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Editoriali

Perché Mortal Kombat ha fatto la storia dei videogiochi

Mortal Kombat è senza dubbio uno dei picchiaduro più famosi al mondo. Ma cos’è che lo rende così speciale? Ecco un viaggio di scoperta tra violenza, magia e fenomenologia di un mito

Finish him”! Alzi la mano chi ricorda in quale videogame si sentono queste parole pronunciate da una voce profonda e cavernosa. Tutti, vero? Già, perché nessun videogiocatore può misconoscere “Mortal Kombat”. Questo iconico picchiaduro si trasformò ben presto in un must have di qualunque amante dei videogame, a prescindere dal genere preferito.

Chi come me ha sulle spalle parecchi lustri ormai, ha ancora i brividi nel ricordare la straordinaria brutalità di MK. Basti pensare che un altro imperatore dei picchiaduro, Street Fighter II, ricevette critiche per i disegni troppo forti dei combattenti battuti alla fine di ogni round. E quei disegni non hanno scandalizzato neppure un cucciolo di unicorno.

E invece Ed Boon e John Tobias nel 1992 decisero di spezzare una volta per tutte le catene del PEGI. Con Mortal Kombat inondarono di sangue, ossa e budella tutti gli schermi del mondo. In seguito alle proteste di diverse associazioni venne poi approntata in fretta e furia una patch che eliminava il sangue. Diciamocelo, però: in realtà nessuno l’ha mai usata.

Già, perché Mortal Kombat non affronta il tema della violenza in modo morboso. Ci si tuffa a piè pari senza limitarsi, facendo il giro e diventando sublime. Va a toccare le corde più profonde dell’essere umano, lo dilania dall’interno e ne scopre le carte.

Badate bene, non ho alcun interesse a fare filosofia spicciola, tutt’altro. Ma parlare di Mortal Kombat senza introdurre il tema degli istinti umani è impossibile.

Mortal Kombat

Tutto parte da una domanda ben precisa: perché nel lontano 1992 Mortal Kombat ebbe un successo talmente abbagliante da garantirsi uno stuolo di sequel che sono culminati, 31 anni dopo, con un remake del primo capitolo?

Potremmo rispondere parlando del comparto tecnico. Le scelte stilistiche, i colori, la caratterizzazione splendida dei personaggi (per approfondire tali argomenti rimando allo splendido pezzo del collega Marco Gioletta). Ma saremmo lontani dalla verità totale.

Badate bene, MK fu un vero e proprio big bang visivo per l’epoca. Con un colpo di spugna insanguinata furono relegati in un angolo i seppur splendidi disegni di Ryu, Ken, Blanka e compagnia cantante. Al loro posto apparvero sullo schermo personaggi assai più reali. Ciò fu possibile grazie alla grafica digitalizzata e del campionamento di movimenti fatti da atleti in carne ed ossa. Il risultato fu un film di kung fu infinito nei cabinati di tutte le sale giochi del mondo.

Ma bastò questo a trasformare Mortal Kombal nel più giocato picchiaduro di tutti i tempi? Fu davvero una mera questione grafico/stilistica? La risposta è semplice: no.

Mortal Kombat, invece, rispondeva a tutti i sentimenti che i giocatori di picchiaduro provano durante un match: la voglia di uccidere l’avversario, dilaniarlo, distruggerlo, spazzarlo via. Guardate le espressioni tirate dei gamer, per cercare di capire. Ancora di più, guardate l’estrema soddisfazione che si legge nel volto di quanti, vinti 2 round su 3, azzeccano la combinazione di tasti per sferrare la Fatality. Un godimento assoluto, ancestrale, animalesco. Fino a MK, battere l’avversario significava vederlo a tappeto, ora assumeva un senso tutto nuovo, macabro, violento, potente.

In un certo senso, se vogliamo, un illustre successore di MK, Tekken, coglie il nocciolo della questione. Pur non copiandone (giustamente) lo stile, trasforma i match in una battaglia di supremazia. Nello scontro è possibile, scegliendo tempestivamente le varie combinazioni, realizzare combo talmente lunghe e potenti da impedire, di fatto, all’avversario di contrattaccare fino alla sconfitta (Qualcuno ricorda un certo King…?)

Mortal Kombat fu proprio questo, e ritengo, non a caso fu scelta una grafica il più prossima, per l’epoca, al reale. Sullo schermo dovevano esserci delle persone da uccidere, sbudellare, fare a pezzi, schiacciare e tagliuzzare alla julienne.

Da quel primo, fantastico capostipite, MK ha visto un susseguirsi inarrestabile di sequel che mai hanno abbandonato il tema centrale della violenza. Certo, successivamente sono state introdotte anche le babality (per trasformare gli avversari in neonati indifesi) e le friendship (con cui il vincitore stringe un patto di amicizia con lo sconfitto). Ma, diciamoci la verità: hanno un sapore dolce/amaro. A tal proposito ho amato alla follia, la finta friendship di Joker nel recente Mortal Kombat 11. Durante la quale il folle arcinemico di Batman apparecchia tutto per accogliere lo sconfitto per poi finirlo inaspettatamente.

Ma quindi, Mortal Kombat è solo e soltanto violenza? Assolutamente no. Vale la pena fare una sottolineatura importante per evitare che ciò che sto scrivendo possa essere tacciato di miopia e faciloneria.

Mortal Kombat è un titolo che esalta la violenza e la assurge a tema fondamentale, ma non si esaurisce lì. Mortal Kombat è, probabilmente, uno dei titoli con la trama più lunga e meglio gestita dell’intera storia videoludica. I personaggi hanno alle spalle storie complesse, mitiche, magiche e anche tragiche. Sono caratterizzati in modo minuzioso, molto di più di qualunque altro combattente che appartiene ad altre dinastie videoludiche.

Non è un caso, infatti, che Mortal Kombat abbia ben presto sfondato la parete videoludica interessando sceneggiatori e registi cinematografici. I risultati, del 1995 e del 2021 non hanno fatto gridare al miracolo, ma sono sicuramente la dimostrazione che il franchise abbia qualcosa (molto) da raccontare al di là dei combattimenti e del sangue.

In definitiva, Mortal Kombat è riuscito e riesce tutt’ora a raggiungere livelli epici sia da un punto di vista estetico (l’estetica del macabro ovviamente) che da quello della narrazione. Dalla sua nascita ha fagocitato la preferenza di quasi la totalità degli amanti di genere, lasciando agli altri una buona fetta di consensi e poco altro (Tekken e Street Fighter non sono titoli dimenticati e continuano ad avere milioni di appassionati).

La saga oggi rinasce con un remake che sta già facendo discutere e che, ci scommettiamo, continuerà a far parlare di sé per parecchio tempo. Intanto noi amanti di MK ci lasciamo trasportare dalle sue atmosfere mistiche, affascinare dai suoi personaggi fantastici e torcere le budella per la sua eccessiva e scanzonata violenza.

Di Attilio Alvino

La mia vita ruota attorno ai videogame da quando sono nato e, ancora oggi, a 40 anni suonati, continuano ad avere un ruolo fondamentale. Venero il Commodore 64 e prediligo il PC game: datemi tastiera e mouse e vi conquisterò il mondo!

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4 risposte su “Perché Mortal Kombat ha fatto la storia dei videogiochi”

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