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Monster Hunter Wilds – Recensione

Partiamo dalla tesi: Monster Hunter Wilds funziona. E funziona bene. Il gameplay, cuore pulsante della serie, resta fedele alle sue radici, mantenendo intatta quella struttura che ha reso il franchise un punto di riferimento per milioni di giocatori, dai fan più accaniti ai nuovi arrivati. Ma non si tratta solo di un’operazione nostalgia: le novità ci sono e si sentono, soprattutto nei nuovi counter attack, che non solo spaccano a livello visivo, ma regalano soddisfazioni anche a livello tecnico. Ad ogni colpo risposto con precisione corrisponde quella soddisfacente sensazione di pieno controllo sul gioco gioco. Peccato, però, che ancora una volta, si senta la mancanza di un vero e proprio endgame.

Un “quasi” open world, ma va bene così

L’approccio “open world” è un altro passo in avanti. O meglio, il gioco vuole farti credere di essere open world, e ci riesce abbastanza bene. Gli accampamenti sono accessibili senza caricamenti, persino le diverse macroaree sono tra loro collegale, mentre la vecchia base, che rappresentava una mappa a parte, è ormai un ricordo. Tutto è davvero molto fluido e coinvolgente. Peccato non poter ancora girare liberamente per il mondo in compagnia dei propri amici, se non durante specifiche missioni.

Meno convincente invece la scelta di permettere il trasporto di due armi durante la caccia, intercambiabili solo in sella alla cavalcatura. Bella idea sulla carta, ma in pratica? Poca roba. Non si sente davvero il bisogno di cambiare arma al volo, e l’utilità reale dell’opzione resta tutta da dimostrare. Perché non creare fight in cui l’unica opzione è quella di usare un’arma a distanza, così da “costringere” a cambiare arma anche i più fedeli alle armi da mischia? Signora Capcom, questo è solo un consiglio ovviamente…

Grafica bella, ma non perfetta

Sul fronte grafico, Wilds richiama da vicino Monster Hunter World, il titolo che ha consacrato il brand a livello globale. La resa visiva è ottima, con ambientazioni curate e mostri resi in maniera spettacolare. Peccato per qualche inciampo tecnico, con (pochi) bug qua e là e un adattamento non sempre impeccabile. Nulla di game-breaking, per carità, ma certi scivoloni si fanno notare. Vale la pena tenere d’occhio futuri aggiornamenti correttivi.

La trama di Monster Hunter Wilds

La trama? Come sempre, un contorno. Monster Hunter non ha mai brillato per la narrazione, e anche stavolta la storia è godibile ma non memorabile. Ma, parliamoci chiaro: il comparto narrativo non ha mai interessato veramente i giocatori del titolo, il cui unico scopo è spaccare mostri nella maniera più spettacolare possibile. La vera chicca, però, è la spiegazione, finalmente sensata, dei mostri temprati: non più solo versioni potenziate a caso, ma creature che sono sopravvissute a battaglie feroci, diventando più forti. Finalmente un po’ di lore che ha realmente senso.

Monster Hunter Wilds

Longevità: una tela bianca ancora vuota

E qui arriviamo al punto dolente: la longevità. Monster Hunter Wilds è una tela bianca, potenzialmente un capolavoro, ma per ora è tutto da dipingere. L’endgame è scarno, e si limita al solito farming di mostri forti per recuperare pezzi e gioielli. Ma poi? Dove li uso questi equip? Nei capitoli precedenti, salendo di Rank, si sbloccavano sfide vere, draghi anziani, mostri letali. Qui, niente. O almeno, non ancora.

Il futuro do Monster Hunter Wilds è ancora tutto da scrivere

La speranza è nei contenuti futuri: il fatto che sia già stato annunciato un nuovo mostro in arrivo è un buon segno, ma servono aggiornamenti costanti, livelli di sfida alti, contenuti che tengano vivo l’interesse. Altrimenti sarà una sconfitta, e grossa.

In sintesi: Monster Hunter Wilds ha le carte giuste, ma non ha ancora giocato la sua mano migliore. Se Capcom saprà sostenere il gioco con costanza e coraggio, ci troveremo di fronte a un altro colosso della serie. Se invece si accontenteranno di aver fatto “abbastanza”, ci ricorderemo di Wilds come l’occasione mancata più grande di tutta la saga. I presupposti, però, ci sono: nuove uscite sono già alle porte e si spera ne arrivino altre regolarmente.

Dare un voto al titolo non è per niente facile, perché il giudizio varia fortemente proprio a causa dell’incertezza dei futuri aggiornamenti. Pensare a Monster Hunter Wilds con l’ottica di nuove sfide contro draghi anziani e del ritorno di vecchie conoscenze, ecco che esce il sorriso e il ricordo dei bellissimi momenti passati su World. Riproporre la stessa esperienza in questo nuovo titolo significa dare a Wilds un 9 pieno: è proprio quello che desideravo (e non sono il solo). Se le cose invece resteranno così a lungo, il voto cambia e non può essere più di una sufficienza: un 6 basta e avanza vista l’attuale assenza di endgame. Ma noi siamo fiduciosi: Capcom ci regalerà tante nuove sfide e quindi si merita il 9… vero?

Dettagli e Modus Operandi
  • Piattaforme: PS5, PS5 PRO, Xbox Series X/S, PC
  • Data uscita: 28/02/2025
  • Prezzo: 79,99 €

Ho giocato a Monster Hunter Wilds su PC a partire dal day one.

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WWE 2K25 – Recensione

Ed anche quest’anno, puntuale come la primavera, ecco arrivare il nuovo episodio dell’ormai celeberrima saga di simulazioni di wrestling a cura di 2K Sports, ovvero WWE 2k25. Come spesso accade, soprattutto con le simulazioni sportive, la necessità di pubblicare un nuovo episodio ogni hanno porta con sé vari dubbi ed incertezze.

Capita spesso, infatti, che il nuovo gioco sia semplicemente una minestra riscaldata con alcune novità nel roster e piccoli ritocchi grafici e di gameplay. Sarà andata così anche stavolta? Oppure 2K Sports è riuscita a stupirci con novità ed aggiornamenti davvero di spessore? Scopriamolo insieme!

Storia di un’eredità

Come ampiamente anticipato dalle campagne pubblicitarie, la modalità Showcase di WWE 2K25 è incentrata sulla storia della Bloodline. Per chi non conoscesse questa modalità, si tratta di una serie di incontri, a stile cinematografico, in cui il giocatore, oltre a vincere, deve anche soddisfare numerosi obiettivi che vengono via via sbloccati col procedere dell’incontro.

Per l’edizione di quest’anno 2k Sports si è affidata alla sapiente guida di Paul Heyman. Il leggendario Manager accompagna il giocatore alla riscoperta della storia della leggendaria famiglia Anoa’i, che ha dato i natali a moltissime stelle di prima grandezza della storia del wrestling, tra cui Yokozuna, The Rock e, più recentemente, Roman Reigns.

Abbiamo trovato questa modalità, nel complesso, piacevole. I vari incontri sono presentati con grande cura e prongonono quasi sempre obiettivi sensati e non eccessivamente frustranti, che permettono anche di familiarizzare con i comandi del gioco. Unica eccezione sono gli obiettivi a tempo, che necessitano di essere completati entro lo scadere di un timer, pena il fallimento. Sinceramente abbiamo apprezzato anche questa aggiunta, che dona agli scontri un pizzico di sfida in più.

Scelte di regia discutibili

Meno convincente invece è apparsa la scelta dei match. Invece di concentrarsi sulle due stelle principali della fazione, ovvero Reigns e The Rock, 2K Sports ha scelto di esplorare a 360 gradi la famiglia samoana, dedicando spazio anche ad atleti molto meno noti ed importanti, come gli Headshrinkers e Nia Jax. Se da un lato questa scelta aumenta la varietà degli incontri, dall’altro esclude dalla modalità molti dei match più iconici del Capotribù (di cui ammetto di non essere un gran fan) e del Final Boss (che invece adoro).

Da segnalare anche la presenza di alcuni episodi “What if?“. In sostanza, molti dei match che vivremo sono battaglie mai realmente avvenute, oppure incontri con un finale differente da quanto accaduto realmente. Se questa scelta dona un pizzico di sorpresa, dall’altro viene solo abbozzata. Questi finali, infatti, non incidono minimamente sulla storia generale, ma sono semplici episodi autoconclusivi.

Nel complesso, dunque, lo Showcase di WWE2K25, a nostro giudizio, è riuscito solo a metà. Se da un lato propone un’idea di fondo interessante, non sfrutta appieno il potenziale che la storyline della Bloodline porta con se. In più, soprattutto a causa dei problemi legati allo sfruttamento delle license, i filmati di ripertorio sono molto ridotti e sono spesso sostituiti da filmati realizzati col motore grafico del gioco, che, per quanto ben fatti non riescono a ricreare la magia ed il coinvolgimento del materiale originale.

L’isola di WWE 2k25

WWE 2K25

La principale novità di 2K25 è sicuramente la modalità The Island. Una volta avviata, il giocatore riceve l’invito di Roman Reigns a recarsi sulla sua isola. Qui è in corso una competizione aperta a tutti con in premio la possibilità di diventare superstars della WWE. Dopo aver creato il nostro Avatar, questa modalità ci permette di esplorare l’intera isola, suddivisa in numerose aree specifiche.

Ogni area è dedicata ad una particolare tipologia di incontri e ci permette di gareggiare contro altri utenti da tutto il mondo. Nelle prime fasi, questa modalità propone anche una storia principale da seguire, per familiarizzare con le varie zone e con le dinamiche offerte dall’isola. Vincendo gli incontri e superando le numerose missioni e sfide che l’isola propone, il giocatore ha la possibilità di sbloccare punti da investire per il potenziamento e la personalizzazione dell’Avatar. In buona sostanza, The Island propone le stesse meccaniche viste nelle varie città presenti nella serie NBA 2K.

Anche questa modalità non ci ha convinti del tutto. Da un lato propone una sfida online più ricca ed articolata rispetto al passato. Tuttavia, l’idea sembra sfruttata solo a metà e non offre spunti di trama particolarmente intriganti o reali innovazioni di gameplay. Anche le varie storie che ci vengono proposte sanno molto di già visto e riprendono a piene mani da quanto mostrato dalle modalità My Rise delle scorse edizioni.

The Island sarà sicuramente apprezzata dagli amanti del gioco online ma difficilmente saprà conquistare chi era in cerca di reali innovazioni. A peggiorare ulteriormente la situazione, ci si mettono le microtransazioni. Questo elemento è infatti molto presente, soprattutto per quanto riguarda gli oggetti per la personalizzazione. Viene davvero da pensare che l’intera modalità sia stata pensata come specchietto per le allodole per attaccare i portafogli dei giocatori.

Ascendere…ancora una volta.

Parlando di My Rise, eccola fare ritorno anche quest’anno. Si tratta di una sorta di modalità storia in cui, dopo aver creato il nostro avatar, lo seguiremo nella sua scalata ai vertici della federazione. Sebbene sia un concetto già visto molte volte, My rise propone diversi spunti interessanti.

Anzitutto, questa volta le vicende della superstar maschile e di quella femminile saranno intrecciate. Dunque, nella stessa Run il giocatore deve per forza impersonare entrambi. Sebbene questo limiti la longevità, visto che la trama sarà praticamente la stessa per entrambi, dal nostro punto di vista rende la storia più interessante e scorrevole.

Per vedere tutti gli snodi e i vari finali è comunque necessario giocare la storia più volte, dal momento che alcune strade si sbloccheranno solo nelle run successive alla prima. Nel complesso abbiamo trovato questa modalità abbastanza ispirata, anche in virtù della storia che narra, incentrata su un ammutinamento da parte delle star di NXT ai danni dei roster “maggiori”. Unico neo della modalità, la presenza di fastidiosi bugs che causano il reset del gioco. Speriamo che gli sviluppatori risolvano presto il problema.

Un’offerta molto ricca

WWE 2K 25

Per quanto riguarda le rimanenti modalità, WWE 2K25 segue molto da vicino il predecessore. Ritorna la modalità My Faction, nella quale il giocatore costruisce la sua squadra di wrestler collezionando una serie di carte collezionabili diverse per rarità e potenza.

Sebbene quasi identica a quella della passata edizione, quest’anno My Faction include anche una sezione World Tour, ideale per approcciarsi per la prima volta a questa modalità. Anche My Faction propone un numero enorme di sfide, missioni da completare, ed eventi che si aggiornano costantemente nel tempo. Ogni sfida può essere affrontata sia in single player che in modalità online.

Praticamente invariata risulta anche la modalità My Gm, in cui, nelle veste di uno degli storici General Manager WWE, siamo chiamati ad organizzare ed allestire i vari show settimanali, nel tentativo di conquistare la vittoria contro i Brand rivali. L’unica novità rilevante qui è il maggior numero di manager tra cui scegliere e la presenza di nuove carte e abilità che possono influenzare il nostro percorso.

Anche la modalità Universe, che ci permette di accompagnare una superstar, sia essa creata od originale, nel corso di tutta l’annata wwe, con la possibilità di modificare ogni show dell’anno e di giocare in prima persona i match proposti, appare sostanzialmente invariata. L’unica novità proposta da WWE 2k25 è il ritorno dei promo, che tuttavia risulatano spesso fiacchi e macchinosi da organizzare.

Di nuovo sul ring

WWE 2K25

Uno dei maggiori punti di forza di WWE 2K25 è certamente la sua varietà. Il roster è semplicemente sconfinato, con più di 300 superstar a disposizione tra atleti attuali e leggende del passato. Non mancano nemmeno le versioni “alternative” dello stesso atleta, basate su vari momenti della sua carriera. Completano il quadro alcuni personaggi “meme”, come Supercena o la versione giocattolo di Cody Rhodes.

Anche la selezione dei match è estremamente ricca. Oltre a tutte le tipologie di incontri viste in precedenza, fanno la loro comparsa il Bloodline match e l’underground match. Il primo è un incontro nel quale, tramite la pressione di un apposito comando, ogni lottatore ha la possibilità di chiamare un alleato in sua difesa. Le superstar coinvolte dipendono dalle amicizie e dalle affinità di ogni superstar, visibili nella sezione roster.

L’underground match è invece una sfida in cui vengono eliminate le corde del ring. La vittoria è possibile solo per KO, sottomissione o squalifica. Questi incontri si rifanno ad una serie di episodi di Raw in cui la categoria underground era una sorta di lega indipendente in cui si disputavano risse clandestine. Anche in questo caso, l’aggiunta risulta azzeccatta e propone incontri divertenti e dinamici, in cui scagliare gli avversari fuori dal quadrato è ancora più semplice e devastante.

Il gameplay di WWE 2K25

Per quanto riguarda i controlli, questa edizione ripropone la formula dei capitoli precedenti. I movimenti, le prese, gli attacchi e le reversal sono piuttosto semplici da eseguire e l’azione scorre quasi sempre in modo fluido e veloce.

Rispetto all’episodio precedente, 2K 25 reintroduce un minigioco legato al clinch, che aggiunge un ulteriore tocco di varietà agli incontri, pur senza stravolgere le meccaniche. Inoltre, sono state migliorate le interazioni, in particolare col bordo ring e con alcuni elementi ambientali.

WWE 2K25

Permangono purtroppo alcune sbavature. In alcune situazioni, ad esempio, il nostro personaggio sembra incapace di aggirare l’avversario a terra, rendendo ostico raggiungere il paletto. Negli scontri a squadre, poi, il sistema di puntamento risulta a volte poco funzionale e rende ostico selezionare il bersaglio giusto.

Meritano infine una menzione le battaglie nel backstage, che sono state rese ancora più varie e divertenti grazie all’inserimento di nuove ambientazioni. In particolare, ci ha colpiti favorevolmente l’archivio WWE, che contiene numerose citazioni alla decennale storia della federazione.

Grafica e comparto tecnico

Dal punto di vista tecnico, WWE 2K25 fa bene il suo lavoro, senza far gridare al miracolo. Il motore grafico del gioco ricorda molto quello dell’edizione 2K24, ma riesce a svecchiarlo e migliorarlo. In generale, le fattezze e la corporatura delle varie superstars appare più curata e verosimile, soprattutto per quanto concerne i visi e le espressioni facciali.

Permane purtroppo un certo gap tra le superstar più famose e i midcarder, i cui modelli risultano, in generale, meno realistici e non sempre fedeli alle controparti reali. Si nota una certa discrepanza anche tra le superstar machili e quelle femminili, sebbene la resa di queste ultime sia molto migliorata rispetto al passato. Da questo punto di vista, il gioco soffre la scelta di essere stato fatto uscire anche per le console di vecchia generazione. Un reale salto di qualità non potrà essere possibile finché non verranno realizzati episodi specifici per Series X/S e PS5.

Due parole anche sul sonoro che, ancora un volta non convince. Se da un lato sono presenti tutte le musiche degli ingressi delle superstars, dall’altro le tracce realizzate appositamente per il gioco risultano piuttosto anonime e poco varie, con l’alternanza tra brani rock e rap davvero poco ispirati.

Tirando le somme

In conclusione, WWE 2k 25 prosegue la striscia positiva della serie, iniziata con WWE 2k22. Pur senza portare innovazioni sostanziali o modalità particolarmente ispirate, WWE 2K25 propone un gioco di wrestling ricchissimo di contenuti, con un comparto tecnico nel complesso convincente e un gameplay divertente e rodato.

Purtroppo, il gioco resta davvero troppo simile al suo predecessore e non sembra offrire reali motivazioni che giustifichino l’acquisto, soprattutto per coloro che hanno già comprato WWE 2K24. Con WWE 2K25 gli sviluppatori hanno sicuramente svolto un buon lavoro, ma ogni aspetto del gioco sembra dare l’idea di un qualcosa di riuscito solo in parte, senza quasi mai toccare livelli di eccellenza.

WWE 2K25 ripropone la formula vincente dei suoi predecessori, senza stravolgerla. Il comparto tecnico, pur mostrando alcune migliorie, sembra ancora troppo ancorato al passato. Il gameplay, risulta divertente ed efficacie, ma non porta con sé novità davvero importanti. Le nuove modalità, infine, non riescono a convincere del tutto. Se siete fan del wrestling probabilmente adorerete questo gioco. Per tutti gli altri occorrerà valutare attentamente un eventuale acquisto.

Dettagli e Modus Operandi
  • Piattaforme: PS5, PS5 PRO, Xbox Series X/S, Microsoft Windows, PS4, Xbox One
  • Data uscita: 14/03/2025
  • Prezzo: 74,99 €

Ho giocato e completato il gioco su PlayStation 5.

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Two Point Museum – Recensione

Sono cresciuto con una venerazione per Bullfrog Productions. Theme Park e Theme Hospital furono giocati da tutti i miei cugini, me compreso, il più piccolo tra tutti. Per la giovane età, vidi il titolo sui parchi tematici solo di sfuggita, ma giocai con avidità Theme Hospital per centinaia di ore. Ero troppo piccolo per essere bravo con i gestionali. Per questo motivo sono grato a Mark Webley e Gary Carr – ormai icone del settore anche grazie ai loro successivi capolavori come Black & White e Fable – per aver inaugurato Two Point Studios. Dopo aver amato, e recensito Two Point Hospital, rieccomi dunque di nuovo a capo di una strampalata équipe, questa volta per dirigere e fornirvi la recensione di Two Point Museum, un nuovo gestionale che ci porterà a essere il direttore di svariati musei (contemporaneamente).

Mi aspetto poche obiezioni all’affermazione: “Two Point nasce come vero erede di Theme Hospital”. Al primo titolo dello studio dobbiamo dare il merito di averci fatto rivedere su chiave moderna il difficilissimo Theme Hospital, semplificandolo ma mantenendo intatta la sua natura. Two Point Museum invece ha fatto qualcosa di simile con i suoi predecessori più moderni, Two Point Hospital e Two Point Campus, nel bene e nel male.

Two Point Museum basa tutta la sue esperienza su basi solidissime, che ben conosciamo. Le modalità di gioco sono due: storia (o carriera oserei dire) e una libera, un vero e proprio editor sandbox dove impostare tutte le regole della partita in totale libertà. La modalità storia mi ha fatto impersonare un direttore di museo, in totale cinque, su cui balzare (quasi) contemporaneamente. Il primo museo, incentrato sulla preistoria, è anche il tutorial del titolo. Per i veterani, Two Point Museum è come andare in bici: hai il dubbio, dopo tanti anni, di non ricordarti come si fa, ma una volta in sella ti accorgi che niente è cambiato.

Il punto più evidente di questa somiglianza è di natura tecnica: la grafica e le texture sono esattamente quelle dei primi due capitoli. Da un lato è piacevole vedere le stesse proporzioni su un tema diverso, ma qualche sforzo in più sarebbe stato gradito. Questo non significa che Two Point Museum non sia bello da vedere, anzi. I personaggi sono strambi al punto giusto e l’ambientazione museale si adatta perfettamente allo stile no-sense di tutta la serie. L’obiettivo è sempre lo stesso: fare soldi attraverso la felicità dei clienti. E per farlo bisognerà adornare i propri musei nel mondo più stravagante. Forse anche troppo.

Recensione Two Point Museum: Sonic

Per diventare il migliore nel mio campo, ho dovuto riportare in auge musei ormai in crisi. Partendo da zero, ho dovuto costruire dalle fondamenta (o quasi) i nuovi musei. L’inizio ricorda quanto già visto nel passato, più o meno recente. Il gameplay, almeno nella modalità storia, si concentra sul soddisfare requisiti basati sul guadagno, far felici i visitatori, ma anche costruire strutture sempre più all’avanguardia. Per farlo è stato necessario assumere un personale qualificato. Ai classici cassieri e addetti alla pulizia e manutenzione, si aggiungono le guardie che evitano furti al museo e ovviamente gli esperti archeologi, dediti ai tour guidati in museo e soprattutto le spedizioni.

Recensione Two Point Museum: Spedizione

Dovrebbe stare in un museo

La vera, e ben riuscita, novità di Two Point Museum sono le spedizioni. Ogni museo di fama internazionale deve avere dei reperti unici. Per ottenerli, ho assoldato dei novelli Indiana Jones (come si può notare dall’abbigliamento degli esperti di preistoria) che ho mandato in giro per il mondo. Nel gioco questo si traduce nel cliccare su un velivolo che aprirà una mappa in stile gioco da tavolo. Potremmo muoverci tra le caselle e scegliere dove mandare la nostra troupe di esperti. Ogni spedizione potrà essere composta da uno o più membri del nostro museo, e non solo archeologi. Ovviamente mandare un inserviente o un cassiere in spedizione, significa perdere un prezioso aiuto all’interno del museo. Toccherà a noi trovare il giusto bilanciamento per soddisfare i visitatori, scoprire nuovi reperti con le spedizioni e non pagare troppi stipendi.

Purtroppo per i veterani, non è difficile tarare l’ago della bilancia. Di fatto, tutta la gestione economica si basa proprio sullo stipendio del personale. Nel caso in cui quest’ultimo sarà infelice, basterà aumentare di qualche punto percentuale il suo stipendio, per dimenticarsi del problema, anche se durante la spedizione ha contratto una malattia o rischiato di essere azzannato.

Recensione Two Point Museum: Reperto

Anche se le spedizioni sono la parte più divertente, la vittoria si ottiene gestendo al meglio il museo, e soprattutto curandosi della felicità dei visitatori. Per farlo bisogna comprendere i suoi bisogni e soddisfare la loro sete di – cito testualmente – coinvolgimento e conoscenza. Per le necessità umane, così come avveniva in passato, basta cliccare sulla scheda di ogni visitatore per capire cosa manca al museo. Il perno principale però sono quei due requisiti, e novità del titolo: coinvolgimento e conoscenza.

Ogni reperto mostrato all’interno del museo può fornire un numero massimo di coinvolgimento e conoscenza. Posso tradurre il concetto di coinvolgimento con “divertimento”. Ogni reperto dovrà essere abbellito per poter maggiormente appassionare il visitatore. Purtroppo, questo si tramuta in trasformare il museo in un circo di dubbio gusto, pieno di ammennicoli che hanno come unico scopo quello di maxare la statistica di coinvolgimento. Lo stesso vale per la conoscenza, che aumenterà aggiungendo cartelli informativi vicino al reperto. E se poi vorrete rompere il gioco, allora ci vorrà poco: ho piazzato cartelli e abbellimenti anche davanti ai reperti senza ottenere alcun malus.

Come avrete già capito, Two Point Museum fa del colore il suo punto forte. E anche se con qualche esagerazione, ci riesce alla grande. Tanto i reperti quanto le location (cinque, tutte diverse, tra fantasmi, dinosauri e spazio) sono bellissime. Anche le strutture edificabili all’interno del museo sono per la maggior parte gradite e divertenti novità. Non mancherà la stanza dello staff o il laboratorio di ricerca, ma la stanza dei fantasmi (veri fantasmi) o i giochi dei bambini (che come specifica il gioco: sono immuni alla conoscenza) mi hanno fatto davvero divertire.

Un mix leggero

Per i nuovi del franchise, Two Point Museum è un divertentissimo inizio. Per i veterani, un simpatico riempitivo che si prende poco sul serio, ma che non ha osato abbastanza. La scelta di trasformarmi in direttore di museo è grandiosa. La follia del franchise è perfetta per i musei, le spedizioni e le sue location. Purtroppo, tutto è troppo simile ai precedenti capitoli. Dal terzo episodio mi aspettavo qualcosa di più. La strada è buona, ma ci vogliono sforzi extra sia in termini tecnici che di gameplay (soprattutto in una maggiore profondità della gestione) per poter gridare al capolavoro come abbiamo fatto per Two Point Hospital (che risorgeva dalle ceneri di EA) e come fatto per Theme Park e Theme Hospital (erano altri tempi, ma soprattutto altri livelli di difficoltà).

Two Point Museum è un videogioco che divernte per tante ore, ma che ha mostrato sia fan che agli sviluppatori che non è più tempo di imboccare la strada sicura. Senza modificare il core, come è stato fatto, non si poteva fare di meglio, ma dopo Museum non potrà esserci un altro capitolo simile. Mark Webley e Gary Carr dovranno osare di più.

Conclusione

Two Point Museum è una rivisitazione senza rischi dei precedenti capitoli. Le novità sono tutte divertenti e ben riuscite, in particolare le spedizioni. La location dei musei e dei reperti è il posto perfetto per sviluppare la follia del franchise. Purtroppo però l’intero gioca sa di già visto e le novità potrebbero non bastare a tutti gli appassionati dei gestionali. I neofiti trovano in Two Point Museum un ottimo punto d’inizio, poiché la difficoltà è chiaramente tarata verso il basso. Gli esperti invece potrebbero trovare divertenti solo le prime ore di gioco. Una volta viste e scoperte le ottime novità del titolo, avranno ben poche possibilità di saggiare un gestionale che possa metterli in difficoltà.

Dettagli e Modus Operandi
  • Piattaforme: PS5, Xbox Series X/S, PC
  • Data uscita: 27/02/2025
  • Prezzo29,90 €

La recensione di Two Point Museum è stata realizzata, a partire dal day one, su Xbox Series X/S grazie a un codice gentilmente fornito dal publisher.

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Civilization 7 – Recensione

Gioco ai videogame da oltre 30anni e, crescendo, è nata la passione per i titoli strategici e per i gestionali più impegnativi. Curiosissimo per natura, ero affascinato dall’idea di poter fondare e far fiorire imperi virtuali. Già dai tempi dei primi capitoli di Civilization, opera nata dal genio di Sid Meier agli inizi degli anni Novanta e sviluppata originariamente da MicroProse, mi sono trovato catapultato in un universo ricco di sfide: un mondo in cui si parte con una singola città per poi costruire un impero prospero, facendo i conti con la diplomazia, la scienza, la guerra e la cultura. Nel corso del tempo la serie si è evoluta sotto l’egida di Firaxis Games (che Sid Meier stesso ha co-fondato) e la pubblicazione di 2K, arricchendosi di nuove meccaniche e approfondimenti, ma mantenendo sempre l’ossatura tipica del “4X”: Explore, Expand, Exploit, Exterminate. E ora, finalmente, è arrivato il momento di parlare di Civilization 7. Ho avuto l’opportunità di provarlo in anteprima e, da giocatore di lunga data, posso dire con fermezza che questa nuova incarnazione sa come tenerti incollato allo schermo, ammaliandoti con la sua complessità e la sua profondità strategica. A patto che…

Un’eredità importante e un nuovo capitolo che sa stupire

Iniziare a parlare di Civilization 7 significa anche ripercorrere, in parte, la storia di questo franchise. Per questioni anagrafiche, non ho giocato al capostipite della serie, datato 1991, ossia quando Meier sperimentava con l’idea di trasformare la storia umana in un gigantesco board game digitale. Ho vissuto di più il passaggio a Civilization II, con grafiche migliorate e le prime vere battaglie che regalavano un senso di realismo, sebbene fossimo ancora nelle prime fasi della grafica bidimensionale. Con Civilization III si è aperta una nuova stagione di tradizione mista a innovazione, e Civilization IV ha segnato l’epoca della colonna sonora epica (chi non ricorda la traccia iconica all’avvio?) e di un miglioramento generale del sistema di gioco. Civilization V, poi, ha introdotto l’innovazione dell’esagono nelle caselle di mappa e lo spostamento delle unità, mentre Civilization VI ha continuato a innovare aggiungendo la suddivisione delle città in distretti e ulteriori migliorie in campo diplomatico e artistico.

Arriviamo a Civilization 7: un titolo che, pur mantenendo la medesima struttura a turni e lo stile “crea e gestisci il tuo impero dalla preistoria all’era moderna (e oltre)”, aggiunge ulteriore complessità a un sistema che, a ogni nuova iterazione, diventa più ampio e ricco di sfaccettature. Non a caso gli sviluppatori di Firaxis tengono a sottolineare la profondità delle meccaniche, l’importanza della diplomazia (con nuovi accordi e opzioni di interazione tra leader) e la possibilità di personalizzare ulteriormente lo sviluppo della propria civiltà, dal punto di vista culturale, scientifico, militare e religioso.

Civilization-7-Recensione-Spagna

Un piccolo gioiello, ma… per chi ha molta dedizione

Civilization 7, come i suoi predecessori, non è un gioco che si “apre e si gioca” in pochi minuti giusto per passare il tempo. È un titolo che pretende passione e dedizione, capace di fagocitare intere giornate se ci si lascia assorbire dalla pianificazione necessaria per progredire in tutte le aree cruciali dell’evoluzione della propria civiltà. Le differenze rispetto a Civilization VI si notano soprattutto a livello di micromanagement: la gestione dei distretti urbani e delle infrastrutture è stata ampliata ulteriormente, con la possibilità di specializzare sempre di più le città verso determinati output (cultura, produzione, commercio, scienza o addirittura turismo e intrattenimento). Se a questo si aggiunge un’IA migliorata nelle trattative diplomatiche – per quanto perfezionabile, come da tradizione – ci si ritrova a dover studiare ogni mossa con estrema attenzione.

Quando descrivo Civilization 7 come un “piccolo gioiello”, voglio dire che è un gioco dalle tante sfaccettature e che brilla sotto diversi punti di vista. Offre una gamma incredibile di scelte al giocatore, regalando una sensazione di controllo onnipotente sul proprio destino digitale. Tuttavia, come tutti i gioielli preziosi, va maneggiato con cura e con calma. Non aspettatevi di lanciare la partita e di capire tutto in un paio d’ore: io, che credevo di conoscere bene la serie, ho dovuto fare i conti con numerosi cambiamenti e nuove meccaniche che mi hanno costretto a rivedere le mie strategie abituali. La bellezza di Civilization 7, però, è proprio questa: la costante scoperta di nuovi equilibri, di sinergie tra edifici e distretti, di scelte politiche che influenzano le relazioni internazionali e di sentieri tecnologici che portano a vantaggi inaspettati.

La mia prima disfatta: gli Stati Uniti mi soffiano la vittoria

Nonostante la mia lunga esperienza, la prima partita a Civilization 7 è andata in modo sorprendentemente… disastroso. Avevo puntato tutto su un obiettivo ben preciso, convinto che nessuno dei miei avversari avrebbe potuto competere con me in quel settore. Invece, gli Stati Uniti si sono dedicati silenziosamente a un altro tipo di vittoria – la diplomatica, nello specifico – e hanno concluso tutti i passaggi necessari per ottenerla prima che io potessi dire “Ho vinto!”. Ebbene sì, ho perso la partita. Ho assistito a una schermata di sconfitta che, nonostante la comprensibile frustrazione del momento, mi ha spinto a riflettere su quanto Civilization 7 sia un titolo tanto affascinante quanto spietato.

Questo insuccesso ha riacceso in me la voglia di giocare “un altro turno”, classico mantra del fan di Civ. Finita la partita, mi sono trovato a ricominciare, testardo, deciso a non farmi fregare di nuovo dalla diplomazia altrui. Ma proprio questa è la grande forza di Civilization: ogni volta che ci si trova di fronte a una sconfitta, non ci si sente ingannati dal gioco, ma piuttosto si avverte la necessità di studiare nuove strategie, di pianificare diversamente e di non lasciare spazi agli avversari. Insomma, un perfetto esempio di come un videogame possa stimolare la creatività e le capacità di analisi del giocatore.

Leader e bonus: un menù da veri gourmet della strategia

Uno degli aspetti che trovo più interessanti di Civilization 7 è la selezione dei leader, ancora più varia che in passato (e in continua espansione, se consideriamo i DLC futuri che senza dubbio arriveranno). Firaxis ha da sempre puntato sul proporre personaggi storici provenienti da ogni parte del mondo, ognuno con il proprio bagaglio di bonus e malus che vanno a influenzare radicalmente lo stile di gioco. Stavolta, ho deciso di sperimentare due leader che mi incuriosivano particolarmente: Franklin e Napoleone.

La scelta di Franklin per la mia civiltà è stata motivata dalla volontà di spingere sull’acceleratore dello sviluppo tecnologico. Immaginate la scena: mi sono ritrovato a capo di un esercito che, almeno all’inizio, doveva essere l’esercito dell’antica Roma, guidato però dall’illustre statista americano. La sensazione è, a dir poco, straniante: un Franklin in toga che tiene discorsi di ispirazione alla corte romana lascia presagire un contesto quasi distopico. Ma è una distopia affascinante e, nonostante il paradosso storico, efficace dal punto di vista ludico. I bonus di Franklin, infatti, favoriscono la produzione di scienza e la fondazione di nuove città in maniera equilibrata, consentendo un rapido progresso tecnologico e un discreto miglioramento della produzione industriale con l’andare dei secoli.

Napoleone, invece, è tutto l’opposto: un condottiero carismatico, che offre vantaggi militari e diplomatici nei confronti delle civiltà confinanti. Giocare con Napoleone significa abbracciare una strategia aggressiva, basata sullo sviluppo di un esercito potente e sull’espansione territoriale rapida. Naturalmente, non bisogna sottovalutare le conseguenze diplomatiche: se attaccate a ripetizione i vostri vicini, rischierete sanzioni, alleanze avversarie e boicottaggi commerciali. Eppure, se ben gestita, l’aggressività militare di Napoleone può garantire un vantaggio tattico insormontabile, specialmente nelle prime ere, quando i confini si delineano e si definiscono le sfere d’influenza.

Civilization 7 Recensione: Napoleone

Tra epoche, distretti e meraviglie: il fascino del passare del tempo

Un altro aspetto che mi ha sempre rapito di Civilization è la transizione tra le varie epoche storiche. Dalla preistoria si passa gradualmente all’età classica, al medioevo, al rinascimento, all’età industriale, moderna, contemporanea e persino al futuro prossimo. Questa progressione segna dei passaggi quasi rituali, in cui ogni era porta con sé nuove tecnologie, nuovi edifici e nuove sfide, come l’accesso a risorse strategiche che prima non erano disponibili o la necessità di aggiornare le proprie strutture.

In Civilization 7, il passaggio tra un’epoca e l’altra è ulteriormente enfatizzato dalla possibilità di potenziare i distretti cittadini in modo sempre più specifico. Se ad esempio volete puntare tutto sulla cultura, potete costruire e ingrandire i vostri distretti teatrali, con musei, grandi opere e così via. Se preferite la scienza, potete dedicare intere zone urbane alla creazione di campus, laboratori e meraviglie naturali convertite in centri di ricerca. Oppure, ancora, potete specializzare alcune città verso la produzione bellica, erigendo caserme avanzate e poligoni di tiro per velocizzare l’addestramento delle unità militari. Tutto si incastra come un enorme puzzle, che richiede di valutare le risorse sul territorio, la posizione geografica, la presenza di fiumi, montagne, coste e altre caratteristiche che possono influenzare la resa dei vostri distretti.

Civilization 7 Recensione: Carri armanti

Scelte difficili: cooperare o dominare?

Uno degli elementi più intriganti di Civilization 7 è il continuo doversi porre domande cruciali: collaborare con i vicini o dichiarare guerra? Firmare trattati di non belligeranza o stringere accordi commerciali e culturali per rafforzare le proprie linee di rifornimento? Soprattutto a difficoltà più elevate, gli avversari controllati dall’IA si rivelano piuttosto smaliziati, pronti a prendere decisioni che massimizzano i loro interessi. Di conseguenza, non è raro vedere alleanze inaspettate o tradimenti clamorosi. In una delle mie partite, ad esempio, avevo stretto un accordo di cooperazione scientifica con un’altra civiltà, che sembrava condividere il mio interesse per la ricerca. Mi sentivo al sicuro, finché non mi sono accorto che quel patto serviva ai miei “amici” solo per guadagnare tempo, potenziare i propri distretti scientifici e infine lanciarsi nella corsa a una vittoria basata sulla scienza, tagliandomi fuori sul traguardo finale. Ho perso la partita anche in questo frangente, e ammetto di aver trattenuto a stento una risatina nervosa, perché il gioco sa essere crudele e geniale allo stesso tempo.

La sfida della difficoltà e il “bello” di un gioco complesso

Spesso mi viene chiesto: “Ma come fai a divertirti con un gioco così complesso? Non è meglio qualcosa di più immediato, che non richieda di leggere venti schermate di tutorial?” La mia risposta, da giocatore appassionato di gestionali e strategici, è che la complessità può essere uno stimolo enorme per la mente, una sfida che dà soddisfazione proprio perché non si limita a premiarti se premi un paio di tasti a caso. Civilization 7 è un titolo che va studiato, capito e interiorizzato, e il percorso di apprendimento è parte integrante del divertimento. All’inizio si commettono errori, si trascurano determinati aspetti e si perde la partita senza neanche rendersene conto.

Con il passare delle ore, però, iniziamo a comprendere come funziona il motore del gioco: come combinare i distretti in modo efficiente, quando è il momento di avviare un trattato commerciale, come gestire al meglio le risorse strategiche e così via. È in questa curva di apprendimento che risiede la magia di Civilization. Ognuno di noi, appassionati del brand, ha avuto la sua “prima volta” con un capitolo della serie e ha sperimentato quel senso di spaesamento misto a curiosità che ti spinge a migliorare turno dopo turno. Civilization 7 porta avanti questa tradizione di “profondità”, e la eleva grazie a un’interfaccia più pulita, a indicatori più chiari delle varie risorse e a un sistema di consigli e suggerimenti che, seppur non infallibile, cerca di guidare i neofiti.

Civilization 7 Recensione: Roma

La mia esperienza con Franklin e Napoleone: due modi di dominare il mondo

Tornando alla mia esperienza più recente, voglio raccontarvi come ho gestito le partite con i due leader che ho scelto di provare in maniera approfondita: Franklin e Napoleone. Con Franklin, come accennato, mi sono concentrato principalmente sulla ricerca scientifica, puntando a una rapida esplorazione di quelle tecnologie che potessero assicurare un salto di qualità alle mie unità e alle mie strutture produttive. Ho cercato di mantenere un buon rapporto con i vicini, stipulando contratti commerciali vantaggiosi e patti di non belligeranza che mi permettessero di crescere in pace. Il percorso scientifico, però, non è privo di ostacoli: se non si costruisce un esercito minimo per la difesa, si rischia di diventare un bersaglio facile per le civiltà più aggressive. Quindi ho dovuto bilanciare la corsa alla ricerca con la realizzazione di un apparato militare almeno accettabile.

Con Napoleone, invece, ho calzato l’elmo del conquistatore. Ho iniziato la partita consapevole che avrei dovuto crescere velocemente da un punto di vista territoriale, per assicurarmi più risorse e un vantaggio geografico sugli avversari. Ho scelto di fondare città in prossimità di giacimenti di ferro e di cavalli, necessari per costruire un esercito imponente già in epoca classica e medievale, e poi ho premuto l’acceleratore sulla produzione militare. Devo dire che la sensazione di spadroneggiare sul campo di battaglia con Napoleone è molto appagante: i bonus militari permettono di formare battaglioni più potenti e di sferrare attacchi rapidi, cogliendo di sorpresa le civiltà che si basano sulla diplomazia. Certo, un approccio del genere comporta un continuo rischio di escalation: attacchi un vicino, l’altro si insospettisce, si creano alleanze difensive e potresti ritrovarti a combattere su più fronti. Eppure, l’adrenalina di veder crescere il mio impero di turno in turno, sottraendo città cruciali ai rivali, è stata impagabile.

Diplomazia avanzata e trattati internazionali

Un punto di forza di Civilization 7 è l’evoluzione del sistema diplomatico. Già in passato, la serie introduceva concetti come la religione e la vittoria culturale, ma qui è tutto portato a un livello più raffinato. Le coalizioni nascono e muoiono a seconda delle pressioni geopolitiche, e la possibilità di organizzare congressi mondiali o conferenze internazionali per decidere il futuro delle risorse, delle meraviglie o dei diritti umani può davvero cambiare l’esito di una partita. Ho visto nazioni apparentemente amiche voltarmi le spalle all’ultimo minuto, magari costrette da pressioni esterne, e altre invece offrirmi aiuto per ragioni di interesse comune. Ed è proprio qui che ci si sente come un direttore d’orchestra, cercando di armonizzare le note di politica interna ed esterna, mentre le nazioni rivali cercano di dare un tocco diverso alla sinfonia.

Il bello è che non c’è un’unica strada vincente: potete scegliere di restare neutrali e di farvi i fatti vostri (puntando su scienza o cultura), oppure potete essere i pacificatori del mondo cercando di convincere tutti a firmare patti di non belligeranza, o ancora potete abbracciare la via del militarismo per sottomettere i popoli rivali prima che possano danneggiarvi. Ogni scelta comporta vantaggi e svantaggi, e non esiste una strategia che funzioni in tutte le partite, perché molto dipende da quali civiltà vi trovate di fronte e dalla conformazione geografica della mappa, che può favorire uno stile di gioco rispetto a un altro.

Le sconfitte: inevitabili ma formative

Un altro elemento che può colpire i nuovi giocatori (e che può scoraggiare chi si aspetta un titolo immediato) è la frequenza con cui ci si trova in situazioni di disfatta. In Civilization 7 non è raro perdere una partita, a volte dopo diverse ore, per un obiettivo mancato o perché un alleato, senza che voi lo sapeste, ha lavorato sodo per ottenere una vittoria diplomatica, religiosa o culturale. Ricordo ancora quella partita in cui mi ero focalizzato sullo sviluppo marittimo, costruendo flotte potenti per difendere le mie rotte commerciali e tenere lontani i pirati dall’oceano. Ero così concentrato su questo aspetto che non ho notato come una civiltà amica, con cui avevo buoni rapporti, stesse accumulando pian piano punti per la vittoria culturale, diffondendo la sua influenza grazie a grandi artisti e musicisti. Quando me ne sono accorto, era troppo tardi: nel giro di pochi turni, il “mio amico” ha trionfato, mentre io mi ritrovavo con una poderosa marina militare ma un pugno di mosche in termini di obiettivi.

Non nego di aver provato un po’ di frustrazione, ma questa è anche la bellezza di un gioco che non regala nulla. Serve costanza per imparare a vigilare su tutti gli aspetti contemporaneamente, e ogni sconfitta diventa un’occasione per perfezionare le nostre abilità da strateghi.

Civilization 7 Recensione: Franklin

Tecnicamente solido

Dal punto di vista tecnico, Civilization 7 si mostra solido, ben ottimizzato e con una grafica rinnovata: gli scenari sono ancora più dettagliati, le città si animano di luci e movimenti in tempo reale, e i vari modelli dei leader sono resi con grande cura. Quando si zooma sulla mappa, si notano particolari come le strade, i campi coltivati e i distretti specializzati.
L’interfaccia utente è migliorata rispetto ai precedenti capitoli: i menu sono più ordinati e i suggerimenti contestuali aiutano i giocatori a prendere decisioni consapevoli, anche se talvolta la mole di informazioni da gestire può risultare soverchiante. Per chi ama gli strategici a turni, tuttavia, questa abbondanza di dati è quasi una carezza, perché amplia la gamma di scelte possibili.

Da giocare e rigiocare

Dopo tutte queste ore trascorse ad affrontare partite mozzafiato e a studiare strategie nelle varie epoche, ho raggiunto una conclusione piuttosto netta: Civilization 7 merita un voto di tutto rispetto. È un titolo che, a mio avviso, stupisce per varietà e profondità, per la cura con cui Firaxis ha ulteriormente perfezionato la formula, ma richiede di essere capito, apprezzato e, soprattutto, di essere “giocato parecchio” prima di poterne cogliere tutte le sfumature. Non è un gioco adatto a chi cerca immediatezza o a chi vuole intrattenersi per mezz’ora, magari in modo spensierato. Qui siamo davanti a un’esperienza che pretenderà ore su ore della vostra vita, ma che saprà ripagarvi con momenti di autentica soddisfazione, quando riuscirete finalmente a completare un obiettivo epocale o a stringere un’alleanza cruciale che vi permetterà di rovesciare i rapporti di forza.

Civilization 7 è un prodotto che si inserisce con onore nella serie, portando avanti il DNA di Civilization in modo coerente e affascinante. Consiglio a chiunque sia incuriosito di provare, magari partendo a un livello di difficoltà medio-basso, così da familiarizzare con le meccaniche prima di lanciarsi nelle sfide più ardue. Ma siate pronti a impegnarvi e a leggere qualche guida o suggerimento online, perché la strada per diventare grandi leader è lunga e tortuosa.

Conclusione

Civilization 7 si conferma il “piccolo gioiello” di cui parlavo, un titolo complesso che farà la gioia di noi eterni amanti della strategia e che potrà far innamorare anche chi non ha mai provato un gestionale di questa portata, a patto di metterci la giusta dose di pazienza e di entusiasmo. D’altronde, come appassionato di vecchia data, so bene che la formula di Civilization ha sempre richiesto tempo e applicazione, ma è proprio in questa “lentezza” e ricchezza di sfaccettature che il gioco riesce ancora a brillare, rendendo ogni singolo turno un passo verso la gloria… o verso il baratro, se qualche leader avversario dovesse sorprendere con una strategia inaspettata. In ogni caso, non c’è niente di più esaltante che dire “ancora un turno” alle due del mattino, mentre la vostra civiltà entra trionfante in una nuova, fantastica, era.

Dettagli e Modus Operandi
  • Piattaforme: PS5, PS5 PRO, Xbox Series X/S, Nintendo Switch, PS4, Xbox One, PC
  • Data uscita: 11/02/2025
  • Prezzo69,99 €

Ho provato Civilization 7 in anteprima grazie a un codice per PlayStation 5 gentilmente fornito dal publisher.

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Indiana Jones e l’Antico Cerchio – Recensione

La storia è ciclica, in particolare quella cinematografica. Così come Star Wars, anche il franchise di Indiana Jones è approdato tra le braccia di Topolino e questo movimento finanziario ha riportato in auge il personaggio cinematografico più iconico di sempre. Sin dagli anni 80, il successo di Indiana Jones si è riversato anche sugli altri medium, con particolare fortuna per quello videoludico dove l’archeologo americano è stato particolarmente produttivo. Abbandonata dunque la serie di LEGO, Indy torna nelle fattezze “umane” di Harrison Ford per una nuova avventura videoludica sviluppata da MachineGames (dal 2014 impegnati su Wolfenstein e Quake), guidati dall’esperto Todd Howard (produttore esecutivo del gioco). In questa recensione vi dirò se Indiana Jones e l’Antico Cerchio sia riuscito a fare meglio del suo coetaneo film del 2023.

Ritorno all’avventura

L’Antico Cerchio è tutto all’insegna del ritorno, sia dentro che fuori lo schermo. Il ritorno di Indiana Jones nel mondo videoludico passa proprio con il ritorno all’avventura di Indy. Tutto inizia infatti tra i corridoi del Marshall College, dove il nostro protagonista insegna archeologia. Il dottor Jones ha deciso, senza troppa convinzione, di abbandonare le ricerche sul campo a favore di una vita più tranquilla, ma si sa, se Indy non è alla ricerca dell’avventura, allora sarà l’avventura a cercare lui.

Indiana Jones Antico Cerchio Recensione: College

La trama prende il via con l’irruzione di un energumeno all’interno del museo universitario e il furto di un manufatto egizio. Il motivo è ovviamente collegato all’Antico Cerchio, un manufatto divino di cui non vi racconterò nulla, ma che ci riporta indietro all’epicità dei primi film di Indiana Jones.

Siamo nel 1937, dopo gli eventi dell’Arca Perduta, ma prima dell’Ultima Crociata. La seconda guerra mondiale è alle porte e gli indizi a seguito del furto conducono Indy in Italia, in particolare a Città del Vaticano, dove una cospirazione ha dato libero accesso ai fascisti tanto alla Città quanto al suo tesoro culturale. Tanto basterebbe per rendere affascinante il viaggio di questo nuovo Indy, ma MachineGames è andata oltre le mie aspettative.

Indiana Jones e l’Antico Cerchio è un viaggio in un mondo che teme una nuova Grande Guerra. E tutte le mete del gioco sono eccezionali nella loro cura: Italia, Egitto, le giungle del Siam (Thailandia), Himalaya e qualche altra piacevole sorpresa che sarete voi a scoprire. E con loro i personaggi, reali e di fantasia, che hanno fatto la storia del globo e di questo titolo. Tra questi anche Mussolini, che fornirà il massimo supporto all’arcinemico del gioco, ovviamente nazista, Emmerich Voss.

Un particolare plauso va fatto agli attori dell’Antico Cerchio tanto per la qualità attoriale quanto per il doppiaggio. I complimenti non sono solo per Troy Baker, interprete di Indy applaudito anche da Harrison Ford, ma anche e soprattutto Marios Gavrilis, che impersona Voss, un occultista nazista senza scrupoli che ci riporta al nefasto periodo dell’Ahnenerbe. Per fortuna non saremo soldi a fronteggiare i nazisti. L’Indy Girl prescelta per questa avventura è la giornalista Gina Lombardi, magistralmente interpretata da Alessandra Mastronardi.

Indiana Jones Antico Cerchio Recensione: Mastronardi

Sotto il punto di vista tecnico, lo stile e le texture grafiche sono di altissimo livello. La scelta di avere tantissimi intermezzi in stile cinematografico è vincente. Durante la mia partita sono stato un po’ protagonista del videogioco e un po’ spettatore di un film di Indiana Jones, ed è stato bellissimo, anche perché le musiche di Gordy Haab sono eccezionali e meriterebbero di stare in una sala cinematografica.

Il mondo di gioco è suggestivo, così come la resa grafica dei suoi personaggi. Indy è Harrison Ford e gli altri attori si distinguono per la loro bellezza. Sotto questo punto di vista, l’unica nota negativa è sulle animazioni. Più di una volta la Mastronardi della mia partita (ma non solo) ha sofferto movimenti e spasmi ben lontani dalla realtà.

Indiana Jones Antico Cerchio Recensione: Egitto

Quello appartiene a un museo

Il canovaccio moderno dei videogiochi si adatta perfettamente a un titolo su Indiana Jones. Nonostante l’Antico Cerchio non sia un open world (ogni parte del mondo è un maxi-livello a sè stante), MachineGames mi ha permesso di gestire le missioni come avrei fatto in videogiochi come Skyrim o Cyberpunk 2077.

Di conseguenza, si può decidere se andare direttamente fino alla fine del gioco seguendo la missione principale oppure fermarsi ad aiutare i personaggi non giocanti e soprattutto esplorare e scoprire tutti i segreti, manufatti e perk che il gioco ci dona. Nello specifico, Indiana Jones non aumenterà di livello, ma potrà potenziarsi attraverso la lettura di libri, che troveremo in giro per il mondo o che potremmo acquistare da alcuni speciali negozianti. Inutile dire che fa parecchio comodo affrontare il finale con qualche abilità in più.

Indiana Jones Antico Cerchio Recensione: Emmerich Voss

Indiana Jones e l’Antico Cerchio è un action in prima persona in cui è possibile combattere, ma decisamente sconsigliato. Negli scontri diretti, le armi principali sono due: i nostri pugni e un’arma speciale (il revolver di default). Come avrete già intuito, la scelta migliore è sempre quella che fa meno rumore. Sparare un colpo di pistola significa attirare l’attenzione di praticamente tutti. E morte spesso certa. D’altro canto le scazzottate sono abbastanza potenti già nella versione base, anche se in generale è sempre meglio essere furtivi.

L’Antico Cerchio è soprattutto un videogioco in cui conta la furtività, anche se molto diluita. I nemici hanno un indicatore sopra la testa che si riempe abbastanza lentamente. Non sarà troppo difficile passare inosservati e sarà sempre possibile cogliere di sorpresa i nemici alle spalle colpendoli alla testa con praticamente qualsiasi oggetto immaginabile (con effetti esilaranti, come i film insegnano).

Le fasi stealth, e la loro importanza, mi portano a parlare del punto più negativo del gioco. Nella mia esperienza, l’intelligenza artificiale è stata sotto la media per la maggior parte del gioco con un netto miglioramento solo nei livelli conclusivi. Più di una volta, in Città del Vaticano, sono riuscito a superare interi pezzi gremiti di fascisti semplicemente correndo fino alla porta che faceva scattare un cinematic. Per fortuna stiamo parlando di un videogioco estremamente ironico dove anche questi problemi passano in secondo piano, ma sono stato sorpreso, in negativo, dai pattern dei nemici.

Non fatevi però trarre in inganno: Indiana Jones non è, e credo non voglia proprio essere, un FPS stealth. Anzi, la scelta è la più azzeccata possibile, ma quello che rende l’Antico Cerchio un’opera sopra la media è la possibilità di vivere in prima persona un film di Indy, da protagonista, e al massimo dell’esperienza. Ed essere Indiana Jones significa risolvere enigmi.

Gli enigmi ambientali sono il vero fulcro dell’Antico Cerchio ed è qui che ho dovuto pensare come l’archeologo più famoso al mondo. MachineGames ha voluto rendere il gioco accessibile a tutti, ma come insegna Super Mario, anche sfidante per i veterani. Gli enigmi della missione principale mi hanno messo in difficoltà in qualche punto e mi hanno costretto a usare la macchina fotografica di Indy per avere un indizio in più.

Dove però le cose si fanno difficili è nelle secondarie e nella scoperta dei tanti misteri del gioco. Per trovare la maggior parte dei collezionabili, sarà necessario utilizzare la testa e soprattutto la frusta. Quest’ultima è appena utile durante i combattimenti, ma diventa fondamentale per gli enigmi ambientali.

Come avrete già capito, esattamente come in Skyrim dello stesso Todd Howard, la trama principale è solo una parte del divertimento e tutto il mondo vi spinge a divertirvi. Il level design è realizzato con la stessa qualità dei migliori Wolfenstein di MachineGames, poiché offre diverse strade per raggiungere lo stesso obiettivo. E qualora non vi bastasse, sappiate che Indy può camuffarsi. I travestimenti non solo vi daranno un’altra arma speciale in sostituzione al revolver, ma anche la possibilità di non essere (quasi completamente) avvistati dai nemici di estrema destra.

Indiana Jones Antico Cerchio Recensione: Frusta

In definitiva, mi sono goduto fino all’ultimo centimetro di questo mondo perché è bello essere Indiana Jones: è bello esplorare il mondo, trovare gli artefatti più rari e collezionare mappe, libri e attrezzatura nazista. E il videogioco vi mette nelle condizioni di farlo nel miglior modo possibile. Per quanto io non sia un appassionato del platinare i giochi, una volta terminata questa recensione tornerò tra il deserto di Giza e i monumenti di Roma per scoprire ogni singolo mistero ancora da scoprire, perché del resto sono il miglior archeologo del mondo.

Conclusione

Indiana Jones e l’Antico Cerchio è il miglior videogioco di Indy mai creato. Un’affermazione di gran valore se consideriamo la lunga lista di videogiochi sull’archeologo americano, di cui tante avventure grafiche di altissimo livello. MachineGames è riuscita nel miracolo di sfruttare un’IP così importante al massimo del suo potenziale, creando una storia credibile che potrebbe tranquillamente essere trasportata su pellicola. La scelta di un gameplay basato sugli enigmi e supportato da uno stealth in prima persona è vincente, nonostante l’intelligenza artificiale sia decisamente acerba. Tutto il resto invece è tremendamente bello. Un must play per chiunque, anche per chi non ha mai visto un film di Indiana Jones.

Dettagli e Modus Operandi
  • Piattaforme: Xbox Series X, Xbox Series S, PC
  • Data uscita: 09/12/2024
  • Prezzo79,99 €

Ho giocato e completato il gioco su Xbox Series X via Game Pass.

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Batman: Arkham Shadow – Recensione

E prima o poi doveva succedere! Per la prima volta sulle nostre pagine, ecco la recensione di un gioco in Virtual Reality. Parliamo di Batman: Arkham Shadow, un titolo che, a differenza di molti altri giochi in realtà virtuale ancora acerbi, riesce nell’impresa di mostrare la vera essenza del VR e tutte le sue potenzialità. Un’esperienza capace di convincere persino i più scettici di fronte a una tecnologia sempre più diffusa. Ma adesso indossiamo il mantello e scopriamo, in questa recensione di Batman: Arkham Shadow, come la VR si è messa al servizio del Cavaliere Oscuro.

Essere Batman, ogni giorno

La trama, pur non essendo il fulcro dell’esperienza, vede il nostro eroe mascherato affrontare il Re dei Ratti e i suoi scagnozzi, esplorando Gotham City nel suo affascinante squallore. Durante il suo viaggio tra vicoli pericolosi, condotte fognarie e tubature, Batman dovrà recuperare delle registrazioni che colmano alcuni buchi narrativi. La storia si colloca, per intenderci, tra Arkham Origins e Arkham Asylum.

Non mancano riferimenti e citazioni agli altri personaggi della saga, un dettaglio che rende il titolo un vero tesoro per i fan di Batman Arkham.

Ma il vero punto di forza di Arkham Shadow è la sua esperienza in VR. Camouflaj ha fatto un lavoro eccezionale nel trasportare i giocatori nel cuore pulsante di Gotham City. Già all’inizio del gioco, quando ci si ritrova davanti al Bat-Segnale che illumina il cielo, l’impatto emotivo è fortissimo. Vederlo lì, davanti a sé, come se fosse reale, è un momento che ogni fan del Cavaliere Oscuro sogna di vivere.

La sensazione di vestire i panni di Batman è palpabile e autentica. Il movimento, l’uso dei gadget e il sistema di combattimento contribuiscono a questa immersione totale. Certo, qualche bug e alcuni cali di frame rate si notano, ma non compromettono l’esperienza complessiva.

Sporcarsi le bat-mani

L’interfaccia è intuitiva come poche altre. Essendo in prima persona, il gioco permette di interagire con il mondo usando direttamente le mani, aumentando esponenzialmente il senso di immedesimazione.

Ogni momento di esplorazione e combattimento vibra di un’intensità inedita. Ci si ritrova soli nelle fogne di Gotham, con il proprio respiro come unica compagnia, voltando un angolo con la tensione e il timore dell’ignoto.

I combattimenti, poi, richiedono impegno fisico, ma risultano incredibilmente gratificanti. Il sistema free flow, caratteristico della serie, è stato adattato alla VR con maestria, rendendo ogni scontro dinamico e spettacolare.

Le sequenze stealth ed esplorative sono state ben implementate, offrendo una varietà di attività che rendono Gotham più viva che mai.

Infine voglio sottolineare con immensa soddisfazione come il gioco sia interamente doppiato in italiano, questo ci porta ad un livello di immersione ancora più alto, sentendosi completamente parte del mondo di gioco. Doppiaggio in italiano tra l’altro stupendo con la voce di Batman interpretata da Marco Balzarotti.

Conclusione

Nonostante il ritmo a volte lento a causa di fasi di esplorazione e cutscene spesso lunghe che interrompono il flusso di gioco, Arkham Shadow offre un’esperienza VR unica nel suo genere, un gioco che riesce a catturare l’essenza del Cavaliere Oscuro regalando ai videogiocatori ore di divertimento. Un titolo solido per VR impreziosito dal doppiaggio in italiano che è una manna dal cielo.

Dettagli e Modus Operandi
  • Piattaforme: Meta Quest 3, Meta Quest 3S
  • Data uscita: 22/10/2024
  • Prezzo45,99 €

Ho giocato a Batman: Arkham Shadow su Meta Quest 3S.

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Donkey Kong Country Returns HD – Recensione

Oltre all’attesissimo annuncio di Switch 2, questo mese Nintendo ha fatto molto parlare di sé anche per un videogioco che merita l’attenzione di tutti i fan della Grande N. Stiamo parlando naturalmente del gioco che sarà oggetto di questa recensione: Donkey Kong Country Returns HD, una versione rimasterizzata del classico gioco d’avventura platform sviluppato da Retro Studios e pubblicato da Nintendo.

La versione originale uscì nel 2010 per Nintendo Wii, riscuotendo un grande successo per il suo ritorno alle radici della serie Donkey Kong, con grafica in 2.5D, gameplay classico e una sfida coinvolgente. Scopriamo dunque se anche la rimasterizzazione sia invecchiata bene nella nostra recensione di Donkey Kong Country Returns HD.

Differenze e conferme

La versione HD di Donkey Kong Country offre una grafica migliorata, texture più nitide e colori più vividi. La risoluzione in alta definizione porta un notevole miglioramento visivo rispetto alla versione originale per Wii, che girava a una risoluzione inferiore.

Le ambientazioni e i dettagli dei personaggi sono stati rimasterizzati per sfruttare appieno le capacità della console Switch, conferendo al gioco un aspetto moderno pur mantenendo lo stile artistico iconico della serie, anche se, c’è da dire, che ormai anche la Switch mostra il fianco a palesi limiti tecnici a livello hardware.

Confrontando con altri titoli della serie Donkey Kong, Country Returns HD si distingue per la sua difficoltà equilibrata e il design dei livelli innovativo. Mentre i giochi precedenti, come Donkey Kong Country per SNES, erano noti per la loro sfida elevata, Returns HD offre una curva di apprendimento più accessibile, pur mantenendo sfide gratificanti per i giocatori esperti.

Giungla “rimasterizzata”

La grafica è uno degli aspetti più evidenti nel confronto tra la versione per Switch e l’originale per Wii. La versione HD beneficia di texture e risoluzione migliorate, rendendo il mondo di Donkey Kong ancora più colorato, entusiasmante e dettagliato. Inoltre, i tempi di caricamento sono stati ridotti significativamente grazie all’hardware più potente della Switch.

Il gameplay di Donkey Kong Country Returns HD rimane fedele alla tradizione della serie, offrendo livelli ricchi di azione, platforming preciso e sfide impegnative. I controlli sono stati ottimizzati per la console Switch, sfruttando i Joy-Con e la modalità portatile. Anche se ho trovato giovamento nell’uso del controller Nintendo senza fili, molto più preciso rispetto ai Joy-Con che mostrano i classici problemi con lievi imprecisioni.

Dal punto di vista della giocabilità quindi la versione per Switch introduce alcuni miglioramenti nei controlli, rendendo l’esperienza complessiva più piacevole. Tuttavia, la versione originale per Wii, da me giocata all’epoca, offriva un’esperienza unica con il sistema di controllo a movimento, che permetteva ai giocatori di scuotere il telecomando Wii per eseguire determinate azioni. Questa caratteristica è stata rimossa nella versione HD è vero, ma la precisione e la reattività dei controlli con i Joy-Con compensano questa mancanza.

Donkey Kong Country Returns HD Recensione: nave pirati

La versione per Switch introduce, inoltre, anche alcune nuove caratteristiche, come la possibilità di giocare in modalità co-op locale con un amico, utilizzando i Joy-Con appunto (graditissima feature). La modalità cooperativa locale è un’aggiunta gradita nella versione Switch, permettendo a due giocatori di collaborare facilmente in ogni livello. Nella versione per Wii, la co-op era possibile, ma i controlli separati dei telecomandi Wii potevano risultare meno intuitivi rispetto ai Joy-Con.

Il design dei livelli in Donkey Kong Country Returns HD rimane uno dei punti di forza del gioco. Ogni livello è progettato con cura, offrendo una varietà di sfide che richiedono precisione e abilità. I livelli sono ricchi di segreti nascosti, collezionabili e aree bonus, incentivando l’esplorazione e il rigiocare per completare il gioco al 100%.

Kong a confronto

Confrontando con altri titoli della serie, come Donkey Kong Country: Tropical Freeze, Returns HD mantiene un approccio più tradizionale al design dei livelli. Tropical Freeze, uscito inizialmente per Wii U e successivamente per Switch, introduce nuove meccaniche di gioco e personaggi giocabili con abilità uniche, ampliando ulteriormente la profondità del gameplay che molti hanno apprezzato.

Tuttavia, Returns HD si concentra sulla raffinatezza del platforming classico, offrendo un’esperienza nostalgica ma fresca per i fan che hanno superato gli -anta, nonostante sia un prodotto idoneo per tutti i tipi di giocatori.

Il ritmo della giungla

La colonna sonora di Donkey Kong Country Returns HD è un altro elemento che merita attenzione. Composta da David Wise, noto per il suo lavoro nella serie Donkey Kong Country originale per SNES, la colonna sonora combina nuovi brani con arrangiamenti moderni dei temi classici. La musica accompagna perfettamente l’azione di gioco, creando un’atmosfera coinvolgente e che sa di “casa”.

La versione originale per Wii presentava già una colonna sonora eccezionale, ma la versione HD offre un’esperienza audio migliorata grazie alla qualità superiore del suono sulla console Switch. Gli effetti sonori e le tracce musicali risultano più chiari e dettagliati.

Donkey Kong Country Returns HD Recensione: corsa rinoceronte

Donkey Kong Country Returns HD offre una ottima longevità, grazie alla varietà di livelli e alle sfide proposte. Completare il gioco al 100% richiede tempo e dedizione, nonchè nervi saldi poiché ogni livello nasconde collezionabili e aree bonus che devono essere scoperte. La modalità co-op aggiunge un ulteriore livello di rigiocabilità, permettendo ai giocatori di affrontare il gioco insieme ad amici e familiari.

Confrontando con altri titoli della serie, come Donkey Kong Country 2: Diddy’s Kong Quest per SNES, Returns HD offre un’esperienza più accessibile in termini di difficoltà, ma mantiene comunque un alto livello di sfida per coloro che cercano di completare ogni aspetto del gioco. La varietà di ambientazioni e nemici contribuisce a mantenere l’esperienza ai massimi livelli, incentivando i giocatori a esplorare ogni angolo del gioco.

Conclusione

Donkey Kong Country Returns HD per Nintendo Switch è una rivisitazione eccellente di un classico moderno. La grafica migliorata, i controlli ottimizzati e le nuove caratteristiche, come la modalità co-op, rendono questa versione un must per i fan della serie e per i nuovi giocatori. Il confronto con la versione originale per Wii evidenzia i notevoli miglioramenti visivi e di gameplay, pur mantenendo l’essenza del gioco che ha conquistato i cuori dei giocatori nel 2010.

La serie Donkey Kong ha una lunga storia di titoli amati e innovativi. Donkey Kong Country Returns HD si inserisce perfettamente in questa tradizione, offrendo un’esperienza nostalgica ma fresca che saprà soddisfare sia i fan di vecchia data che i nuovi arrivati. Se sei alla ricerca di un’avventura platform impegnativa e gratificante, Donkey Kong Country Returns HD per Nintendo Switch è sicuramente un titolo da non perdere.

Dettagli e Modus Operandi
  • Piattaforme: Nintendo Switch
  • Data uscita: 16/01/2025
  • Prezzo59,99 €

Ho giocato dal day one il gioco su Nintendo Switch

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Recensioni

Final Fantasy VII Rebirth – Recensione

Siamo ormai a gennaio e da poche settimane si è concluso il 2025. Come sempre questo periodo, per la comunità videoludica, è caratterizzato soprattutto dai Game Awards. Tra i giochi ad aver ricevuto il maggior numero di candidature troviamo, forse un po’ a sorpresa, Final Fantasy VII Rebirth. L’avventura Square ha anche saputo conquistare uno degli ambiti premi, quello relativo alla colonna sonora.

Cogliamo l’occasione per regalarvi la nostra recensione, frutto di un esame lungo ed approfondito del gioco. Sebbene Final Fantasy VII Rebirth sia uscito da diversi mesi, si è infatti trattato di uno dei giochi più importanti dell’anno e l’uscita ormai prossima del gioco in versione PC è un’ottima occasione per tornare a discuterne. Recuperiamo la nostra fida Spada Potens e immergiamoci nell’avventura!

La storia continua… e si evolve

La trama di Final Fantasy VII Rebirth riprende subito dopo la fine di Remake, con il famosissimo flashback narrato da Cloud ai suoi compagni alla città di Kalm. Da qui in poi, la trama si dirama riproponendo tutti gli eventi che in Final Fantasy 7 occupavano il primo CD. Sebbene la storia resti fedele al gioco originale, Square Enix ha deciso, come prevedibile, di inserire diversi elementi aggiuntivi e anche di effettuare alcuni cambiamenti.

Purtroppo, non sempre le scelte degli sceneggiatori hanno incontrato il nostro favore. Un plauso meritano sicuramente gli approfondimenti delle vicende legate a molti dei personaggi meno importanti, come ad esempio Dio e Don Corneo. Anche le trame legate alle missioni secondarie sono nel complesso ben pensate e contribuiscono a caratterizzare meglio l’universo di gioco.

Sfortunatamente, i cambiamenti inseriti nella trama generale non sono stati, a nostro giudizio, all’altezza del progetto. Soprattutto la parte finale inserisce tutta una serie di nuovi elementi che, oltre a risultare piuttosto confusionari, se mal gestiti nel prossimo capitolo, rischiano di stravolgere eccessivamente la storia originale. Senza fare troppi spoiler, basti sapere che Rebirth introduce l’ormai abusatissima idea di un multiverso costituito da tante realtà parallele.

A peggiorare le cose vi sono anche una serie di scene davvero troppo sopra le righe, come ad esempio quelle che coinvolgono le gigantesche Weapon. Intendiamoci, non siamo di fronte ad un disastro. La trama di Rebirth resta nel complesso bella ed appassionante e riesce a tenere viva l’attenzione anche dei veterani di Final Fantasy VII. I problemi di cui abbiamo discusso, tuttavia, impediscono alla storia di raggiungere le vette di eccellenza a l’ originale ci aveva abituati.

Una gioia per occhi e orecchie

Final Fantasy VII Rebirth

Partiamo da quello che è forse il maggior punto di forza del gioco, ovvero il suo comparto tecnico. Final Fantasy VII, sia dal punto di vista grafico che per quanto concerne il sonoro, è un’autentica meraviglia.

Square Enix è riuscita a regalare ai fan un mondo stupendo da guardare, realistico, coerente e più vivo che mai. Ogni elemento dell’enorme mappa di gioco di Final Fantasy VII Rebirth risulta infatti assolutamente credibile ed azzeccato e va a comporre uno degli open world più belli e divertenti da esplorare che abbiamo mai visto.

Ognuno dei continenti del gioco ha un aspetto e un paesaggio caratteristico e presenta dinamiche esplorative peculiari, quasi sempre legate ai simpatici chocobo. Tutti però risultano ugualmente magnifici da osservare. Anche i personaggi sono realizzati con grande cura e persino i vari abitanti delle città che andremo a visitare appaiono credibili e perfettamente inseriti nel mondo di gioco.

Come ci si poteva aspettare, Final Fantasy VII Rebirth mostra il meglio di sé durante le battaglie, che spesso si risolvono in uno spettacolare turbinio di luci ed effetti visivi mozzafiato, soprattutto durante l’uso delle invocazioni e delle abilità limite.

La colonna sonora, poi è un autentica meraviglia. Final Fantasy VII Rebirth presenta una serie di brani che, pur citando in maniera chiara il gioco originale, mantengono una loro forte originalità e caratterizzazione. Non mancano naturalmente anche alcune nuove tracce, che accompagnano i momenti più incalzanti della storia. Anch’ esse sono realizzate divinamente e si inseriscono perfettamente nell’atmosfera del gioco.

Particolarmente degna di nota è la musica che accompagna le nostre esplorazioni in quella che nell’episodio originale era la world map. Ognuna delle macro aree del gioco presenta infatti una diversa versione del tema originale di Final Fantasy VII, privilegiando un particolare passaggio del lungo brano.

C’è solo una piccola osservazione da fare. Se su PS5 Pro la grafica di Rebirth è un vero e proprio portento e mostra appieno il potenziale della macchina, le cose non vanno altrettanto bene su PS5. Qui infatti il motore grafico mostra il fianco più volte. Non solo gli sfondi talvolta perdono frame o risultano poco definiti, ma persino le espressioni e i visi dei personaggi in diverse occasioni perdono di definizione.

L’esplorazione in Final Fantasy VII Rebirth

Il gameplay di Final Fantasy VII Rebirth si svolge, fondamentalmente, in due fasi distinte: i momenti legati alla storia principale e l’esplorazione libera. Sebbene in queste due fasi la grafica e l’interfaccia di gioco restino identiche, l’esperienza del giocatore cambia completamente.

Le fasi legate alla storia sono molto simili a quanto visto in Final Fantasy VII Remake. Controllando uno dei personaggi del nostro party (di solito Cloud) dovremo recarci nei punti evidenziati sulla mappa, interagire con gli altri personaggi e seguire via via gli avvenimenti della trama del gioco. Queste fasi, sebbene più “guidate”, sono senza dubbio le più emozionanti e coinvolgenti del gioco.

Come già detto, gli eventi seguono in modo coerente quanto visto nell’originale FFVII, ma la storia viene enormemente espansa, approfondita ed attualizzata. Tutte le città che esploreremo hanno la loro particolare situazione, cha va ad intersecarsi con la politica delle due principali potenze del mondo, ovvero Midgar e Wutai.

Un mondo da esplorare

Oltre al comparto tecnico, l’aspetto più riuscito di Rebirth è indubbiamente l’esplorazione. Ognuna delle macro aree del gioco è estremamente vasta, caratteristica e divertente da esplorare. Le ambientazioni si sviluppano spesso anche in altezza ed in profondità, dunque sarà necessario visitare ogni angolo della mappa per essere sicuri di non aver tralasciato nulla.

Un grosso aiuto viene fornito, come anticipato, dai simpatici Chocobo. In ogni area è infatti presente una missione secondaria legata proprio ai mitici pennuti. Una volta completata, essa garantisce la possibilità di richiamare il nostro chocobo in ogni momento. A seconda dell’area, avremo a che fare con chocobo di colori differenti, dotati di abilità uniche. Ad esempio, il chocobo nero può scalare le pareti mentre quello azzurro è in grado di volare per brevi tratti. Inutile dire che vi sono numerose aree della mappa raggiungibili solo grazie ai nostri polli giganti.

Oltre ai chocobo, Cloud e soci possono contare anche su alcuni veicoli, nella fattispecie un fuoristrada, utile per esplorare il deserto di Corel e il Tiny Bronco, che fungerà da vera e propria nave per esplorare l’oceano. Anche le città risultano davvero ben realizzate e riescono ad essere fedeli alle ambientazioni originali e a risultare assolutamente moderne e al passo coi tempi. Proprio nelle città potremo accedere alla maggioranza delle missioni secondarie del gioco.

Tantissimo da fare

Oltre alla bellezza dell’ambientazione, un grande punto di forza di Final Fantasy VII Rebirth sta certamente nella qualità delle sue side quest. Nonostante la quantità di missioni presenti nel gioco sia elevatissima, Square Enix è riuscita nella difficile impresa di rendere questi compiti estremamente diversificati fra loro, evitando quella sensazione di ridondanza e noia che spesso affligge altri titoli open world.

Ogni area presenta una serie di missioni “standard”, legate al personaggio di Chadley, che prevedono l’attivazione delle torri, utili a sbloccare le porzioni di mappa nascoste, le cacce, la scoperta delle fonti Mako e gli altari degli Esper. Queste missioni sono legate al completamento dei dossier di Chadley, una sorta di enorme enciclopedia del mondo di Final Fantasy. Il completamento del dossier va a sbloccare anche una serie di scontri nella sezione battaglie simulate, tra le quali spiccano gli scontri coi giganteschi Esper. Ai fini dell’ottenimento della materia ad essi legata, gli Esper andranno sconfitti. Fortunatamente, sbloccando tutti gli altari è possibile accedere a scontri semplificati contro le nostre leggendarie invocazioni.

Un’altra categoria di missione molto interessante è costituita dai vestigi. Si tratta di compiti speciali, utili per sbloccare i resti di una misteriosa armatura. La cosa interessante è che ognuna di queste missioni è legata ad un particolare minigioco. Ad esempio, nell’area di Junon il nostro party deve cimentarsi in una versione moderna della battaglia di fort Condor, con tanto di personaggi super deformed quasi identici a quelli di FFVII!

Anche le varie missioni sbloccabili nelle città, denominate missioni tuttofare, sono nella maggior parte dei casi molto piacevoli e divertenti. Merita una missione anche Queen’s Blood, il gioco di carte collezionabili. Come avveniva in FF VIII e FFIX, Rebirth permette al giocatore di collezionare una serie di carte presenti in ogni città del mondo. Queste carte possono essere usate per sfidare altri giocatori. In questo modo otterremo nuove carte e potremo portare avanti la missione principale dedicata a questo minigioco.

Impossibile poi non citare il mitico Gold Saucer. Come i più già sapranno, si tratta di un gigantesco Casinò, nel quale i nostri eroi possono intrattenersi con tutta una serie di giochi a premi, tra cui spicca la corsa dei Chocobo, un vero e proprio gioco di corse in stile Mario Kart con campionati, corse e possibilità di scelta e personalizzazione dei Chocobo.

Tantissima carne al fuoco dunque e tutta di ottima qualità. Ci sentiamo di muovere una sola critica, legata proprio alle sovracitate missioni di Chadley. Il completamento del Dossier risulta infatti davvero eccessivamente lungo e macchinoso. Non sarà infatti sufficiente completare le varie cacce. Per sbloccare i combattimenti avanzati del simulatore il giocatore è costretto a riaffrontare numerose volte gli stessi mostri e in alcuni casi persino a soddisfare determinate condizioni. In un gioco tanto lungo e complesso, ci è sembrata una scelta eccessiva.

I combattimenti in Final Fantasy VII Rebirth

Final Fantasy non sarebbe Final Fantasy senza i suoi spettacolari combattimenti. Anche Rebirth, da questo punto di vista, non delude. Il gioco ripropone i combattimenti “ibridi” visti in remake. Una volta incontrato un nemico, i nostri personaggi si armano e la battaglia inizia immediatamente. Le sfide avvengono in tempo reale, con il giocatore che può sferrare attacchi, ricorrere all’abilità specifica del suo personaggio oppure mettersi in difesa per bloccare parte degli attacchi nemici.

Nel corso dello scontro la barra ATB va progressivamente riempiendosi. Una volta che una o più tacche sono piene, il giocatore, tramite apposito menù, può rinunciare alle frazioni di barra riempite per lanciare un incantesimo o ricorrere alle abilità ATB dei personaggi. Solo un personaggio alla volta viene controllato dal giocatore mentre gli altri sono utilizzati dalla CPU, ma è possibile passare in ogni momento da un personaggio all’altro.

Sebbene il Battle System risulti nel complesso efficace e divertente, abbiamo trovato i personaggi controllati dalla CPU fin troppo passivi. Raramente le loro azioni portavano al riempimento della barra ATB e spesso e volentieri siamo stati costretti a cambiare personaggio anche in momenti in cui ne avremmo fatto a meno. Non è nemmeno possibile fornire in maniera dettagliata istruzioni da seguire ai personaggi passivi. L’unica possibilità in questo senso è fornita dalla materia “automatizzante”, che fa in modo che i personaggi controllati dalla CPU attivino in automatico l’incantesimo associato una volta carico l’ATB.

Sono naturalmente presenti anche i comandi limiti e le invocazioni. I primi (due per personaggio) sono controllati da un’apposita barra, che va riempiendosi in base ai danni subiti. Le invocazioni invece possono essere evocate dopo il riempimento di un altro indicatore, legato al danno inflitto ai nemici. Una volta sul campo, come nel gioco precedente, è possibile controllarle passivamente utilizzando la nostra barra atb per attivare le loro abilità. Allo scadere del tempo, prima di congedarsi, il nostro esper scatena la sua tecnica speciale in un tripudio di luci esplosioni e danni.

Torna anche la meccanica della tensione. Infliggendo danni ai nemici e colpendo le loro debolezze, è possibile mandare il nemico in stato di tensione. Una volta che l’apposita barra sarà stata riempita, il nemico verrà stremato. In questa condizione il danno subito dai nemici verrà esponenzialmente aumentato.

Rispetto a Remake, Rebirth introduce gli attacchi sinergici. Sono particolari tecniche che possono essere eseguite da due personaggi in coppia. Alcune di queste abilità possono essere attivate in ogni momento della battaglia e consistono in semplici azioni combinate. Ad esempio Tifa è in grado di farsi lanciare in alto dai compagni in modo da poter attaccare anche i nemici volanti. Gli attacchi sinergici veri e propri invece necessitano dell’uso di alcune barre ATB e del soddisfacimento di alcune condizioni.

In definitiva, il combat systema di Final Fantasy VII Rebirth è davvero ricco, bilanciato e spettacolare. Unico neo è la sopracitata passività dei personaggi secondari. Tuttavia, si tratta più di un’impressione soggettiva che di un reale difetto del gioco, che non rovina minimamente il divertimento e la frenesia delle battaglie. Gli scontri coi boss, in particolare, come accadeva anche in Remake, raggiungono spesso vette di epicità notevoli, anche grazie al meraviglioso accompagnamento musicale.

Strategia e gestione dei personaggi

Come nel precedente gioco, la gestione delle abilità e dei potenziamenti dei nostri personaggi è ancora principalmente in mano al sistema delle materie. Per chi non lo sapesse si tratta di pietre magiche dai diversi colori. Ognuna di esse fornisce al nostro personaggio un potenziamento, sia esso una nuova abilità, l’accrescimento di una statistica, un incantesimo o un’abilità passiva.

Le armi e le armature che andremo ad assegnare ai personaggi dispongono di vari alloggiamenti per le materie. Dunque, in base alle nostre scelte, i nostri personaggi possono votarsi all’attacco e alla velocità piuttosto che alla cura dei compagni o all’uso degli incantesimi. Anche la scelta delle armi naturalmente, ancor più che delle loro statistiche, deve tener conto di quante materia possono alloggiare. Rebirth aggiunge comunque alcune novità.

Anzitutto, ogni arma dona al personaggio una nuova abilità, che si sblocca tramite il suo utilizzo ripetuto. Una volta padroneggiata, l’abilità potrà essere usata dal personaggio anche dopo che l’arma è stata sostituita. Inoltre, le armi donano anche alcune abilità passive. Sta al giocatore selezionare quelle che desidera attivare (la scelta di solito è tra due o tre abilità).

L’altra novità è la presenza dei manuali di guerra, che possono essere acquistati in alcuni negozi o sbloccati tramite il completamento di alcune missioni. Questi manuali sbloccano dei punti abilità che possono essere spesi all’interno di una sorta di diagramma per sbloccare varie abilità del personaggio. Questo sistema ricorda molto la sferografia di Final Fantasy X e dona un ulteriore tocco strategico al gioco, sebbene le scelte da operare spesso non siano così decisive nella definizione delle caratteristiche del nostro eroe.

La forza dei legami

Final Fantasy VII Rebirth

Ultimo elemento interessante del gioco è il livello di affinità che va a crearsi tra i personaggi. Parlando coi nostri compagni in determinate situazioni e svolgendo alcune missioni legate in modo particolare ad uno di loro, il giocatore ha la possibilità di accrescere il legame tra Cloud e i suoi compagni.

Come ricorderete, questo elemento era presente anche in Final Fantasy VII ed andava ad influenzare una famosa scena del gioco. Ebbene, la cosa si ripete anche qui. In base alle nostre scelte, Cloud rivivrà QUEL momento con un personaggio diverso (e credeteci, in un paio di casi la scena è davvero molto ben realizzata).

Oltre a questo, accrescere le affinità andrà anche a modificare vari dialoghi, permettendo un maggior approfondimento dei legami tra Cloud e gli altri personaggi. Sarà possibile accrescere l’affinità anche ricorrendo alle abilità sinergiche, ma si tratta di un processo davvero lungo e macchinoso.

Final Fantasy VII Rebirth in breve

In conclusione, Square Enix ha fatto davvero un ottimo lavoro. Questo secondo capitolo offre una versione moderna ed aggiornata della storia di Final Fantasy VII, che può essere apprezzata sia dai fan del gioco originale sia da chi non ha mai giocato un Final Fantasy.

Intendiamoci, non si tratta di un gioco perfetto. L’enorme quantità di cose da fare è sia un punto di forza che un difetto, poiché rende il completamento del gioco eccessivamente complesso. Per ottenere l’agognato platino sarà obbligatori o giocare il gioco più di una volta, oltre a completare per intero le missioni del dossier, davvero lunghe e macchinose.

Anche i cambiamenti effettuati sulla trama, come già detto, non ci hanno convinto. Sebbene sia comprensibile la decisione di modificare alcuni aspetti della storia, le modifiche inserite sono davvero caotiche e il ricorso a realtà parallele è sembrato fin troppo banale e scontato e rischia di creare un finale caotico e deludente.

Nel complesso comunque Rebirth è un’avventura davvero bella, tecnicamente all’avanguardia e divertente. Consigliamo assolutamente l’acquisto, soprattutto se disponete di una PS5 pro o di un PC sufficientemente potente.

Conclusione

Final Fantasy VII Rebirth è un’avventura enorme, stupenda da vedere, coinvolgente e divertente. Il tutto impreziosita da una colonna sonora eccezionale. Il battle system unisce in modo funzionale strategia e frenesia e la trama, nonostante alcune scelte discutibili, resta godibile e coinvolgente. Il mondo di gioco è vastissimo, ben caratterizzato e ricchissimo di cose da fare. Forse fin troppe cose, se si è amanti del completismo. Consigliamo sicuramente l’acquisto, soprattutto per quanto riguarda la versione PS5 Pro, tecnicamente ineccepibile.

Dettagli e Modus Operandi
  • Piattaforme: PlayStation 5, PS5 Pro, PC
  • Data uscita: 29/02/2024
  • Prezzo: 55,70 €

Ho giocato e completato il gioco su PlayStation 5.

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Recensioni

Marvel Rivals – Recensione

Se c’è un gioco che, nelle ultime settimane, ha saputo far parlare di sé, questo è certamente Marvel Rivals. L’hero Shooter targato NetEase Games, nonostante appartenga ad un genere decisamente saturo, ha infatti saputo imporsi con forza sul mercato e coinvolgere un numero davvero importanti di giocatori. Dopo un lungo periodo di prova, siamo pronti a darvi le nostre impressioni su questo autentico fenomeno con la nostra recensione di Marvel Rivals. Pronti a vestire i panni del vostro eroe preferito?

Scontro tra campioni

Come già più volte ricordato, Marvel Rivals appartiene al genere degli hero shooter. Nello specifico, potremo considerarlo uno sparatutto a squadre in terza persona. Dopo aver scelto il proprio eroe, il giocatore viene inserito in un team di sei partecipanti con cui sfidare un team avversario. L’obiettivo della partita cambia in base alle regole. Può trattarsi di difendere una determinata zona, di scortare un carico fino alla fine del percorso o un mix delle due cose.

Naturalmente, la scelta del nostro personaggio gioca un ruolo fondamentale. Oltre ad essere divisi in tre macro categorie (che esploreremo in seguito), ogni eroe o supercattivo dispone di un set di abilità uniche (di solito cinque o sei) che lo rendono completamente differente da ogni altro personaggio. Sta al giocatore individuare lo stile di gioco ed il personaggio a lui più congeniale o più adatto ad adeguarsi alle scelte degli altri giocatori.

Se quanto letto finora vi appare familiare, non vi sbagliate. Marvel Rivals infatti non offre davvero nulla di realmente nuovo o di originale rispetto ad altri esponenti del genere. Anzi, le similitudini coi titoli più famosi, Overwatch su tutti, sono più che evidenti. Come giustificare allora l’enorme successo che il gioco sta ottenendo?

A giudizio di chi scrive, la risposta alla domanda sta proprio nel titolo. Marvel Rivals riesce infatti a valorizzare e rappresentare in modo davvero efficace e dirompente gli straordinari personaggi della Marvel. Ogni personaggio del gioco, quasi senza eccezioni, è infatti non solo molto fedele alla sua controparte cartacea, ma risulta estremamente carismatico e ben rappresentato.

Ecco le meraviglie!

Marvel Rivals

Sebbene molte delle ultime produzioni cinematografiche targate Marvel siano state deludenti, l’affetto e l’interesse che gli eroi della casa delle idee sanno generare resta altissimo. E il successo di prodotti come X-Men 97 e Deadpool & Wolverine ne è la prova concreta. Marvel Rivals riesce proprio dove prodotti come What If? o Secret Wars hanno fallito: esaltare la forza e la personalità di questi personaggi.

Dal punto di vista della resa grafica, il gioco non si limita a presentare delle copie carbone delle versioni a fumetti o di quelle cinematografiche degli eroi. Ogni personaggio è infatti rappresentato con un aspetto molto particolare, grazie ad un’estetica che unisce alcune caratteristiche dei manga con lo stile dei comics occidentali. Avremo dunque Thor e Magneto dotati di barba e di un look più “anziano” e maturo, Wolverine che si presenta una divisa a metà strada tra il suo classico costume e la sua tenuta da motociclista e Spiderman che sfoggia l’ennesima variante del suo classico pigiamo rosso e blu.

Ma non è solo una questione estetica. All’interno del gioco ogni eroe è dotato di una serie di movenze, attacchi e abilità davvero in linea col suo personaggio. Se Wolverine, Hulk o Venom preferiscono gettarsi nella mischia a suon di cazzotti e attacchi a corta distanza, gente come Iron Man o The Punisher darà la prevalenza agli attacchi a distanza, magari anche da altezze elevate. Ci hanno colpito in particolare i personaggi di supporto, come Rocket Raccoon o Cloack&Dagger, dotati di set di abilità molto diversificati e originali, che li rendono estremamente divertenti da utilizzare.

A tutto questo aggiungiamo il fatto che Marvel Rivals presenta un cast davvero vastissimo. Sono infatti ben 33 i personaggi selezionabili, che spaziano da vere e proprie icone come i già citati Spiderman, Wolverine e Iron Man a personaggi meno noti come Jeff the Land Shark, Namor o Magik. Tutti comunque risultano ben pensati e ottimamente inseriti nel gioco. E secondo le ultime indiscrezioni, ben presto il gioco riceverà ulteriori personaggi.

I personaggi sono divisi in tre ruoli principali, ovvero duellante (i personaggi più votati all’attacco), avanguardia (personaggi dotati di molti punti vita, utili per concentrare su di sé il fuoco nemico e proteggere i compagni) e stratega (dotati di varie abilità di cura e supporto). Anche all’interno di queste macro categorie, come già detto, gli eroi risultano profondamente differenziati tra loro. Tra le avanguardie, ad esempio, abbiamo sia personaggi maggiormente votati alla difesa come Doctor Strange o Magneto, sia personaggi più agili ed offensivi come Venom.

Esistono anche alcune particolari abilità che i nostri personaggi possono usare solo se si trovano in combinazione con altri. Ad esempio, se Hulk ed Iron Man sono nello stesso Team, il vendicatore in armatura potrà utilizzare l’energia gamma del gigante di giada per potenziare i suoi attacchi. Questo elemento aggiunge un ulteriore tassello alla strategia da seguire nella costruzione dei team e propone una serie di combinazioni e trovate davvero divertenti e particolari.

Il bilanciamento del gioco finora è apparso abbastanza buono, anche se alcuni personaggi, come Venom e Scarlet Witch, sono sembrati avere una marcia in più. A difesa degli sviluppatori, c’è da dire che non è per nulla facile bilanciare un cast di quelle proporzioni…

Guerra temporale

Per quanto riguarda la storia, Rivals, almeno nel corso della prima stagione, si concentra sul contrasto tra il Dottor Doom e la sua versione 2099. Lo scontro tra le due versioni dell’eccentrico villain causa un’anomalia spaziotemporale che porta varie realtà parallele a sovrapporsi, col rischio di una catastrofe universale. Toccherà ai vari eroi del gioco risolvere la situazione e sventare la minaccia.

Sebbene non troppo originale, la trama del gioco è sicuramente intrigante. Purtroppo, per conoscere gli sviluppi della storia, il giocatore è costretto a ricorrere ad altri media. All’interno del gioco infatti sono presenti solo brevi accenni alla trama, sbloccabili attraverso una serie di illustrazioni e descrizioni. Il sistema più veloce per conoscerre la trama nei dettagli è attraverso il webcomic Marvel Rivals Infinity, disponibile sulla piattaforma Marvel Unlimited.

Un peccato davvero, a nostro giudizio. Sebbene il gioco sia totalmente rivolto al pvp, sarebbe stato bello offrire ai giocatori la possibilità di conoscere lo svolgimento della trama attraverso la loro progressione nel gioco. Pazienza.

Situazioni familiari

Le modalità di gioco, all’interno di Marvel Rivals, non sono moltissime. Il gioco propone anzitutto una modalità allenamento, abbastanza completa anche se dedicata solo ad un numero limitato di eroi. Viene anche fornita la possibilità di partecipare a partite di allenamento contro la CPU, utili per padroneggiare i vari personaggi.

Il cuore dell’esperienza è ovviamente rappresentato dalla modalità online. Marvel Rivals propone anzitutto la modalità Conquista arcade. All’interno di essa le due squadre di giocatori non fanno altro che randellarsi a vicenda. Nel momento in cui un giocatore viene eliminato, lascia una serie di gemme di energia. Vince la squadra che per prima riesce a raggiungere le 50 unità. Una modalità semplice, ma divertente e scanzonata, utile per familiarizzare coi vari personaggi in un contesto competitivo.

Partita veloce invece propone partite a round singolo basate sulle quattro modalità principali del gioco, ovvero, convergenza, scorta e dominio. Nella modalità dominio entrambe le squadre dovranno puntare a conquistare una determinata zona della mappa. Una volta ottenuto il controllo su essa, per vincere occorre difenderla fino al riempimento di una barra dedicata. Una volta che una delle due squadre riesce a portarla al 100%, si garantisce la vittoria.

Nelle modalità scorta e convergenza le due squadre vengono assegnate casualmente all’attacco o alla difesa. In scorta la squadra attaccante deve raggiungere un particolare oggetto presente nella mappa e accompagnarlo fino alla fine della mappa. Scopo della difesa sarà naturalmente impedire il raggiungimento dell’obiettivo. Convergenza infine è una sorta di mix delle due modalità precedenti. La squadra attaccante deve raggiungere e conquistare tre differenti checkpoints presenti nella mappa, mentre i difensori devono impedire la conquista difendendo i vari traguardi.

Quando il gioco si fa duro

Ogni partita regala al giocatore una certa quantità di punti esperienza, che lo portano progressivamente a salire di livello. Una volta raggiunto il livello 10, viene sbloccata la modalità competitiva. All’interno di queste partite vengono riproposte le modalità già viste in partita veloce. In questo caso, però, ogni partita si svolge al meglio dei tre round. Di conseguenza, Le squadre giocano a turno sia in attacco che in difesa.

Ancora una volta, nulla di particolarmente innovativo da segnalare. Tutte queste modalità seguono in maniera chiara gli standard di ogni hero shooter. Di conseguenza, appariranno molto familiari a chi è pratico di questo genere di giochi. In generale, comunque, ogni partita risulta sempre abbastanza interessante e divertente, premiando molto più il gioco di squadra e la capacità di adattarsi ai propri compagni piuttosto che le abilità individuali.

Anche gli scenari sono, nel complesso, ispirati e ben realizzati. Le mappe sono in tutto nove, divise su cinque ambientazioni principali, ovvero Yggsgard, Tokyo 2099, l’impero intergalattico del Wakanda, Klyntar (pianeta dei simbionti) e la base Hydra di Charteris. Ogni stage appare ben strutturato ed esteticamente piacevole. Per ottenere buoni risultati è necessario conoscere bene la mappa e sapere come muoversi all’interno di essa. Risulta importante soprattutto memorizzare correttamente la posizione dei vari punti di cura presenti nella mappa.

Analisi tecnica

Marvel Rivals

Dal punto di vista tecnico, Marvel Rivals è certamente un buon prodotto. La grafica è estremamente pulita e colorata, rendendo sempre chiaro quello che sta accadendo ed evitando situazioni troppo confuse. Anche le animazioni e la fluidità di gioco appaiono ottime e rendono l’esperienza piacevole ed appagante.

Il comparto sonoro, pur senza far gridare al miracolo, propone musiche orecchiabili e coinvolgenti. Meritano una menzione le voci scelte per i vari personaggi, tutte davvero molto azzeccate. Anche la giocabilità risulta buona, con controlli semplici ed intuitivi. Il matchmaking è di solito molto veloce ed offre tempi di attesa davvero brevi per le varie partite. Il gioco online non ha mostrato particolari rallentamenti o problemi di lag, anche nelle partite crossplay. Una piccola nota di biasimo va invece negli accoppiamenti dei vari team, che in diverse partite sono risultati davvero sbilanciati.

Veniamo ora alla questione ricompense e oggetti acquistabili, da sempre croce e delizia di questo tipo di produzioni. Vincendo le varie partite e salendo di livello si ottengono alcuni cristalli colorati, utili per riscattare alcune ricompense. Si tratta però, nella stragrande maggioranza dei casi, di semplici immagini o titoli. La stragrande maggioranza dei contenuti va sbloccata tramite l’uso di una particolare valuta ottenibile solo scambiandola con denaro vero.

Trattandosi di un prodotto free to play, strategie di questo tipo sono quasi inevitabili. A difesa del gioco, dobbiamo specificare che finora tutto il materiale acquistabile è puramente estetico. Dunque, vittoria o sconfitta dipendono unicamente dalle abilità dei giocatori. Vedremo come evolverà la situazione con l’arrivo delle prossime stagioni.

Tirando le somme

In conclusione, Marvel Rivals è sicuramente un buon prodotto. Pur non portando nessuna reale innovazione di gameplay e contenuti che lo elevi, lo sparatutto NetEase riesce ad emergere grazie al carisma dei suoi personaggi e alla sua ottima realizzazione.

Inoltre, gli sviluppatori hanno finora mostrato di tenere molto al progetto e stanno realizzando costanti aggiornamenti. Per la stagione invernale , per esempio, è stata aggiunta una nuova modalità dedicata a Jeff the Landshark ed ispirata a Splatoon.

Sarà davvero interessante vedere come si evolverà la situazione del gioco e se NetEase sarà abile nel mantenere sempre alta l’attenzione dei giocatori verso il suo prodotto. Finora il gioco è stato premiato, ottenendo giudizi generalmente favorevoli e soprattutto raggiungendo numeri molto alti per quanto riguarda il numero di giocatori online. Il successo, per quanto ci riguarda, è stato finora meritato e speriamo che Marvel Rivals sappia migliorarsi e rinnovarsi costantemente nel corso delle prossime stagioni.

Conclusione

Marvel Rivals è un hero shooter divertente, frenetico e coinvolgente. Certo, il gioco non offre alcuna reale innovazione, ma l’ottima realizzazione tecnica, l’incredibile carisma dei suoi protagonisti e la loro eccellente resa grafica donano a Marvel Rivals una marcia in più. Inoltre la grande attenzione posta dagli sviluppatori sul gioco e sui suoi aggiornamenti fanno pensare ad una continua evoluzione positiva. Da provare assolutamente, soprattutto se amate i supereroi.

Dettagli e Modus Operandi
  • Piattaforme: PS5, Xbox Series S|X, PC
  • Data uscita: 6/12/2024
  • Prezzo: Free to play

Ho provato il gioco a partire dal day one su PlayStation 5.

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Recensioni

Metal Slug Tactics – Recensione

Metal Slug Tactics è un titolo che ha suscitato grande interesse tra i fan della storica serie Metal Slug e anche in redazione che ha voluto a tutti i costi farne una recensione e qualche mese fa anche un provato. Sviluppato da Leikir Studio e pubblicato da Dotemu, Metal Slug Tactics rappresenta una svolta significativa rispetto ai classici run ‘n’ gun della serie, poiché introduce un gameplay strategico a turni.

Chiunque abbia vissuto l’epoca d’oro delle sale giochi ricorderà con affetto il frenetico Metal Slug, un’esplosione di azione a scorrimento orizzontale che non lasciava un attimo di respiro. Ora, dimenticate quel ritmo adrenalinico. Metal Slug Tactics si reinventa completamente, adottando un gameplay che premia la pianificazione e la strategia.

La domanda sorge spontanea: questa trasformazione ha mantenuto lo spirito originale della serie? La risposta è un entusiastico “sì, con riserva”. Vediamo perché.

Hot Stuff

Metal Slug Tactics trasporta i giocatori in un mondo di strategia a turni appunto, dove ogni mossa deve essere pianificata con attenzione. Il gioco mantiene l’iconico stile artistico pixelato della serie, ma lo combina con una griglia tattica che ricorda titoli come XCOM per fare un esempio.

I videogiocatori controllano un gruppo di personaggi, ognuno con abilità uniche, e devono affrontare missioni che richiedono l’eliminazione di nemici, la conquista di obiettivi e la sopravvivenza in situazioni difficili.

Una delle caratteristiche più interessanti è la varietà di personaggi disponibili. Ogni personaggio ha un set di abilità specifiche che possono essere utilizzate in combinazione per creare strategie complesse. Ad esempio, Marco è un combattente versatile con abilità di supporto, mentre Trevor è un attaccante potente ma fragile. Questa diversità permette ai giocatori di sperimentare diverse combinazioni di squadre e tattiche. 

Recensione Metal Slug Tactics: Nave

Un tuffo nella nostalgia

La trama di Metal Slug Tactics porta i giocatori ad affrontare il malvagio generale Donald Morden, che minaccia la pace mondiale con il suo esercito di soldati e macchine da guerra. La storia è raccontata attraverso cutscene animate e dialoghi tra i personaggi, che aggiungono profondità e contesto alle missioni. 

L’ambientazione è ricca di dettagli e richiami ai giochi precedenti della serie. I fan di lunga data riconosceranno molti elementi familiari, come i veicoli Slug, i prigionieri da salvare e i nemici iconici. Tuttavia, il gioco introduce anche nuove ambientazioni e nemici, mantenendo l’esperienza fresca e interessante ma soprattutto, direi, coinvolgente.

Uno degli aspetti più impressionanti di Metal Slug Tactics è la sua grafica. Il gioco utilizza una pixel art, tipica della serie, dettagliata e colorata che cattura perfettamente lo spirito dei giochi originali. Le animazioni sono fluide e i personaggi sono pieni di personalità e spesso, anche ironia. Ogni mappa è ricca di dettagli, con ambientazioni che spaziano da giungle lussureggianti a basi militari fortificate ad ancora deserti aridi.

Il comparto audio è altrettanto interessante, con una colonna sonora che mescola brani nuovi e remix di tracce classiche della serie. Gli effetti sonori sono soddisfacenti e contribuiscono a creare un’atmosfera coinvolgente. Le voci dei personaggi, sebbene limitate, aggiungono un ulteriore livello di immersione e di fedeltà ai titoli arcade.

Un viaggio per esperti

Metal Slug Tactics offre una sfida significativa, anche per i veterani dei giochi di strategia. Le missioni richiedono una pianificazione attenta e un uso intelligente delle abilità dei personaggi. La difficoltà aumenta progressivamente, con nemici più forti e situazioni più complesse man mano che si avanza nel gioco. 

La rigiocabilità è garantita dalla varietà di personaggi e abilità, nonché dalla presenza di missioni secondarie e obiettivi opzionali. Ogni partita può essere diversa a seconda delle scelte tattiche dei giocatori e delle squadre che decidono di utilizzare. Inoltre, il gioco include un sistema di progressione che permette di sbloccare nuove abilità e potenziamenti, incentivando i giocatori a tornare per migliorare le proprie prestazioni. 

Punti di forza

Uno degli aspetti più sorprendenti di Metal Slug Tactics è l’innovazione nel gameplay. Il passaggio dal classico stile run ‘n’ gun a un approccio strategico a turni è stato gestito con grande cura, preservando l’essenza dell’originale ma introducendo al contempo meccaniche nuove che arricchiscono l’esperienza. Questo cambio di genere non si limita a essere un semplice esercizio stilistico, ma trasforma il gioco in una sfida più profonda e appagante, senza mai perdere il fascino che ha reso celebre la serie.

Anche la varietà di personaggi gioca un ruolo fondamentale nel successo del titolo. Ogni membro del team possiede abilità uniche, offrendo ai giocatori la possibilità di esplorare diverse combinazioni strategiche. Che si preferisca un approccio più bilanciato o uno orientato all’attacco o alla difesa, il gioco invita a sperimentare e a scoprire la squadra perfetta per ogni stile di gioco. Questa flessibilità si traduce in una libertà creativa che mantiene l’interesse alto anche dopo molte ore di gioco.

Un altro punto di forza è l’eccellente comparto grafico e sonoro. La pixel art, dettagliata e vibrante, è un omaggio agli episodi classici ma con un tocco moderno che la rende ancora più accattivante. Le animazioni fluide e la cura nei dettagli contribuiscono a immergere il giocatore in un mondo ricco di personalità. Sul fronte audio, la colonna sonora combina brani originali e remix delle tracce storiche della serie, mentre gli effetti sonori e le voci sporadiche dei personaggi rafforzano l’atmosfera nostalgica e coinvolgente.

Infine, la longevità di Metal Slug Tactics è garantita dalla sua rigiocabilità. Tra missioni secondarie, obiettivi opzionali e un sistema di progressione ben strutturato, Metal Slug Tactics offre ore di contenuti, incentivando i giocatori a tornare per perfezionare le proprie strategie e completare tutte le sfide. Ogni partita può essere diversa, grazie alla combinazione di personaggi e tattiche disponibili, rendendo l’esperienza sempre fresca e stimolante.

Recensione Metal Slug Tactics: Esplosioni

Debolezze

Nonostante i suoi numerosi pregi, Metal Slug Tactics presenta alcune criticità che potrebbero influenzare l’esperienza di gioco. La curva di apprendimento rappresenta una delle sfide maggiori, soprattutto per chi è abituato all’azione frenetica dei capitoli precedenti. Adattarsi al nuovo stile strategico richiede pazienza e un certo periodo di rodaggio, il che potrebbe scoraggiare i fan storici meno inclini a questo genere.

Un’altra nota dolente è la ripetitività che si manifesta nelle fasi più avanzate del gioco. Sebbene le missioni iniziali siano ricche di varietà e sfida, col passare del tempo alcune situazioni tendono a ripetersi, riducendo leggermente l’entusiasmo dei giocatori più esperti. Questa sensazione di déjà-vu è mitigata dalla rigiocabilità e dalla diversità di personaggi, ma rimane comunque un aspetto da considerare.

Infine, sul fronte tecnico, il gioco non è del tutto esente da piccoli problemi. Sebbene durante le nostre sessioni non siano emersi bug gravi, alcuni utenti hanno segnalato difficoltà legate alla performance, che potrebbero minare l’esperienza complessiva. Fortunatamente, questi inconvenienti sembrano essere sporadici e non compromettono in modo significativo il valore complessivo del titolo.

Conclusione

Metal Slug Tactics è un titolo che riesce a innovare pur rimanendo fedele alle sue radici. La combinazione di strategia a turni e l’iconico stile di Metal Slug crea un’esperienza unica. Nonostante alcune debolezze, come la curva di apprendimento e la ripetitività, il gioco offre una sfida appagante e una rigiocabilità elevata. I fan della serie e gli appassionati di giochi di strategia troveranno in Metal Slug Tactics un titolo che vale la pena esplorare.

Dettagli e Modus Operandi
  • Piattaforme: PS5, Xbox Series S|X, Switch, PC, PS4, Xbox One e Game Pass
  • Data uscita: 05/11/2024
  • Prezzo: 24,99 €

Ho provato il gioco su Nintendo Switch grazie ad un codice fornito dal publisher