e funghi andati a male, i Goomba. Non soddisfatto, Bowser ha anche rapito la principessa del regno: Peach.

A sentirla oggi, la trama di Super Mario Bros. sembra una caricatura del precedente Donkey Kong, ma la nuova opera di Shigeru Miyamoto – questa volta per la console casalinga di Nintendo – il NES – è un tripudio di nuove idee e game design leggendario.

«Con la creazione di Super Mario Bros., Shigeru Miyamoto non solo ha modificato il futuro del gioco, ma ha addirittura cambiato il concetto di “valore” per tutte le forme di intrattenimento. E, nel frattempo, ha cambiato il mio futuro, portandomi a diventare il game designer che sono oggi. Super Mario Bros. è equivalente al Big Bang del nostro universo di gioco. Se non fosse per questa creazione incredibilmente spettacolare, l’intrattenimento digitale come lo conosciamo oggi non esisterebbe»

Hideo Kojima
I videogiochi di Shigery Miyamoto: Super Mario Bros.

In Super Mario Bros. è possibile toccare con mano il concetto di game design di Miyamoto. L’idea di fondo – che rivedremo in tutte le sue opere successive – è tanto semplice quanto complessa da realizzare: creare un videogioco che sia accessibile ai neofiti e avvincente anche per i veterani.

Per il giovane Shigeru, videogame significa interattività; di conseguenza: i blocchi di Super Mario Bros. si possono colpire più volte; lo sfondo non è più nero come nei videogioco dell’epoca, ma è azzurro come il cielo del Regno dei Funghi.

I videogiochi di Miyamoto non hanno tutorial: tutto deve essere comprensibile anche ai novizi sin dal primo livello; così il livello 1-1 di Super Mario Bros. diventa oggi un caso di studio nei corsi universitari di game design. Ogni singolo oggetto o nemico è posizionato in modo tale da far premere al videogiocatore tutti i comandi prima di accedere al livello successivo. Da notare come il livello 1-1 sia ricordato anche per le musiche di Koji Kondo, altra leggenda dei videogiochi che ha composto e compone ancora oggi per Nintendo.

Ovviamente, anche i più bravi devono avere un livello di sfida avvincente: nascono così le aree segrete tra cui i livelli tra le nuvole – fortemente voluti da Takashi Tezuka – e in acqua. Un esempio di level design innovativo? I livello in cielo presentano delle monete nei punti di caduta per far capire al videogiocatore che se cade giù non perde una vita, ma torna al livello “normale”.

Super Mario Bros. per NES vendette 40 milioni di copie di cui 6.8 milioni solamente nel Paese del Sol Levante.

The Legend of Zelda – 1986

La pace del Regno di Hyrule è messa in serio pericolo da Ganon, il re del male, appena fuggito da una prigione di massima sicurezza e alla ricerca della Triforza, reliquia sacra in grado di garantire un potere divino. Per fermalo, Zelda – principessa di Hyrule e custode della Triforza – decide di dividere la reliquia in otto frammenti. L’unico che può riportare l’ordine in un regno messo a ferro e fuoco dalle creature demoniache di Ganon è Link, l’eroe della profezia che ha il compito di recuperare i frammenti della Triforza e sconfiggere Ganon.

L’idea di The Legend of Zelda nasce da un’esplorazione che Shigeru Miyamoto fece da bambino nei dintorni della sua abitazione: un’esplorazione completamente libera e senza alcun tipo di aiuto – nemmeno una mappa. Per questo motivo, The Legend of Zelda non ha volutamente una mappa, i dialoghi sono minimi e lasciano spazio a qualsiasi interpretazione. Un concept che rende l’opera del 1986 un precursore degli open world e che sarà ripreso dai capolavori moderni della nostra epoca come Breath of the Wild, ma anche saghe terze come i Dark Souls (Elden Ring su tutti) e The Elder Scrolls (Skyrim).

«Quando ero un bambino ed esploravo le campagne, mi è capitato di imbattermi in un lago. È stata una vera sorpresa trovarlo lì. Sapete, quando ho iniziato a viaggiare senza portarmi dietro una cartina, cercando di trovare da me il sentiero, ho conosciuto la sensazione che si prova imbattendosi in panorami fantastici. È stato allora che ho realizzato cosa significasse vivere un’avventura»

Shigeru Miyamoto
I videogiochi di Shigery Miyamoto: The Legend of Zelda

Molti elementi della saga sono stati aggiunti nei capitoli successivi – come ad esempio la Spada Suprema – ma i personaggi principali sono sempre rimasti fedeli a loro stessi. Link, l’eroe della profezia, prende il suo nome dall’idea iniziale di creare un videogioco diviso tra due mondi, uno fantasy e uno futuristico (poi rimosso). Il nome Zelda invece è un omaggio alla moglie dello scrittore e sceneggiatore americano Francis Scott Fitzgerald: Zelda Sayre Fitzgerald.

The Legend of Zelda fu subito un successo: l’opera vendette 6.51 milioni di copie.

Ti potrebbe interessare anche:

Super Mario non è mai stato solo un platform

Super Mario Bros. 3 (1988)

Nonostante Super Marios Bros. 3 sia il terzo capitolo della serie, esso può definirsi il vero sequel del primo capitolo; infatti, Super Mario Bros. 2 arrivò in Giappone come una versione più difficile del primo episodio, fatta per gli appassionati ma senza alcuna novità, nemmeno nel comparto tecnico. Addirittura il secondo capitolo non arrivò in Occidente poiché ritenuto troppo difficile per il pubblico statunitense; infatti, quello che in Europa conosciamo come Super Mario Bros. 2 è in realtà un gioco creato per un evento di Fuji TV dal titolo: Doki Doki Panic, realizzato da un giovane e promettente sviluppatore di Nintendo del tempo, Kensuke Tanabe, oggi stranoto produttore di favolosi videogiochi come Metroid Prime, Luigi’s Mansion 3 e Paper Mario: The Origami King.

Super Mario Bros. 3 invece fu tutto quello che gli appassionati si aspettavano: “Il culmine del genere” come lo definì il magazine Micom BASIC.

Per il terzo capitolo, il progetto torna nelle mani del Team R&D4, gruppo creato nel 1984 per dare la possibilità a Shigeru Miyamoto di creare videogiochi. Basta leggere i nomi dei membri per capire l’importanza che questo gruppo ebbe nell’industria videoludica: Takashi Tezuka, Toshihiko Nakago, Kensuke Tanabe, Kazuaki Morita, Katsuya Eguchi e ovviamente il compositore Koji Kondo. Tutte persone che sono oggi nel gotha dell’azienda nipponica.

I videogiochi di Shigery Miyamoto: Super Mario Bros. 3

Super Marios Bros. 3 è basato sempre sullo stesso concept del primo capitolo: accessibile ai novizi, avvincente – e ricco di novità – per i veterani. In particolare, il terzo capitolo contiene non solo nuove aree e livelli, ma anche tanti innovativi potenziamenti che sono tuttora icone non solo del mondo dei videogiochi, ma anche della cultura pop contemporanea: la Super Foglia; la Tanooki Suit e la Frog Suit.

L’ottimo lavoro svolto da tutto il team, soprattutto in termini di level design, non passò inosservato: Super Mario Bros. 3 vendette 17 milioni di copie, oltre 30 con le release negli anni successivi e fu il gioco più venduto di sempre in quel periodo. In Europa arrivò ben tre anni dopo, nell’agosto 1991 creando un hype pazzesco. Grazie a quest’opera, Shigeru Miyamoto divenne famoso anche tra chi non era appassionato di videogiochi; basti pensare che Steven Spielberg e Paul McCarteney viaggiarono fino in Giappone per incontrarlo.

Super Mario 64 (1996)

Dopo aver rivoluzionato il genere dei platform 2D, Shigeru Miyamoto – con l’arrivo del Nintendo 64 sul mercato – può lavorare al genere che non potè portare su Super Nintendo per limiti dell’hardware: il platform 3D di cui Super Mario 64 risulta essere la prima opera.

Ancora oggi, Super Mario 64 è definito da molti come il videogioco con il miglior level design di tutti i tempi grazie a mondi veramente unici per stile e attività possibili. Tanto potrebbe bastare per essere essere inserito nei libri di storia, ma Super Mario 64 sarà ricordato anche come il precusorse degli open world (insieme all’opera di cui parleremo dopo). L’hub centrale del primo Mario 3D non rende il titolo un mondo aperto per come lo definiamo oggi, cioè un’opera con un’unica mappa completamente esplorabile; però, tutti i singoli mondi, una volta attraversati i quadri del Castello di Peach, sono delle enormi sandbox, visitabili con un altissimo grado di libertà, non solo per gli anni 90, ma anche per il corrente periodo storico.

I videogiochi di Shigery Miyamoto: Super Mario 64

Per stessa ammissione dei suoi creatori, Super Mario 64 fu usato come fonte di ispirazioni per tanti altri giochi. Tra questi, un altro capolavoro del suo tempo: GoldenEye 007, che prese spunto dal lavoro svolto da Miyamoto per implementare l’elevato numero di missioni disponibili nel titolo di Rare.

La grande innovazione tecnica del periodo – oggi divenuta uno standard – fu il sistema di telecamera mobile, retta dal cameraman Lakitu, che veniva mossa dal videogiocatore grazie al D-Pad del Nintendo 64.

Super Mario 64 vendette 11.9 milioni di copie e fu il videogioco più venduto nella storia del Nintendo 64.

The Legend of Zelda: Ocarina of Time (1998)

Esattamente come negli anni 80, quando Shigeru Miyamoto lavorò contemporaneamente a due videogiochi, Super Mario e The Legend of Zelda, negli anni 90 il maestro nipponico si occupò quasi contemporaneamente sia di Super Mario 64 che di The Legend of Zelda: Ocarina of Time, questa volta sotto le vesti di producer. Nonostante i tempi fossero cambiati e i progetti divenivano via via sempre più grandi e impegnativi, i risultati ottenuti furono i medesimi: anche Ocarina of Time fu un capolavoro che cambiò per sempre l’industria videoludica.

The Legend of Zelda: Ocarina of Time racconta una trama suddivisa in due parti: nella prima parte il protagonista è Link da bambino; nella seconda, Link è adulto. La differenza non è solamente estetica, ma anche nella possibilità di usare oggetti e abilità differenti.

Il concept iniziale della nuova avventura di Link era basato su un hub centrale come in Super Mario 64, ma Miyamoto voleva donare al titolo un maggior senso di libertà rispetto all’opera ambientata nel regno dei Funghi; di conseguenza, Ocarina of Time fu realizzato come un vero e proprio open world moderno in cui fu addirittura necessario aggiungere la giumenta Epona per muoversi più velocemente sulla Piana di Hyrule.

I videogiochi di Shigery Miyamoto: Ocarina of Time

Tuttora Ocarina of Time è ritenuta un’opera fondamentale per la storia videoludica perché ha portato due nuovi standard tuttora usati nei gameplay moderni: l’utilizzo dello stesso pulsante per diverse azioni e il leggendario Z-Lock Target.

Fino all’uscita di Ocarina of Time, i programmatori degli action adventure game permettevano di compiere azioni diverse usando svariate combinazioni di tasti; Shigeru Miyamoto invece voleva che il videogiocatore si concentrasse maggiormente sull’esplorazione. Per questo motivo, pensò di far compiere azioni diverse usando sempre il medesimo pulsante.

Con l’avvento della terza dimensione, Super Mario 64 stabilì un nuovo standard con una telecamera completamente libera. Secondo Miyamoto e il suo team però questa scelta non era adatta per il tipo di combattimenti di Ocarina of Time. Un problema cruciale che trovò la sua soluzione nella visita, da parte del team di Shigeru, del parco di divertimenti dello Studio Toei di Kyoto. Durante la gita, uno dei quattro director – Yoshiaki Koizumi – notò che in uno spettacolo di samurai, il protagonista affrontava un gruppo di ninja, ma sempre con scontri uno contro uno: il samurai si concentrava sempre su un unico avversario. Da questa intuizioni nacque il Z-lock targeting system, cioè il sistema di combattimento che permette di agganciare un nemico alla volta e su cui sono diretti tutti i colpi di Link. Il concept fu rivoluzionario ed è tuttora usato in tantissimi capolavori: non solo opere Nintendo come Breath of the Wild o Metroid Prime, ma anche i Dark Souls e Assassin’s Creed.

The Legend of Zelda: Ocarina of Time vendette 7.6 milioni di copie solo su Nintendo 64. Le vendite salgono a quasi 11 milioni se consideriamo anche le riedizioni nel corso degli anni.

Categorie
Editoriali

3 videogiochi (terrificanti) ambientati a Natale

Nella moderna cultura occidentale, il Natale è il giorno della solidarietà e della tranquillità familiare. In un evento così lieto, ci si aspetta di leggere, vedere o giocare solamente opere felici e rilassate; invece, ci sono ben tre titoli provenienti da saghe importanti per la storia videoludica che dimostrano come il giorno di Natale sia il momento perfetto per iniziare una storia oscura – addirittura macabra – poiché il contrasto che si crea genera un’atmosfera unica. In questo articolo, vi racconto tre videogiochi tra il noir e l’horror ambientati proprio nel giorno di Natale.

Alone in The Dark 2

Videogiochi di Natale: Alone in The Dark 2

25 dicembre 1924, tre mesi dopo gli eventi del primo capitolo, l’investigatore privato Edward Carnby, e il suo partner Ted Stryker, investigano sul rapimento della giovane Grace Saunders. Gli indizi portano i due detective in una vecchia magione: “Hell’s Kitchen”. Quella che dovrebbe essere la casa di un boss della malavita, diventa ben presto la tomba di Ted e l’ambientazione della nuova avventura di Edward.

Durante il Natale del 1924, Edward e il videogiocatore scoprono che Alone in The Dark 2 racconta di spiriti di pirati, magia vudù e i motivi che hanno spinto al rapimento di Grace.

Alone in The Dark 2 arrivò sul mercato PC il 25 settembre 1994. Il videogioco fu convertito anche per 3DO con lo stesso titolo, mentre su Sega Saturn e PlayStation, il titolo divenne: “Alone in the Dark: Jack is Back”.

Il gioco di Infogrames fu accolto da pubblico e critica come un solido more of the same (con l’unica eccezione della versione Sega Saturn che presentava evidenti problemi di conversione e localizzazione), nonostante il nuovo director decise di aumentare la dose di azione nel gameplay, allontanandosi quindi dal genere dei survival horror di cui il primo Alone in the Dark fu un precursore.

Batman: Arkham Origins

Videogiochi di Natale: Batman Arkham Origins

È una particolare vigilia di Natale a Gotham City: oggi è anche il giorno dell’esecuzione di Julian Gregory Day, l’Uomo Calendario – noto per agire solo in precisi giorni dell’anno. Tutto d’un tratto, i telegiornali di tutte le emittenti interrompono la normale programmazione: il penitenziario di Blackgate è stato preso d’assalto dagli uomini di Maschera Nera, tra cui Killer Croc. Nella confusione degli eventi, Maschera Nera libera l’Uomo Calendario e uccide il commissario di polizia Gillian Loeb prima che Batman arrivi. Da qui comincia l’inseguimento dell’uomo pipistrello – noto ancora come il Vigilante – verso i suoi nemici, uno in particolare: Joker.

Il creative director del gioco, Eric Holmes, disse che l’ambientazione nel giorno di Natale serve per aumentare il contrasto tra quello che si suppone sia un momento felice dell’anno e lo scenario cupo e frastagliato di Gotham City.

Origins, terzo action-adventure game della popolare trilogia di Batman: Arkham, arrivò nell’autunno del 2011 su PlayStation 3, Xbox 360 e PC. L’opera di WB Games Montréal non fu particolarmente apprezzata dalla critica, poiché accusata di mancanza di innovazione e multiplayer scadente.

Parasite Eve

L’intero videogioco si svolge tra il 24 e il 29 dicembre 1997, nella città di New York. Aya Brea – giovane poliziotta – sta assistendo a un’opera teatrale presso il Carnegie Hall: la protagonista dell’evento è l’attrice Melissa Pearce. Durante l’esibizione dell’attrice, alcuni spettatori vanno in autocombustione. Nel giro di pochi minuti, il teatro diventa l’ambientazione di un film horror: gli animali si trasformano in mostri; le fiamme sono ovunque. Nel frattempo, Aya va alla ricerca di Melissa nel backstage, la quale gli rivela, prima di scappare trasformandosi in una creature aberrante, che il suo vero nome è Eve.

Il giorno di Natale, Aya e il suo collega Daniel, incontrano il dottor Hans Klamp che fornisce ai due nozioni in merito ai mitocondri – organelli che Eve aveva citato durante la prima conversazione con Aya. Purtroppo, la conversazione non porta alcuna svolta nelle indagini; anzi, durante queste chiacchiere, Eve sta tenendo un altro spettacolo presso il Central Park di New York. Nel giro di un solo giorno, sempre Natale: Eve trasforma i poveri spettatori in ammassi gelatinosi; Manhattan viene evacuata e la poliziotta Aya diventa consapevole che Eve vuole creare l’Essere Supremo, un’entità capace di dominare tutti gli essere viventi della Terra, essere umani compresi.

Videogiochi di Natale: Parasite Eve

L’opera di Squaresoft (oggi Square Enix) prende ispirazione dall’omonimo romanzo di Hideaki Sena, ma probabilmente farete fatica a ricordare tanto il videogioco quanto l’opera letteraria; infatti, sia il romanzo che il primo capitolo della serie videoludica non arrivarono mai in Italia, a differenza del più noto, conosciuto e acclamato Parasite Eve 2 che vide la luce anche in Europa durante l’agosto del 2000.

La critica e il pubblico accolsero generalmente bene Parasite Eve, anche negli Stati Uniti, dove lo stile grafico alla Resident Evil facilitò le vendite del videogioco.

Categorie
Editoriali

Xbox Game Pass: 5 gemme nascoste da non perdere

Da quanto emerge da un documento spedito da Sony all’antitrust inglese in merito all’acquisizione da parte di Microsoft del celeberrimo publisher Activision-Blizzard, gli utenti di Xbox Game Pass ammonterebbero a 29 milioni, seppur in seguito Phil Spencer abbia più o meno ufficialmente ribassato la cifra a 25 milioni.

Qualunque sia la verità, è palese che il servizio in abbonamento della casa di Redmond abbia già preso posto nelle case di noi videogiocatori, grazie agli oltre 400 titoli presenti nel catalogo, tra cui spiccano i nomi di giochi del calibro di Deathloop, Persona 5, Dragon Quest XI, Assassin’s Creed Origins, i vari Battlefield presenti nel catalogo di Game Pass + EA Play ed il venturo Starfield.

Cionondimeno, ci sono anche videogiochi indie meno noti al grande pubblico, ma non per questo meno validi o intrattenenti. Stiamo parlando di cinque gemme nascoste da non lasciarsi sfuggire nello sconfinato catalogo del servizio di videogames in abbonamento più popolare del momento.

Donut County

Nato principalmente dalla fantasia di Ben Esposito, arriva su Game Pass direttamente dalle mani di un autore già celebre per aver lavorato anche a giochi come What Remains of Edith Finch, The Unfinished Swan ed il recentissimo Neon White. Donut County è un titolo dalle premesse semplici: “Un gioco carino in cui interpreti un buco nel pavimento”, per citare quanto riportato nel sito dello sviluppatore.

Se già l’incipit appare di per sé quantomeno originale, è il gameplay la colonna portante dell’esperienza che, richiamando senza vergogna avventure come Katamari Damacy, si basa su degli enigmi nei quali, interpretando il sopracitato buco, dovremo inghiottire elementi dello scenario via via più grandi in modo da poter passare al livello successivo. Dopo il nostro passaggio, infatti, sarà appagante constatare come non sarà rimasta che una distesa deserta (o in fiamme) laddove prima erano presenti costruzioni di varia natura.

La scrittura dei disparati dialoghi è davvero di pregevole fattura, e tiene incollati allo schermo per la durata delle circa due ore di durata del titolo, con buffi scambi tra i personaggi che intervallano le varie sezioni di gioco, sempre sagaci ed ironici, attraverso i quali conosceremo la storia del procione che per pigrizia ha scatenato l’inarrestabile buco e degli altri, sempre bizzarri e sopra le righe, abitanti della cittadina.

Manca tuttavia la localizzazione in italiano, per cui sarà necessario masticare un po’ di inglese per comprendere la divertente, ma non essenziale trama del gioco.

Pikuniku

Rileggendo la lista che ho stilato prima di scrivere questo testo, quando ho scelto i 5 giochi da consigliare, mi sono subito reso conto quanto semplice sia evincere da questa selezione diversi aspetti del mio carattere ed, in particolar modo, il mio senso dell’umorismo.

Sì, perché è senza dubbio necessario parlare di umorismo per descrivere il gioco sviluppato da SectorDub.

Apparentemente adatto a tutte le età, e nell’aspetto e nella difficoltà effettivamente lo è (classificato PEGI 7), cela in realtà un umorismo che farà molto piacere a chi, come il sottoscritto, è un amante del nosense.

A livello puramente ludico, si tratta di un misto tra un platform 2D ed un rompicapo con enigmi ambientali mai troppo complessi da affrontare in solo o in coop “da divano”.

Interpretando un mostro bipede, ci avventureremo in uno strampalato mondo popolato da creature ancora più bizzarre, in una trama che resta semplice, ma che si infittisce fino all’assurdo, anche grazie ai suoi irrazionali protagonisti, rivelando infine un misterioso complotto che avremo il compito di debellare.

Il gioco di per sé non ha molte pretese e fa poche cose ma buone, regalando anche dei minigiochi intrattenenti ma mai invadenti.

Consigliatissimo a grandi e piccini ed a chiunque abbia voglia di farsi delle grasse risate sulle spalle degli insensati e coloratissimi personaggi dell’altrettanto variopinto mondo di Pikuniku.

Prodeus

Prodeus è una delle gemme nascoste dell'Xbox Game Pass

Se siete appassionati di retro shooters, boomer shooters, doom’s clones o come preferite chiamarli, Prodeus è senz’altron pane per i vostri denti.

Alcune criticità sono da evincere: la ricarica un po’ troppo frequente di alcune armi e la pessima gestione dello shop per acquisire i diversi power-up e le nuove armi con cui fare fuori schiere di demoni.

Della trama non sto neanche a parlarne, l’fps ideato da Bounding Box Software e disponibile nel catalogo di Xbox Game Pass segue la filosofia un tempo descritta da John Carmack per cui la storia di un gioco è equiparabile a quella di un film porn: “Ci si aspetta che ci sia, ma non è così importante”. Prodeus sintetizza la trama riducendola a delle scritte facilmente skippabili su schermo, richiamando alla memoria vecchie glorie del passato degli fps, e consentendo al giocatore di passare subito all’azione.

Lo shooting è frenetico e soddisfacente, costringendo il giocatore a non rimanere mai fermo, pena la sconfitta. Le morti saranno abbastanza comuni, ma non estenuanti, in quanto si ripartirà dall’ultimo checkpoint.

Buono il comparto audio, che restituisce pienamente il feeling dei colpi andati a segno.

Complessivamente, un’esperienza appagante e non eccessivamente longeva (circa 8 ore), che saprà gratificare chiunque desideri del sano gore e spappolare una moltitudine di demoni a suon di proiettili.

Se avete già finito gli intramontabili classici IDSoftware presenti nel catalogo ed ancora non siete sazi di interiora di demoni, questo è senz’altro il gioco che stavate cercando.

The Pedestrian

The Pedestrian è una delle gemme nascoste dell'Xbox Game Pass

L’opera prima di Skookum Arts è una chicca a mio avviso imperdibile per tutti gli amanti dei puzzle 2D.

In questa curiosa avventura presente su Game Pass, impersoneremo un pedone, come suggerisce il titolo, ovvero l’omino (o la donnina, per così dire, in base ad una scelta iniziale) dei vari segnali stradali o delle indicazioni urbane. Questi ha infatti magicamente preso vita e necessita del nostro soccorso per spostarsi da cartello in cartello, da segnaletica in segnaletica.

Per la durata delle circa 4 ore di durata del titolo, si susseguiranno numerosi puzzle, quasi tutti validi ma con pochi “momenti wow” come amo definirli io (cioè rivelazioni, nuovi significati di meccaniche già conosciuti, epifanie), ma compensando con numerose meccaniche che si avvicendano al cambiare dell’ambientazione, come dover collegare elettricamente elementi di una parete con gli allacci elettrici di un cartello per aprire una porta, o dipingere un cartello per paralizzare gli elementi al suo interno, mettendo a dura prova l’ingegno e la capacità di problem solving dell’utente.

In particolare, proprio quando penseremo di aver già visto tutto quello che il titolo aveva da offrirci e i puzzle cominceranno ad apparire stantii, un finale a dir poco sorprendente ci sconvolgerà.

Sconvolgimento non da legare alla trama, che è praticamente assente (salvo fare un fumoso capolino nell’ultimissima parte dell’esperienza, pur rimanendo sempre solo accennata), ma legato a doppio filo a come The pedestrian va inteso come gioco, ribaltando le nostre idee sul titolo e costringendo l’utente per l’ennesima volta a doversi riadattare ad un importante cambiamento nelle meccaniche.

Gorogoa

Gorogoa è una delle gemme nascoste dell'Xbox Game Pass

Ennesimo pozzle di questa lista, ma data la sua qualità generale non potevo escluderlo.

Fra i titoli dell’elenco, Gorogoa, il gioco nato dai disegni di Jason Roberts e sviluppato da Buried Signals e pubblicato dall’ormai nota ed amata Annapurna Interactive è sicuramente il più avveniristico.

Catapultati da (quasi) subito in un interfaccia divisa in 4 blocchi, senza un vero e proprio tutorial, per procedere dovremo spostare e sovrapporre i vari elementi che compongono i quadranti per procedere in quella che è una storia disseminata nei secoli, dal significato fumoso e mai esplicito, che si lascia interpretare dal giocatore, senza imporre un messagio univoco.

Se per The Pedestrian i puzzle erano vari e diversificati tra loro, ma con pochi “momenti wow” come li ho definiti, qui le circostanze si ribaltano completamente: spostare i vari blocchi per i quadranti rimarrà una meccanica immutata dall’inizio alla fine: saranno infatti le risoluzioni degli enigmi ad essere di volta in volta diverse e sempre originali, costringendoci a pensare “lateralmente” e sorprendendo l’utente di volta in volta con intuizioni difficili da prevedere ma mai troppo ostiche.

Consigliato a chiunque sia alla ricerca di un’esperienza breve ma dalla forte personalità, capace di distinguersi ed eccellere nelle poche meccaniche date in pasto all’utente.

Categorie
Editoriali

La complicata storia tra Sonic e il 3D

Quest’anno è arrivato sul mercato Sonic Frontiers, nuovissimo capitolo delle avventure del riccio più famoso del mondo. Il titolo, pur non esente da difetti, è stato accolto positivamente ed è stato riconosciuto come uno dei migliori capitoli 3D di Sonic, che non ha mai avuto un rapporto facile con la terza dimensione.

Ancora oggi sono molti i giocatori che, quando si parla di Sonic, tendono a preferire i classici plattform 2D. Prova di questo è il buon successo del recente Sonic origins. I titoli in tre dimensioni, di contro, tendono a essere facilmente ignorati dai più. Il motivo è spiegato in questo articolo, dove ripercorriamo le tappe dell’epopea del velocissimo riccio blu  nei meandri del 3D, ricordando sia i titoli più meritevoli che quelli assolutamente evitabili.

Sonic 3D Blast: il Primo in 3 dimenesioni

Sonic 3D Blast
Sonic 3D Blast fu il primo titolo di Sonic ad abbandonare le due dimensioni.

Le prime esperienze di Sonic nel genere dei plattform a tre dimensioni furono estremamente positivi. La nostra cavalcata parte addirittura dai tempi del mitico Sega Mega Drive, console che diede i natali al nostro Sonic. Proprio su Mega Drive, nell’ormai lontano 1996, vide la luce il primo titolo della saga di Sonic in tre dimensioni.

Nell’ormai lontano 1996 Sega, visto il successo di titoli come Donkey Kong Country e Super Mario RPG per SNES, decise che anche la sua mascotte avrebbe avuto un titolo tridimensionale a lui dedicato.

E così, il 30 novembre vide la luce Sonic 3D: Flickie’s Island, poi chiamato Sonic 3D Blast in occidente. Il gioco, pur mantenendo meccaniche e controlli  molto simili ai titoli precedenti, introdusse un’inedita visuale isometrica, che consentiva a Sonic di spostarsi in quattro diverse direzioni e non più solo in linea retta.

Sonic 3D Blast ricevette un’accoglienza nel complesso positiva, soprattutto per il suo comparto tecnico, mentre i controlli destarono qualche perplessità. Tirando le somme, comunque, si può comunque dire che questa prima avventura di Sonic nella terza dimensione si rivelò un buon successo.

Sonic Adventure: la consacrazione

Sonic Adventure: il miglior gioco 3D di Sonic di sempre
Sonic Adventure ancora oggi è considerato da molti il miglior gioco 3D di Sonic

Visto lo scarso successo del Saturn, Sega decise di anticipare i tempi e accellerò lo sviluppo della sua nuova macchina, il Dreamcast.

Fu proprio su Dreamcast che, nel dicembre del 1998, fece la sua uscita Sonic Adventure. L’opera raggiunse il mondo occidentale solo l’anno successivo, con una versione riveduta e corretta che venne ridistribuita anche in Giappone col titolo Sonic Adventure International.

Questo gioco fece fare a Sonic il salto di qualità di cui aveva bisogno, grazie ad un gameplay solido e di grande spessore. I livelli di esplorazione e risoluzione di enigmi (adventure field) si alternavano a stage più brevi votati all’azione (Action stages). Il tutto naturalmente a velocità adrenalinica e accompagnato da un’ottima giocabilità.

Sonic Adventure aggiornò anche il look di Sonic e dei suoi amici, che risultavano più adulti e maturi rispetto alle loro versioni cartoonesche viste su Megadrive. Anche la trama ebbe un ruolo importante in Adventure e narrava l’arrivo della potente entità Chaos e i tentativi del Dottor Robotnick di controllarla.

Adventure ottenne un grande successo di critica e pubblico, divenendo il gioco più venduto in assoluto per Dreamcast. Ancora oggi è considerato da molti il miglior Sonic 3D di sempre.

Sonic Adventure 2

Adventure 2 si rivelò un gioco solido e molto vario.

Visto l’enorme successo ottenuto da Sonic Adventure, era scontato per Sega scegliere la strada del sequel diretto. Nel giugno del 2001 uscì infatti, sempre su Dreamcast, Sonic Adventure 2. Il gioco si rivelò essere un ottimo seguito per l’avventura 3D di Sonic.

In questo titolo la trama aveva un ruolo ancor più centrale. Il giocatore era chiamato a vestire i panni di numerosi personaggi, tra cui Shadow the Hedgeog, che fece qui la sua prima comparsa. A seconda del personaggio utilizzato, lo stile dei livelli sarebbe variato.

Per Sonic e Shadow i livelli sarebbero stati all’insegna della velocità e del tempismo. Con Tails ed il dottor Eggman (che qui per la prima volta abbandona il nome Robotnik) il perno sarebbe stato l’abbattimento dei nemici. Infine, i livelli dedicati a Knuckles e Rouge (anche lei al suo debutto nella serie) erano focalizzati sull’esplorazione e la collezione di tesori. Per completare interamente l’opera, il giocatore avrebbe dovuto completare sia il percorso legato ai buoni sia quella dei cattivi.

Anche in questo caso, il gioco fu un successo di pubblico e critica. vennero apprezzato sia per la sua realizzazione tecnica che per la cura della trama e della caratterizzazione dei personaggi.

Questo successo permise ad Adventure 2 di godere di una riedizione, chiamata Sonic Adventure 2: Battle uscita per PC, Xbox 360 e PlayStation 3.

Sonic Heroes

Heroes fu una piacevole variante a tema gioco di squadra.

Nel dicembre 2003 fu la volta di Sonic Heroes, primo titolo della saga di Sonic a non uscire su una console Sega. La grande S infatti era passata ad occuparsi unicamente della produzione di Software. Il titolo arrivò su PlayStation 2, Xbox, Gamecube e PC.

Heroes ripropose lo stile di Adventure 2, legato allo sviluppo della trama e al coinvolgimento di numerosi personaggi. Quest’ultimo aspetto però fu ulteriormente approfondito. Il giocatore avrebbe dovuto scegliere addirittura tra quattro squadre diverse, ognuna col suo percorso e la sua storia.

Anche il gameplay si concentrava sull’azione di gruppo, poiché nei livelli erano presenti tutti e tre i componenti della squadra contemporaneamente. Il gioco permetteva di passare da un personaggio all’altro in qualsiasi momento, a seconda di quali caratteristiche fossero più adatte all’avanzamento nello stage.

Anche Heroes ricevette un’accoglienza nel complesso positiva, sebbene alcune versioni (in particolare quella PS2) soffrissero di diversi  bug e in generale la giocabilità del titolo fosse penalizzata da un uso non troppo preciso della telecamera.

Sonic the Hedgeog 2006: la pecora nera

Sonic the Hedgeog 2006: la pecora nera 3D
I bug che affliggevano Sonic 06 erano davvero terrificanti.

A metà della prima decade del 2000, Sega concentrl tutti i suoi sforzi nella realizzazione di un nuovo fiammante episodio 3D del suo porcospino blu. Questo gioco avrebbe dovuto segnare il definitivo rilancio di Sonic verso la vetta del mondo dei videogiochi. Per sottolineare l’importanza del progetto, Sega scelse addirittura di chiamare il nuovo gioco semplicemente Sonic the Hedgeog.

Ironia della sorte, il videogioco, uscito nel novembre 2006 su PS3 e Xbox 360, si rivelò un colossale buco nell’acqua. Molti giocatori lo considerano tuttora il peggior gioco di Sonic mai apparso su qualsiasi console.

Erano davvero tanti i problemi che affliggevano Sonic the Hedgeog – noto al pubblico soprattutto con il nome di Sonic 06. Anzitutto, la trama era davvero strampalata e mal scritta. Il nostro Sonic si trovava alle prese con il salvataggio di regni medievali e coinvolto in una improbabile storia d’amore con una principessa umana.

Come se non bastasse, il gioco era letteralmente falcidiato da bug di ogni tipo, che lo rendevano praticamente ingiocabile e lo stesso sistema di controllo era talmente frustrante e impreciso da scoraggiare qualsiasi giocatore dopo poche ore.

La bruttezza di questo gioco fu sottolineata anche dal famoso Angry Video Game Nerd, che dedicò un intero episodio del suo show a Sonic 06.

Un periodo di stanca

Dopo l’incredibile flop di Sonic 06 il nostro porcospino supersonico fu come bloccato in un limbo. I titoli 3D dedicati a Sonic, infatti, continuarono ad uscire, ma nessuno sembrava essere in grado di raccogliere consensi unanimi.

Sonic e gli anelli segreti

Sonic e gli anelli segreti fu un titolo nel complesso divertente.

Su Nintendo Wii uscì nel 2007 Sonic e gli anelli segreti, titolo che trasportava Sonic in un’ambientazione tratta dalle Mille e una Notte. Il gioco ricevette recensioni complessivamente discrete, ma non riuscì ad imporsi sul mercato, soprattutto in virtù dei controlli, non pienamente efficaci.

Sonic Unleashed

Sonic Unleashed

Fu poi la volta di Sonic Unleashed, rilasciato su praticamente ogni piattaforma ancora attiva, compresa PlayStation 2. Il gioco introdusse la trasformazione di Sonic in una sorta di porcospino mannaro. Questa caratteristica si rispecchiò anche nel gameplay, che alternava livelli in cui il giocatore avrebbe controllato Sonic, a fasi notturne in compagnia del nuovo alter ego peloso del porcospino.

Mentre i livelli diurni erano all’insegna della velocità e della destrezza, quelle notturne erano più lente e incentrate su enigmi e combattimenti. Ancora una volta, l’accoglienza fu molto tiepida ed il titolo cadde ben presto nel dimenticatoio.

Sonic e il cavaliere nero

Sonic e il Cavaliere Nero

Nel marzo 2009 fu il turno di Sonic e il cavaliere nero, esclusiva Wii e seguito ideale de Gli anelli segreti. Questa volta il nostro Sonic venne trasportato in un’ambientazione medievale. Scopo del gioco era salvare Re Artù, vittima di una maledizione che lo aveva trasformato nel perfido cavaliere nero.

Caratteristica principale del titolo fu il tentativo di valorizzare i sensori di movimento dei Wiimote: essi vennero utilizzati principalmente per replicare gli attacchi della spada di cui il nostro Sonic era dotato in quest’avventura.

Ahimè, anche in questo caso il titolo fu bellamente ignorato dal pubblico ed affossato dalla critica. Le maggiori critiche furono mosse al suo sistema di controllo, che risultava particolarmente disfunzionale ed impreciso.

Sonic Colors: il ritorno di fiamma

Colors: il ritorno di fiamma di Sonic in 3D
Colors si rivelò un ottimo gioco ed è tuttoggi apprezzato da molti.

Sonic Colors, uscito inizialmente per Nintendo Wii, vedeva il nostro riccio impegnato nel salvataggio dei simpatici Wisp. Si trattava di piccoli spettri colorati in grado di fondersi temporaneamente con Sonic per donargli incredibili abilità. Esse spaziavano dal volo alla capacità di scavare lunghe gallerie nel terreno fino al teletrasporto.

Il gioco aveva un ottimo comparto tecnico e un gameplay davvero piacevole e vario, sebbene a tratti piuttosto difficile. Il pubblico lo accolse in maniera decisamente positiva, al punto che nel 2021 verrà realizzata persino una remaster per Switch, PS4 e Xbox one.

Sonic Generations: generazioni a confronto

Generations: Controllare di nuovo il Sonic classico fu davvero divertente.

Sonic Generations invece nacque come opera celebrativa del ventesimo anniversario della serie. Il gioco sfrutta l’espediente narrativo dei poteri temporali del nuovo antagonista, il Time Eater. Sarà proprio Time Eater a causare l’incontro tra il Sonic moderno e la sua versione più giovane, Sonic classico.

Generations fu accolto positivamente dalla critica ed ottenne un successo commerciale anche maggiore rispetto a Colours. Una delle caratteristiche più apprezzate dei due titoli fu proprio l’alternanza tra livelli 3D e 2D – presente anche in Colours.

Questa meccanica andava ad accontentare sia i fan dei titoli storici di Sonic sia gli amanti dei plattform 3D; insomma, sembrava proprio che Sega avesse ritrovato la via smarrita. Purtroppo, come vedremo, le cose non andranno così.

Sonic Lost World: un’occasione mancata

Sonic Lost World: un’occasione mancata per il 3D
Lost World fu davvero una grande delusione per i fan.

Dopo una serie di semplici giochi per tablet e cellulari, nell’ottobre 2013 Sega pubblica Sonic Lost World, per Wii U e Nintendo 3DS. Il titolo, frutto della collaborazione diretta tra Sega e Nintendo, porta Sonic e il fido Tails ad esplorare le isole fluttuanti dell’Esamondo perduto. Il perfido Zavoc e i Sei nefasti fanno la loro apparizione come nuovi antagonisti del riccio blu.

Pur essendo piuttosto diverse tra loro, entrambe le versioni del gioco riproposero l’alternanza tra sezioni in 3D e altre a scorrimento orizzontale, anche nel medesimo stage. La struttura dei livelli prevedeva l’esplorazione di numerosi mondi sferici, in modo analogo a quanto visto in Super Mario Galaxy.

Il videogioco ottenne un’accoglienza molto fredd: a non convincere furono sia i nuovi nemici, considerati troppo anonimi e generici, sia la struttura stessa dei livelli, eccessivamente complessa e punitiva.

Il progetto Sonic Boom: un rilancio fallimentare

Il restyling grafico proposto da Sonic Boom non piacque praticamente a nessuno.

L’anno successivo Sega e Nintendo decisero di rendere Sonic protagonista di un ambizioso progetto: un vero e proprio reboot della serie. Questa idea avrebbe portato una nuova trama, nuove ambientazioni e un restyling grafico completo di tutti i personaggi.

Il progetto, denominato Sonic Boom, si concretizzò con l’uscita di due nuovi titoli, di una serie animata e persino di una collana a fumetti. Tra il novembre e il dicembre del 2014 uscirono Sonic Boom: L’ascesa di Lyrics e Sonic Boom: Frammenti di Cristallo, rispettivamente su Wii U e 3DS.

Entrambi i giochi riproposero la formula ad azione corale già vista in Heroes. I giocatori avevano la possibilità di controllare diversi personaggi oltre a Sonic, con l’opzione di passare da uno all’altro in qualsiasi momento. Le due opere scelsero di puntare su un gameplay più lento e ragionato, focalizzato su combattimenti ed enigmi piuttosto che sulla velocità.

Purtroppo, entrambi furono stroncati duramente dalla critica, soprattutto a causa dei numerosi bug che affliggevano il gameplay. In generale, i fan mostrarono di non gradire la serie Boom: la causa principale furono le nuove vesti grafiche dei protagonisti, che non seppero raccogliere il favore degli appassionati.

Insomma, ancora una volta, il progetto su cui Sega riversava le sue maggiori speranze; come avvenuto con Sonic 2006, si rivelò un totale fallimento.

Sonic Forces: un successo inatteso

Sonic Forces, nonostante le critiche, fu piuttosto apprezzato dai fan.

Sonic Forces del 2017 fu il nuovo episodio 3D della serie, che riprese il filo degli episodi precedenti, cancellando di fatto Boom.

In Forces, il giocatore aveva l’inedita possibilità di creare il proprio avatar per impersonare un membro della resistenza. L’obiettivo del personaggio era contrastare le azioni di conquista di Eggman, iniziate dopo l’apparente morte di Sonic.

Nel corso dell’avventura il giocatore poteva personalizzare – almeno in parte – il set di mosse e le abilità del proprio personaggio. Inoltre, i fan potevano acontrollare anche Sonic moderno e Sonic classico.

Purtroppo queste furono le uniche vere innovazioni del titolo; infatti, Forces restò saldamente legato alle strutture viste negli ultimi capitoli 3D della saga e all’ormai rodata alternanza tra stages in 2D e in 3D.

Nonostante un’accoglienza tiepida da parte degli addetti ai lavori, il gioco si rivelò inaspettatamente un buon successo commerciale.

Sonic Frontiers

Ed eccoci a Sonic Frontiers, l’ultima incarnazione di Sonic.

Come accennato ad inizio articolo, Sonic Frontiers non è certamente privo di bug e difettucci vari, ma sembra aver colpito positivamente i fan e la maggior parte della critica.

Il gameplay, che alterna fasi di esplorazione open world a classici livelli lineari in 3D con sezioni a scorrimento orizzontale, è finalmente riuscito a conciliare lo spirito e la giocabilità dei classici titoli del riccio blu con le aspettative dei moderni videogiocatori.

Anche le fasi di combattimento sono nel complesso ben realizzate e aggiungono quel pizzico di novità e varietà al gameplay. Solo il tempo ora potrà dirci se per il porcospino si apriranno davvero nuove frontiere nell’universo a tre dimensioni o se il suo percorso continuerà ad essere costellato di alti e bassi.

Categorie
Editoriali

DUNE: tutti i videogiochi ambientati nel Duniverse

Parlare di Dune è sempre impegnativo, poiché dal romanzo fantascientifico di Frank Herbert del 1965 è nato un vero e proprio universo: il Duniverse, tornato nuovamente alla ribalta dopo l’enorme successo del film di Denis Villeneuve. Chi scrive non è un purista, ma un fan affascinato dall’universo di Dune, che in questo articolo vi racconterà di tutti i videogiochi del Duniverse e di cosa ci riserverà il futuro del franchise.

I Videogiochi di Dune

La storia dei videogiochi di Dune comincia agli inizi degli anni ’90 ed è tuttora in continua espansione con la produzione di generi completamente diversi dal passato, ma anche dal presente. Chiunque sia alla ricerca di un videogioco ambientato su Arrakis, troverà sicuramente un gioco – anche dall’alto profilo tecnico – che possa adattarsi ai propri gusti videoludici.

Senza Dune, Guerre Stellari non sarebbe mai esistito

George Lucas

Prima di iniziare, se siete interessati alle “carrellate videoludiche”, date un occhio anche ad altri nostri articoli come: I 5 migliori videogiochi (veramente) ispirati a Lovecraft o I 4 migliori videogiochi sui pirati di sempre.

Dune – Cryo Interactive, 1992

Dune: frame del videogioco, fortemente ispirato al film di Lynch

Il primo videogioco di Dune è un mix di avventura e strategia sviluppato per Amiga, Sega Mega Drive (CD) e PC-MS-DOS. L’impianto del gioco è assai interessante e a suo modo innovativo – almeno per i giochi a cui ero abituato: si trattava infatti di una sorta di avventura grafica alternata a un gioco di strategia, non ancora in tempo reale.

Il titolo segue abbastanza fedelmente il libro e si rifà non poco alla controversa pellicola di David Lynch: fra l’altro lo si nota abbastanza chiaramente nelle sembianze di Paul e Jessica Atreides.

La trama di Dune di Cryo Interactive

La trama è incentrata sul novello duca Paul Atreides, impegnato a riconquistare il pianeta (Arrakis/Dune) dopo che la sua casata è stata massacrata dai cattivissimi Harkonnen.

Per raggiungere lo scopo, il protagonista crescerà nelle sue capacità e competenze (rpg) e dapprima si recherà presso diversi avamposti/caverne dei Fremen per convincerli a collaborare (inizialmente come forza lavoro per recuperare la spezia, poi anche a livello militare). La spezia infatti va sempre pagata all’imperatore, con tassi crescenti e, con quel che resta, si devono espandere le proprie capacità personali e militari, acquistando per esempio armamenti tipici dell’ambientazione, “mietitrici” e ornitotteri. Le unità hanno un certo grado di esperienza e si può influenzarne in vari modi il morale, così da renderle sempre più efficienti in battaglia.

I conflitti si svolgono principalmente come assedi alle basi nemiche e si possono subire contrattacchi; se i Fremen perdono vengono presi prigionieri, e se Paul vi prende parte di persona e viene sconfitto: game over!

Più avanti sarà possibile piantare vegetazione e prendersene cura (si ricava meno spezia ma sale il morale) e imparare a cavalcare i vermi della sabbia: più lenti dell’ornitottero usato normalmente per spostarsi ma esaltanti se portati in battaglia (aumentano il morale delle truppe).

Dune II – Westwood Studios, 1992

Dune 2 – Westwood Studios

Per un certo periodo sulla mia Amiga 500 girava solo Dune 2, con cui ho trascorso moltissime ore di puro divertimento. Il motivo? È il capostipite del genere strategia in tempo reale (RTS).

Alla fine del 1992, per le maggiori piattaforme compare Dune 2: The Building of a Dynasty – noto come Dune 2: Battle for Arrakis su Sega Mega Drive. L’opera è nota per aver fissato i capisaldi del genere RTS poi usati in molti altri celebri titoli: Command & Conquer, Warcraft, Starcraft e Age of Empires. È in Dune 2 che troviamo la fog of war, l’albero delle tecnologie, le fazioni asimmetriche e le campagne (missioni correlate a un unico obiettivo).

Nel gioco erano presenti tre campagne da nove missioni ciascuna, ognuna dedicata a una fazione (Atreides, Harkonnen e Ordos). Truppe, edifici e strategie da applicare erano diverse, ma i vermoni, per non far torto a nessuno, massacravano allegramente tutti quelli che incontravano. Come nella migliore (e innovativa!) tradizione degli RTS, si andava a raccogliere le risorse (la spezia poi convertita in crediti) e con esse si realizzavano strutture sempre più potenti e unità sempre più specifiche e forti. Poi si scagliava il tutto contro la base nemica e si sperava di farcela, intervenendo durante la battaglia per ottimizzarne il risultato.

Nelle mie partite, ammetto che l’unità che preferivo era una di quelle base, l’harvester: impiegarla non per raccogliere la spezia ma per spiaccicare i nemici era dannatamente divertente! E Carmageddon arriverà solo nel 1997!

Dune 2000 – Westwood Studios, 1998

Dune 2000 – Westwood Studios

Rremake di Dune 2, Dune 2000 è basato sullo stesso motore grafico di Command & Conquer.

Oltre a essere un buon remake di Dune 2, a partire dal rifacimento del filmato introduttivo di tale gioco ma dalla grafica aggiornata, introduce delle funzionalità da RTS moderno ignote al suo predecessore, per esempio la modalità multigiocatore e la schermaglia. Come piacevoli add-on possiamo notare la presenza di diversi full motion video interpretati da attori di rilievo che rendono l’esperienza di gioco più suggestiva e gradevole.

L’interfaccia presenta dei leggeri cambiamenti, eredità di Command & Conquer, ma oltre quanto evidenziato sopra, non ci sono grandissime innovazioni. Di fatto è un ottimo gioco, un aggiornamento agli RTS moderni con una trama raccontata tramite filmati di ottima fattura che si sbloccano via via durante la partita.

Infine, interessante è anche notare il rilascio di due patch, una per correggere errori minori, un’altra con una decina di nuove mappe per giocare in multiplayer, un bilanciamento più curato del gioco e l’introduzione di tre nuove unità, una per ciascuna casata.

Emperor: Battle for Dune – Westwood Studios, 2001

Emperor: Battle for Dune – Westwood Studios

Uno dei primi RTS dotati di motore 3D, Emperor: Battle for Dune è per la precisione il seguito di Dune 2000. Anche in questa opera sono presenti degli strepitosi filmati di intermezzo, almeno per i miei gusti, ma l’impianto grafico cambia radicalmente, avvalendosi per la prima volta nel mondo videoludico di Dune di un motore tridimensionale.

Le premesse alla trama sono differenti, ma di fatto, ancora una volta ci sono le solite tre fazioni a scontrarsi su Arrakis senza esclusione di colpi. Nonostante ciò, sono stati inseriti alcuni colpi di scena, come la presenza dei Tleilaxu (a voi scoprire chi siano) e un Verme Imperatore…

Un po’ sotto la media per la concorrenza dell’epoca (ma sempre divertente), il gioco presenta comunque alcune novità: altre unità specifiche per le varie fazioni, la possibilità di introdurre rinforzi in battaglia e una campagna non lineare.

Frank Herbert’s Dune – Cryo Interactive, 2001

Frank Herbert’s Dune (Cryo Interactive, 2001): impatto grafico opinabile

Purtroppo, Frank Herbert’s Dune fu un disastro commerciale, che contribuì al fallimento di Cryo Interactive. Cavalcando l’onda commerciale dell’ottima miniserie in tre puntate di Frank Herbert’s Dune del 2000, viene prodotto per l’anno successivo l’omonimo videogame, un gioco d’azione 3D.

Purtroppo, Cryo rilasciò un gioco che risultò essere un fallimento da ogni punto di vista, sia economico, sia di critica, tanto che fu uno degli ultimi che realizzò. Proprio tale insuccesso decretò la fine della casa di sviluppo.

L’unico merito del gioco potrebbe essere stato quello di aver voluto tentare una strada diversa da quella dell’RTS, che però non ha ripagato (visto soprattutto i limiti del motore di gioco e dell’aspetto grafico). Per quanto riguarda la trama, vestiamo i panni del solito Paul Atreides, erede della sua casata, che si dovrà guadagnare il rispetto della popolazione nativa di Arrakis per diventarne il messia e risollevare popolo e pianeta. Infine, il protagonista dovrà anche confrontarsi con lo spietato barone Harkonnen, responsabile del massacro della sua famiglia (con lo zampino dell’imperatore, ovviamente).

Come piccola nota conclusiva, possiamo aggiungere che il fallimento del gioco e della casa di sviluppo provocò la fine anche di Cryonetwork che all’epoca stava lavorando a Dune Generation, uno strategico 3D online, titolo che non vide mai la luce.

Dune Wars – Mod per Civilization IV, 2009

Dune Wars – Mod per Civilization IV

Anche se non è un vero e proprio videogioco, Dune Wars merita di essere citata in quanto amatissima mod per Civilization IV. Nel 2015 è stato rilasciato anche un update dal nome Dune Wars: Revival – che potete scaricare da Moddb.

Dune: Spice Wars – Shiro Games, 2022

Le casate del cartoonesco Dune: Spice Wars
Dune: Spice Wars; le prime quattro fazioni (cartoonesche) disponibili

Dopo il successo del film del 2021 di Dune, il franchise è tornato a mostrarsi anche sotto forma di opera videoludica con Dune: Spice Wars, un videogioco strategico 4X.

Con questo gioco torniamo allo stile di gioco di Dune II/2000, dalla grafica un po’ cartoonesca e con tutte le migliorie rese possibili dalla tecnologia moderna. Rilasciato a fine aprile del 2022, attualmente il gioco è in fase ad “accesso anticipato”, ma ha già ricevuto il plauso da parte dei giocatori.

Al solito, l’ambientazione di Dune la fa da padrona e sia il gioco che il gameplay sono abbastanza solidi (e consolidati), ma come sempre ci sono dei lati oscuri.

Suppur il gioco rappresenti una sorta di rivincita videoludica, a cancellare l’amaro in bocca lasciatomi dai titoli del 2001, la grafica accattivante e fumettosa taglia un po’ le gambe all’epicità innata della saga. Probabilmente è solo per una questione d’età anagrafica di chi scrive, ma provo la stessa (sgradevole) sensazione di quando paragono le immagini delle serie animate di Star Wars con quelle dei rispettivi film, in particolare dei capostipiti.

Spice Wars presenta al momento cinque fazioni invece delle classiche tre, che aumentano la varietà strategica, il numero delle unità, l’asimmetria e la longevità. E anche il sistema di politica/spionaggio/commercio appare più complesso e intrigante; infatti, offre alternative alla pura conquista e vittoria militare. Di fatto si incappa in situazioni un po’ castranti, quando per esempio, per connettere dei territori, vengono richiesti dei requisiti impossibili da soddisfare a causa di un cap imposto dal gioco; oppure quando si desidera sviluppare un potente esercito o far crescere al massimo le potenzialità della propria casata ma il processo risulta talmente lento e complesso (a volte impossibile) da renderlo poco divertente.

Dune: Awakening – Funcom, 2024?

Copertina ufficiale del gioco (in uscita nel 2024?) di Dune: Awakening
Dune: Awakening

Come indicato all’inizio di questo articolo, il franhise di Dune vuole essere appetibile al maggior numero di videogiocatori possibile. Funcom sta rispondendo a questa necessità con un titolo open world survival MMO, Dune: Awakening. Ecco, di questo gioco se ne sa ancora poco, dato che al momento è in fase di sviluppo.

Dagli stessi sviluppatori di Age of Conan e Samurai Showdown, Awakening è un open world survival MMO (probabilmente multipiattaforma), anche con meccaniche PvP; infatti, pare che il videogiocatore dovrà dominare e prevalere su Arrakis, obiettivo condiviso da tutti gli altri partecipanti.

Se si sopravvive al deserto e a tutte le insidie di Dune, si potrà esplorare il pianeta e scoprire, fra le altre cose, territori e luoghi non mappati (e che spariscono a causa delle tempeste si sabbia) con tesori e benefici unici; sicuramente ci sarà modo di gestire o avere a che fare con la spezia, e si potrà realizzare una propria fazione (gilda?), capace di svilupparsi per gestire il commercio, svolgere operazioni di sotterfugio, complottare con intrighi politici e, manco a dirlo, fare a mazzate.

Per chi volesse iscriversi e partecipare allo sviluppo della beta può raggiungere direttamente il sito ufficiale di Dune Awakening.

Ancora Dune… giochi da tavolo

Se l’articolo vi ha incuriosito e siete amanti anche dei giochi da tavolo, vi consiglio di leggere anche DUNE: tutti i giochi da tavolo ambientati nel Duniverse!

Categorie
Editoriali

Marvel Snap è un vero free-to-play

Sono trascorsi due anni e mezzo dall’ultima volta che ho pronunciato questa frase per un gioco di carte collezionabili – e mi riferivo a Legends of Runeterra – ma l’attesa è stata ripagata. Mai avrei pensato che un videogioco di carte collezionabili mobile – è presente anche per PC ma la sua dimensione è lo smartphone – basato sul mondo dei supereroi potesse essere veramente gratis. Marvel Snap è tutto questo ed è anche divertente! In questo articolo vi spiego come funziona Marvel Snap, la sua economia di gioco veramente free-to-play e perché vale la pena dargli una possibilità.

Veterani dei videogiochi di carte

Il nuovo titolo mobile dedicato ai supereroi Marvel è stato sviluppato da Second Dinner, neonata software house creata da Ben Brode e da diversi ex-sviluppatori di Activision Blizzard.

Ben Brode, designer dietro a Marvel Snap ora e Hearthstone fino a qualche anno fa, può vantare di essere uno dei pochissimi sviluppatori di videogiochi di carte collezionabili, dove la parola chiave è: “videogiochi”; infatti, la maggior parte dei GCC presenti sul mercato videoludico sono riproposizioni digitali di quanto già esiste in forma cartacea: Magic Arena e Pokémon GCC su tutti. I videogiochi di carte collezionabili, invece sono opere non riproducibili su carta, a causa delle loro meccaniche casuali, più o meno amate. Le due opere maggiormente innovative del genere sono due, entrambe nate dalla mente di Ben Brode: Hearthstone e Marvel Snap.

Marvel Snap: Ben Brode
Copyright: TheGamer

Come si gioca a Marvel Snap

Ogni videogiocatore di Marvel Snap gioca con un mazzo da 12 carte, raffiguranti eroi e anti-eroi del mondo Marvel, in monocopia. Ogni partita è composta da 6 turni in cui ogni giocatore pesca e gioca le carte che ha in mano.

Tutte le carte hanno un costo e un valore d’attacco. I videogiocatori partono da 1 energia al turno uno e arrivano fino a 6 energie, a meno di regole all’interno del campo di battaglia che possono stravolgere questa regola.

Gli eroi di Marvel Snap sono giocati in uno dei 3 scenari di combattimento (sinistra – centrale – destra). Vince chi ottiene il maggior valore d’attacco su 2 dei 3 scenari di gioco. In caso di parità, vince il giocatore che ha la somma totale di valore d’attacco maggiore.

Marvel Snap Gameplay

Scenari

Gli scenari sono attualmente più di 50 e ci mostrano il motivo per cui Marvel Snap può esistere solo in digitale. Esattamente come alcune abilità delle carte di Hearthstone basate sulla casualità, gli scenari di Marvel Snap contengono delle regole così casuali che possono essere applicate solamente da un calcolatore.

Ad esempio: “Sostituisci tutte le carte di ogni mazzo con 10 carte casuali”; oppure: “La mano di ogni giocatore è riempita da carte casuali”. Queste regole rendono il gioco sicuramente meno prono al competitivo, ma del resto Hearthstone ha una scena competitiva e vale anche parecchi dollari.

Parole Chiave

Quasi tutti gli eroi e antagonisti di Marvel Snap hanno dei poteri – o come si dice in gergo tecnico: parole chiave. In questa prima fase del gioco, le parole chiave presenti sono 6:

  • Alla scoperta: l’effetto è applicato nel momento in cui la carta è girata sullo scenario. Solitamente corrisponde al momento in cui è giocata, ma alcuni scenari possono ritardare la rotazione della carta che è sempre posta coperta sul campo da gioco.
  • Effetto continuo: l’effetto è continuamente aggiornato; di conseguenza, giocare una nuova carta può cambiare gli effetti del potere.
  • Scarta: le carte sono scartate dalla mano.
  • Muovi: le carte sono spostate tra gli scenari.
  • Distruggi: le carte sono rimosse dal gioco.
  • Nessuna abilità: alcune carte non hanno poteri speciali.

Il meta ha già i suoi archetipi, che sono praticamente tutti basati sulle parole chiave di Marvel Snap.

All-in: la meccanica Snap

Il videogioco prende il nome da una meccanica decisamente rischiosa presente nel gioco. Durante la partita, vi è un enorme cubo sopra l’area di gioco. I giocatori possono cliccare sul cubo una volta ciascuno per ogni partita: farlo aumenta i punti classifica che si possono vincere, o perdere, durante la partita in corso.

Terminare una partita, senza cliccare sullo Snap, implica giocarsi al massimo un paio di punti classifica, che possono diventare quattro se un giocatore clicca sullo Snap o addirittura otto. I punti classifica ci permettono di passare da un rango all’altro (in totale 12) in base al nostro livello: il livello più basso è il numero 1, mentre il più alto è il 100.

Infine, nel caso in cui pensiamo di non avere possibilità di vittoria, possiamo sempre fuggire dallo scontro e perdere solamente il valore di Snap attuale.

Perché Marvel Snap non è pay-to-win

L’economia di gioco di Marvel Snap prevede la presenza di contenuti a pagamento, che possono velocizzare l’ottenimento di carte, ma che non rendono il gioco un pay-to-win; nel mio caso, non ho ancora speso un euro su Marvel Snap e ho una percentuale di vittoria ben oltre il 70% – che per un gioco di carte non è nemmeno poco.

Pool

Quanto descritto sopra è possibile grazie al sistema dei Pool.

Ogni giocatore ha un proprio livello di esperienza, che può aumentare attraverso l’upgrade delle carte. L’aggiornamento degli eroi Marvel non porta alcun beneficio alla forza delle carta, bensì garantisce alle carte delle aggiunte estetiche visibili in-game. Aggiornare una carta ci permette però di aumentare il livello del nostro account e di ottenere premi: crediti per l’upgrade delle carte; potenziamenti delle carte, che sono un’altra valuta utile per l’upgrade delle carte; una carta casuale dal nostro pool di riferimento, che dipende dal livello del giocatore. In particolare:

  • Pool 1: dal livello 18 al livello 214.
  • Pool 2: dal livello 222 al livello 474.
  • Pool 3: dal livello 486 e oltre.

Per esempio, nel primo pool sono presenti 46 carte, mentre nel secondo possiamo aggiungere alla nostra libreria altre 25 carte per un totale di 71. Anche se la fortuna permetterà ad alcuni giocatori di avere carte veramente forti un po’ prima degli altri giocatori, in generale ogni player affronterà avversari che hanno – più o meno – lo stesso numero di carte nella propria libreria. Di conseguenza, Marvel Snap è un vero free-to-play – e soprattutto non un pay-to-win – perché anche se l’acquisto in-game può velocizzare il percorso di livellamento del proprio account, il videogiocatore si troverà ad affrontare sempre avversari che hanno una libreria formata da circa lo stesso numero di carte.

Marvel Snap Battle Pass

Battle Pass Stagionali

Ogni stagione, di circa un mese, avrà il proprio Battle Pass. Questo contenuto permette di sbloccare alcuni livelli del Pass che altrimenti sarebbero bloccati. In questi slot, bloccati agli gli utenti free, ci sono crediti, oro, ma soprattutto Varianti delle carte. Le varianti sono delle carte con un artwork diverso da quello base. Questo significa che se non abbiamo ancora trovato quella carta nel nostro Pool, possiamo prendere la sua Variante e usarla. Come già detto, questo velocizza il processo, ma non ci fornisce quel vantaggio tipico dei giochi pay-to-win.

Conclusione

Marvel Snap – free-to-play che potete scaricare dal sito ufficiale seguendo i link dei vari store – è un gioco di carte veloce (una partita dura circa 3 minuti), divertente, facile da imparare ma impegnativo da masterare. Da giocatore di Hearthstone, il mio maggior timore era quello di trovarmi davanti un bel titolo difficile da mantenere nel tempo, poiché i suoi costi possono essere seriamente proibitivi.

Marvel Snap invece ha dimostrato di essere un vero free-to-play grazie a un’economia di gioco onesta in cui è premiata la costanza e il talento prima del denaro. Una caratteristica che mi ha molto sorpreso, dato che la dimensione perfetta di Marvel Snap è lo smartphone e il franchise si offre a un gioco pay-to-win. Second Dinner invece ha combattuto questo mio pregiudizio con un’opera che vi consiglio caldamente di seguire e che mi auguro possa continuare su questa strada per sempre.

Categorie
Editoriali Guide

Pokémon Origine Perduta: i migliori mazzi del meta

Esistono due tipi di giocatori di carte collezionabili: chi prova le nuove carte appena uscite e chi sfrutta l’occasione per giocare i mazzi consolidati nel meta attuale. A pochi giochi dall’arrivo su Pokémon GCC della nuova espansione Spada e Scudo – Tempesta Argentata, abbiamo dei mazzi migliori di altri che sfruttano l’ultima espansione pubblicata: Origine Perduta. Ve li spieghiamo in questo articolo sui migliori mazzi di Origine Perduta.

Spada e Scudo – Origine Perduta ha cambiato il meta di Pokémon GCC, grazie a Giratina V e Giratina V ASTRO, ma aspettatevi anche tante note conoscenze (e varianti). Tra tutti: Palkia Originale V ASTRO, Mew Genesect e Blissey V.

1. Giratina di Origine Perduta

Il mazzo di Giratina V ASTRO è il deck da battere: i pro player dovranno trovare in Tempesta Argentata la soluzione a una carta che sta sovrastrando il meta.

Carte chiave

Strategia

Il deck di Giratina Origine Perduta si basa sull’aggiungere il prima possibile carte nell’Area Perduta. Per farlo utilizziamo il blocco denominato Comfey Engine; nello specifico, il Retino di Recupero serve per recuperare Comfey, mentre il Portalemiraggio permette di soddisfare i pre-requisiti degli attacchi di Giratina V ASTRO. Impatto Perduto è devastante: 280 danni con tre energie; Astro Requiem sconfigge qualsiasi cosa in campo.

Esempio Decklist

Regionali di Lille (22 ottobre 2022) – Lucas Henrique de Araujo Pereira

Variante: Lost Zone Box

Regionali Salt Lake City (15 ottobre 2022) – Kian Amini

2. Palkia Originale

Questo mazzo fonda la sua forza su un archetipo che abbiamo visto diverse volte su Pokémon GCC e che possiamo brutamente riassumere con la frase: “Menare davanti, menare dietro, l’importante è menare”. Palkia Originale V ASTRO garantisce ingenti danni se sono presenti tanti Pokémon in panchina – su entrambi i lati. Greninja Lucente e Inteleon invece hanno ottima sinergia con Palkia e colpiscono i Pokémon nella panchina avversaria.

Carte chiave

Strategia

Lo scopo del deck è aggiungere più Pokémon possibili in panchina al fine di potenziare l’attacco di Palkia: Sottospazio Amplificato – 60 danni più 20 per ogni Pokémon nelle due panchine. Le altre fonti di attacco sono: Idrodardo di Inteleon con 120 danni più 20 danni a uno dei Pokémon nella panchina del tuo avversario; Greninja Lucente che mira a fare danni dietro con Lame Lunari – 90 danni a due Pokémon in panchina.

Greninja è molto importante anche come supporto: il suo attacco fa scartare delle energie, che possono essere usate per caricare altri Pokémon in panchina in sinergia con Astro Portale di Palkia.

Decklist

Regionali di Lille (22 ottobre 2022) – Owyn Kamerman

Variante: Kyurem Palkia

Regionali Indonesia (29 ottobre 2022) – Ferco Fido

3. Mew Genesect

Dieci mesi fa parlavamo di Mew Genesect come probabilmente uno dei migliori mazzi di quel meta. Lo è ancora oggi e – dato il suo design – è praticamente uguale alla sua versione originale.

Carte Chiave

Strategia

Per dettagli sulla strategia di Mew Genesect, vi rimandiamo al nostro articolo precedente sul meta di Colpo Fusione.

Decklist

Regionali di Lille (22 ottobre 2022) – Fabio Battistella

4. Blissey V

Terminiamo la nostra carrellata dei migliori mazzi di Origine Perduta con il deck più economico che può dire la sua in questo meta. Blissey V ha due importanti vantaggi: se inizia bene è devastante; praticamente non ci sono mazzi lotta nel meta attuale che possano sfruttare le debolezze di Blissey V e Miltank.

Carte chiave

Strategia

Tutta il mazzo ruota sul mettere Blissey V in condizione di fare danni il prima possibile con Esplosione Gioiosa: “Questo attacco infligge 30 danni in più per ogni Energia assegnata a questo Pokémon. Se hai inflitto dei danni con questo attacco, puoi assegnare a questo Pokémon fino a tre carte Energia dalla tua pila degli scarti”. In altre parole, bisogna lavorare su due fronti per un unico scopo: scartare carte energia e caricarle su Blissey V con il suo attacco.

Tutto il resto del mazzo fornisce supporto per aumentare i punti vita di Blissey e mantenerlo al massimo dei suoi HP con cure come Iperpozione e Asciugamano del Team Yell. Miltank invece garantisce match up relativamente semplici contro Pokémon V grazie all’abilità Corpo Prodigio: “Previeni tutti i danni inflitti a questo Pokémon dagli attacchi dei Pokémon-V del tuo avversario”.

Decklist

Regionali di Lille (22 ottobre 2022) – Jamie Frankland

Categorie
Editoriali

I 5 migliori videogiochi (veramente) ispirati a Lovecraft

Halloween è alle porte e, come ogni anno, non può mancare la mia ricerca sui videogiochi horror; in particolare, c’è sempre spazio per un aggiornamento sui uno dei miei autori preferiti: Howard Philips Lovecraft, il Copernico della letteratura dell’orrore. Nel vasto mare di internet trovate svariate liste con i migliori videogiochi ispirati a Lovecraft, contenenti anche videogame che parlano di vampiri e licantropi, creature volutamente abbandonate da H.P. Lovecraft.

L’horror secondo Lovecraft è basato su pochi argomenti, tutti raccontati in modo originali e imprevedibile. La base è composta da due elementi: paura e follia. A partire da queste condizioni psicologiche, l’universo lovecraftiano si compone di fantasmi, libri maledetti ed entità aliene come l’arcinoto Cthulhu. La mia top 5 dei videogiochi ispirati a Lovecraft parte dalle basi ed esclude tanti celebri – e bellissimi – videogiochi per concentrarci sull’orrore nato a Providence.

1. Eternal Darkness: Sanity’s Requiem

Un grande mistero dei videogiochi è come Silicon Knights sia fallita dopo aver prodotto uno dei migliori survival horror di tutti i tempi; in realtà, il motivo è semplice: Eternal Darkness vendette meno di 500 mila copie, nonostante la critica lo definì una vera e propria killer application di su Nintendo Gamecube.

Eternal Darkness ripercorre la complicata vita di tutti i personaggi storici che sono venuti a contatto con il Necronomicon, il libro dei morti, inclusa Alexandra Roivas che si è imposta di risolvere il mistero dell’omicidio del nonno. Questo gioco del 2002 è ambientato tra i miti di Cthulhu e rappresenta il miglior esperimento videoludico ispirato alle opere di Lovecraft, tanto da avere anche una barra della sanità mentale tra le statistiche dei personaggi.

Eternal Darkness vince la classifica dei migliori videogiochi ispirati a Lovecraft

2. Darkest Dungeon

Darkest Dungeon – e il nuovissimo Darkest Dungeon 2 che abbiamo provato in accesso anticipato – sono dei giochi di ruolo roguelike basati sull’esplorazione di luoghi pregni di malvagità e avversari terrificanti.

Esattamente come in un racconto di Lovecraft, Darkest Dungeon tiene conto della pressione psicologica che i mostri – ma anche l’oscurità – provocano sugli esseri umani; infatti, è praticamente impossibile terminare il gioco solo con quattro avventurieri; il videogiocatore deve dosare al meglio le energie, e gli eroi, per arrivare fino alla fine dell’orrore, ricco di aberrazioni e Grandi Antichi.

darkest-dungeon-2-gameplay

3. Call of Cthulhu

Il titolo parla chiaro: il gioco, survival horror del 2018 sviluppato da Cyanide e pubblicato Focus Home Interactive, è basato sul racconto breve: “Il richiamo di Cthulhu” di H.P. Lovecraft. Call of Cthulhu non è tecnicamente perfetto, ma è molto fedele all’horror secondo Lovecraft.

La trama narra di Edward Pierce, un investigatore privato in piena depressione, che sta investigando su strani casi di omicidi ed eventi soprannaturali; in particolare, il videogioco di Cyanide prende ispirazione anche dai racconti: “La Maschera di Innsmouth” e “Il modello di Pickman”, oltre che dal gioco di ruolo cartaceo: “Call of Cthulhu”.

4. The Sinking City

Questo videogioco ha una storia torbida fatta di mancati pagamenti di royalty e rimozione da Steam. Non ha neanche ricevuto dei titoli esaltanti da parte della critica, ma Frogwares sta comunque lavorando a un seguito grazie alle buone vendite dichiarate dalla casa di sviluppo.

The Sinking City è un videogioco action-adventure in terza persona ambietato nella città (finta) di Oakmont durante gli anni ’20 del novecento. La trama si basa sul trovare una riposta al perché delle terrificanti visioni che perseguitano Cahrles W. Reed, investigatore privato e veterano di guerra.

The Sinking City è uno dei migliori videogiochi ispirati a Lovecraft

5. Bloodborne

Se questa fosse la lista dei giochi tecnicamente migliori basati su Lovecraft, Bloodborne di FromSoftware sarebbe al primo posto. Purtroppo per gli appassionati della casa di sviluppo nipponica, il mio interesse è stilare una lista in cui le opere di Lovecraft siano al centro dell’attenzione e questo videogioco non lo è abbastanza – ed è anche molto di più di un gioco ispirato a Lovecraft.

Bloodborne è un souls-like, che come tale punisce il giocatore alla prima occasione. Non è direttamente basato sui racconti di H.P. Lovecraft, ma l’ispirazione è molto accentuata; infatti, la scrittura di gioco si basa su creature che hanno aberranti poteri sovrannaturali, che ricordano chiaramente i Grandi Antichi di Lovecraft. Allo stesso tempo la città di Yharnam è quanto di più simile possibile alle malsane ambientazioni dell’autore di Providence.

Extra – Cult of the Lamb

Il 2022 ci ha portato un’opera che non ha esattamente le tinte cupe e piene di insanità mentale di Lovecraft, ma che può essere un’interessante chicca se avete già giocato tutti i videogiochi di questa classifica.

Cult of the Lamb – che abbiamo anche recensito – è un mix tra un roguelike action e un gestionale, sviluppato da Massive Monster e pubblicato da Devolver Digital. Il videogioco ci mette nei panni di un agnello che è stato salvato dalla morte da una divinità denominata: “The One Who Waits”. La lore di gioco rievoca chiaramente i Grandi Antichi di H.P. Lovecraft e ogni dubbio viene fugato dall’aspetto, casuale, dei nostri seguaci che ricalca il bestiario dell’autore americano – e dalla quantità di tentacoli presenti nel gioco.

Cult of The Lamb è uno dei migliori videogiochi ispirati a Lovecraft

Esclusioni Eccellenti

Diffidate dalle imitazioni: svariati videogiochi horror sono proposti come ispirati al mondo di Lovecraft, ma non tengono conto dell’evoluzione che lo scrittore ha portato al genere, abbandonando diversi temi del tempo. Due in particolare: antichi castelli e vampiri; per questo motivo non ha senso accostare H.P. Lovecraft a videogiochi come Resident Evil, Vampyr e – anche se potrà sembrarvi strano – Amnesia: The Dark Descent.

Un discorso più complesso andrebbe fatto per tutte quelle opere che si ispirano all’evoluzione del pensiero di Lovecraft. Lo scrittore Stephen King e il regista John Carpenter hanno preso molto dal loro antenato, ma le loro opere non possono definirsi lovecraftiane, poiché c’è molto di più – e tanto di diverso – nei libri di King e nei film di Carpenter. Per questo motivo, ho escluso da questa classifica: Carrion, e tutti giochi in stile La Cosa, e Alan Wake, che prende a piene mani da diverse fonti.

Infine, va fatto un discorso ad hoc per Silent Hill. L’opera nipponica ricorda il racconto L’orrore di Dunwich; inoltre, il gioco è ambientato negli Stati Uniti. Però, anche se Silent Hill sembra molto ispirato al mondo di Lovecraft, non dobbiamo dimenticare che si tratta di un gioco giapponese e chiunque abbia avuto modo di approfondire la cultura – e l’horror – della nazione asiatica sa quanto gli spiriti e l’onirico siano amati dagli autori del Sol Levante. Basti pensare che in Giappone esiste il termine “Kwaidan”, un’unica parola che significa: “Storie di Fantasmi”.

Categorie
Editoriali Guide

Digimon Card Game: i migliori mazzi del meta

Dopo aver esaminato le regole e le meccaniche base di Digimon Card Game, in questo articolo ci addentriamo nel suo Meta, ovvero la conoscenza dei mazzi più forti e performanti del momento, presentando anche una panoramica degli archetipi basati sui colori delle carte.

I colori dell’arcobaleno

Come in molti altri TCG, primo fra tutti Magic, in Digimon le carte sono divise in base al loro colore.

Salvo rare eccezioni, ogni mazzo ha un solo colore dominante, sebbene negli ultimi tempi abbiano fatto la loro comparsa anche diversi mazzi multicolori. Il colore del mazzo determina le sue principali caratteristiche.

In modo simile a Magic, anche in Digimon cardgame avremo sei colori a disposizione.

Rosso

In Digimon Card Game, rosso è sinonimo di aggressività. Caratteristica comune di tutti i mazzi rossi è infatti la capacità di girare più carte dalla security avversaria con un solo attacco.

Questo crea una forte pressione, mettendoci in condizione di vincere la partita in pochi turni. Altra abilità caratteristica è piercing, che permette al Digimon attaccante di girare una security anche nel caso in cui il suo attacco venga rivolto contro un Digimon avversario (a patto naturalmente di riuscire a distruggerlo).

Le opzioni rosse inoltre spesso permettono di distruggere i pezzi avversari (anche più di uno alla volta), aumentando ulteriormente la potenza d’attacco di questi mazzi.

Blu

La parola d’ordine del colore blu è controllo. Numerosi effetti dei Digimon e delle opzioni blu infatti ci permettono di accrescere la nostra memoria (talvolta persino nel turno avversario), auqmando il nostro spazio di manovra e allo stesso tempo ponendo sempre l’avversario nella situazione di ritrovare i suoi piani scombinati.

I mazzi blu spesso hanno un draw power immenso (ovvero pescano molte carte extra) ed effetti offensivi molto insidiosi. Per esempio: posseggono la fastidiosa abilità di rimbalzare i Digimon in mano al loro proprietario o peggio, direttamente in fondo al mazzo.

Verde

Similmente al rosso, anche il verde è un colore prevalentemente offensivo.

I punti di forza dei mazzi sono: la capacità di riuscire a calare velocemente un alto numero di creature; evolvere molto rapidamente i propri Digimon.

Questo grazie ai costi di evoluzione molto bassi e all’abilità digisorption, che permette di evolvere gratuitamente il nostro Digimon; in questo caso, però, la nuova creatura entrerà in campo spossata.

I mazzi verdi, inoltre, sfruttano la possibilità di spossare i Digimon avversari, riuscendo a mantenere facilmente il vantaggio numerico sul terreno. Queste meccaniche, combinate al temibile piercing, rendono i mazzi verdi estremamente solidi e difficili da contrastare.

Ogni nuova espansione garantirà moltissimi nuovi mazzi

Giallo

La forza del colore giallo è da individuare nella sua incredibile capacità difensiva.

La caratteristica principale dei mazzi gialli sta nell’abilità recovery, che sposta le carte del mazzo direttamente nella zona security aumentando di conseguenza il numero di attacchi necessari all’avversario per vincere la partita.

Alcune carte gialle permettono persino di guardare le carte nella nostra security e riposizionarle a nostro piacimento.

Infine, è degna di nota la capacità delle carte gialle di andare ad azzerare i DP dei Digimon avversari, spedendoli nella pila degli scarti aggirando persino gli effetti in grado di proteggere dalla distruzione.

Viola

Punto di forza dei mazzi viola è l’enorme facilità nel distruggere i Digimon avversari. Le opzioni viola infatti hanno numerosissimi effetti in grado di decimare i pezzi dell’avversario, spesso anche a costi di memoria molto contenuti.

Tra le abilità più insidiose dei Digimon viola c’è da segnalare senz’altro retaliation. Grazie a questa abilità il nostro Digimon potrà distruggere qualsiasi Digimon nemico con cui combatterà, anche quelli con DP molto superiori.

Infine, viola gioca sfruttando la pila degli scarti, con abilità in grado di riportare in gioco i nostri Digimon eliminati o di sfruttare l’alto numero di carte scartate per innescare effetti davvero devastanti.

Nero

La meccanica dominante del colore nero consiste nel creare digimon con una linea evolutiva vastissima e, di conseguenza, con moltissimi effetti ereditari sotto di loro.

Questo porta alla messa in campo di un Digimon con un numero elevatissimo di effetti, in grado di fornire al suo possessore un enorme vantaggio nell’andamento della partita.

I mazzi neri inoltre possono contare sull’abilità dedigivolve, che fa scartare il Digimon di livello più alto della linea evolutiva dell’avversario, regrendendolo al livello precedente e talvolta causandone anche la distruzione.

Meccaniche speciali

In questa sezione andremo a discutere alcune meccaniche di gioco più specifiche, che hanno caratterizzato – o caratterizzano tuttora – il meta di Digimon Card Game Queste conoscenze sono utili per familiarizzare con alcuni degli aspetti più complessi e particolari del gioco.

Digimon Card Game presenta davvero un alto numero di meccaniche e strategie particolari.

Gli ibridi

Gli ibridi (Hybrids in inglese) sono una tipologia di carte Digimon accomunate da una caratteristica peculiare. Tutti i livelli 4 ibridi possono infatti digievolvere direttamente da una carta Tamer (come avveniva nella serie Digimon Frontier).

Questa particolarità li rende pericolosissimi; infatti, se la carta tamer si trova sul terreno dall’inizio del turno, il nostro mostriciattolo ha la facoltà di attaccare immediatamente dopo aver digievoluto.

L’espansione BT7 ha visto il dominio assoluto dei mazzi basati sugli ibridi, in virtù della loro grande versatilità, velocità ed imprevedibilità. Oggi, pur non essendo più dominanti nell’attuale meta di Digimon Card Game come in passato, restano carte molto importanti e possono facilmente fare la differenza tra vittoria e sconfitta.

Evoluzione DNA

L’evoluzione DNA (o Jogress in giapponese) ci permette di “fondere” insieme due dei nostri Digimon per dare origine ad una nuova e più potente creatura. Questa evoluzione permette notevoli vantaggi.

Il nuovo Digimon entra in campo a costo zero (donandoci comunque la sua pescata per la digievoluzione). Anche nel caso in cui i due Digimon originali fossero spossati, il nuovo mostro entra in campo recuperato.

Questa meccanica è stata introdotta dallo Starter Deck numero 9, dedicato ad Imperialdramon. Sebbene non siano ancora molti a mazzi a sfruttare la digievoluzione DNA, essa ha mostrato enormi potenzialità e non stupirebbe affatto se tornasse presto alla ribalta con nuovi e potentissime combinazioni anche nell’attuale meta di Digimon Card Game.

Gli X Antibody

X Antibody, oltre ad essere il nome di una carta opzione, è anche il nome di un intero archetipo di carte Digimon.

Saliti alla ribalta con l’espansione BT-9, queste carte hanno la caratteristica di evolvere a costi bassissimi (a volte anche nulli) da Digimon che condividano il loro nome.

Questo peculiarità permette la creazione di “pile” evolutive molto lunghe e consistenti, che forniscono un alto numero di effetti “ereditati”, di solito molto forti e in grado di proteggere il nostro Digimon dalle carte nemiche.

Fin dalla loro prima comparsa gli X Antibody si sono imposti nel meta di Digimon Card Game, andando a modificare in modo significativo lo stile di diversi mazzi.

Fino a BT-9 i giocatori tendevano a privilegiare la presenza di vari Digimon sul campo. Grazie agli X antibody, invece, la priorità è diventata evolvere fin dall’area di breeding il nostro Digimon.

Questo porta a mettere in campo una creatura terrificante, dotata di una linea evolutiva lunghissima e di numerosissimi effetti, in grado di renderlo estremamente difficile da eliminare e di decimare facilmente le forze nemiche.

I mazzi del momento

Per concludere, esaminiamo alcuni dei mazzi che hanno caratterizzato le ultime fasi del’attuale meta di Digimon Card Game. Molti di questi mazzi hanno vinto o quantomeno dominato gli ultimi grandi eventi legati al gioco competitivo.

Prima di cominciare, è importante precisare come il gioco sia in evoluzione costante, di conseguenza alcuni di questi mazzi potrebbero non essere più così performanti già dalle prossime settimane. Tuttavia resta interessante analizzarli per accrescere la conoscenza delle dinamiche e dell’evoluzione del gioco.

Alphamon

Alphamon è probabilmente il mazzo più completo e performante del’attuale meta di Digimon Card game.

Grazie al basso costo delle sue evoluzioni e al numero davvero incredibile di effetti che riesce ad accumulare nella breeding zone, Alphamon è facilmente in grado di decimare i Digimon avversari e allo stesso tempo di azzerare le carte nell’area security in brevissimo tempo.

Come se non bastasse, praticamente tutte le carte del mazzo hanno X antybody tra i loro tratti, creando fortissime sinergie con molte altre carte dell’espansione bt9, dedicata proprio a questo archetipo (il tamer Cool Boy su tutte).

Grande punto di forza del mazzo sono anche i suoi numerosi Tamers, in grado di dare ad Alphamon un ulteriore sprint verso la vittoria.

Il primo cavaliere reale in tutto il suo splendore.

Metalgarurumon-X antybody

Per molti giocatori, il mazzo più forte in assoluto è Metalgarurumon-X Antybody. Non a caso ha riportato anche vittorie importanti negli ultimi regionali italiani, svoltisi a Parma e Malpensa Fiera.

La forza principale di questo mazzo sta nella sua incredibile velocità, che consente al giocatore di iniziare ad attaccare già dopo aver raggiunto il livello 5 correndo pochissimi rischi grazie alle abilità difensive dei Garurumon X.

In più, come ogni mazzo blu che si rispetti, anche questo permette di pescare moltissime carte e offre un alto numero di fastidiose opzioni in grado di inceppare facilmente le offensive nemiche.

Infine, anche in questo caso i costi di evoluzione saranno molto contenuti, permettendo di schierare in breve tempo un gran  numero di pericolosi Digimon dotati di numerosi e letali effetti.

Metalgarurumon è il sovrano dei mazzi veloci ed aggressivi

Grandis Kuwagamon

Pur non avendo la stessa stabilità e varietà di altri mazzi dell’attuale meta di Digimon Card Game, Grandis possiede una forza offensiva impareggiabile.

Grandis Kuwagamon è facilmente in grado di chiudere ogni partita in pochissimi turni grazie alla: combinazione di un numero elevatissimo di security attack +1 (abilità che consente di girare una carta security aggiuntiva dopo ogni attacco); capacità di spossare i digimon avversari; abilità piercing.

Di contro, per poter attuare la sua strategia il mazzo avrà bisogno giocoforza di vedere le sue carte principali, data la mancanza di strategie alternative davvero valide; di conseguenza, una serie di pescate sfortunate potrebbero costare davvero caro al giocatore.

Le sfide a Digimon TCG spesso saranno una vera partita a scacchi

Wargreymon X Antybody

Anche il mazzo Wargreymon X Antybody fa della velocità e della potenza offensiva il suo punto di forza, in virtù dell’enorme potenza d’attacco dei suoi Digimon e della presenza di numerosi bonus Security attack +1.

In più, sia Wargreymon che la pericolosa opzione Delicate Plan rendono inefficaci le opzioni nell’area Security dell’avversario, permettendo di chiudere la partita con pochissimi attacchi.

Come se non bastasse, Wargreymon X ha l’abilità di accrescere la memoria del giocatore attraverso le security scartate, rendendo ancora più semplice infliggere il colpo di grazia.

Lo scarso numero di opzioni presenti nel mazzo non consente però al giocatore una buona fase difensiva.

Il temibile Wargreymon anche nel gioco di carte avrà una potenza offensiva enorme

D-reaper

Tra i mazzi analizzati, D-reaper è forse il più particolare. La nostra carta migliore, D-reaper Mother, esce infatti direttamente dall’area Breeding.

Compito del giocatore sarà andare a potenziare Mother attraverso i Searcher (non c’è limite al numero di copie di questa carta nel mazzo) che permettono di giocare gratuitamente il terribile Reaper, in grado di chiudere la partita in un singolo turno.

Il mazzo ha anche un incredibile potere difensivo, in virtù di un gran numero di creature in grado di attivare i loro effetti direttamente dalla security una volta girati dall’avversario.

Se tuttavia la strategia dovesse per qualsiasi motivo fallire, questo comporta quasi inevitabilmente la sconfitta, avendo il mazzo pochissime alternative offensive.

Il mazzo D reaper è croce e delizia per molti giocatori

Security Control

Mazzo che combina i colori giallo e viola in strategie estremamente insidiose e “snervanti”.

Questi mazzi, presenti nel gioco in un gran numero di varianti, sfruttano gli effetti recovery, in grado di andare a “rigenerare” la security inserendo al suo interno le carte del mazzo, talvolta persino scegliendole.

Oltre a questo, i mazzi Security Control giocano un gran numero di opzioni in grado: di azzerare i DP dei Digimon avversari; di riportare dagli scarti le proprie creature; di mandare i Digimon nemici direttamente nella security avversaria, aggirando qualsiasi effetto protettivo.

Altra caratteristica di Security control è l’altissimo numero di Tamers, i quali, soprattutto nelle fasi avanzate della partita, finiscono col fornire al giocatore vantaggi davvero enormi.

Unica pecca di questi mazzi è la loro lentezza iniziale, che permette a mazzi veloci ed aggressivi di andare a decimarli, prima che siano anche solo in grado di abbozzare una risposta.

Le meccaniche evolutive saranno la chiave per la vittoria in quasi tutti i mazzi.

Imperialdramon

E terminiamo con una vecchia gloria: Imperialdramon, che ha come base un semplice structure deck, in grado di imporsi grazie alla sua incredibile velocità e forza d’attacco.

Il mazzo di Imperialdramon è uno dei pochi a sfruttare a pieno la meccanica dna evolution, che consente una serie di evoluzioni a costo zero e, di conseguenza, consente al giocatore di sferrare una lunghissima serie di attacchi.

Imperialdramon sfrutta inoltre la meccanica jamming, che permette ai Digimon di sopravvivere alle battaglie in security con Digimon più potenti di loro. Infine, essendo sia verde che blu, il mazzo imperialdramon ha accesso ad un alto numero di opzioni che gli forniscono una stabilità notevole.

Pur non essendo più performante come al momento dell’uscita, questo mazzo resta una validissima alternativa, anche in virtù dei suoi prezzo molto ridotto rispetto ad altri mazzi del formato.