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Donkey Kong: la saga completa

Da poche settimane Nintendo Switch 2 ha fatto la sua comparsa nei negozi di tutto il mondo. Sebbene il parco titoli della nuova portatile Nintendo appaia ancora un po’ limitato, c’è un gioco che fin dai primi trailer è riuscito a lasciare il segno. Ci stiamo naturalmente riferendo a Donkey Kong Bananza, nuovissimo platform 3d dedicato al mitico gorillone.

Per ingannare l’attesa che ci separa dalla release del gioco (vedi qui per altre curiosità), ripercorriamo insieme la storia dei giochi dedicati a Donkey Kong. Sarà un viaggio davvero lungo, che partirà dagli albori della storia del videogioco per condurci fino ai giorni nostri. Afferriamo la prima liana a disposizione e lanciamoci, senza dimenticare la nostra scorta di banane!

Le origini di Donkey Kong

Donkey Kong

Come molti sapranno, il primo gioco dedicato a Donkey Kong apparve in versione arcade nel 1981. In questo semplice gioco action il nostro gorilla svolgeva il ruolo di antagonista, mentre il giocatore vestiva i panni di Mario, qui alla sua prima apparizione. Il gioco ottenne un ottimo successo e venne convertito per tutti i principali sistemi dell’epoca, oltre ad una successiva conversione per Game Boy.

L’anno successivo apparve Donkey Kong Jr., che proponeva un rovesciamento dei ruoli. Stavolta il giocatore impersonava Donkey Kong Junior e aveva il compito di liberare il padre, tenuto prigioniero proprio da Mario. Anche questo gioco ottenne un buon successo, grazie alla sua semplicità e alla qualità dei controlli.

Completa la trilogia Donkey Kong 3, uscito nel 1983. Si tratta, questa volta, di una sorta di sparatutto in cui il giocatore veste i panni del giardiniere Stanley. Compito del protagonista sarà abbattere gli insetti che Donkey Kong scatena incessantemente contro le sue piante scuotendo le liane. Pur restando un giochino divertente, Donkey Kong 3 non ottenne il successo dei suoi predecessori.

La consacrazione

Donkey Kong

Dopo un lungo periodo di assenza, in cui il nostro gorillone apparve solo come guest star (per esempio in super Mario Kart), nel 1994 giunse il momento della consacrazione definitiva del muscoloso scimmione. Quell’anno infatti uscì per il leggendario SNES Donkey Kong Country, platform in grafica pre-renderizzata frutto della collaborazione tra Nintendo e Rareware.

Country raccontava la lotta tra il nostro Donkey (che è in realtà Donkey Kong Jr, dato che il Donkey Kong originale è ora un simpatico vecchietto chiamato Cranky) e i malvagi Kremlings, colpevoli di aver trafugato la preziosa raccolta di banane del nostro eroe. Al fianco di Donkey troviamo per la prima volta il piccolo Diddy, il nipote nonché migliore amico del protagonista.

Il gioco ottenne un successo semplicemente strepitoso, divenendo il terzo gioco più venduto di sempre per Super Nintendo. Country proponeva un gameplay davvero solido, che univa un sistema di controllo divertente ed appagante ad un livello di difficoltà di tutto rispetto, che richiedeva ai giocatori grande costanza e pratica per riuscire a venire a capo dei livelli più complessi. Inoltre, ogni livello nascondeva diverse stanze bonus, che andavano sbloccate tutte per aver accesso al miglior finale del gioco. Era possibile passare in ogni momento da Donkey a Diddy, per sfruttare al meglio le capacità di entrambi in modo da superare i vari nemici ed ostacoli di ogni stage.

Il successo del gioco tuttavia fu dovuto soprattutto al suo aspetto grafico, che lo poneva molto al di sopra di qualunque altro gioco visto fino a quel momento su SNES e non sfigurava nemmeno se confrontato con le nuove console a 32 bit. In definitiva, Country fu un successo davvero epocale, e ciò spinse Nintendo a tentare di valorizzare al massimo questa IP.

Gli eredi della leggenda

L’anno successivo venne pubblicato, sempre su SNES, Donkey Kong Country 2: Diddy’s Kong Quest. In questo gioco Rare compì la scelta ardita di accantonare Donkey. Il ruolo di protagonista assoluto fu infatti assunto dal piccolo Diddy che, al fianco dell’amichetta Dixie, aveva proprio il compito di liberare Donkey, rapito dai kremlings.

Il gioco ripropone la formula del capitolo originale andando a potenziarne ogni aspetto. La grafica, benché molto simile a quella del predecessore, appariva ancora più pulita e spettacolare. Il gameplay dei livelli era ancora più vario e sfruttava ancor più che in precedenza la presenza degli animali da cavalcare, ognuno dotato di abilità uniche.

Tuttavia, il gioco non riuscì a ripetere la magia dell’originale, complice l’uscita, nello stesso anno, di Yoshi’s Island, che lo surclassava sotto molti aspetti. Inoltre DK Country 2 soffriva di un’eccessiva somiglianza col predecessore. Anche i due protagonisti erano davvero troppo simili tra loro e non seppero replicare il feeling dell’accoppiata Donkey-Diddy. Tuttavia, il gioco riuscì ad ottenere un ottimo successo di pubblico e critica.

Non c’è due senza tre

L’anno successivo fu la volta di Donkey Kong Country 3: Dixie Double Trouble. Seguendo la formula del suo predecessore, questa volta il ruolo di protagonista passò a Dixie, spalleggiata dall’enorme e bambinesco Kiddy Kong. Anche questo terzo episodio risultava davvero molto simile ai primi due capitoli, con la sola aggiunta di alcuni elementi tipici degli RPG, come oggetti da raccogliere e scambiare per avere accesso a nuove aree.

L’accoglienza al gioco stavolta fu mista. Se da un lato venne elogiato il motore grafico, che spingeva lo SNES al suo limite, venne criticata la mancanza di novità realmente impattanti sul gameplay. Anche le vendite non premiarono DK Country 3, anche a causa della presenza ormai consolidata delle console a 32 bit.

Avventure portatili

Il successo della saga DK Country spinse Nintendo a realizzare una serie di porting anche per la sua immortale portatile, ovvero il Game Boy. Nel 1995 apparve Donkey Kong Land, versione portatile del primo Donkey Kong Country. Pur presentando una grafica molto semplificata ed un design dei livelli ridotto, il gioco riuscì abbastanza bene a riproporre la giocabilità ed il feeling del gioco originale.

Donkey Kong Land ebbe due sequel, ispirati ovviamente agli altri episodi della saga su SNES. Pur senza far gridare al miracolo, tutti e tre i giochi riscossero un buon successo. Interessante il fatto che nel 2000 venne realizzato per Game Boy Color un ulteriore conversione del primo DK Country, quasi identica all’originale tranne che per la grafica, per forza di cose meno curata.

Balzo nella terza dimensione

Per il prossimo episodio della serie dobbiamo fare un balzo fino al 1999. Il Nintendo 64 era ormai a metà del suo ciclo vitale e le prime console a 128 bit inizavano ad affacciarsi sul mercato. Nintendo pensò bene di rispolverare uno dei suoi cavalli da battaglia per inserirlo, come era accaduto con Super Mario, in un nuovo contesto tridimensionale. Ecco dunque arrivare Donkey Kong 64.

Il gioco, pur non raggiungendo i livelli di magnificenza di Super Mario 64, era comunque un platform molto solido, vasto ed estremamente divertente. Il gioco riproponeva la sfida tra la famiglia Kong e i Kremlings. Oltre a Donkey, il giocatore poteva impersonare ben 4 nuovi personaggi, tra cui l’immancabile Diddy. Questo, unito alla vastità dei livelli e al gran numero di collezionabili, donava a Donkey Kong 64 una grande varietà e longevità.

Tanti esperimenti

Dopo Donkey Kong 64, il nostro amato gorillone visse un periodo molto particolare. Più che puntare su un nuovo episodio della saga principale, Nintendo preferì inserire Donkey Kong in un enorme numero di serie “alternative”.

Un esempio fu una serie di giochi di guida, inaugurata da Diddy Kong Racing del 1997 per Nintendo 64 e proseguita con Donkey Kong Jet Race per Wii e Diddy Kong Racing DS. Vennero poi realizzati anche dei particolari platform pensati per console portatili, come DK King of Swing e Donkey Kong Jungle Climber, sempre per Nintendo DS.

Nel 2004 fu inaugurata su GBA la serie Mario vs Donkey Kong, che vanta un enorme numero di episodi. Si tratta di una serie di giochi portatili a metà strada tra platform e rompicapo, il cui episodio più recente, Mini Mario & Friends: Amiibo Challenge è apparso nel 2016 su 3DS.

Ma l’esperimento più riuscito in assoluto fu probabilmente la serie Donkey Konga, iniziata nel 2003 su Nintendo Gamecube. Abbiamo stavolta a che fare con un rythm game davvero particolare, che necessita dell’uso dei DK bongos, speciali controller a forma di tamburo. Il gioco ebbe due sequel, oltre ad un enorme successo.

Proprio l’ottima accoglienza di Konga spinse Nintendo a realizzare un altro gioco molto interessante, ovvero Donkey Kong Jungle Beat. Questo titolo, uscito nel 2005 per Gamecube ed in seguito convertito anche per Wii, mischiava le meccaniche tipiche di un platform ad un sistema di controllo che utilizzava i DK bongos per controllare i movimenti delle nostre scimmie. Sebbene i controlli risultassero piuttosto limitati, la sua grande originalità permise a Jungle Beat di ottenere un buon successo di critica e pubblico.

Ritorno in pompa magna

Nel 2010, dopo una lunghissima attesa, la saga di Donkey Kong Country ebbe finalmente un nuovo episodio. In quell’anno uscì infatti per Nintendo Wii, sotto la produzione di Retro Studios, Donkey Kong Country Returns. Il gioco si presentava come un classico platform 2d, pur avendo una grafica interamente tridimensionale e alcune particolari meccaniche legate proprio alla terza dimensione.

Donkey e Diddy devono stavolta vedersela con la tribù dei Tiki Tak, misteriosi nemici dalle sembianze di strumenti musicali. Per giungere alla loro torre e al confronto col loro capo, le due scimmie devono attraversare otto ambientazioni diverse, ricche di livelli, segreti nascosti, nemici ed ostacoli di ogni genere.

Returns presenta un livello di difficoltà davvero alto e a tratti punitivo, soprattutto nei livelli con regole “speciali”, come ad esempio quelli alla guida di barili razzo oppure alcune sezioni in cui i Donkey e Diddy devono fuggire da orde di scarafaggi assassini.

La situazione è ancora peggiore nella modalità cooperativa dove, senza un’adeguata coordinazione, proseguire nel gioco è praticamente impossibile. Il gioco ricevette comunque un’ottima accoglienza e realizzò delle vendite di tutto rispetto, al punto da essere convertito anche per 3DS nel 2013. Nel 2024 è stata addirittura realizzata una versione HD del gioco per Switch.

Ghiaccio tropicale

Vista l’ottima accoglienza riservata a returns, retro Studios realizzò una nuova avventura, stavolta per Nintendo Wii U. Ecco dunque arrivare Donkey Kong Country: Tropical Freeze. Il gioco riproponeva in maniera quasi invariata la formula del titolo precedente, con un gioco bidimensionale realizzato in ambiente 3D. Stavolta però è tutta la famiglia Kong a venire coinvolta nella sfida alla minaccia dei Nevichinghi, bizzarri animali intenzionati a congelare l’intera isola dei Kong.

Il giocatore stavolta ha a disposizione 5 personaggi, ognuno con abilità peculiari, che possono essere scelti e scambiati in ogni momento. Questo dona al gameplay una varietà e (scusate la battuta) una freschezza molto maggiore rispetto al predecessore, rendendo l’avventura più scorrevole e divertente. Anche il livello di difficoltà, pur di ottimo livello, non raggiunge i livelli di frustrazione del titolo precedente, rendendo più scorrevole il gioco, soprattutto in modalità multigiocatore. Anche tropical Freeze godette di una conversione per Switch, realizzata nel 2018.

Ed eccoci ai giorni nostri e a Donkey Kong Banaza, in arrivo nei prossimi mesi per Nintendo Switch 2. I primi trailer hanno molto ben impressionato ed il gioco ha l’arduo compito di fungere da prima vera killer application per il nuovo sistema Nintendo. Sarà all’altezza del compito? Solo il tempo ce lo dirà. Tuttavia, noi fan di vecchia data del gorillone non possiamo che essere fiduciosi. Siamo anzi sicuri che il nostro mangia-banane riuscirà a stupirci di nuovo!

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Nintendo Switch 2 Unboxing

Vi ricordate quando da piccoli, per Natale o per il compleanno, vi regalavano una nuova console? Per chi ha superato gli anta potremmo parlare di un Master System o di un Mega Drive. O magari di un Nes o Super Nes per i fan di Nintendo. Una cosa però accomunava tutti i videogiocatori del mondo: l’apertura della scatola e l’estrazione della console appena ricevuta.

Nintendo Switch 2
Confezione bundle con Mario Kart World

Un rituale quasi mistico, in cui bisognava essere rigorosamente da soli nella stanza per gustare appieno il momento. Roba da appassionati, roba da nerd, roba che anche se hai superato gli anta ed i videogiochi sono ancora il tuo pane quotidiano, continua ad essere così!

Dopo anni di attesa, mesi di speculazioni e leak più o meno veritieri, il 5 giugno scorso è finalmente uscita Nintendo Switch 2. Nintendo, dopo aver creato il giusto hype con i suoi direct e le experience in giro per il mondo, ha finalmente “regalato”, urbi et orbi, la gioia di ricevere l’attesissima console.

Nintendo Switch 2
Gli spazi sono ben strutturati

E come potevamo noi de ilVideogiocatore.it non approfittare di questo momento per una bella unboxing? Andiamo senza indugi quindi ad esplorare ed analizzare il contenuto della confezione e le principali caratteristiche della console.

Confezione

La prima cosa che notiamo esternamente è che la confezione, in linea con la prima Switch, è bella compatta, quasi minimalista e di dimensioni leggermente inferiori allo scatolame della Oled. All’apertura della stessa, molto comoda in verità, ci rendiamo conto che la disposizione è ben ordinata e fluida.

Troveremo all’interno della confezione la Nintendo Switch 2, ovvero il cuore del sistema, con un design raffinato e migliorato rispetto alla predecessora. Segnaliamo che la nuova Switch monta di default una pellicola per lo schermo pre applicata da Nintendo per proteggerlo dalle rotture, pellicola sottilissima ed impercettibile. Niente vi vieta di applicarne un’altra a vostro piacimento ma il consiglio è quello di non rimuovere quella applicata dalla casa.

Nintendo Switch 2
Spazio anche per i manuali

Avremo poi il dock (4K ready) che consente di connettere la console al TV. I due Joy Con 2, più grandi rispetto ai predecessori e con una ergonomia migliorata per una presa più efficace. Segue l’immancabile cavetteria che, nel caso specifico, comprende un cavo per l’alimentazione e ricarica rapida della console di tipo USB C e un cavo HDMI alta velocità necessario per il collegamento tra il TV e il dock.

A completare la dotazione hardware vi sono i laccetti da applicare ai Joy Con 2, per una presa migliore con gli stessi sganciati dal corpo della console. Completano la dotazione una serie di manuali, tra i quali, per noi che abbiamo scelto il bundle, anche il codice relativo a Mario Kart World.

Istruzioni veloci per essere subito operativi

Feeling

Estratta finalmente la console dalla confezione, si nota subita la qualità costruttiva, che trasmette una sensazione più premium, anche a livello di materiali, rispetto alla prima che era decisamente “giocattolosa “. La finitura opaca rende meglio nel gioco in mobilità.

I Joy Con 2 si agganciano magneticamente alla console, in una presa inaspettatamente saldissima, sono facili da sganciare tramite l’apposito tasto e facili da agganciare perché basta avvicinarli ed i magneti rendono l’operazione semplicissima.

Il dock è più grande rispetto al precedente ma per una ragione ben precisa, integra una ventola per gestire il refresh rate più elevato ed una risoluzione a 4K quando la console è in modalità TV. Garantendo quindi una esperienza più fluida e dettagliata.

I laccetti, oltre a svolgere la funzione classica, cioè quella di evitare di far cadere i Joy Con 2. Una volta sganciati dal corpo della console, hanno anche la fondamentale caratteristica di agevolare, per conformazione. L’utilizzo dei Joy Con 2 in versione mouse, integrando dei sensori specifici e piccole superfici di scivolamento ad hoc.

Scheda SD Express di nuova generazione e coppia di volanti per Switch 2 -non inclusi nella confezione-

In conclusione l’unboxing della nuova console Nintendo è soddisfacente, e regala stupore ad ogni pezzo estratto dalla confezione. Complice anche il fatto che la console sembra avere un buon feeling grazie ai materiali utilizzati e la sensazione che dà nell’utilizzo portatile. Ora non resta che testare i giochi!

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Retro Classic su Xbox Game Pass: la rivoluzione del retrogaming?

Negli ultimi anni, il mondo dei videogiochi ha assistito a un fenomeno sempre più evidente: la riscoperta del passato. Ne sono testimonianza gli innumerevoli siti, riviste online e non, emulatori…il vintage attira.

Retro Classic, la nuova raccolta di giochi vintage su Xbox Game Pass, non è solo un omaggio ai grandi titoli degli anni ‘80 e ‘90, ma una vera e propria dichiarazione d’amore per una generazione di giocatori cresciuta tra pixel meravigliosi e colonne sonore in formato MIDI indimenticabili e che per l’epoca sembravano un sogno.

Un portale verso il passato

Immagina di accendere la tua console e ritrovarti catapultato in un’epoca in cui le sale giochi ruggivano di vita, i joystick cigolavano sotto la pressione delle dita e ogni pixel rappresentava una sfida epica. Retro Classic fa esattamente questo: spalanca le porte del passato e permette a nuove generazioni di scoprire tesori dimenticati, e ai veterani di tornare ai giorni gloriosi delle loro prime avventure digitali e da bar.

Tra i titoli disponibili ci sono leggende che hanno definito il gaming. Platform frenetici, sparatutto strategici e rompicapo che mettevano alla prova la tua astuzia: ogni gioco è una capsula del tempo che racconta una storia unica, fatta di innovazione, sfide e, soprattutto, divertimento puro. Divertimento che, ahimè, non sempre è scontato nelle opere odierne, anche se si definiscono tripla A. Ma titoli come Robin Hood, Commando, Pitfall e Pitfall II, Mechwarrior e Mechwarrior 2 tra l’altro per diverse piattaforme: DOS, Amiga, Atari, SNES sono una sicurezza sul divertimento che la raccolta propone.

Videogiochi: un’eredità da custodire

Parlare di retrogaming oggi significa anche affrontare un tema molto importante: la preservazione del patrimonio videoludico. Se il cinema ha la sua cineteca e la letteratura i suoi archivi, i videogiochi si trovano spesso a lottare contro l’incedere del tempo. Vecchi hardware che smettono di funzionare, formati ormai desueti, licenze dimenticate: senza iniziative come Retro Classic, molte gemme digitali sarebbero destinate a scomparire.

Microsoft, con questa raccolta, si fa custode di un’eredità culturale che rischiava di svanire, dimostrando che il valore di un gioco non si misura solo in grafica fotorealistica o mondi aperti vastissimi, ma nella sua capacità di divertire, stupire e rimanere nel cuore dei giocatori.

Nintendo e Microsoft: due visioni differenti

Non si può parlare di retrogaming senza citare Nintendo con la quale mettiamo a confronto l’iniziativa Microsoft. Nintendo pioniera indiscussa della nostalgia videoludica. La sua raccolta di giochi classici su Nintendo Switch Online segue una filosofia diversa: meno titoli, selezionati con cura, ma fortemente legati alla storia della compagnia. Super Mario, Zelda, Metroid: l’approccio della grande N è più museale, quasi “sacrale”, mentre Microsoft punta sulla quantità e sull’accessibilità.

L’esperienza offerta da Retro Classic è più dinamica e aperta: achievement, sfide online, funzionalità moderne, mentre Nintendo preserva un’esperienza quanto più vicina all’originale. Entrambe le visioni hanno il loro fascino: una celebra il passato come qualcosa di immutabile, l’altra lo trasforma per adattarlo ai tempi moderni.

Ma in ogni caso l’obiettivo è quello, mantenere il ricordo di ciò che è stato per ricordarci da dove veniamo e capire meglio dove vogliamo andare.

Conclusioni: il futuro del passato

La vera domanda che emerge da tutto questo è: quanto vale il nostro passato videoludico? È solo nostalgia, o è un pezzo fondamentale della nostra cultura digitale? Retro Classic non è soltanto una raccolta di giochi, ma un manifesto che grida a gran voce che il passato conta. E non solo per chi c’era, ma anche per chi lo scopre per la prima volta.

In un’epoca in cui tutto evolve a ritmi forsennati, c’è qualcosa di incredibilmente potente nel tornare indietro e riscoprire le radici di ciò che oggi diamo per scontato. E se il futuro del gaming dipende dalla sua storia, Retro Classic è un ottimo modo per viaggiare nel tempo.

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Wii: la rivoluzione e i migliori giochi della console Nintendo più originale

A circa vent’anni dal suo debutto, con questo articolo desideriamo analizzare il fenomeno Nintendo Wii, una console che, secondo nostro modesto parere, è riuscita nell’arduo compito di piacere a tutti, grandi e piccini.

Parlando di Nintendo Wii, infatti, ci troviamo di fronte a una console che non solo ha ridefinito il gaming, ma ha anche introdotto un nuovo approccio all’intrattenimento elettronico. Approfondiamo i dettagli della sua creazione, le innovazioni tecniche e l’incredibile influenza culturale che questa console ha avuto.

La nascita di una rivoluzione

La nascita della Nintendo Wii iniziò con una domanda fondamentale: come poteva Nintendo tornare a distinguersi in un mercato dominato da grafica avanzata e hardware di alto livello? Invece di concentrarsi su potenza e complessità, il team di Nintendo cercò di creare una console che enfatizzasse il divertimento e l’accessibilità. Il progetto dietro la Nintendo Wii prese forma nei primi anni 2000, in un periodo in cui Nintendo si trovava ad affrontare infatti una forte concorrenza da parte di Sony e Microsoft.

Il presidente di Nintendo dell’epoca, Satoru Iwata, insieme a Shigeru Miyamoto e al team di ricerca e sviluppo, decise di deviare dalla gara tecnica che vedeva le altre console puntare su potenza grafica e hardware sempre più avanzati. L’obiettivo era differenziarsi, creando un’esperienza di gioco accessibile, semplice e divertente per tutti, indipendentemente dall’età o dalle competenze tecniche.

L’idea centrale era quella di rompere con le convenzioni del gaming tradizionale, rendendolo più inclusivo. Il focus fu posto principalmente sul controller, un’idea nata dal desiderio di creare un’interfaccia utente intuitiva e quanto, passateci il termine, “umanizzata” possibile. Il Wiimote, dal design snello e caratterizzato da sensori di movimento, era il cuore di questa visione. La collaborazione con aziende esterne, come Gyration, per la realizzazione dei sensori, e l’impegno interno di Nintendo furono cruciali nel portare questa idea visionaria alla realtà.

Wiimote e motion control

La tecnologia alla base della Wii era sia rivoluzionaria che semplice. L’elemento di spicco, il Wiimote, combinava un accelerometro a tre assi con una barra sensore a infrarossi, permettendo di tracciare i movimenti del giocatore. Questa combinazione consentì esperienze di gioco uniche, dove i movimenti reali si traducevano direttamente nell’azione su schermo.

Questa modalità di gioco non solo risultava molto divertente, ma dimostrava il potenziale del motion control, avvicinando i giocatori a un’esperienza più fisica e immediata. In un periodo in cui la realtà virtuale non era ancora maturata, la Wii offriva un assaggio di come i videogiochi potessero coinvolgere il corpo oltre che la mente. E proprio da Wii Sports partii la mia esperienza con Wii, a circa trent’anni. Nl 2006 infatti mi ritrovai a divertirmi come un matto ad emulare il Tennis ad esempio, cosa che mai avrei pensato mi avrebbe coinvolto tanto. Inizialmente ero convinto che Wii fosse una console “per bambini”, salvo poi scoprire che aveva sostituito la mia Xbox 360

Con Wii il gioco è per tutti

La Wii rappresentava più di una semplice console. Era un vero e propio ponte tra generazioni e un invito al gioco collettivo. Non era insolito vedere famiglie giocare insieme a Wii Sports, nonni inclusi, o amici sfidarsi in partite di Mario Kart Wii. Questa accessibilità fu un elemento dirompente, facendo della Wii non solo un prodotto per gamer, ma un fenomeno culturale. Il nome stesso della console faceva proprio riferimento all’inglese “we”, cioè “noi”, come ad evidenziare la sua natura di console votata al gioco di gruppo.

Non va dimenticato che la Wii trovò impieghi anche al di fuori del tradizionale ambito videoludico. Fu adottata in ospedali per programmi di riabilitazione fisica, grazie al suo approccio interattivo, e in scuole, dove i giochi educativi arricchirono l’insegnamento.

Pensiamo ad esempio alla Wii Balance, la bilancia multifunzione che serviva a molteplici scopi, sia ludici che terapeutici che, unita al software Wii Fit creava un ecosistema di benessere fisico e mentale…un poco lo stesso principio per il quale è nato il più recente Ring Fit Adventure per Switch.

L’eredità della Wii

A distanza di vent’anni, il lascito della Wii è evidente in molte forme. Non solo la console ha venduto oltre 100 milioni di unità, ma ha anche ispirato innovazioni come i Joy-Con della Nintendo Switch. La sua filosofia di design, semplicità, accessibilità e innovazione continua a guidare, ancora oggi, la strategia di Nintendo.

Ma la vera eredità della Wii non risiede solo nella tecnologia o nelle vendite. Risiede nella sua capacità di unire persone, di farle sorridere e di farle sentire parte di qualcosa di più grande: un mondo di gioco che abbraccia tutti.

I migliori giochi per Wii

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Sebbene possa sembrare un paradosso, non è stato il suo parco titoli a fare la fortuna della Wii. Come spiegato anche nel corso dell’articolo, la console Nintendo di settima generazione deve il suo successo soprattutto all’innovazione che ha portato e alla sua enorme accessibilità.

Facendo una ricerca tra le ludoteche degli utenti medi Wii, non sorprenderà trovare tonnellate di versioni diverse di Just Dance, gli immancabili Wii Sport e numerosi party games (eccovi il link al nostro articolo che approfondisce questa categoria di giochi). Insomma, Wii è stata soprattutto la console dei giocatori occasionali, che la utilizzavano principalmente per brevi sessioni mordi e fuggi o per trascorrere allegre serate in compagnia.

Nonostante questo, anche la libreria della Wii contiene al suo interno numerosi capolavori, che hanno saputo far affezionare alla console anche tutti quei giocatori più esperti che avevano deciso di investire nella macchina Nintendo.

Presentiamo ora quelli che, a nostro modesto giudizio, sono i sette titoli più validi per Wii, o comunque quelli più interessanti da riscoprire. Sappiamo bene di aver operato diverse scelte che potrebbero fare discutere, come l’esclusione di giochi come Xenoblade Chronicles o Mario Kart Wii, ma ognuno dei giochi che abbiamo inserito è stato scelto in maniera oculata e dopo lunghe riflessioni. Rispolveriamo wiimote e nunchuck e lanciamoci alla scoperta (o riscoperta) di queste sette gemme preziose!

Wii Sports

Nintendo Wii

E come non iniziare da quello che è, a tutti gli effetti, il gioco simbolo della Wii? Nonostante la loro semplicità, i cinque giochi presenti in Wii Sports (bowling, baseball, golf, pugilato e tennis) hanno saputo regalare a tutti i possessori di Wii decine e decine di ore di divertimento.

Quasi sempre presente nei bundle iniziali di Wii, Wii Sports ha totalizzato un numero impressionante di vendite, divenendo addirittura il quarto videogioco più venduto di sempre. Si trattava, in effetti, del gioco perfetto per prendere confidenza coi sensori di movimento del telecomando, grazie alla sua incredibile accessibilità.

Wii Sports presenta anche un’offerta piuttosto ricca, visto che ognuno dei cinque sport propone una serie di sfide a tema con differenti livelli di difficoltà, oltre a spingere il giocatore a migliorarsi costantemente per superare i suoi punteggi record.

Non si tratta certamente di un capolavoro o di un gioco particolarmente impressionante dal punto di vista tecnico, ma Wii Sports incarna perfettamente quella ventata di novità di cui Wii si fece promotrice, oltre, naturalmente, a risultare ancora divertentissimo, anche a distanza di quasi 20 anni.

Super Mario Galaxy 2

Nintendo Wii

Poteva forse esistere una classifica di giochi per una console Nintendo in cui non fosse presente un titolo di Super Mario? Ovviamente no! Super Mario Galaxy 2 non è solo uno dei migliori giochi per wii, ma è considerato uno dei migliori giochi 3d di Mario in assoluto.

Dopo il mezzo passo falso di Super Mario Sunshine, i due Mario Galaxy seppero riportare la serie di Mario alle vette di eccellenza a cui era abituata. Oltre a sfoggiare una grafica colorata, moderna e pulitissima, Mario Galaxy 2 possiede una colonna sonora tra le più azzeccate in assoluto della saga.

Il vero punto di forza del gioco risiede però nei suoi controlli, che donavano al giocatore una sensazione di totale controllo sui movimenti di Mario, proponendo una sfida sempre equa e stimolante. Il gioco propone inoltre una straordinaria varietà di ambientazioni e situazioni. I vari pianeti del gioco hanno situazioni di gameplay sempre differenti, che spesso includono trasformazioni o abilità specifiche.

Entrambi i Mario Galaxy avrebbero meritato di stare nella nostra classifica. Abbiamo scelto di premiare il secondo episodio in virtù dei suoi livelli più vasti e diversificati e della maggior varietà del suo gameplay. Se siete amanti dei platform e delle avventure 3d non potete per nessuna ragione perdervi questi due giochi.

The Legend of Zelda: Skyward Sword

Anche la serie di The Legend of Zelda ha da sempre regalato un numero incredibile di capolavori a tutte le console che la hanno ospitata. Al momento della sua uscita, tuttavia, Skyward Sword non ottenne un consenso assoluto. Molti giocatori non apprezzarono l’utilizzo dei sensori di movimento all’interno del gameplay, né l’ambientazione di gioco, considerata poco ispirata.

Se analizzato nel suo complesso, tuttavia, non si può non riconoscere i numerosi pregi di quest’avventura. L’ambientazione delle isole sospese dona una ventata d’aria fresca alla serie e gli spostamenti con il solcanubi aggiungono all’esplorazione una nuova dimensione, quella del volo, che rende i viaggi molto più interessanti e coinvolgenti.

L’utilizzo del wiimote per la gestione del combattimento con la spada, sebbene non proprio perfetta, risulta nel complesso abbastanza funzionale e rende gli scontri dinamici e divertenti, sebbene in alcune situazioni risultino fin troppo caotici.

Anche la storia del gioco, che si colloca agli albori della cronologia della saga, è davvero molto interessante e aggiunge molti particolari importanti alla lore della serie. Unico vero punto debole del gioco sono le ambientazioni dei vari dungeon, non sempre ispirate. Anche le infinite boss fight contro il Recluso finiscono con l’essere piuttosto noiose e ripetitive.

Nononstante questi difetti, Skyward Sword resta un’avventura profonda, divertente e ricca di momenti memorabili. L’unica pecca realmente imperdonabile sono i continui messaggi da parte di Faih, lo spirito che dimora nella spada suprema. Complici anche i fastidiosi suoni emessi dal wiimote, questi interventi (che spesso si riducono a segnalare la poca carica delle batterie) riescono nella difficile impresa di rendere Faih ancora più fastidiosa di Navi, la fatina di Ocarina of Time.

Metroid Prime: Trilogy

La saga di Metroid Prime è stata probabilmente il fiore all’occhiello dell’intera libreria di giochi Gamecube. Nintendo Wii, oltre ad ospitare il terzo episodio della saga, ha regalato ai fan quella che è forse una delle migliori raccolte mai realizzate. Trilogy permette infatti di giocare, su un unico disco a doppio strato, a tutti e tre i capitoli della saga di Prime.

Per chi non lo sapesse, si tratta degli unici capitoli della serie Metroid ad essere realizzati in prima persona. Questa scelta permette di unire le meccaniche di uno sparatutto alle meccaniche esplorative tipiche degli episodi 2d. Inoltre, l’uso della visuale in soggettiva, unito all’ambientazione 3d, amplifica a dismisura la sensazione di ansia e pericolo tipiche delle atmosfere di questa saga.

Come se non bastasse, i primi due episodi della saga, Prime ed echoes, sono presenti in versione aggiornata, con i controlli adattati ai sensori di movimento e vari miglioramenti legati alla grafica e alle tempistiche di caricamento. Un must assoluto per chiunque abbia in casa una Wii.

Super Smash Bros. Brawl

Il terzo episodio della saga di Smash Bros ha indubbiamente segnato un punto di svolta. Fino ad allora, infatti, la saga era rimasta confinata ad una piccola nicchia di giocatori. Grazie a Brawl e alla popolarità di Nintendo Wii, il nome di Smash Bros iniziò ad essere sulla bocca di tutti.

Forte di un roster sconfinato, di un comparto tecnico di tutto rispetto e di un numero esorbitante di modalità (tra cui un’inedita modalità storia da giocare anche in cooperativa), Brawl si impose come uno dei titoli di punta per Wii, anche in virtù della mancanza di rivali di rilievo nella categoria dei picchiaduro (ad eccezione dell’ottimo Tatsunoko vs Capcom, a cui dedichiamo una menzione).

Il divertentissimo gameplay della serie, a metà tra platform e picchiaduro, torna qui all’ennesima potenza, regalando tonnellate di divertimento. Certo, non si trattava di un gioco perfetto. Il bilanciamento dei personaggi era piuttosto mal calibrato, con gente come Meta Knight o gli Ice Climbers che risultava fin troppo forte. Inoltre, il gioco presentava una fastidiosa caratteristica. In maniera del tutto randomica, i personaggi potevano inciampare mentre correvano, per la rabbia incontenibile dei puristi del genere.

Queste imperfezioni portarono i fan più accaniti a continuare a preferire Melèe. Tuttavia, grazie alla vastità dei suoi contenuti e al divertimento e coinvolgimento che sa regalare, Brawl entra di diritto nel nostro elenco. La presenza di Ultimate rende abbastanza superfluo tornare a giocare a Brawl, ma la sua modalità avventura merita di essere riscoperta, soprattutto in compagnia di un amico.

Monster Hunter Tri

Version 1.0.0

Il terzo capitolo della saga di Monster Hunter è rimasto nel cuore di moltissimi fa della saga. Grazie a questo gioco, infatti, Capcom riuscì a rilanciare questa saga, che sembrava ormai appannaggio delle console portatili, anche nella sua versione casalinga. Tri presenta una trama molto solida ed articolata e un’ambientazione, legata principalmente all’ambiente marino, che offre un’incredibile varietà di paesaggi e luoghi da esplorare.

La modalità online è una delle più efficaci in assoluto su Wii e il single player riesce ad essere altrettanto coinvolgente e divertente. Il gioco mette a disposizione del giocatore moltissime armi e la possibilità di creare un numero esorbitante di equipaggiamenti diversi. La presenza dei Cha Cha aggiunge anche un ulteriore elemento strategico al gioco.

Le creature infine sono perfettamente in linea con gli standard a cui la saga ci ha abituati. Quasi tutti i bestioni presenti nel gioco sono imponenti, minacciosi e ben caratterizzati e donano sempre grande soddisfazione una volta abbattuti. Un gioco davvero divertente e spettacolare che non può mancare in nessuna ludoteca Wii degna di questo nome.

The Last Story

Molti di voi si saranno certamente stupiti di trovare The Last STory all’interno di questo elenco. L’avventura tridimensionale targata Mistwalker a AQ Interactive, infatti, non è certamente tra i titoli più noti e blasonati presenti su Wii. Tuttavia, tenevamo particolarmente a dare spazio e visibilità a questa piccola perla ingiustamente nascosta.

The Last Story è un RPG dalla trama articolata ed avvincente, incentrata su un mondo in rovina e sul conflitto senza fine tra due razze contrapposte. La ambientazioni che il nostro party scopre nel corso della storia sono estremamente varie e tutte molto ben realizzate e ricche di dettagli. Anche i personaggi sono tutti molto ben caratterizzati e presentano background quasi sempre accattivanti.

Il battle system è molto interessante ed originale e combina elementi in tempo reale con le classiche meccaniche dei jrpg. Completa il tutto un comparto tecnico di alto livello, in grado di spingere la console Nintendo al limite delle sue capacità. Se non conoscevate questo gioco e avete a disposizione una Wii dategli una chance. Siamo certi che ne sarete felici.

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Clair Obscur: Expedition 33 – Diario di un condannato (con stile)

Mi chiamo… beh, non importa. Tanto tra poco non ci sarò più. Non è una frase da film noir, è proprio così che comincia Clair Obscur: Expedition 33. Ti svegli in una Parigi che non è Parigi, guardi in alto, e il monolite ti sussurra un numero: 33. Ed è lì che capisci. Il tuo tempo è finito. Un anno. Poi il Gommage – quella macabra magia dipinta dalla Pittrice – cancellerà te e chiunque altro abbia osato compiere quell’età.

E allora che fai? Ti unisci a una spedizione impossibile. Una manciata di anime segnate che decidono di sfidare l’inevitabile. Perché se proprio devo sparire, almeno provo a farlo lasciando un segno. Magari non nel mondo… ma su di me.

Un mondo pittorico che ti vuole morto (ma con eleganza)

Lumière. Sì, il nome è ironico. Perché questo mondo, per quanto splendido, è tutto fuorché luminoso. È un mosaico in chiaroscuro, fatto di rovine art nouveau, cieli viola e vicoli affrescati con la disperazione. Sandfall Interactive non ha creato un’ambientazione: ha preso un’enciclopedia artistica, ci ha versato sopra un po’ di Lovecraft, l’ha shakerata con un pizzico di Jrpg classico e ha servito il tutto su una tela sporca di sangue e ricordi.

Ogni zona che attraversi – dalle Biblioteche Scolpite al Giardino delle Ceneri – è un’opera d’arte da scoprire. O da temere. Perché qui ogni bellezza ha un prezzo, e spesso lo paghi in HP.

Arte, morte e Belle Époque: un mondo che ti guarda negli occhi

Il primo impatto con Expedition 33 è visivo. Ed è potente. Ambientato in un mondo ispirato alla Belle Époque francese – un’estetica raffinata, decadente, lussuosamente malinconica – Clair Obscur è un’opera che non ha paura di essere elegante, anche quando parla di annientamento.

Architetture scolpite, colori soffusi, ambienti carichi di simbolismo. È un Rpg che non scimmiotta la realtà: la reinventa con la grazia di un quadro impressionista e l’angoscia di un incubo romantico.

Ogni ambientazione, ogni dettaglio, è fatto per comunicare qualcosa. E anche se nulla è spiegato “a voce alta”, tutto – dai palazzi alle statue rotte – ti parla di un mondo al tramonto.

Il sistema di combattimento: balletto e proiettili

Chi ha detto che i turni sono noiosi non ha mai provato questo gioco. Sì, tecnicamente è un Rpg a turni. Ma nel mezzo del turno, devi premere al momento giusto, devi schivare, devi parare. Devi ballare. Ogni nemico è una coreografia diversa, e se sbagli passo, sei fuori. Letteralmente.

Chi pensa che “combattimento a turni” significhi passività non ha ancora provato a parare con tempismo una raffica di colpi mentre la musica accelera e il nemico muta forma davanti a te.

Clair Obscur adotta un sistema ibrido tra turni e azione, dove il tempismo è fondamentale. Ogni attacco può essere schivato, ogni parata ben eseguita può diventare un contrattacco. Il gameplay è un’alchimia di strategia e istinto, più simile a un ballo che a una scacchiera.

Ci sono meccaniche profonde:

  • Le Posture, che cambiano stile e abilità dei personaggi
  • I Pictos, potenziamenti passivi per costruire build uniche
  • Le Luminas, magie e poteri attivi da usare con intelligenza
  • E poi ci sono gli Attacchi Sfumati, che evolvono in base al contesto e al team

Ogni personaggio ha una funzione e una voce chiara in battaglia, senza cadere nel cliché del “tank, healer, dps”. Qui non si fa teoria dei ruoli, si crea sinergia

Più che narrativa, atmosfera

La trama di Expedition 33 non ti viene lanciata in faccia. Non ci sono lunghi monologhi o forzature. Il gioco ti accompagna in un mondo dove la morte non è un evento, ma una regola. Dove ogni personaggio è consapevole che il suo tempo è contato.

Eppure, non è mai pesante. Non è “dark” per il gusto di esserlo. È elegante. Lucido. Triste, ma mai cinico.

Ci sono dialoghi scritti con attenzione, missioni che ti raccontano più attraverso l’ambiente che con le parole, e una direzione artistica che ti fa sentire esattamente nel mezzo tra un sogno e un quadro.

Una storia scritta con inchiostro e sangue

Non aspettarti il classico “salva il mondo”. Qui si salva il senso stesso dell’esistenza. La narrazione ti prende per mano e poi ti lascia in un abisso esistenziale. Ti chiede cos’è che rende la vita degna di essere vissuta, se è davvero la longevità… o l’intensità.

Il tuo gruppo non è fatto di eroi. Sono condannati. Ognuno con la propria ferita, ognuno col proprio modo di affrontare la fine. Gustave, il comandante, sembra fatto di pietra ma nasconde cicatrici profonde. Maelle non parla mai più del necessario – e il suo silenzio pesa come una spada ancora nella guaina. Lune? Sembra fragile, ma ha la determinazione di chi ha visto troppo per la sua età. E Sciel… è puro istinto, ma anche puro cuore.

In mezzo a loro ci sei tu, che cerchi di tenere insieme il tutto mentre ogni missione ti porta più vicino alla fine.

Difetti? Sì. Ma a noi piacciono anche quelli

Diciamolo: Clair Obscur non è perfetto.

Le animazioni nei momenti meno importanti sono a volte legnose. I caricamenti non sono sempre rapidi. E su PC, l’ottimizzazione va a giornate alterne, soprattutto con configurazioni meno recenti.

Ma poi c’è la colonna sonora: suadente, drammatica, sospesa. Le musiche non accompagnano: guidano. Ti portano dentro lo stato d’animo dei personaggi, fanno da ponte tra il gioco e chi gioca. A volte, ti sorprendono con un crescendo che ti strappa il respiro.

Il doppiaggio (disponibile in francese e inglese) è ben recitato: ti fanno sentire davvero in un altro mondo.

Perché giocarci, anche se non è per tutti

Clair Obscur: Expedition 33 è un gioco che chiede qualcosa in cambio. Vuole che tu ascolti. Che tu rallenti. Che tu osservi, anche dove altri giochi ti direbbero di correre.

Non è per chi cerca solo adrenalina. Ma se ami gli Rpg che raccontano senza spiegare, che emozionano senza urlare, che osano con l’arte e con il gameplay… allora questo è un viaggio che devi fare.

E sì, magari a volte inciampa. Ma è come una poesia letta con un accento imperfetto: resta bellissima lo stesso.

Combattere non per vincere, ma per esserci

Ti resta un anno. Poco tempo. Eppure combatti. Non per sconfiggere la morte, ma per meritarla.

In un panorama videoludico dove spesso si combatte per ottenere qualcosa, Expedition 33 ti fa combattere per lasciare qualcosa. Un’eco. Un’impressione. Un segno.

Ed è raro, oggi, trovare un gioco che ti chieda di essere non solo un giocatore… ma una persona.

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Doom: storia della saga

Non sono certamente molti i giochi la cui uscita ha segnato uno spartiacque nella storia del medium. Ma Doom è certamente uno di quelli. Il primo capitolo di questa saga ormai leggendaria, uscito nel 1993, ha avuto un’influenza gigantesca sull’intera storia dei videogiochi.

La serie di Doom, nella sua storia ormai trentennale, ha vissuto lunghi periodi di anonimato. Tuttavia, l’affetto che i fan hanno dimostrato per la saga è sempre rimasto inscalfibile. L’enorme successo ottenuto dall’episodio del 2016, vero e proprio punto di svolta nella storia di Doom, ne è la prova.

A poche settimane dall’uscita di Doom Dark Ages, ripercorriamo insieme l’epopea del Doom slayer, in modo che anche i neofiti possano ben comprendere la fondamentale importanza di Doom nella storia del genere degli sparatutto. Recuperiamo motosega e doppietta e prepariamoci al massacro!

Le origini

Doom

Le origini del franchise di Doom risalgono all’ormai lontanissimo 1993. Non si trattò, tuttavia, del primo FPS della storia. Questo primato spetta a Wolfenstein 3d, sviluppato da Id Software l’anno precedente. L’ incredibile successo di questo gioco spinse John Romero ad insistere per realizzare un altro titolo che seguisse le orme di Wolfenstein.

Il gioco sperimentò per la prima volta un uovo motore grafico, chiamato proprio Doom Engine. Inizialmente, Doom avrebbe dovuto contenere anche diversi elementi gestionali provenienti dal mondo dei giochi di ruolo. Fu proprio Romero a voler eliminare queste caratteristiche a favore di un gameplay più improntato sulla frenesia e sull’azione. Il risultato finale fu strepitoso. Doom infatti ottenne un successo dirompente fin dal suo rilascio preliminare in forma shareware. Dopo l’uscita ufficiale, per poi vendere più di 200000 copie in pochi mesi dopo il rilascio ufficiale.

Un gioco rivoluzionario

I punti di forza di Doom erano davvero innumerevoli. Oltre al motore grafico fluidissimo e che faceva un uso magistrale degli effetti di luce, il gioco vantava una gameplay davvero veloce, divertente ed appassionante. I nemici erano numerosi e con caratteristiche sempre differenti, i livelli erano estremamente complessi e ricchissimi di segreti e strade alternative.

Anche le armi a disposizione erano numerose e diversificate. Il nostro protagonista (ai tempi identificato solo come Doomguy) poteva disporre di un arsenale che spaziava dalle classiche pistole, mitragliatrici fino ad armi futuristiche come il mitico BFG 9000, in grado di fare strage di nemici con un singolo colpo.

Doom presentava anche una trama ed un ambientazione molto originali. Basandosi su un’idea del programmatore John Carmack, il gioco narrava l’invasione di Marte, ormai colonizzato quasi totalmente dall’umanità da parte di orde di demoni infernali fuoriusciti da misteriosi portali.

Il giocatore, come già detto, veste i panni del Doomguy, un marine al servizio dell’organizzazione UAC, appena trasferito su Marte per insubordinazione. Per salvarsi e bloccare l’avanzata dei demoni, il nostro eroe dovrà esplorare i due satelliti di Marte, Phobos e Deimos e persino l’inferno, in qualche modo collegato ai portali da cui i demoni hanno avuto origine.

Successo e sequel

Come già scritto in precedenza, Doom ottenne un successo davvero straordinario sia in termini di vendite che per quanto riguarda l’apprezzamento dei fan. Era dunque più che naturale che Id decidesse di realizzare un sequel della sua gallina dalle uova d’oro. Ecco dunque arrivare, nel 1994, Doom 2: Hell on Heart.

Questo sequel riprende la trama da dove si era interrotta, con il nostro Doomguy che riesce finalmente a tornare sulla Terra, solo per trovarla totalmente invasa dai demoni con cui si era scontrato nel gioco precedente. Il nostro marine vivrà dunque una lunga epopea per evacuare gli abitanti del pianeta e debellare definitivamente l’invasione.

Nonostante il gioco abbia ottenuto vendite stratosferiche, Doom 2 non presentava reali innovazioni rispetto al gioco originale. Le poche reali novità includevano la presenza di alcune nuovi armi, tra cui spicca la mitica doppietta e l’aggiunta di alcuni nuovi nemici, tra cui gli iconici Revenant. Un’innovazione davvero importante fu l’inserimento di una modalità multiplayer, fruibile in rete LAN. Questa modalità segnerà il punto di partenza per il genere degli sparatutto arena competitivi.

Voglia di Doom

Nel 1996 vennero rilasciate due espansioni ufficiali per Doom, ovvero Final Doom e Master Levels for Doom II. Entrambi questi giochi, sviluppati da Id in collaborazione con il team TNT, ripercorrono il percorso intrapreso da Doom 2, proponendo decine di nuovi livelli e texture più rifinite senza andare ad alterare la struttura del gioco.

A partire dal 1994 uscirono varie conversioni di Doom per le prime console a CD, come il Jaguar o il 3DO. In seguito il gioco apparve anche su Sega Saturn e Sony Playstation. Venne addirittura realizzata una versione SNES. Ognuna di queste edizioni, tuttavia, risultava molto penalizzata rispetto al gioco originale. Anche la versione Playstation, forse la migliore di tutte, riusciva solo ad avvicinarsi allo splendore di Doom su PC.

A fine anni 90 il successo di Doom sembrava essere davvero sulla bocca di tutti. Il gioco era considerato una sorta di capolavoro inarrivabile e la piena dimostrazione delle capacità del PC in ambito gaming. Ma, come spesso accade, tutto questo successo fu solo l’anticamera di un rapido ed inatteso declino.

Doom 64: il passo falso

Negli anni seguenti, ID Software decise di lasciare momentaneamente da parte la sua serie più iconica per concentrarsi su nuovi progetti, come ad esempio lo sviluppo del primo Quake. Tuttavia, nel 1997 uscì un altro gioco della serie Doom. Si trattava di una speciale versione realizzata appositamente per il Nintendo 64 e realizzata in collaborazione con Midway, che venne intitolata (ovviamente) Doom 64.

Il gioco riprendeva la trama esattamente dove si era interrotto Doom II e narrava un nuovo assalto delle orde dei demoni infernali, guidati stavolta dalla terribile Madre Demone. La storia culmina con il Doomguy che decide di sacrificarsi confinandosi nel mondo dei demoni per impedire nuove invasioni.

Nonostante presentasse un motore grafico totalmente ridisegnato e adattato alla console Nintendo, un’ottima trama e un set di controlli che, pur non raggiungendo la versatilità della versione PC, ben si adattava al particolare pad del N64, Doom 64 non riuscì a sfondare in termini di vendite. Questo insuccesso convinse ancora di più Id a prendere le distanze da Doom.

Il terzo capitolo

Nel 2004 fece la sua comparsa Doom 3, il nuovo capitolo della saga. Inizialmente il progetto doveva essere una sorta di remake del primo gioco. In seguito, tuttavia, gli sviluppatori optarono per un gioco totalmente nuovo. Tuttavia, Doom 3 racconta una storia completamente nuova, ponendosi come una sorta di reboot della saga.

La vicenda narrata in Doom 3 non è poi così differente da quella del gioco originale. Anche in questo caso, il gioco è ambientato su Marte, all’interno di una stazione spaziale. Qui una serie di esperimenti legati a tecnologie avveniristiche causano l’apertura di un portale collegato all’inferno, con la conseguente fuoriuscita di mostri e demoni di ogni genere. Toccherà al nostro protagonista, un comune marine senza nessuna particolare abilità, cercare di risolvere la situazione esalvarsi la vita.

Principale caratteristica di Doom 3 è l’utilizzo del motore Id Tech 4, che consentì la creazione di ambienti tridimensionali estremamente realistici e particolareggiati, oltre ad una gestione della luce e dei vari effetti visivi assolutamente all’avanguardia, almeno per i tempi. Il team creativo pensò di sfruttare a dovere le caratteristiche dell’id Tech 4 per modificare profondamente anche il gameplay. Se i giochi originali erano improntati sull’azione, sulla velocità e su continui scontri a muso duro coi nemici, Doom 3 proponeva un’atmosfera molto più vicina ai survival horror.

L’oscurità era uno degli elementi cardine del gioco, anche per il fatto che il giocatore, pur disponendo di una torcia, era impossibilitato ad usarla insieme alle armi. Questo creava un’ atmosfera di tensione suspense, sfruttata abilmente dagli sviluppatori per realizzare continui momenti di sorpresa e paura, anche grazie alla massiccia presenza di sangue e gore.

Ancora una volta, nonostante le grandi differenze rispetto ad altri giochi della saga, anche Doom 3 ottenne un enorme successo di critica e pubblico. Sebbene molte delle innovazioni non saranno riproposte dai successivi capitoli della saga, il gioco ebbe una forte influenza su altri medium legati a Doom. Ad esempio, ispirò una serie di romanzi dello scrittore Costello ed ebbe forte influenza sul film del 2005 dedicato a Doom, interpretato dal mitico Dwayne “The Rock” Johnson.

Infine sempre nel 2005, Doom 3 ricevette un’espansione, chiamata Resurrection of Evil. La serie rimase poi ferma per un lunghissimo periodo di tempo. Pare che il progetto per un quarto episodio fosse effettivamente stato avviato, ma nel 2013 l’idea venne accantonata.

La Rinascita: semplicemente Doom

Doom

Nel 2016, in maniera piuttosto inaspettata, arrivò finalmente un nuovo Doom. Sviluppato da Id Software e pubblicato da Bethesda Softworks, il nuovo episodio uscì per ogni piattaforma disponibile, comprese Google Stadia e Nintendo Switch e venne intitolato semplicemente Doom, con il preciso intendo di indicare un nuovo inizio per la serie.

Il gioco riprende esattamente dove terminava Doom 64, e mostra il risveglio del nostro amato Doomguy (da ora in avanti Doom Slayer), sigillato dai demoni in una sorta di sarcofago. Il nostro eroe dovrà vedersela con la dottoressa Pierce, ex impiegata dell’UAC e segretamente membro di una sorta di setta alleata dei demoni. Obiettivo della dottoressa è sfruttare l’energia del dispositivo di trasporto creato dall’UAC per aprire nuovamente i portali per l’inferno. Sotto la guida del misterioso Hayden, uno dei capi dell’UAC, il Doom Slayer avrà il compito di fermare la folle dottoressa e bloccare la nuova invasione.

A livello di gampeplay, il nuovo Doom spostava decisamente le lancette verso l’azione dura e cruda, prendendo decisamente le distanze dalla strada intrapresa da Doom 3. Doom del 2016 era velocissimo, frenetico e ricchissimo di scontri. Il gameplay premiava molto di più la bravura e la velocità nell’uccidere piuttosto che la tattica e le scelte difensive. Colpendo i nemici nei punti deboli, se ne accelerava l’uccisione. In questo caso, infatti, il demone ferito avrebbe iniziato a lampeggiare, permettendo al Doom Slayer di avventarsi su di lui e finirlo con quella che viene denominata “uccisione epica”. Si trattava di alcuni speciali kills particolarmente spettacolari (e truculente) che avrebbero donato al giocatore un piccolo bonus, in termini di munizioni, energia o corazza.

Doom presentava anche un’ottima varietà di demoni ed armi, con il ritorno di praticamente tutte le armi storiche e di tutti gli avversari incontrati nei giochi originali. Erano presenti anche la mitica motosega ed il BFG, in forma di armi speciali. Sebbene il loro uso fosse molto limitato, queste armi permettevano l’uccisione immediata di un nemico o addirittura di orde di nemici, nel caso del BFG.

Il gioco presentava anche diversi livelli di difficoltà di cui l’ultimo, denominato Ultra Incubo, doveva essere necessariamente completato senza mai morire. Una sfida, questa davvero titanica per qualunque giocatore. Completava l’offerta una discreta modalità multiplayer, con diverse modalità di gioco e la possibilità di trasformarsi momentaneamente in uno dei demoni del gioco.

Doom del 2016 ottenne un ottimo successo e riuscì nel difficile complito di rilanciare e svecchiare il brand. La saga di Doom era rinata e tutti i giocatori si aspettavano che il nuovo gioco avrebbe presto ricevuto uno o più seguiti.

Un Doom… eterno!

Ed eccoci arrivati al 2020 e al termine (momentaneo) del nostro viaggio. In quell’anno infatti uscì per tutte le piattaforme Doom Eternal, sequel diretto del gioco del 2016, nuovamente sotto il marchio Bethesda.

Il gioco ricalca grossomodo la trama di Doom 2, presentando una nuova invasione della terra da parte dei demoni infernali in seguito agli eventi del Doom del 2016. Tocca di nuovo al Doom Slayer (che viene qui confermato essere proprio il Doomguy dei primi giochi) sconfiggere ancora una volta l’Icona del Peccato e bloccare nuovamente l’avanzata dell’Inferno.

Il gameplay di Doom Eternal ricalcava fedelmente quello del suo predecessore. Anche Eternal propone un’azione forsennata, decine di uccisioni epiche e tonnellate di sangue e violenza. Rispetto al predecessore, il gioco propone un’esplorazione più elaborata, anche grazie alle nuove abilità del protagonista, che comprendono la possibilità di scalare le pareti. Anche il set di armi è stato potenziato, soprattutto grazie all’uso di un’enorme spada magica, forse la risorsa migliore del nostro soldato.

Inoltre, il gioco introduce l’enorme astronave VEGA, che funge da quartier generale per il Doomslayer. Qui, oltre a spostarsi da un livello all’altro, il nostro Marine ha la possibilità di accedere a numerose sfide e modalità secondarie, tra cui anche la possibilità di giocare in ogni momento al Doom originale.

Doom Eternal ottenne un ottimo successo di pubblico e critica, ricevendo anche diversi riconoscimenti tra cui il Golden Joystick. Proprio questo successo ha spinto gli sviluppatori a realizzare un nuovo capitolo. Si tratta, naturalmente, di Doom Dark Ages, in uscita proprio nei prossimi giorni.

Da quanto mostrato finora, anche il nuovo episodio di Doom sembra essere violento, tosto e “tamarro” quanto i suoi predecessori. Tra i contenuti più interessanti rivelati dai trailer spiccano la presenza di un enorme scudo medievale e persino di un drago! Vedremo se Dark Ages sarà all’altezza della pesantissima eredità del nome che porta. Speriamo davvero che lo Slayer riesca a stupirci ancora!

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InZoi: abbiamo provato la nuova frontiera della simulazione di vita

Il mondo dei simulatori di vita è stato per anni dominato da un solo nome: The Sims. Dalla sua prima apparizione nel 2000, il franchise di Maxis ed Electronic Arts ha imposto un modello tanto iconico quanto insuperato. Fino ad ora. Con inZOI, il team sudcoreano di Krafton (già noto per PUBG) prova a riscrivere le regole del genere, proponendo un’esperienza più realistica, immersiva e libera, resa possibile grazie alla potenza dell’Unreal Engine 5.

Grazie all’accesso anticipato reso pubblico dalla casa Sudcoreana a partire dal 28 marzo scorso, abbiamo potuto provare il gioco. Scopriamo insieme se inZOI è davvero il “The Sims next-gen” che molti speravano o se si tratta solo di un progetto ambizioso ancora troppo acerbo per lasciare il segno.

Grafica e immersione: con inZOI la vita prende forma

Uno degli aspetti che colpisce fin dal primo avvio di inZOI è la grafica. L’uso dell’Unreal Engine 5 non è solo un’etichetta promozionale: è il motore reale di un mondo visivamente sorprendente. Le texture ad altissima risoluzione, le animazioni fluide, la gestione dinamica delle luci e delle ombre e il realismo dei materiali rendono ogni scena degna di una fotografia.

I personaggi, o meglio, gli “Zoi”, sono riprodotti con attenzione quasi maniacale. Non parliamo solo di dettagli fisici, ma anche di espressioni facciali credibili e movimenti corporei coerenti con la situazione. L’ambiente urbano, ricco di dettagli architettonici e vita quotidiana, dà la sensazione di trovarsi davvero dentro un quartiere pulsante, nonostante l’attuale limitazione dell’area giocabile.

L’effetto complessivo? Un colpo d’occhio che fa impallidire qualunque simulatore di vita uscito finora, ponendo l’accento su un realismo che promette di ridefinire lo standard del genere.

Creazione dei personaggi: libertà creativa (quasi) totale

Uno dei punti di forza di inZOI è senz’altro il suo editor dei personaggi. La quantità di opzioni disponibili lascia spazio a una personalizzazione profonda: fisionomie, proporzioni corporee, stili di abbigliamento, tratti del viso, tonalità della pelle, pettinature, accessori. Tutto può essere regolato con una precisione quasi chirurgica, in modo simile a quanto visto nei titoli di ruolo giapponesi o nei simulatori hardcore.

Non si tratta solo di estetica: i tratti caratteriali influenzano realmente il comportamento degli Zoi, dando forma a personalità distinte che reagiscono in modi diversi alle situazioni. Un artista introverso, ad esempio, tenderà a evitare la folla, mentre un politico ambizioso cercherà continuamente il confronto con altri PNG.

inZOI

Anche il sistema di costruzione della casa è sorprendentemente robusto, sebbene ancora macchinoso per chi è abituato alla fluidità di The Sims 4. Qui non basta trascinare un mobile: occorre considerare materiali, spazio, illuminazione, accessibilità.

Un’arma a doppio taglio, che può entusiasmare gli appassionati di interior design, ma scoraggiare chi vuole solo giocare in modo più casual. Noi personalmente avremo gradito un sistema un pelo più accessibile non essendo obiettivo del titolo propriamente quello di arredare case.

Gameplay: una vita simulata, tra libertà e bug

InZoi offre una simulazione di vita più fluida e organica di quanto ci si potesse aspettare da un gioco in accesso anticipato. Il mondo è vivo e gli Zoi si muovono al suo interno con un’autonomia credibile: vanno al lavoro, interagiscono tra loro, fanno jogging, vanno a mangiare fuori o semplicemente si rilassano in casa.

Il sistema delle carriere, seppur ancora in fase embrionale, include alcune opzioni interessanti (come influencer, sviluppatore, medico o impiegato pubblico), ognuna con attività e missioni legate. Tuttavia, le interazioni sociali, sebbene promettenti, sono ancora limitate.

 Le conversazioni risultano dopo poco tempo piuttosto ripetitive. Abbiano anche notato che la funzione smartphone non consente di invitare nella propria maison “chicche e sia”…ma solo inviare loro regali di vario genere. È possibile comunque organizzare un appuntamento fuori con altri personaggi non giocabili.

L’intelligenza artificiale, pur mostrando sprazzi di brillantezza, spesso si perde in loop comportamentali bizzarri. Non è raro vedere uno Zoi preparare caffè dieci volte di fila o parlare da solo per ore. Problemi che, sebbene fastidiosi, rientrano nella norma per un gioco in sviluppo.

Purtroppo a volte questa ridondanza di comportamenti colpisce anche il protagonista costringendo l’utente ad interrompere forzatamente queste azioni ripetitive.

inZOI

Stato attuale: accesso anticipato con luci e ombre

InZoi è uscito, come detto,  in accesso anticipato il 28 marzo 2025, e si vede. Il gioco ha una base tecnica molto solida, ma soffre ancora per la mancanza di contenuti avanzati e per la scarsa varietà di attività disponibili dopo le prime ore.

Non nascondiamo che, giocandoci, se non fosse stato per la grafica molto molto realistica, ci è sembrato di essere in uno dei qualsiasi The Sims.

Il ciclo giorno-notte funziona, ma le stagioni e il meteo dinamico sono ancora assenti. Le famiglie e le dinamiche relazionali più profonde (come gelosie, eredità, matrimoni, figli) sono solo accennate. Alcune funzioni promesse, come la possibilità di gestire più Zoi in contemporanea o caricare mod dalla community, non sono ancora disponibili.

Detto ciò, Krafton ha già pubblicato una roadmap dettagliata, che prevede aggiornamenti mensili con nuove professioni, eventi, oggetti, interazioni e miglioramenti all’IA. La community è molto attiva, e gli sviluppatori si sono dimostrati reattivi nel risolvere bug e ascoltare i feedback.

Confronto con The Sims: rivoluzione o evoluzione?

Il confronto con The Sims è inevitabile, ma anche fuorviante. InZoi non vuole essere un clone fotorealistico: vuole essere qualcosa di diverso. Se The Sims è un sandbox leggero, giocoso e spesso surreale, inZOI è più vicino a una simulazione realistica, quasi sociologica, della vita urbana moderna. Ancora non riesce a “distaccarsi” dal suo modello di riferimento, ma siamo fiduciosi che con il tempo diventerà quello che gli sviluppatori avevano in mente che fosse.

In sintesi, inZOI è un esperimento più ambizioso, ma anche più rischioso. Non è ancora pronto a sostituire The Sims per tutti, ma può già rappresentare un’alternativa per chi cerca qualcosa di più realistico e visivamente appagante.

Conclusioni su inZOI: il potenziale c’è, eccome

InZoi ha ancora molta strada da fare prima di diventare un gioco completo, ma ha già gettato basi solide che fanno ben sperare. Il realismo grafico, la personalizzazione profonda e l’idea di un mondo vivo, dinamico e reattivo rappresentano un passo in avanti significativo per il genere.

Se sei un fan di The Sims in cerca di qualcosa di più immersivo, inZOI merita la tua attenzione. Se invece cerchi un’esperienza più casual e completa già al day-one, potresti voler aspettare qualche aggiornamento. In ogni caso, una cosa è certa: il futuro della simulazione di vita digitale ha finalmente un nuovo, affascinante contendente.

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Editoriali

Donkey Kong Bananza è un antistress digitale

Durante la Nintendo Switch 2 Experience, ho messo le mani – in anteprima – su uno dei giochi più chiacchierati e attesi di Switch 2. Dopo 30 minuti di prova, posso condividervi il mio affascinante viaggio in Donkey Kong Bananza. E vi spiegherò perché lo ritengo uno dei migliori antistress videoludici degli ultimi anni.

La demo di Donkey Kong Bananza inizia con un mini-livello, un vero e proprio tutorial. Nonostante questa prima area abbia lo scopo di insegnarmi i comandi fondamentali, si può già dire tanto sia sul gioco che sulla console. Questo primo stage è ambientato all’interno di una miniera, dove DK trova la Banana d’Oro, una sorta di gustosissimo artefatto. Questo significa che siamo all’interno di un luogo ricco di metalli, materiali luccicanti e, anche se meno scontato, un corso d’acqua. Questi sono i tre particolari che ho notato e che mi hanno fatto capire quanto potente sia Nintendo Switch 2 rispetto al suo predecessore e quanto valido sia il lavoro svolto su Donkey Kong Bananza.

Non scherzo quando vi dico che i riflessi dell’acqua ricordano videogiochi che hanno rivoluzionato questo tipo di asset, come Assassin’s Creed IV: Black Flag. Inoltre, la Banana d’Oro sembra in realtà di cristallo, perché brilla come un caleidoscopio coloratissimo. Il primo impatto è quindi grandioso. Sensazioni che vengono confermate anche nel gameplay.

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Gameplay distruttivo

I comandi di DK si basano tutti sulla forza bruta. Donkey Kong può colpire in tutte le direzioni, compreso in alto e soprattutto in basso. Nello specifico, il pulsante per scuotere il terreno (B) è diverso rispetto a quello che permette di colpire davanti a noi o in alto (bisogna abbinare il salto). Questa scelta rende l’idea di quanto sia importante esplorare il sottosuolo. Nelle nuove vesti, infatti, Donkey Kong è un vero e proprio minatore. Seppur senza piccone, può spaccare veramente ogni cosa muovendosi quasi liberamente sia in superficie che sottoterra.

Dopo aver superato il tutorial, ho potuto godermi ed esplorare la prima mappa di Bananza. Le vibes del gioco sono positive e piene di déjà-vu. Sin dalla prima mappa si capisce perché Donkey Kong Bananza sia paragonato a Super Mario Odyssey. La libertà totale e il design che si espande in altezza ricordano tanto i livelli della mascotte Nintendo. Non solo Odyssey, ma anche Super Mario 64. La grande differenza di Bananza rispetto alle opere di Mario è ovviamente nel sottosuolo. Va da sé che una scelta così audace espone il gioco a delle criticità, che ho ovviamente cercato di testare il più possibile.

Ho distrutto tutto quello che era possibile spaccare, attraversando il terreno in tutte le direzioni. E posso rispondere alla vostra prima domanda: sì, il sottosuolo non è infinito. In particolare, il primo livello è sospeso, quindi a furia di spaccare tutto sarà possibile finire fuori dalla mappa. Nel farlo, però, ho notato l’enorme somiglianza con i titoli 3D di Super Mario: Donkey Kong Bananza è pieno di tesori nascosti e mappe che nascondono a loro volta altri tesori. Trovarli tutti sembra una vera e propria impresa e, anche se non sono un collezionista accanito, ho perso parecchio tempo alla ricerca del prossimo segreto.

Antistress digitale

Ovviamente è troppo presto per poter giudicare l’opera, ma la sensazione è che Donkey Kong Bananza sia un vero antistress digitale. Lo scopo è spaccare tutto. Il design dei livelli nasce con l’obiettivo di far spaccare tutto. E distruggere è estremamente appagante. Le animazioni sono ricche di dettagli ed è addirittura possibile sferrare pugni davanti a noi muovendo i Joy-Con come se fosse un gioco di boxe.

Oltre alla distruzione dell’ambiente, nella demo ho affrontato anche delle fasi di combattimento. Tra gli avversari ce n’era uno volante. Il suo attacco prevede il lancio di sassi, che DK può fermare e lanciare a sua volta contro di lui. Dopo pochi incontri, il meccanismo è risultato molto intuitivo, cosa che mi fa ben sperare per i pattern di tutti quegli avversari che incontreremo in futuro.

Un nuovo Donkey Kong

Lato gameplay sono rimasto estremamente affascinato dalla proposta Nintendo. Il gameplay di Donkey Kong ha subito un vero e proprio restyling. Non abbiamo davanti un gioco che sembra estremamente complesso e difficile da portare avanti. Anzi, Bananza abbraccia l’esplorazione e fa di tutto per invogliare il videogiocatore a muoversi nel mondo di gioco, ricordando il già citato Super Mario 64 e Odyssey, ma strizzando l’occhio anche a The Legend of Zelda: Breath of the Wild.

Inoltre, parlando di ristrutturazione, la più evidente è quella sul personaggio stesso. In Bananza, Donkey Kong ha ora una pelliccia morbida, i suoi tratti sono più cartoon rispetto al passato e il mondo è più soffice e confortevole. Se dovessi uscire dall’universo Nintendo, potrei trovare una similitudine con l’ingenua follia di Crash Bandicoot. La volontà di Nintendo sembra quindi essere quella di rendere DK meno rude, più amichevole. E lo stesso sembra voler fare con i suoi videogiochi, a partire da Bananza. Le sensazioni sono state positive, ma per avere una risposta certa dovremo aspettare il 17 luglio 2025, quando Donkey Kong Bananza approderà sui nostri schermi, su Nintendo Switch 2.

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Mario Kart World, ecco la nostra prova

Alla Nintendo Experience di Milano, oltre a mettere finalmente le mani su Switch 2, abbiamo potuto dare uno sguardo ai primissimi titoli ( pronti o quasi) che saranno disponibili per la nuova console di casa Nintendo. Tra questi, ovviamente, anche Mario Kart World, titolo di punta del catalogo della Switch 2 e da sempre cavallo di battaglia della grande N su qualsiasi console uscita in questi anni (vedi questo articolo per approfondire).

Su Switch 2, probabilmente, questo gioco sarà una vera e propria killer application, ovvero quel giocoche dovrebbe giustificare e determinare l’acquisto della console da parte della più larga fetta di pubblico possibile. Sarà riuscito Mario Kart World a soddisfare le aspettative? Eccovi le nostre impressioni!

Sfrecciare a 120 fps

Quello che salta subito all’occhio appena ci si sistema davanti lo schermo, che sia il quasi 8 pollici della console od un più grande monitor collegato, sono la brillantezza dei colori e la pulizia generale dell’immagine. Con Mario Kart 8, Nintendo aveva già raggiunto l’apice, con la tecnologia a disposizione ovviamente.

Ora che questa tecnologia è cambiata, e sono cambiate anche le aspettative dei giocatori. Nintendo ha quindi spinto sull’acceleratore, proponendo un gioco davvero davvero bello da vedere, con la Switch 2 che lo spinge fino a 120 fps in 4 K upscalati. MK World rappresenta, dal punto di vista grafico, un’ evoluzione davvero significativa rispetto ai suoi predecessori.

Il gioco introduce una modalità open world, con circuiti più ampi e dinamici, che ospitano fino a 24 concorrenti, raddoppiando, di fatto, il numero rispetto a Mario Kart 8.

Possiamo dire, dopo la prova, che questa caratteristica conferisce alle corse un’atmosfera molto più caotica e, di conseguenza, divertente. Chicca finale, gli eventi climatici variabili, che influenzano le piste all’improvviso, donando un ulteriore pizzico di imprevedibilità.

Le nuove meccaniche di guida, almeno quelle provate alla Experience, consentono di interagire con l’ambiente circostante effettuando salti e “grindate”. Inoltre, il roster di oltre 50 personaggi offre un’esperienza di gioco profonda e personalizzabile.

Modalità di gioco

Parliamo ora delle modalità di gioco. Dalla prova, abbiamo capito che, oltre alla classica modalità Grand Prix, avremo una modalità totalmente libera, che permette agli utenti di visitare i circuiti liberamente senza restrizioni e la modalità Sopravvivenza, in cui i giocatori vengono eliminati progressivamente in base alle loro prestazioni.

Il prezzo di lancio di MK World si attesta, per la versione fisica, a 89,99 euro (79,99 per la versione digitale), se acquistato invece in bundle con la console il risparmio diventa significativo. La versione bundle ovviamente sarà solo digitale.

Mario Kart World si preannuncia dunque come una delle uscite più attese in questo lancio di Switch 2. L’esperienza di gioco, che combina elementi classici con innovazioni audaci, potrebbe creare il giusto mix esplosivo tipico di Nintendo.

Non ci resta che attendere e vedere!

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Until Then: vivere il tempo sospeso dell’adolescenza

C’è qualcosa di magico e speciale nei videogiochi che non hanno fretta. Until Then non corre, non urla: ti invita semplicemente a vivere, a ricordare, a sentire. In un mondo sempre più frenetico governato dal bombardamento visivo e dalla logica consumistica, quest’opera ci offre un rifugio, un angolo sospeso nel nulla in cui fermarsi a meditare.

Si tratta di un titolo che tesse i fili dell’adolescenza, dove ogni gesto è carico di significato e ogni silenzio è pesante.

La produzione di Until Then

Lo sviluppo, a cura di Polychroma Games, è iniziato durante la pandemia di COVID-19 nel 2020, con un team di circa dieci persone, guidato da Mickole Klein Nulud.

In Until Then, avventura narrativa ambientata nelle Filippine del 2014, vestiamo i panni di Mark Borja, uno studente delle superiori che vive da solo nella città immaginaria di Liamson. In apparenza, è solo un ragazzo qualunque. Ma il suo mondo, segnato da un cataclisma globale e da sparizioni inspiegabili, ci avvolge lentamente, fino a diventare il nostro.

Il videogioco combina il classico impianto da visual novel con vari elementi di avventura grafica. La narrazione è espressa principalmente attraverso il discorso diretto e forti sequenze dialogiche, supportate da flussi di coscienza che guidano l’interazione tra i vari personaggi. Il tutto poggia su uno stile grafico unico e inimitabile: una pixel art estremamente dettagliata su sfondi tridimensionali.

Until Then

Le tematiche

L’opera esamina una varietà di temi profondi: l’importanza delle relazioni umane nella nostra quotidianità, l’attenzione ai dettagli, le cose non dette. Riflette inoltre con lucidità su come la comunicazione – o la sua assenza – possa diventare costruttiva o distruttiva nei rapporti umani. La perdita e il trauma si insinuano nella vita di tutti i giorni e il titolo esplora con delicatezza la difficoltà nell’affrontarli, superarli o, più banalmente, di accettarne l’esistenza.

Il gioco ci mostra quanto spesso tendiamo a rifugiarci in una dimensione alternativa, aggrappandoci ai ricordi o a una realtà che ci sembra più sopportabile. La bellezza di Until Then sta proprio nel modo in cui riesce a far emergere queste emozioni attraverso una narrazione semplice, per quanto incredibilmente potente.

La sospensione del gameplay in Until Then

Sul piano del gameplay, le azioni a nostra disposizione non sono numerose, ma questo aspetto passa presto in secondo piano. L’esperienza che ci viene offerta è qualcosa che va oltre l’interazione: il coinvolgimento emotivo prende il sopravvento e siamo chiamati ad abbandonare il controllo, per vivere davvero la storia.

È un’esperienza sospesa che siamo chiamati a goderci in una realtà atemporale, in cui le storie dei protagonisti scorrono davanti a noi con un taglio cinematografico che rende ogni momento vivido e tangibile. Le inquadrature, i giochi di luce, le illustrazioni, le animazioni: ogni elemento è organizzato con cura per regalarci un’esperienza che supera i confini stessi del medium videoludico.

I minigiochi presenti sono per lo più un espediente per amplificare il coinvolgimento e l’immersività.

La cornice filippina e la colonna sonora

Di fondamentale importanza per la comprensione del videogioco è la sua cornice filippina. Il gioco riesce a mostrarci uno spaccato culturale unico e ci offre gli strumenti per immergerci nella realtà filippina, con le sue peculiarità: la struttura delle strade, le scuole, la diaspora delle famiglie, i fenomeni sismici e l’importanza della comunità. Tutto ciò contribuisce a farci esplorare una città vivente, che fa della sua ispirazione a Metro Manila il suo punto di forza.

A causa delle restrizioni di viaggio e dell’impossibilità di effettuare dei sopralluoghi, gli artisti si sono affidati a Google Earth per riprodurre fedelmente le ambientazioni ispirate alla capitale filippina.

Per quanto riguarda specificatamente la colonna sonora e la musica in generale, essa è fulcro fondamentale dell’esperienza di gioco e della trama stessa. Il pianoforte è strettamente collegato alle vicende narrative, e il suo utilizzo si fonde in una nuova dimensione che rafforza la sua presenza, sia a livello narrativo che nella realtà esterna del videogioco, in cui la ritroviamo sotto forma di OST.

La quotidianità e il sentimento di anemoia

Until Then è anche nostalgia. L’opera rievoca infatti un concetto molto particolare, ovvero l’anemoia, una forma di malinconia per un tempo che non si è mai vissuto. I protagonisti stessi percepiscono questo e noi siamo chiamati a condividerlo con loro, a sentire le cose come familiari e vicine, pur non avendole mai provate.

I piccoli momenti di interazione quotidiana, come il controllo del telefono o il rispondere a un messaggio, sembrano banali, ma sono ricchi di un’intimità che risuona personalmente. Questi frammenti, apparentemente insignificanti, diventano emblemi di un tempo sfuggente e inarrestabile e contribuiscono a rendere reale ciò che vediamo.

Per concludere, Until Then non è solo un videogioco, ma un viaggio che ci costringe a fermarci un’istante, a riflettere e a vivere ogni momento con consapevolezza. Ci invita ad ascoltare con attenzione e, nel farlo, ci regala quella che può essere considerata una delle avventure più emozionanti che il medium videoludico possa offrire.

Until Then
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