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Getsu FumaDen: Undying Moon – Recensione

Getsu FumaDen: quando la bellezza artistica deve piegarsi all’ingenuità

Recensione in BREVE

Sarò sincero, avevo grandi aspettative per Getsu FumaDen: Undying Moon. Aspettative che sono state quasi completamente disattese, e lo dico a malincuore. Ammirare la direzione artistica del titolo è una gioia per gli occhi, ma una bellissima presentazione estetica non riesce a nascondere le tante, troppe ingenuità che Undying Moon porta con sé. Segreti, sfide opzionali, un mondo interessante, stage che offrono ogni volta qualcosa di nuovo. Proprio questo manca al titolo Konami, e per un roguelite è un enorme difetto. A ciò uniamo un loot quantitativamente eccezionale, ma che qualitativamente risulta insipido. E poi un gameplay senza infamia né lode, con qualche buona idea ma mal bilanciata. Se siete fan accaniti dei roguelite potreste anche divertirvi per qualche ora, a patto di tenere basse le aspettative.

5.5


Chi non conosce “La grande onda di Kanagawa”? Opera del maestro giapponese Katsushika Hokusai, questa è senza dubbio una delle immagini più conosciute al mondo, e chiunque di voi l’avrà vista almeno una volta. Amo quello stile, denominato Ukyio-e, di cui Hokusai era il più famoso esponente, tant’è che in salone ho appeso una riproduzione della Grande Onda. Una tela dalle dimensioni ragguardevoli, 160x110cm, poi accompagnata da altre piccole tele facenti parte della stessa serie, “Trentasei vedute del Monte Fuji”, di cui vi consiglio caldamente la visione.

Capirete quindi che ho accettato al volo la recensione di Getsu FumaDen: Undying Moon, roguelite che somiglia ad una tela più che ad un videogioco. Sviluppato da Konami, questo è il seguito di Getsu Fuma Den, adventure a scorrimento rilasciato nel lontano 1987 per Famicom, e che non ha mai lasciato la terra del Sol Levante.

Quando avvio titoli con comparti artistici tanto interessanti ciò che mi chiedo sempre è “bene, ma oltre una bella copertina c’è altro?”. Oggi tenterò di rispondere proprio a questo quesito.

A spasso per l’inferno

Noi incarniamo Fuma, 27° leader del clan Getsu e difensore del mondo in superficie. Ryukotsuki, signore dei demoni – e final boss del prequel – è risorto e vuole scatenare ancora una volta le sue orde sul mondo dei vivi. Toccherà quindi a noi la discesa negli inferi, pronti a sconfiggere ancora una volta la minaccia demoniaca, e sperare di trovare Getsu Rando, il nostro fratello da tempo disperso.

Questo l’incipit di Undying Moon, che come potete immaginare si rivelerà essere un mero pretesto per menare le mani. La trama risulta di fatto completamente assente o quasi, con una brevissima sequenza iniziale che in realtà non spiega nulla. I pochissimi dettagli sull’universo di gioco vanno ricercati su delle lapidi sparse per gli stage. Vi anticipo che sono giunto dinnanzi al final boss senza sapere chi o cosa fosse e perché si trovasse lì, traete voi le conclusioni.

Di norma non do troppa importanza alla narrativa quando si parla di roguelite, ma qui ci ritroviamo al di sotto del minimo sindacale. Nel titolo è presente ben UN NPC con cui dialogare, che per altro ha poche e banali linee di dialogo. Un po’ poco, visto che un certo Hades ci ha dimostrato come anche un roguelite può offrire decine di npc interessanti e migliaia di dialoghi qualitativamente notevoli.

Insomma, il comparto narrativo non è sicuramente la parte meglio riuscita di Undying Moon, ma procediamo.

Un dipinto in movimento

Quel che balza subito all’occhio di Getsu Fumaden: Undying Moon è sicuramente la straordinaria direzione artistica. Ogni singolo elemento a schermo urla Giappone a gran voce, il tutto in un delizioso stile ukyio-e, tant’è che spesso sembrerà di guardare un’opera d’arte piuttosto che un videogioco. Fondali 2d animati, ricchi di dettagli e davvero tanto ispirati fanno da sfondo allo stage vero e proprio, colmo di creature del folklore giapponese. Menzione d’onore per lo stage Il bestiario è ben nutrito, e si spazia dai classici Oni all’enigmatica Kyūbi, meglio conosciuta come volpe a nove code. Per non parlare dei boss di fine livello, davvero spettacolari e ben animati.

Undying Moon però presenta un brutto difetto, ovvero pone la forma prima della sostanza. Gli stage sono visivamente spettacolari, ma lo stesso non si può dire della loro struttura. Ogni livello è generato in maniera procedurale, e si compone di tante piattaforme orizzontali da attraversare, fine, non c’è letteralmente nulla con cui interagire se non i nemici ed eventuali scrigni. Tutto quel che contraddistingue un buon roguelite è totalmente assente. Stanze segrete, eventi casuali, sfide opzionali, nulla di tutto ciò è presente in Undying Moon. Ciò che ne consegue è una ripetitività che si fa prepotente già dopo una manciata di run, e questo non è mai un bene per titoli del genere.

Anche il level design è poco brillante. La struttura di base degli stage non soffre di particolari problemi, seppur risulti molto elementare, mentre la creazione procedurale degli stessi scade spesso in delle ingenuità. Ad esempio non è raro trovare numerosi vicoli ciechi che non portano letteralmente a nulla, né ad un nemico né ad uno scrigno, e fanno solo perdere tempo. Anche il posizionamento dei nemici non aiuta, con questi ultimi che spesso potranno attaccarci fuori schermo; ho letteralmente odiato lo stage delle Colline Nebbiose, e vi sarà chiaro il perché non appena lo raggiungerete.

Il samurai demoniaco

Veniamo ora a quel che conta, il gameplay. Controllare Fuma mi lascia sensazioni contrastanti. Se da un mero lato visivo il tutto risulta molto piacevole – anche grazie alle splendide animazioni del samurai – lo stesso non si può dire dal punto di vista prettamente meccanico. Non so se il problema sia della sola versione Switch, ma ho costantemente avvertito una legnosità generale nei comandi, o per meglio dire, un – seppur minimo – input delay. Fortunatamente il gameplay di Undying Moon non è particolarmente frenetico, quindi l’esperienza di gioco non viene totalmente compromessa; ci tengo però a precisare che qui siamo ben lontani dall’estrema responsività di un Dead Cells, ecco.

Il combattimento vero e proprio è quello tipico di un qualsiasi hack ‘n’ slash, con però qualche meccanica in più. Abbiamo l’attacco leggero, l’azione speciale differente per ogni arma e la schivata di Dark Souls memoria. A ciò si vanno ad aggiungere gli attacchi di sfondamento, i contrattacchi e la demonization. I primi servono a spezzare l’equilibrio del nemico, per poi effettuare una soddisfacente finisher, i secondi sono dei semplici contrattacchi, qui definiti Lampo. La demonization è invece una sorta di demon trigger, e ci permette di potenziare attacco e velocità per ogni colpo assestato in rapida sequenza. Voglio precisare che il titolo fa di tutto per rendere ciò che ho scritto il più ermetico possibile, relegando la spiegazione di meccaniche fondamentali a voci situate nei meandri dei sotto menù. Una scelta abbastanza discutibile

Queste aggiunte al gameplay sono interessanti sulla carta, ma anche qui ho notato più di una ingenuità. A livelli di difficoltà più alti lo sfondamento è decisamente troppo forte, essendo in grado di giustiziare qualsiasi nemico previa rottura del suo equilibrio. La demonization invece è, senza mezzi termini, una meccanica mal implementata; di fatto è praticamente impossibile “demonizzarsi” se non si utilizzano le doppie lame, la lancia o i pugni. E così 3 armi principali su 6 risultano quasi totalmente estromesse da questa dinamica di gioco.

Devo precisare che Fuma può trasporate due armi principali alla volta, quindi si potrebbero sfruttare delle doppie lame per demonizzarsi e poi passare alla katana, ciononostante ritengo che relegare una parte del core gameplay a certe armi senza un particolare motivo sia una bella svista.

L’arsenale del clan Getsu

Ed eccoci qui a parlare del loot, degli sbloccabili, la linfa vitale di qualsiasi roguelite ed ossessione di noi fan del genere. Partiamo col dire che Fuma ha a sua disposizione 6 diversi tipi di armi primarie, ovvero katana, mazza, lancia, doppie lame, ombrello e tirapugni. A ciò si vanno ad aggiungere le armi secondarie, generalmente ranged, tra le quali si annoverano kunai, archi, archibugi e bombe. Queste funzionano come dei consumabili, ed una volta esaurite le “cariche” disponibili entrano in cooldown.

Se c’è una cosa che non manca ad Undying Moon, quella è proprio la quantità spropositata di equipaggiamenti e potenziamenti per il nostro eroe. I nemici da noi massacrati droppano infatti delle risorse e, più raramente, dei “progetti” che ci permetteranno di creare nuovi strumenti di morte. Ogni singola arma va poi potenziata tramite un sistema di upgrade che, sebbene sia presentato in maniera davvero tanto confusionaria, risulta in realtà abbastanza semplice ed intuitivo dopo poco tempo.

Quindi abbiamo visto che la quantità di loot sicuramente non manca ad Undying Moon, ma possiamo dire lo stesso della qualità? Anche in questo aspetto ci ritroviamo davanti ad un sistema potenzialmente interessante, ma che a conti fatti non risulta mai brillante. Le armi principali sono solamente 6, e nonostante ognuna di esse abbia 5 varianti, a conti fatti parliamo sempre di 6 armi dai moveset striminziti. Ogni katana è uguale all’altra da un punto di vista prettamente tecnico, e poco vi cambierà utilizzare la katana affilata o una ammazzademoni. Sì, a livello parametrico sono differenti, ma all’atto pratico non cambia praticamente nulla tra le due, ed anzi, spesso le armi presenti sin dall’inizio del gioco risultano anche essere le più forti.

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Il drop rate delle armi più “esotiche” è davvero basso, mentre le armi “base” piovono giù in continuazione, e 9 volte su 10 il tutto si riduce ad equipaggiare l’arma con il parametro d’attacco più alto. Il problema è proprio l’impossibilità di creare una qualsivoglia build, poiché non vi è sinergia tra le varie primarie e secondarie, se non in qualche raro caso. Quindi le vere statistiche desiderabili sono l’attacco e lo sfondamento, mentre tutto il resto passa in secondo piano.

Anche il personaggio va potenziato tramite risorse, e pure qui ci ritroviamo davanti a potenziamenti funzionali, ma estremamente banali. Aumentare la vitalità o le pozioni trasportabili va più che bene, ma mancano opzioni davvero interessanti, come nuove abilità di movimento – per snellire la navigazione degli stage – o nuove tecniche per le armi primarie, ad esempio. E non voglio entrare nel dettaglio, ma sappiate che servono davvero tanti, oserei dire troppi materiali per potenziare armi e personaggio.

Insomma, abbiamo sì una quantità davvero alta di sbloccabili, ma questo non equivale a qualità come un pò tutto in Undying Moon.

In conclusione

Che dire di Getsu FumaDen: Undying Moon? Devo essere onesto, avevo grandi aspettative per il titolo, anche e soprattutto per l’ottima direzione artistica che lo contraddistingue. Peccato che qui si sia curata quasi unicamente la forma a discapito di ciò che conta veramente in un roguelite. Il gameplay è accettabile, ma tra un level design scialbo, comandi non proprio precisissimi e scelte di gameplay spesso ingenue mi viene davvero difficile consigliarne l’acquisto.

A ciò aggiungiamo che mancano tutti quegli elementi che rendono memorabile un roguelite; segreti da scovare nei livelli, building del pg durante la run, loot vario e diversificato, eventi casuali ed npc che ci rivelano dettagli del mondo di gioco. Qui troviamo giusto le fondamenta per un buon roguelite, ma nulla di tutto ciò che ho appena elencato.

Spero vivamente che Konami supporti il titolo e lo migliori, perché le potenzialità ci sono. Ma allo stato attuale è impossibile consigliarne l’acquisto quando un certo Dead Cells – che fa letteralmente tutto meglio di Undying Moon – è già disponibile, e probabilmente più economico. Se siete fan incalliti del genere potreste pure divertirvi per qualche ora, a patto di tenere basse le aspettative.

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: Hack and slash
  • Lingua: Italiano
  • Multiplayer: No
  • Prezzo24,99€

Ho tenuto alto l’onore del clan Getsu per circa 15 ore grazie a un codice gentilmente fornito dal publisher.

Di Davide Di Vita

Iniziato al mondo del gaming nel lontano 94, quando il NES ed un pad in mano costituivano il sogno di ogni bambino. Cresciuto tra le terre di Hyrule e le profondità di Zebes, negli anni ho sviluppato una particolare affinità per JRPG e WRPG, pur non disdegnando alcun genere videoludico. Modellista Gunpla in erba nel tempo libero.

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