Categorie
Recensioni

Death Stranding 2: On the Beach – Recensione

Ecco la nostra recensione di Death Stranding 2, ultimo lavoro nato dal genio sregolato di Hideo Kojima!

Quando nel 2019 è uscito il primo Death Stranding, ho compreso due cose: la prima, che qualcosa di profondamente nuovo era atterrato nel panorama videoludico; la seconda, che non tutti erano pronti ad accoglierlo. In effetti, Hideo Kojima, libero da ogni catena editoriale, dopo l’addio burrascoso a Konami, si era finalmente concesso il lusso di creare un gioco che fosse “alla Kojima” fino in fondo (vedi qui per un approfondimento sui giochi di Kojima). Un atto di fede visionaria che, nel bene e nel male, ha diviso la community.

Io, da parte mia, ne fui catturato. Ricordo quelle passeggiate infinite tra montagne e vallate, le leggi della fisica da tenere sotto controllo mentre si hanno carichi preziosi sulle spalle, le melodie dei Low Roar che partivano nei momenti giusti, come una carezza in un mondo spaccato. Era un videogioco lento, contemplativo, eppure carico di tensione e significato. Un esperimento, sì, ma con un’anima.

E adesso? Adesso Kojima è tornato, e Death Stranding 2: On the Beach non è più un esperimento: è una conferma. Non perfetto, ma vivo, pulsante, disturbante e spesso geniale. Un titolo che ha il coraggio di farti rallentare in un medium che corre e che, nel farlo, ti fa riflettere su cosa significhi “giocare” oggi.

Un sequel che osa cambiare

Dimenticatevi per un attimo il Sam Porter Bridges silenzioso e operoso del primo capitolo. Death Stranding 2: On the Beach non è semplicemente “più” del precedente, ma è anche “diverso”. Kojima non si limita a iterare sul gameplay: riscrive intere dinamiche, aggiusta la narrazione, sposta l’obiettivo. Si passa dal “ricucire un’America fratturata” a un tentativo ancora più folle: capire se c’è qualcosa, o qualcuno, oltre il mare. Il concetto di “connettere” si allarga, e lo fa portando i personaggi verso l’ignoto, sia fisicamente che emotivamente.

E in questo salto di scala, si inserisce una delle sorprese più riuscite del gioco: il tono. Death Stranding 2: On the Beach è più ironico, più surreale, più grottesco. Alcuni momenti sembrano usciti da un teatro dell’assurdo, tra dialoghi criptici, comparse improbabili e picchi emotivi sincopati. Ma è proprio questo caos controllato, questa danza tra il ridicolo e il sublime, a rendere il viaggio appassionante.

Gameplay: fardelli nuovi, equilibri vecchi

Chi ha amato il gameplay del primo DS troverà qui pane per i suoi denti – e anche un bel po’ di carne sopra. Le meccaniche base della consegna, dell’equilibrio, del peso e del terreno restano, ma vengono rimescolate da una marea di nuovi strumenti, veicoli e ambientazioni. La mappa è più ampia, variegata e dinamica. Le condizioni atmosferiche, ad esempio, ora non sono solo ostacoli: diventano risorse o opportunità.

Ma è la costruzione della rete di infrastrutture – ponti, zipline, rifugi – che torna con più senso che mai. Vedere una corda lasciata da un altro giocatore, scoprire che ti ha appena salvato da una caduta mortale, o ritrovarti a ringraziare in silenzio chi ha costruito un ascensore su una parete impossibile… sono quelle le vere connessioni. E vi assicuro che creano una soddisfazione profonda, quasi “altruistica”, che pochi giochi riescono a regalare.

Certo, non tutto funziona alla perfezione. Alcune sezioni di stealth forzato rallentano un po’ troppo il ritmo, e c’è ancora qualche momento in cui l’interfaccia sembra voler giocare contro di te. Ma si tratta di inciampi minori, in un impianto generale solido e coerente con la visione del gioco.

Il confine tra cinema e follia

Parlare della trama senza spoiler è difficile, ma posso dire questo: Death Stranding 2 continua a camminare sul filo teso tra epica esistenziale e teatro kabuki. Kojima scrive con la penna del regista e il cuore del game designer, e la storia – pur tra mille bizzarrie – funziona. Non sempre è lineare, non sempre è chiara, ma è sempre evocativa.

Norman Reedus torna nei panni di Sam, ma questa volta con una consapevolezza nuova, quasi riluttante. Al suo fianco ritroviamo Fragile (una Léa Seydoux in stato di grazia), nuovi comprimari ambigui, e una serie di antagonisti che sembrano partoriti da un incubo collettivo.

Il punto di forza? Il gioco sa sorprenderti. Ti illude di aver capito dove stai andando, e poi ti tira fuori un plot twist che rimette tutto in discussione. Alcuni dialoghi fanno sorridere per la loro assurdità, altri colpiscono al petto per la loro intensità. Non è cinema, non è letteratura, non è solo videogioco: è Kojima Storytelling™, con tutte le sue luci e le sue ombre.

Tecnica e direzione artistica: tra l’organico e il sintetico

Death Stranding 2

Visivamente, Death Stranding 2 è uno spettacolo. Il Decima Engine si conferma una bestia tecnica, e su PS5 (dove l’ho giocato) gira fluido, con dettagli ambientali che tolgono il fiato. I volti sono realistici fino all’inquietudine, la gestione della luce è magistrale, e gli effetti atmosferici – pioggia, vento, neve – trasformano ogni uscita in un piccolo evento.

Ma è la direzione artistica a fare la differenza. Alcuni scenari sembrano usciti da una mente in preda a un sogno lucido, altri ricordano più un’opera concettuale che un videogame. Kojima gioca con colori, simmetrie, suoni e assenza di suoni, per evocare stati d’animo più che ambientazioni. Si va da deserti rossi e brulli a architetture liquide e distorte che sembrano sussurrare qualcosa mentre ci cammini dentro. È un’esperienza percettiva, prima ancora che ludica.

Un’opera di precisione millimetrica

Death Stranding 2: On the Beach rappresenta uno dei picchi più alti mai raggiunti sul piano tecnico da uno studio di sviluppo. Kojima Productions ha saputo spingersi oltre i confini già estremi del primo capitolo, confezionando un’esperienza visivamente e acusticamente sorprendente. Basato sull’evoluto Decima Engine (lo stesso utilizzato da Guerrilla Games per Horizon), il gioco mostra un livello di dettaglio che lascia spesso a bocca aperta: dalle gocce di pioggia che si infrangono sulla tuta del protagonista, fino alla resa del terreno che muta in tempo reale in base a pioggia, vento e calpestii. Gli elementi atmosferici non sono solo scenografici ma hanno impatti concreti su fisica e interazioni, rendendo il mondo tangibile e dinamico. La gestione dell’illuminazione globale, dei riflessi e delle ombre dinamiche riesce a creare una sensazione di realismo che ha pochi eguali nel panorama attuale.

La fluidità è un altro punto di forza: su PlayStation 5 il gioco si mantiene stabilmente sui 60 fps in modalità performance, garantendo un controllo sempre reattivo anche nelle situazioni più concitate. I caricamenti sono praticamente inesistenti permettendo un’esperienza senza interruzioni. Dal punto di vista audio, Death Stranding 2 non è da meno: il lavoro svolto sul sound design è minuzioso, con ambienti che respirano, suoni ambientali stratificati, e una colonna sonora che ritorna con il suo carico di emozioni firmato ancora una volta da Ludvig Forssell e da band come Low Roar, presente in tracce inedite postume. L’effetto è quello di una sinestesia, dove ogni passaggio tecnico concorre a costruire una sensazione immersiva profonda.

In particolare, la motion capture ha raggiunto nuove vette di perfezione: il volto di Sam, così come quello degli altri protagonisti, non è solo realistico, ma riesce a comunicare emozioni complesse anche nei momenti di silenzio. Le cutscene sono veri e propri cortometraggi cinematografici, diretti con la consueta attenzione quasi maniacale da parte di Hideo Kojima. In definitiva, il comparto tecnico di Death Stranding 2: On the Beach è qualcosa che va oltre il semplice “ben fatto”: è una dichiarazione di intenti, la dimostrazione che il videogioco può essere una forma d’arte capace di utilizzare tutte le tecnologie a disposizione per evocare mondi che sembrano più veri del reale.

Un capolavoro visionario

Parlare delle ambientazioni di Death Stranding 2: On the Beach significa entrare in un territorio che va oltre il concetto stesso di videogioco. Kojima e il suo team hanno realizzato una vera e propria opera d’arte interattiva, capace di fondere suggestioni visive, mitologia moderna e un’estetica post-apocalittica che trasmette poesia e disorientamento in egual misura. Ogni luogo esplorato in questo seguito è una narrazione in sé, un mondo vivo che racconta storie anche in assenza di dialoghi o di eventi scriptati. Le rovine abbandonate, le città sospese tra il recupero e il collasso, le coste deserte battute dal vento: tutto contribuisce a una visione quasi pittorica della fine e della rinascita.

La varietà di ambienti è sorprendente. Si passa da regioni desertiche punteggiate da architetture ciclopiche a foreste pluviali dove la vegetazione sembra crescere in modo sovrannaturale, fino a distese ghiacciate dominate da luci aurorali che spezzano il silenzio con un senso di meraviglia ancestrale. Ogni luogo sembra provenire da un sogno o da un ricordo, e al contempo esprime una tangibilità rara. Il design non è solo funzionale alla progressione di gioco, ma è profondamente simbolico: la spiaggia, in particolare, torna come metafora dell’inconscio e della soglia tra vita e morte, trasformandosi in uno spazio quasi sacro che il giocatore attraversa più volte con emozioni diverse.

Il modo in cui la regia virtuale sfrutta la macchina da presa per farci immergere in questi paesaggi è un esempio di come il linguaggio cinematografico possa essere perfettamente integrato in un’opera interattiva. Il mondo di Death Stranding 2 non è solo da esplorare: è da contemplare. Ci si ferma non per noia ma per rispetto, per la bellezza che emana anche nei luoghi più spogli.

È raro che un videogioco riesca a stimolare lo sguardo come farebbe un museo d’arte contemporanea. Death Stranding 2: On the Beach riesce in questa impresa, costruendo un universo che è al contempo affascinante, inquietante e indimenticabile. Un invito costante all’osservazione lenta, alla riflessione, all’empatia.

Un’avventura forse troppo frammentata

Il gameplay di Death Stranding 2: On the Beach prosegue il solco tracciato dal primo capitolo, espandendolo in direzioni inaspettate ma coerenti. La meccanica del delivery resta centrale, ma viene arricchita da nuove tecnologie, veicoli e strumenti che rendono l’attraversamento del mondo meno frustrante e più strategico. Le missioni di consegna non sono più semplici tragitti da punto A a punto B, ma diventano veri e propri puzzle ambientali, dove il giocatore deve tenere conto di morfologia del territorio, condizioni meteo e presenza di ostacoli dinamici. L’introduzione di nuove entità ostili e scenari “liquidi”, che mutano nel tempo e nello spazio, dona una freschezza notevole alla progressione.

Le fasi di combattimento, pur non essendo il focus dell’esperienza, sono state riviste e migliorate: ora risultano più dinamiche e meno legnose, con un sistema che premia la preparazione e l’equipaggiamento. Tuttavia, il vero cuore pulsante del gameplay resta la gestione delle risorse, del carico, e la pianificazione di ogni singolo passo. Si tratta di un gameplay riflessivo, quasi meditativo, che richiede attenzione e coinvolgimento totale. Non è per tutti, ma per chi ne abbraccia il ritmo, l’esperienza è profonda e gratificante.

Sul fronte narrativo, Death Stranding 2 introduce una galleria di personaggi vecchi e nuovi, ciascuno dotato di un’identità ben definita. Il ritorno di Fragile assume un peso maggiore, così come l’enigmatico ruolo di Elle Fanning, il cui personaggio resta volutamente sfuggente per buona parte dell’avventura. Nota a margine per Neil intepretato e doppiato dal nostro Luca Marinelli. Eppure, c’è qualcosa di disgiunto nel modo in cui si concatenano le missioni principali: le peripezie di Sam, pur essendo intense e ricche di contenuti simbolici, appaiono talvolta come episodi isolati, più che tappe di un unico grande viaggio.

Questa frammentazione narrativa non compromette la qualità complessiva, ma lascia una sensazione di distacco tra un momento e l’altro, come se mancasse un filo conduttore forte che tenga tutto saldamente insieme. Ed è proprio questo il punto dolente dell’esperienza videoludica. Kojima sembra voler raccontare più visioni che una trama lineare, e questo può affascinare quanto disorientare. Resta il fatto che ogni interazione, ogni incontro, lascia il segno: che si tratti di un nemico, di un alleato, o semplicemente di un viaggiatore solitario in cerca di connessione. Death Stranding 2 è un viaggio interiore mascherato da gioco d’azione e, anche nei suoi momenti più slegati, riesce comunque a toccare corde profonde e autentiche.

Un viaggio tra i confini dell’umanità e dell’ignoto

In Death Stranding 2: On the Beach, il mondo post-apocalittico immaginato da Hideo Kojima evolve, diventando non solo un territorio fisico da attraversare, ma anche uno spazio mentale e simbolico da esplorare. Dopo gli eventi del primo capitolo — che hanno segnato la nascita di nuove connessioni tra le persone, ma anche profonde ferite nel tessuto del tempo e della realtà — Sam Porter Bridges si ritrova ancora una volta coinvolto in un’impresa più grande di lui, chiamato a rispondere a un nuovo squilibrio che minaccia l’esistenza stessa dell’umanità.

La trama si sviluppa intorno a un misterioso evento che sembra avere origine da un’altra “spiaggia”, quelle dimensioni liminali che separano la vita dalla morte e che fungono da crocevia per ciò che è umano e ciò che non lo è. Ma a differenza del passato, il pericolo non è solo quello della disconnessione tra persone isolate: stavolta il rischio è una deriva dell’intero concetto di esistenza. Cosa succede quando i legami, anche quelli più forti, vengono stravolti? Quando le emozioni, la memoria, il dolore e la speranza si fondono fino a diventare indistinguibili?

Il gioco introduce nuovi personaggi enigmatici, ognuno portatore di un frammento di verità e riafferma il ruolo di alcune figure chiave del primo capitolo, approfondendone le motivazioni e i conflitti. La trama si sviluppa attraverso una serie di missioni e visioni, costruendo un mosaico che il giocatore è chiamato a ricomporre non solo con la logica, ma anche con l’empatia. Non tutto è chiaro, e non tutto viene spiegato: Death Stranding 2 sceglie consapevolmente l’ambiguità come linguaggio narrativo, preferendo il dubbio alla certezza.

Pur mantenendo uno scheletro “lineare” — Sam deve compiere un viaggio, affrontare ostacoli, incontrare alleati e nemici — la storia si concede libertà poetiche, deviazioni oniriche e riflessioni filosofiche. La spiaggia, ancora una volta, non è solo un luogo: è un concetto. È la soglia tra ciò che siamo e ciò che potremmo essere. In questo senso, On the Beach è un racconto sul senso della connessione, ma anche sulla paura di perderla. Un’opera che parla di fine, ma anche di rinascita.

Infilate le cuffie, alzate il volume e chiudete gli occhi

Se nel primo DS la colonna sonora era uno dei protagonisti, qui torna con rinnovato splendore. Oltre a Low Roar, ormai parte dell’identità del gioco (nonostante la tragica scomparsa di Ryan Karazija), troviamo nuove collaborazioni musicali che si integrano perfettamente. I brani non sono messi lì per “riempire”, ma entrano nei momenti giusti, spesso silenziosi, per darti il colpo emotivo dove serve.

E anche il sound design fa un lavoro incredibile: ogni rumore – i passi sulla neve, il respiro di Sam, il fischio di un BT – ti avvolge, ti accompagna, ti fa sentire dentro quel mondo. Con le cuffie giuste, è quasi sinestesia.

Conclusioni: un cammino che vale la fatica

Death Stranding 2: On the Beach non è un gioco per tutti, e va bene così. Non vuole esserlo. È un titolo che ti chiede tempo, pazienza e apertura mentale. Ti chiede di ascoltare, di osservare, di accettare il fatto che a volte camminare è già un atto rivoluzionario, soprattutto in un mondo dove tutti vogliono correre.

L’ultima fatica di Kojima riesce ad essere un’esperienza nuova in un panorama spesso omologato. Perché osa, sperimenta, fallisce in alcune cose ma riesce in molte altre. Perché dietro ogni pacco consegnato, ogni collegamento creato, ogni scelta folle, c’è una coerenza autoriale rara. E perché, pur con tutti i suoi difetti, è un gioco che resta, che lascia il segno.

In un’industria che troppo spesso copia sé stessa, Kojima continua a raccontare storie con il coraggio dell’artista e la testardaggine del sognatore. E io, da videogiocatore incallito, non posso che dirgli grazie.

Se avete amato il primo, giocatelo. Se non l’avete capito… giocatelo lo stesso. E poi rigiocate il primo. Perché in Death Stranding 2, tutto si riconnette.

Conclusione

Death Stranding 2: On the Beach amplia in modo ambizioso la trama del primo capitolo, approfondendo i legami tra vita e morte e riportando in scena Sam Porter Bridges in un contesto ancora più complesso e simbolico.
Visivamente, il gioco è straordinario. Ogni paesaggio è curato nei minimi dettagli, creando un’atmosfera sospesa tra reale e surreale. Il nuovo motore grafico spinge al massimo l’espressività visiva, rendendo ogni ambientazione memorabile.
La colonna sonora è uno dei punti di forza: malinconica, potente, perfettamente integrata con l’esperienza di gioco. I brani scelti arricchiscono il viaggio emotivo, contribuendo alla costruzione del mondo in modo profondo.
Unico vero limite è la narrazione: spezzettata, frammentaria, a tratti dispersiva. Sebbene ricca di idee, può disorientare chi cerca un racconto lineare e coeso.
In sintesi, un’opera affascinante, esteticamente eccellente, ma non per tutti.

8,5

Dettagli e Modus Operandi
  • Piattaforme: Playstation 5
  • Data uscita: 26 giugno 2025
  • Prezzo: 69,99 euro

Ho giocato e completato il gioco su Playstation 5

Di Attilio Alvino

La mia vita ruota attorno ai videogame da quando sono nato e, ancora oggi, a 40 anni suonati, continuano ad avere un ruolo fondamentale. Venero il Commodore 64 e prediligo il PC game: datemi tastiera e mouse e vi conquisterò il mondo!

Iscriviti alla nostra newsletter!

Ricevi settimanalmente aggiornamenti sugli ultimi approfondimenti direttamente sulla tua email. Potrai disiscriverti quando vorrai.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Panoramica privacy

Questo sito web usa Cookie al fine di fornire la migliore esperienza possibile. Le informazioni Cookie sono conservate sul tuo browser e hanno il compito di riconoscerti quando torni sul nostro sito web. Inoltre, sono utili al nostro team per capire quali seizioni del sito web sono maggiormente utili e interessanti.