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Fenomenologia del videogioco: quando un titolo cattura il cuore

L’evoluzione del videogioco raccontata da come i videogiocatori amano le opere videoludiche

Terminare un videogame che si è tanto amato e che ci ha tenuti incollati allo schermo per ore (dimenticando il mondo che scorre fuori) è sempre una grandissima emozione. Arrivare al culmine di una storia e conquistarne l’epilogo è qualcosa di magico e, al contempo, di tragico.

Già perché concludere un gioco ci porta inevitabilmente a smettere di giocarci, con buona pace di tutto il piacere che si è provato nel tragitto. Certo, possiamo rigiocarlo, scegliendo, laddove fosse possibile, soluzioni alternative, strategie non provate prima o aumentando la difficoltà ma, diciamocela tutta: è la prima volta quella che non si scorda mai.

Personalmente, alcuni giochi che fanno parte del mio vissuto tendo a rigiocarli ciclicamente, anche se col passare del tempo, i cicli si stanno sempre più dilatando e alcuni titoli sono stati inghiottiti dal passato come ricordi infantili.

Eppure, nel mio animo di videogiocatore c’è sempre una vocina che non vuole lasciar andare del tutto quei titoli che hanno riempito i pomeriggi (e le notti), che mi hanno fatto sorridere, sussultare, commuovere e arrabbiare.

Ognuno ha il suo modo di coltivare questo ricordo. Molti scelgono la via del racconto, riempiendo di chiacchiere la testa di amici e parenti spesso del tutto disinteressati. Quante volte, (ahilei) ho raccontato a mia moglie ogni dettaglio di un titolo che mi aveva particolarmente preso… proprio a lei che è ferma a Maniac Mansion e che manco se lo ricorda. Credo che, ogni volta, per lei sia come imbattersi in un enorme spoiler di una serie TV che non le interessa e che non vedrà mai: spallucce e via verso informazioni più interessanti.

Vedere, però, lo sguardo assente e noncurante della persona a cui stai raccontando la tua esperienza mistica è assai svilente. Loro ci provano anche a prestarti attenzione, a farti sfogare, ad assecondare la tua passione ma è tutto inutile: se non sei un videogiocatore incallito, non potrai mai capire. E’ ovvio che confrontarsi con chi ha amato quel titolo quanto e come te sarebbe interessante e stimolante ma è impossibile per chiunque vivere esattamente le tue emozioni e trasferirle in qualche forum attendendo risposta non mi soddisfa, anzi, mi fa sentire come un drogato alla ricerca della sua dose quotidiana.

Maniac Mansion

Ed ecco che la strada maestra che seguo per rivivere le emozioni di gioco è quella di cercare in rete qualunque cosa parli del gioco stesso. Badate bene: non le recensioni che vivono della soggettività di chi le scrive e che potrebbero farmi facilmente alterare qualora dovessero sminuire un gioco da me amato. Mi riferisco, invece, alle particolarità di tutto ciò che ruota attorno al gioco.

Sto lì a gustarmi la storia della sua creazione, qualche chicca tecnica, informazioni relative al sceneggiatura che, magari, era all’origine diversa e così via. Mi informo, qualora non lo conoscessi di fama, di chi sia il creatore del titolo, della sua storia, di quali sono i suoi lavori passati e quali, magari, sono già in cantiere per il futuro. Devo dire che, però, per la passione che nutro, è difficile che mi trovi di fronte ad un autore completamente sconosciuto e, quindi, il tempo che dedico a capire chi è la mente dietro al mio capolavoro di turno è assai poco.

Ken Levine: l’uomo dietro Bioshock, Thief e molte altre opere di successo

Molto più lungo e spalmato è, invece, il tempo che impiego per cercare in rete gli schizzi degli artisti grafici che hanno creato i personaggi da me poi amati. Guardo rapito i modelli scartati, quelli alla fine scelti e le piccole variazioni che i programmatori e i designer hanno portato sullo schermo.

Vi porto un esempio: nella versione director’s cut di Bioshock, uno dei miei giochi preferiti (e ne parlo anche in un articolo dedicato alla trilogia), terminato il gioco, si accede ad una sorta di museo all’interno del quale è possibile ammirare i modelli di tutti i personaggi dell’avventura corredati da una spiegazione sulla loro storia, le fasi di lavorazione ed, eventualmente, anche i nomi di prova scartati.

Sono presenti i lavori dei disegnatori, le modifiche, le cancellazioni, i personaggi mai inseriti e i disegni scartati. E’ possibile fare anche una sorta di giro guidato all’interno di un livello mai terminato.

Insomma, un vero e proprio “nerdvana” nel quale mi sono perso per un tempo indefinito, interminabile e meraviglioso.

Uno dei tanti modelli presenti nel museo di Bioshock

Fino a qualche anno fa, tutto quello che vi sto raccontando non era possibile. L’assenza di internet (sì, lo so: sono vecchio) e di portali dedicati rendeva assai scarno ciò che potessimo trovare. Anzi, in realtà non ci restava che acquistare riviste di settore con allegato qualche gadget oppure le versione deluxe del gioco in questione contenenti modellini e qualche altra diavoleria. Nulla che mi entusiasmasse grandemente.

Sì, perché quello che intendo io, da intimista del gioco, non è accumunabile al collezionismo o all’essere fan nel senso più spudorato del termine. Certo, anche io ho le mie collezioni e le mie action figure che custodisco gelosamente ma, quando si tratta di un videogame, parlo di qualcosa di profondamente diverso dal divismo.

In ogni notizia, ogni portale, ogni tavola in bianco e nero io rivedo i momenti di gioco, rivivo le emozioni provate nel progredire. E’ difficile da spiegare ma, ne sono sicuro, tanti di voi (si spera) che leggeranno questo articolo capiranno di cosa sto parlando.

La cultura del gioco si sta trasformando. E’ molto più mordi e fuggi. E’ tutto basato sulle stagioni, sui pass mensili, sugli aggiornamenti e sul cambiare ad ogni passo qualcosa.

Personalmente, non sono amante di questa ricerca spasmodica del nuovo. Soprattutto non lo sono di titoli finiti che sono lì perché qualcuno li ha concepiti così e che, quindi, meritano di sopravvivere alla forza dirompente del tempo.

Del resto le pietre miliari sono ai bordi delle strade da tempo immemore, quindi perché voler cambiare per forza i connotati ad una “pietra miliare” video ludica che, invece, va ammirata e goduta per quel che è e che sarà.

Di Attilio Alvino

La mia vita ruota attorno ai videogame da quando sono nato e, ancora oggi, a 40 anni suonati, continuano ad avere un ruolo fondamentale. Venero il Commodore 64 e prediligo il PC game: datemi tastiera e mouse e vi conquisterò il mondo!

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2 risposte su “Fenomenologia del videogioco: quando un titolo cattura il cuore”

Carissimo, sei appena riuscito a descrivermi quindi ti sento molto vicino. Di anni ne ho 10 più di te, eppure più invecchio, più gioco, più approfondisco ed amo il videogioco come opera, molto al di là del puro atto ludico.
Dovresti fare un canale su questi argomenti per boomer. Se sei su qualche forum fammi sapere.

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