Per me, cresciuto nella gloriosa epoca dei cabinati, un titolo sopra chiunque altro rappresentava la compianta saletta giochi. Ovviamente parlo di Metal Slug, la leggendaria saga run and gunSNK nata nel lontanissimo 1996. Una saga tutta azione, esplosioni ed enormi boss di fine livello via via sempre più strani. E da una direzione artistica ricercatissima ed inconfondibile.
Capirete quindi la mia perplessità durante il reveal trailer di Metal Slug Tactics, un titolo che pare essere l’antitesi di ciò a cui la serie ci abitua da ormai 27 anni. Perplessità seguita poi da curiosità per il lavoro del team francese Leikir Studio, che ci prometteva di trasporre l’esperienza di Metal Slug in salsa strategica, per di più a turni.
Adesso però alcuni dubbi possono essere sciolti. Finalmente potuto sviscerare la demo di Metal Slug Tactics e voglio darvi le mie prime impressioni, da appassionato di strategici, roguelite e soprattutto della saga di Metal Slug.
Il ritorno dei Falchi
Anche stavolta i Falchi Pellegrini, gruppo di specialisti capitanati dal leggendario Marco Rossi, dovranno sventare i piani del malvagio Generale Morden, capo dei Ribelli ed antagonista storico della saga. Per farlo dovranno conquistare vari settori a suon di mitragliatrici, granate, fucili laser e quant’altro. La trama è tutta qua, ed onestamente a me va benissimo così, da Metal Slug mi aspetto esplosioni, tank sproporzionati e qualche sano scambio di battute, cose tutte presenti già dalla demo, che permetterà di cimentarsi nel deserto di Argum, primo dei settori da conquistare.
Partiamo da un presupposto, Metal Slug Tactics è un tattico con elemeti roguelite in tutto e per tutto. Nessuna strana commistione di generi, di meccaniche action o semplificazioni varie. Qui si ragiona tanto, si soppesa ogni singola mossa disponibile, si gestiscono le scarse risorse nel miglior modo possibile e si tenta di sopravvivere. Ed il tutto funziona dannatamente bene, ma andiamo con ordine.
Tattica e pallottole
Ad un primo sguardo Tactics propone il più classico dei combattimenti a turni. Ogni personaggio ha a disposizione un’azione di movimento ed una di attacco, come in un qualsiasi Fire Emblem. Ora però aggiungiamo delle variabili. Partiamo dagli attacchi sincronizzati, tecnica fondamentale per portare a casa la vittoria: per innescarli basterà bersagliare un nemico presente sulla linea di tiro di un altro nostro compagno. Così facendo entrambe le unità attaccheranno in sincronia. Già questo aspetto aggiunge enorme profondità al posizionamento del nostro team, poiché difficilmente riusciremo a far fuori i nemici in tempo utile non sfruttando la sincronia.
Interessante anche la meccanica dell’adrenalina e della schivata. La prima è la risorsa utilizzabile per attivare le abilità, mentre la seconda diminuisce i danni causati dai nemici. Entrambe vengono generate spostando i propri personaggi, e più lontano li si muove più adrenalina e schivata vengono generate. Questo scoraggia lo stile di gioco estremamente difensivo, mentre viene premiato il buon posizionamento delle truppe ed il saggio utilizzo della mappa di turno nella sua interezza.
Aggiungiamoci poi che tutti i personaggi sono equipaggiati con due tipologie di armi, standard e speciali. Le armi standard hanno munizioni illimitate, e comprendono pistole, bombe, pugnali e quant’altro. Le armi speciali sono molto più potenti delle standard, con danno più elevato, maggiore area d’effetto, status alterati, ma con numero di utilizzi limitato. Inoltre ogni personaggio ha un suo set di abilità passive ed attive.
Bene, unite entrambe le cose ed avrete un roster decisamente variegato. Marco ad esempio è il buffer della situazione, mentre Eri si specializza nel danno ad area e nella mobilità. Tarma è il “tank” del gruppo, possedendo abilità che ne aumentano la resistenza, mentre Fio è la classica unità da supporto che manipola la posizione dei nemici.
Già da questa breve introduzione capirete che il titolo è in realtà molto complesso. Metal Slug Tactics permette molteplici build per ogni personaggio e sinergie da creare tra i 3 membri del nostro team. E di variabili ce ne sarebbero tante altre, come le mod arma che modificano radicalmente l’utilizzo dell’equipaggiamento, o gli asset strategici. Insomma, di carne al fuoco ne troverete tantissima, anche considerando che parliamo di una semplice demo.
Anche Roguelite
Il titolo presenta anche vari elementi cari agli amanti dei roguelite, come il sottoscritto. Partiamo dal dire che le mappe vengono create in maniera procedurale, “incollando” vari tileset tra loro. Così come posizionamento e tipologia dei nemici, la presenza o meno di veicoli e tanto altro è lasciato al caso.
La demo offre varie tipologie di missione, che vanno dal classico “elimina tutti i nemici” a varianti survival in cui resistere per un certo numero di turni ad un’orda di avversari, o ancora proteggere un npc o raggiungere l’area di estrazione designata. Inoltre ogni missione presenta un obiettivo secondario, che se soddisfatto da’ accesso a ricompense fondamentali per il successo della campagna.
Come in ogni roguelite che si rispetti anche qui potremo decidere noi quale missione affrontare prima, pianificando il percorso che vogliamo seguire per raggiungere il boss di fine zona.
Immancabile poi la pletora di sbloccabili, che vanno da nuove abilità attive/passive di ogni singolo membro a loadout di partenza differenti, mod arma e tanto altro. Come già detto, il content sembra ricchissimo già dalla demo.
Ci ha convinti?
In breve, si, decisamente. Mi aspettavo uno strategico caciarone, vista anche la saga di appartenenza. Invece mi sono trovato davanti ad una sorta di Into the Breach in salsa Metal Slug. Il bilanciamento va un attimo rivisto, la demo presenta qualche bug ed a volte si fa fatica a capire dove i nemici potranno colpire, ma siamo di fronte ad un’ottima base, e non vedo l’ora di mettere le mani sul titolo completo. Promosso!
Cult of the Lamb è divertente nella sua semplicità. L’idea di trovare un punto di contatto tra un roguelike in stile The Binding of Isaac e un gestionale alla Harvest Moon è vincente, ma durante le ore passate a giocare, ci si aspetta un climax di crescente difficoltà che non arriva mai. I giocatori meno esigenti troveranno il titolo soddisfacente, mentre i fan dei roguelike non saranno mai messi veramente alla prova.
8.5
Il calendario annuale dei videogiochi ha dei dogmi ben precisi: se un gioco esce durante la settimana di ferragosto, non sarà memorabile. Questa dottrina, unita alla voglia di spiaggia, ha posticipato la mia recensione di Cult of the Lamb. Un peccato mortale.
Cult of the Lamb è il terzo titolo, non mobile, di Massive Monster. La software house australiana, che ha accumulato esperienza con i platform, ha unito le forze con l’ormai celebre publisher Devolver Digital per portare sul mercato un irriverente roguelike con accentuate meccaniche gestionali dalla grafica dolce e dai toni cupi.
Rinascere profeta
Il protagonista dell’opera è un agnello, letteralmente, sacrificale. Cult of the Lamb inizia con il nostro eroe pronto per essere sacrificato sai quattro vescovi simil-lovecraftiani. In realtà, il sacrificio è reale e la vita del povero agnello, apparentemente, termina; almeno fino a quando non ha un incontro onirico con The One Who Waits: una divinità imprigionata alla ricerca di un profeta che possa dare il via alla sua nuova ascesa. Ovviamente per farlo sarà necessario demolire l’attuale religione a favore della nostra.
Ogni credo che si rispetti ha un cospicuo numero di fedeli. L’agnello, cioè il videogiocatore, li recupera all’interno dei dungeon più pericolosi, uno per ognuno dei quattro vescovi. Solitamente si tratta di povere creature pronte per il sacrificio, che prima l’agnello salva e poi li converte alla nostra religione, facendogli spesso fare una fine anche peggiore.
Gestionale
La gestione del credo prevede mantenere un villaggio pieno di fedeli basato su tre indicatori: fame, malattie e fede. La fame si attenua cucinando cibo per i nostri credenti, mentre le malattie si curano facendo riposare i malati e mantenendo pulito il villaggio. Infine, la fede può essere tenuta alta esercitando rituali. Come dicevamo però, il nuovo profeta non è necessariamente migliore dei suoi predecessori e l’agnello può sacrificare i suoi discepoli per un bene maggiore, molto spesso molto conveniente per il proseguo del gioco.
Durante la fase gestionale, ho passato per la maggior parte del tempo all’interno del villaggio dove l’agnello può, o incaricare i suoi adepti, di raccogliere risorse (legno e pietre) o pregare per aumentare la devozione. Sotto le vesti dell’agnello possiamo anche creare nuove strutture ed eseguire una serie di riti all’interno del Tempio; in particolare, le liturgie sono tre: sermon, per aumentare i bonus quando entriamo all’interno di un dungeon; crown, per instaurare nuove dottrine che aumentano la nostra forza in combattimento e aggiungono nuovi rituali; rituals, liturgie di vario genere, tra cui i sacrifici, per migliorare lo status del villaggio e dei suoi abitanti.
L’esplorazione
Una volta usciti dal villaggio è possibile raggiungere due luoghi: i dungeon e altre zone della mappa in cui alcuni NPC incontrati durante le missioni ci permettono di completare una serie di quest secondarie.
Nella parte bellicosa di Cult of the Lamb, il numero quattro si ripete più volte. Quattro sono i vescovi, quattro sono le tipologie dei dungeon e quattro sono le volte che bisogna ripetere le zone di guerra prima di affrontare il boss finale dell’area.
Una volta dentro i dungeon – come già visto in tantissimi roguelike come Darkest Dungeon – una mappa permette all’agnello di scegliere il percorso sino alla battaglia finale. Ogni luogo d’interesse può avere diversi incontri, più o meno positivi, tra cui gli, ovviamente, gli scontri.
I combattimenti
I combattimenti sono abbastanza basilari. Qunado l’agnello entra in una stanza, deve essere l’ultimo, e unico, a uscirne. Per farlo, può attaccare con la sua arma o con una maledizione (una magia): le armi si differenziano per velocità e danni causati; le maledizioni sono scelte casualmente all’inizio di ogni dungeon da un pool ampliabile con perk ottenuti con i sermoni. Infine, si può schivare e saremo invulnerabili in quel momento.
I nemici, così come i dungeon, sono pochi, ma ogni avversario ha i suoi pattern da imparare pressoché a memoria. I boss, e mini-boss, hanno degli schemi d’attacco più complicati rispetto ai normali nemici, ma a livello normale – difficoltà consigliata dal gioco – ho terminato il gioco morendo soltanto una volta durante l’ultimo boss del videogioco.
Conclusione
La recensione di Cult of the Lamb non può non considerare la dissacrante satira rivolta alle religioni. Non ci sono giri di parole: la vita dell’agnello è stata risparmiata e gli sono stati donati enormi poteri. Non c’è alcun bonus se si trattano bene i propri discepoli; anzi, più si è senza scrupoli, più si progredisce velocemente. L’agnello è in realtà solo un travestimento per il lupo. Nonostante l’intera trama contenga tante, troppe, similitudini con Death’s Door – un’altra opera indie di Devolver Digital che abbiamo anche recensito – Cult of the Lamb ha molto carattere e una veste grafica 2.5D originale.
Cult of the Lamb non è un gioco perfetto, poiché troppo semplificato nelle meccaniche, tanto quelle gestionali quanto nei combattimenti. Però è dannatamente assuefacente. Il roguelike di Massive Monster mi ha fatto continuamente pensare: “Ancora una stanza” oppure: “Ancora un sermone”, cioè qualcosa di assolutamente non necessario perché il quick resume di Xbox Series X permette di riprendere da qualsiasi punto ogni volta che si vuole.
Ancora una volta, Devolver Digital è riuscita ad attirare la mia attenzione. Questa volta non è un must-have, ma un videogioco che riesce a mettere insieme tutte le meccaniche più amate dei titoli recenti in un videogioco immediato, divertente e dissacrante.
Dettagli e Modus Operandi
Genere: Azione, Roguelike, Gestionale
Lingua: Inglese
Multiplayer: No
Prezzo: 29,99€
Piattaforme: PC, Playstation 4, PlayStation 5, Xbox One, Xbox Series S|X, Nintendo Switch
Serious Sam: Tormental è un titolo strano. Tecnicamente è valido, il gameplay funziona, e sulla carta ha quel che serve ad un roguelite. Ritengo che però i videogiochi non vadano valutati sezionandoli in compartimenti stagni. Un titolo è più della somma delle sue parti, o in questo caso banalmente meno di ciò che i singoli elementi valgono. Divertente ma al tempo stesso derivativo, banale e poco ispirato. Non aiuta il fatto che risulti ripetitivo abbastanza in fretta. Visto il prezzo budget a cui è proposto, valutatene l’acquisto se siete appassionati del genere e non avete grosse pretese
6.5
Se venisse fatta la domanda “Davide, cosa ne pensi tu di Serious Sam?” io risponderei prontamente “Guarda mamma, sono un taglialegna!”. Ma lasciamo perdere vecchie citazioni per vecchi videogiocatori – come il sottoscritto – e torniamo ai giorni nostri. La saga di Serious Sam di spinoffs ne conta davvero parecchi, anche se ad esser sincero sono davvero pochi quelli apprezzati dal sottoscritto. Oggi andiamo ad analizzare Serious Sam: Tormental, titolo rimasto nel “limbo” Early Access per un bel pò di tempo. Sviluppato da Gungrounds in collaborazione con Croteam, e distribuito da Devolver Digital, Tormental vuole trasporre la storica saga fps in roguelite, impresa non proprio semplice.
Che storia!
Questa volta Sam Stone, dopo aver utilizzato uno strano artefatto, viene catapultato all’interno della mente del suo storico avversario, Mental. Il lobo frontale funge da base/hub della nostra “operazione”, e pian piano dovremo farci strada nei meandri della coscienza di Mental, così da sconfiggerlo “dall’interno” una volta per tutte. Se tutto ciò vi sembra assurdo non preoccupatevi, avete fatto centro.
Come da tradizione anche qui ci ritroviamo con una trama totalmente accessoria. Chiariamoci, il viaggio mentale di Sam potrebbe anche suonare lontanamente interessante, ma si rivela subito essere un pretesto per far casino, né più né meno. I personaggi non hanno praticamente alcuna caratterizzazione, e stanno lì solo per dispensare il tipico humour di cui Serious Sam si fregia da tempi immemori. Almeno questo aspetto risulta parzialmente riuscito, con battute che strappano più di una risata.
Viaggi mentali
Bene, dopo aver introdotto il delirante background narrativo direi di spostarci subito alla sostanza. Come avevo già accennato Tormental è un roguelite con visuale topdown, ed in questi titoli quel che conta non è una trama da oscar o personaggi di spessore, ma level design, gameplay e rigiocabilità.
Abbiamo davanti quanto di più classico si possa trovare in questo genere; se avete giocato titoli come Enter the Gungeon o Nuclear Throne sapete già cosa aspettarvi. Ogni partita inizia nel lobo frontale, ed a noi toccherà affrontare una sequenza di livelli generati in maniera procedurale. Livelli che idealmente dovrebbero rappresentare la mente, la coscienza o qualcosa del genere.
In realtà ci troviamo davanti ad una sorta di foresta, poi quella che sembra un’area acquatica, una caverna, una zona lavica. I livelli sono quanto di più generico possiate immaginarvi, e non avrei mai pensato di aggirarmi nella mente di un individuo se non fosse stato il gioco stesso a specificarlo. Il tutto è aggravato dalla struttura “a loop” del gioco, che quindi ci vedrà affrontare sempre e solo quei pochissimi stage senza alcuna variazione visiva.
Anche i nemici soffrono della stessa problematica. Pochi, e soprattutto visivamente molto poco ispirati. Un cubo con le corna, un cubo con 8 zampe, un cubo con le ali, un cubo con la coda e via così. Da uno spinoff di Serious Sam, che vanta un bestiario iconico e fuori di testa, ci si aspetterebbe ben altro, ecco. Più di una volta mi sono chiesto “ma sto giocando a Serious Sam quindi?”.
Tecnicamente alcuni “nemici storici” sono presenti ma risultano letteralmente irriconoscibili, con giusto un paio di eccezioni. Un peccato poiché meccanicamente gli avversari funzionano discretamente bene, con pattern di attacco e comportamento diversificati.
La solita pioggia di proiettili
Un aspetto che Gungrounds ha centrato in pieno è sicuramente quello del gameplay, mica poco per un roguelite. Come già detto ci troviamo di fronte ad un topdown shooter (o twin stick shooter, se lo giocate col pad) che sì, non reinventa assolutamente nulla, ma sulla carta funziona. Crivellare i malefici cubetti colorati è divertente, lo shooting è soddisfacente ed i controlli sono precisi, cosa si può voler di più allora?
Meccanicamente tutto è dove dovrebbe essere, ma il risultato è tanto, troppo derivativo. Prendiamo ad esempio l’arsenale a disposizione di Sam (o degli altri 4 personaggi giocabili). Abbiamo un’arma primaria fissa, che può essere potenziata con svariati perk, come proiettili perforanti, rimbalzanti e tanti altri. E poi abbiamo le armi secondarie, o armi “serie”, come mitragliatore, lanciafiamme, lanciarazzi. Insomma, l’artiglieria pesante.
Come avrete notato ci troviamo davanti a i soliti potenziamenti visti e rivisti in qualsiasi roguelite appartenente al genere. Nessun guizzo, nessuna peculiarità, semplicemente perk o armi già declinati in altre centinaia di titoli. Discorso identico per i potenziamenti passivi del personaggio, tecnicamente validi ma tanto banali.
Conclusione
Serious Sam: Tormental è un’ottima base di partenza, e può risultare divertente per qualche ora, soprattutto se siete appassionati del genere. Ma non aspettatevi tanto di più. Già dopo qualche run la sensazione di ripetitività e di già visto fa capolino, ed in un titolo del genere, basato sulla rigiocabilità, non è affatto piacevole.
A questo voglio aggiungere che Tormental sembra tutto tranne che un Serious Sam. Stile grafico carino e colorato, nemici storici non presenti o irriconoscibili, livelli anonimi ed una colonna sonora che è l’esatto contrario di quel che ci si aspetterebbe in un’avventura di Sam Stone. Insomma, oltre ai personaggi ed un po’ di humour di Serious Sam c’è davvero poco qui. Sembra più una skin di Serious Sam applicata ad un roguelite, ecco.
Visto il prezzo budget a cui è proposto potrebbe comunque meritare l’acquisto, soprattutto se avete già consumato i capisaldi del genere e siete in cerca di un topdown shooter tutto sommato divertente. A patto di tenere basse le aspettative.
Sarò sincero, avevo grandi aspettative per Getsu FumaDen: Undying Moon. Aspettative che sono state quasi completamente disattese, e lo dico a malincuore. Ammirare la direzione artistica del titolo è una gioia per gli occhi, ma una bellissima presentazione estetica non riesce a nascondere le tante, troppe ingenuità che Undying Moon porta con sé. Segreti, sfide opzionali, un mondo interessante, stage che offrono ogni volta qualcosa di nuovo. Proprio questo manca al titolo Konami, e per un roguelite è un enorme difetto. A ciò uniamo un loot quantitativamente eccezionale, ma che qualitativamente risulta insipido. E poi un gameplay senza infamia né lode, con qualche buona idea ma mal bilanciata. Se siete fan accaniti dei roguelite potreste anche divertirvi per qualche ora, a patto di tenere basse le aspettative.
5.5
Chi non conosce “La grande onda di Kanagawa”? Opera del maestro giapponese Katsushika Hokusai, questa è senza dubbio una delle immagini più conosciute al mondo, e chiunque di voi l’avrà vista almeno una volta. Amo quello stile, denominato Ukyio-e, di cui Hokusai era il più famoso esponente, tant’è che in salone ho appeso una riproduzione della Grande Onda. Una tela dalle dimensioni ragguardevoli, 160x110cm, poi accompagnata da altre piccole tele facenti parte della stessa serie, “Trentasei vedute del Monte Fuji”, di cui vi consiglio caldamente la visione.
Capirete quindi che ho accettato al volo la recensione di Getsu FumaDen: Undying Moon, roguelite che somiglia ad una tela più che ad un videogioco. Sviluppato da Konami, questo è il seguito di Getsu Fuma Den, adventure a scorrimento rilasciato nel lontano 1987 per Famicom, e che non ha mai lasciato la terra del Sol Levante.
Quando avvio titoli con comparti artistici tanto interessanti ciò che mi chiedo sempre è “bene, ma oltre una bella copertina c’è altro?”. Oggi tenterò di rispondere proprio a questo quesito.
A spasso per l’inferno
Noi incarniamo Fuma, 27° leader del clan Getsu e difensore del mondo in superficie. Ryukotsuki, signore dei demoni – e final boss del prequel – è risorto e vuole scatenare ancora una volta le sue orde sul mondo dei vivi. Toccherà quindi a noi la discesa negli inferi, pronti a sconfiggere ancora una volta la minaccia demoniaca, e sperare di trovare Getsu Rando, il nostro fratello da tempo disperso.
Questo l’incipit di Undying Moon, che come potete immaginare si rivelerà essere un mero pretesto per menare le mani. La trama risulta di fatto completamente assente o quasi, con una brevissima sequenza iniziale che in realtà non spiega nulla. I pochissimi dettagli sull’universo di gioco vanno ricercati su delle lapidi sparse per gli stage. Vi anticipo che sono giunto dinnanzi al final boss senza sapere chi o cosa fosse e perché si trovasse lì, traete voi le conclusioni.
Di norma non do troppa importanza alla narrativa quando si parla di roguelite, ma qui ci ritroviamo al di sotto del minimo sindacale. Nel titolo è presente ben UN NPC con cui dialogare, che per altro ha poche e banali linee di dialogo. Un po’ poco, visto che un certo Hades ci ha dimostrato come anche un roguelite può offrire decine di npc interessanti e migliaia di dialoghi qualitativamente notevoli.
Insomma, il comparto narrativo non è sicuramente la parte meglio riuscita di Undying Moon, ma procediamo.
Un dipinto in movimento
Quel che balza subito all’occhio di Getsu Fumaden: Undying Moon è sicuramente la straordinaria direzione artistica. Ogni singolo elemento a schermo urla Giappone a gran voce, il tutto in un delizioso stile ukyio-e, tant’è che spesso sembrerà di guardare un’opera d’arte piuttosto che un videogioco. Fondali 2d animati, ricchi di dettagli e davvero tanto ispirati fanno da sfondo allo stage vero e proprio, colmo di creature del folklore giapponese. Menzione d’onore per lo stage Il bestiario è ben nutrito, e si spazia dai classici Oni all’enigmatica Kyūbi, meglio conosciuta come volpe a nove code. Per non parlare dei boss di fine livello, davvero spettacolari e ben animati.
Undying Moon però presenta un brutto difetto, ovvero pone la forma prima della sostanza. Gli stage sono visivamente spettacolari, ma lo stesso non si può dire della loro struttura. Ogni livello è generato in maniera procedurale, e si compone di tante piattaforme orizzontali da attraversare, fine, non c’è letteralmente nulla con cui interagire se non i nemici ed eventuali scrigni. Tutto quel che contraddistingue un buon roguelite è totalmente assente. Stanze segrete, eventi casuali, sfide opzionali, nulla di tutto ciò è presente in Undying Moon. Ciò che ne consegue è una ripetitività che si fa prepotente già dopo una manciata di run, e questo non è mai un bene per titoli del genere.
Anche il level design è poco brillante. La struttura di base degli stage non soffre di particolari problemi, seppur risulti molto elementare, mentre la creazione procedurale degli stessi scade spesso in delle ingenuità. Ad esempio non è raro trovare numerosi vicoli ciechi che non portano letteralmente a nulla, né ad un nemico né ad uno scrigno, e fanno solo perdere tempo. Anche il posizionamento dei nemici non aiuta, con questi ultimi che spesso potranno attaccarci fuori schermo; ho letteralmente odiato lo stage delle Colline Nebbiose, e vi sarà chiaro il perché non appena lo raggiungerete.
Il samurai demoniaco
Veniamo ora a quel che conta, il gameplay. Controllare Fuma mi lascia sensazioni contrastanti. Se da un mero lato visivo il tutto risulta molto piacevole – anche grazie alle splendide animazioni del samurai – lo stesso non si può dire dal punto di vista prettamente meccanico. Non so se il problema sia della sola versione Switch, ma ho costantemente avvertito una legnosità generale nei comandi, o per meglio dire, un – seppur minimo – input delay. Fortunatamente il gameplay di Undying Moon non è particolarmente frenetico, quindi l’esperienza di gioco non viene totalmente compromessa; ci tengo però a precisare che qui siamo ben lontani dall’estrema responsività di un Dead Cells, ecco.
Il combattimento vero e proprio è quello tipico di un qualsiasi hack ‘n’ slash, con però qualche meccanica in più. Abbiamo l’attacco leggero, l’azione speciale differente per ogni arma e la schivata di Dark Souls memoria. A ciò si vanno ad aggiungere gli attacchi di sfondamento, i contrattacchi e la demonization. I primi servono a spezzare l’equilibrio del nemico, per poi effettuare una soddisfacente finisher, i secondi sono dei semplici contrattacchi, qui definiti Lampo. La demonization è invece una sorta di demon trigger, e ci permette di potenziare attacco e velocità per ogni colpo assestato in rapida sequenza. Voglio precisare che il titolo fa di tutto per rendere ciò che ho scritto il più ermetico possibile, relegando la spiegazione di meccaniche fondamentali a voci situate nei meandri dei sotto menù. Una scelta abbastanza discutibile
Queste aggiunte al gameplay sono interessanti sulla carta, ma anche qui ho notato più di una ingenuità. A livelli di difficoltà più alti lo sfondamento è decisamente troppo forte, essendo in grado di giustiziare qualsiasi nemico previa rottura del suo equilibrio. La demonization invece è, senza mezzi termini, una meccanica mal implementata; di fatto è praticamente impossibile “demonizzarsi” se non si utilizzano le doppie lame, la lancia o i pugni. E così 3 armi principali su 6 risultano quasi totalmente estromesse da questa dinamica di gioco.
Devo precisare che Fuma può trasporate due armi principali alla volta, quindi si potrebbero sfruttare delle doppie lame per demonizzarsi e poi passare alla katana, ciononostante ritengo che relegare una parte del core gameplay a certe armi senza un particolare motivo sia una bella svista.
L’arsenale del clan Getsu
Ed eccoci qui a parlare del loot, degli sbloccabili, la linfa vitale di qualsiasi roguelite ed ossessione di noi fan del genere. Partiamo col dire che Fuma ha a sua disposizione 6 diversi tipi di armi primarie, ovvero katana, mazza, lancia, doppie lame, ombrello e tirapugni. A ciò si vanno ad aggiungere le armi secondarie, generalmente ranged, tra le quali si annoverano kunai, archi, archibugi e bombe. Queste funzionano come dei consumabili, ed una volta esaurite le “cariche” disponibili entrano in cooldown.
Se c’è una cosa che non manca ad Undying Moon, quella è proprio la quantità spropositata di equipaggiamenti e potenziamenti per il nostro eroe. I nemici da noi massacrati droppano infatti delle risorse e, più raramente, dei “progetti” che ci permetteranno di creare nuovi strumenti di morte. Ogni singola arma va poi potenziata tramite un sistema di upgrade che, sebbene sia presentato in maniera davvero tanto confusionaria, risulta in realtà abbastanza semplice ed intuitivo dopo poco tempo.
Quindi abbiamo visto che la quantità di loot sicuramente non manca ad Undying Moon, ma possiamo dire lo stesso della qualità? Anche in questo aspetto ci ritroviamo davanti ad un sistema potenzialmente interessante, ma che a conti fatti non risulta mai brillante. Le armi principali sono solamente 6, e nonostante ognuna di esse abbia 5 varianti, a conti fatti parliamo sempre di 6 armi dai moveset striminziti. Ogni katana è uguale all’altra da un punto di vista prettamente tecnico, e poco vi cambierà utilizzare la katana affilata o una ammazzademoni. Sì, a livello parametrico sono differenti, ma all’atto pratico non cambia praticamente nulla tra le due, ed anzi, spesso le armi presenti sin dall’inizio del gioco risultano anche essere le più forti.
Il drop rate delle armi più “esotiche” è davvero basso, mentre le armi “base” piovono giù in continuazione, e 9 volte su 10 il tutto si riduce ad equipaggiare l’arma con il parametro d’attacco più alto. Il problema è proprio l’impossibilità di creare una qualsivoglia build, poiché non vi è sinergia tra le varie primarie e secondarie, se non in qualche raro caso. Quindi le vere statistiche desiderabili sono l’attacco e lo sfondamento, mentre tutto il resto passa in secondo piano.
Anche il personaggio va potenziato tramite risorse, e pure qui ci ritroviamo davanti a potenziamenti funzionali, ma estremamente banali. Aumentare la vitalità o le pozioni trasportabili va più che bene, ma mancano opzioni davvero interessanti, come nuove abilità di movimento – per snellire la navigazione degli stage – o nuove tecniche per le armi primarie, ad esempio. E non voglio entrare nel dettaglio, ma sappiate che servono davvero tanti, oserei dire troppi materiali per potenziare armi e personaggio.
Insomma, abbiamo sì una quantità davvero alta di sbloccabili, ma questo non equivale a qualità come un pò tutto in Undying Moon.
In conclusione
Che dire di Getsu FumaDen: Undying Moon? Devo essere onesto, avevo grandi aspettative per il titolo, anche e soprattutto per l’ottima direzione artistica che lo contraddistingue. Peccato che qui si sia curata quasi unicamente la forma a discapito di ciò che conta veramente in un roguelite. Il gameplay è accettabile, ma tra un level design scialbo, comandi non proprio precisissimi e scelte di gameplay spesso ingenue mi viene davvero difficile consigliarne l’acquisto.
A ciò aggiungiamo che mancano tutti quegli elementi che rendono memorabile un roguelite; segreti da scovare nei livelli, building del pg durante la run, loot vario e diversificato, eventi casuali ed npc che ci rivelano dettagli del mondo di gioco. Qui troviamo giusto le fondamenta per un buon roguelite, ma nulla di tutto ciò che ho appena elencato.
Spero vivamente che Konami supporti il titolo e lo migliori, perché le potenzialità ci sono. Ma allo stato attuale è impossibile consigliarne l’acquisto quando un certo Dead Cells – che fa letteralmente tutto meglio di Undying Moon – è già disponibile, e probabilmente più economico. Se siete fan incalliti del genere potreste pure divertirvi per qualche ora, a patto di tenere basse le aspettative.
Spoiler alert! Questo articolo contiene dettagli rilevanti sulla trama di The Binding of Isaac.
The binding of Isaac, letteralmente il sacrificio di Isacco. È un gioco rouguelike uscito nel 2011 per PC e portato successivamente su console. Ci si potrebbe chiedere come in un mondo videoludico sempre più propenso alla grafica realistica, ci sia ancora spazio per titoli come questo. Ebbene a volte la semplicità è la via migliore per portare il proprio messaggio. Badate a non confondere, però la grafica lineare di The binding of Isaac con la facilità di gioco. Il titolo infatti offre sempre nuovi obbiettivi e sfide.
The binding of Isaac è un gioco che ad una prima occhiata può sembrare effimero, ma che nasconde al suo interno una macabra sorpresa e una terribile storia di maltrattamenti e disfacimento famigliare. Il tutto finemente intessuto in un loop di partite che sono al contempo tutte uguali e ognuna unica nel suo genere.
Vi voglio rassicurare: nonostante il riferimento biblico, non si tratta di una rivisitazione fantasiosa del mito di Isacco, ma di un’opera ben più profonda.
Iniziando The Binding of Isaac
Isaac and his mother lived alone in a small house on a hill. […] Life was simple, and they were both happy. That was, until the day Isaac’s mom heard a voice from above.
The Binding of Isaac
Questa è la frase con cui il narratore ci introduce al gioco. La voce narrante è accompagnata da dei disegni in bianco e nero che ritraggono Isaac a sua madre.
Dio parla alla donna avvertendola che suo figlio è corrotto dal peccato, così lei tenta di correggere il bambino. Allontana da lui tutto ciò che è peccaminoso e anche di più, arrivando perfino a togliere i suoi vestiti. Fedele al mito di Isacco, Dio però non si accontenta e parla alla donna ancora una volta.
To prove your love and devotion, I require a sacrifice. Your son Isaac will be the sacrifice. Go into his room and end his life as an offering to me, to prove that you love above all else.
The Binding of Isaac
Con questa frase Dio chiede alla donna il gesto estremo di sacrificare suo figlio. La madre di Isaac accetta, afferra un coltello e si dirige verso la camera del figlio. Isaac vedendo tutto da una fessura nella porta della sua camera, cerca terrificato un posto in cui nascondersi. Alla fine vede una botola sul pavimento e senza esitazione vi entra solo per addentrarsi nell’ignoto al di sotto.
Questa a grandi linee è la storia che possiamo assaporare con un primo approccio al gioco.
Una storia a livelli
The binding of Isaac, però si può considerare una storia su più livelli. Questo non solo per il gameplay strutturato a piani consecutivi, ma anche per la profondità della vicenda narrativa stessa. Gli accadimenti legati alla trama del gioco vengono infatti presentati a più step. Si scopre la storia un tassello dopo l’altro. Come se l’autore del gioco ci avesse fornito un calendario dell’avvento dalle cui caselline possiamo estrarre piccole pillole di trama. La storia si costruisce giocando e rigiocando. Ogni nuova scoperta, ogni nuovo boss, ogni sfida superata ci porterà a comprendere sempre di più cosa sta succedendo.
Come se non bastasse, ad arricchire la situazione, ci sono anche i due livelli di narrativa: Isaac e la verità. I quali non sempre combaciano.
Le scene iniziali del gioco, narrate con disegni in bianco e nero, sono la storia che Isaac ci sta raccontando dal suo punto di vista, così come la sua mente ha elaborato ciò che è successo. In contrapposizione ai disegni del bambino ci sono le scene a colori che illustrano la realtà dei fatti. La rarità di queste ultime ci porterà a pensare che ciò che racconta Isaac sia reale, ma osservando attentamente si potranno notare delle incongruenze e arrivare alla medesima conclusione: la morte di Isaac.
La storia tramite gli oggetti
Gli oggetti. Forse gli elementi fondamentali del gioco. Grazie ad essi possiamo creare combinazioni sempre diverse sul personaggio rendendolo forte. Le sinergie che possiamo creare tra diversi item sono imprevedibili e anche solo un equipaggiamento sbagliato può rovinare la partita o ribaltarla.
Gli oggetti non sono però utili solo al giocatore in quanto tale, ma anche alla trama. In essi e nelle loro descrizioni infatti possiamo carpire dettagli che potrebbero chiarire qualche dubbio riguardo alla storia di Isaac. Gli “Healt up” ad esempio il cibo per cani o il latte avariato, o “Speed up” come la cintura e il cucchiaio, suggeriscono una storia di maltrattamenti nei confronti del piccolo Isaac.
Item come la parrucca della mamma o le innumerevoli pillole e siringhe insinuano la possibilità che la madre fosse malata. La figura che però si nasconde per lo più tra gli equipaggiamenti del gioco è proprio il padre. Dell’uomo sappiamo solo che se n’è andato e solo con l’ultima espansione si può individuarne vagamente la motivazione. Dad’s lost coin ad esempio allude al fatto che il padre fosse quella di un alcolista. La moneta in questione infatti si rivela essere un riconoscimento degli alcolisti anonimi per 24 ore di sobrietà.
Grazie alle ultime informazioni fornite da Repentance, possiamo meglio interpretare alcuni elementi come la fiches, le varie monete e le slot machine presenti. Il padre era un giocatore d’azzardo che ha perso tutti i risparmi della famiglia giocando solo per poi andarsene. L’idea che Isaac ha dei soldi è legata al ricordo del padre.
La contrapposizione
Nel gioco vediamo contrapporsi molti opposti, il bene e il male, Dio e il Diavolo, realtà e immaginazione. Giocare a The Binding of Isaac potrebbe ridefinire il vostro confine tra buono e cattivo o meglio sbiadirlo.
Dal lato della Luce troviamo la madre di Isaac, cattolica accanita e timorosa di Dio ma anche la donna che vuole sacrificare suo figlio. Dall’altro abbiamo un padre che esortava il bambino ad utilizzare la sua fantasia e che seguiva il figlio molto più della madre. Un uomo che era però un alcolista e giocatore d’azzardo e che è assente dalla vita di Isaac perché ha lasciato la famiglia.
Entrambi i genitori sono perciò per il figlio delle figure discordanti e ambivalenti. La donna si presenta come una matrona impigrita davanti ai programmi televisivi cristiani. Per Isaac, la madre incarna una figura punitiva che cerca di legare il figlio alla realtà privandolo di tutte le fonti di divertimento, che normalmente un bambino dovrebbe avere. Allo stesso tempo però è colei che non lo ha abbandonato.
La figura maschile invece nella vita di Isaac è assente, infatti non se ne hanno informazioni fino all’ultima espansione. Le orme del padre sono meno evidenti nel gioco ma comunque presenti. Di lui si sa veramente poco e quel poco si può intuire dagli oggetti o dai dialoghi finali inseriti con Repentance. Ad Isaac il padre porta un esempio da non seguire. L’uomo è infatti un soggetto problematico ma spinge Isaac a sfruttare la propria fantasia e a rifugiarsi in essa quando la realtà gli sembra troppo.
Ed è proprio per questo che tutta la storia raccontata dai disegni di Isaac non può essere presa come realtà assoluta. Il bambino si trova a dover processare troppi traumi e si vede costretto a riscrivere, o in questo caso a ridisegnare, la realtà in modo da poterla affrontare.
Ascesa e discesa nei livelli dell’essere
How could you have spent our savings?
The Binding of Isaac – Repentance
Come hai potuto spendere i nostri risparmi? Questo domanda furiosa la madre di Isaac al marito nel dialogo inserito nel nuovo percorso ascendente. Durante il quale ripercorriamo tutti i piani attraversati dal nostro personaggio fino a quel momento.
Il percorso d’ascesa di Isaac comincia dopo aver trovato la Dad’s note. Non sappiamo cosa ci sia scritto su quel foglio di carta, ma questo porta Isaac a scontrarsi con la dura realtà. L’ascesa infatti rappresenta la risalita verso la realtà dalle profondità dell’inconscio che lo hanno portato all’alienazione.
In quest’ottica si può vedere tutta l’opera di McMillen, perciò anche il percorso che porta alla cattedrale può essere visto come il confronto del piccolo Isaac con la realtà della sua morte. La discesa può invece essere interpretata come l’alienazione sempre più estrema da un mondo troppo difficile da accettare.
Simbolicamente infatti l’atto di scendere nelle profondità può significare l’allontanamento di Isaac dall’immagine della madre armata di coltello, dal padre che ha abbandonato la famiglia e da tutti gli altri fatti inaccettabili per la giovane mente di un bambino.
La cruda realtà di The Binding of Isaac
Durante le innumerevoli partite al fianco di Isaac e dei suoi alter ego ci verranno forniti molti indizi per condurci a quella che poi è la realtà dei fatti. Isaac, spaventato dalla visione della madre armata di coltello, si rifugia dentro ad un baule. Vi rimane sfortunatamente bloccato dentro e cade preda di un delirio pre-morte in cui rivive parte della sua vita. L’accadimento è rappresentato nel gioco da uno dei boss più difficili chiamato appunto Delirium. Nella battaglia quest’ultimo assume la forma di molti boss o nemici del gioco quasi a volerci far ripercorrere la run.
Tutti gli indizi però sembrano portare alla cruda realtà dei fatti: Isaac è morto asfissiato nel baule mentre tentava di nascondersi dalla madre. Lo suggeriscono altri personaggi come The Forgotten e ??? (comunemente conosciuto come Blue Baby) che rappresentano il destino toccato al corpo del piccolo Isaac.
Il percorso fatto e il traguardo
Tutti i percorsi fatti quindi sembrano portare alla macabra verità della morte di Isaac. Secondo la mia interpretazione, inoltre tutta la storia viene raccontata in ultima fantasia del bambino. Una volta battuto the Beast si scopre che il narratore di tutta la vicenda altri non era che il padre di Isaac. Forse invocato per un ultima volta dalla mente del figlio per aiutarlo a trapassare.
Dad: Are you sure this is how you want this story to end, Isaac? […] Maybe a happy ending?
Isaac: Okay, Daddy.
Dad: Good, are you getting sleepy yet?
Isaac: Yeah
Dad: Okay, so… Isaac and his parents lived in a small house…
The Binding of Isaac – Repentance
Il papà chiede al bambino se vuole che sia quella la fine della storia. Suggerendo che forse non è troppo tardi per pensare ad un lieto fine. Con questa immagine voglio pensare alla rievocazione della figura paterna come a quella di un trito mietitore che accompagna Isaac verso la morte con una favola della buona notte.
The Binding of Isaac
Devo ammettere che quando mi sono approcciata a questo gioco ero piuttosto scettica, non mi sembrava il giusto soggetto su cui investire il mio tempo. Mi sono dovuta ricredere. Escludendo la storia, di cui ho già ampiamente parlato, il gioco è veramente divertente e anche quando ti sembra di averne avuto abbastanza non vorresti smettere.
Il giocare e rigiocare mi ha portato poi a farmi delle domande. Le poche scene sparpagliate per il gioco che ci raccontano un po’ di Isaac portano ad una linea generale unica ma ancora a libera interpretazione. È certo che giocando a The Binding of Isaac mi sono un po’ risentita bambina. Ho ripercorso le paure dell’infanzia come i ragni o i vermi. Ho sperimentato vecchie fobie che crescendo si impara a dominare come il timore del buio e la paura di perdersi rappresentata nel gioco dalle maledizioni che posso presentarsi nei vari piani.
Ultima cosa, ma non per importanza: questo gioco mi ha fatto riflettere su quanto a volte possiamo dare per scontato ciò che si guadagna crescendo con una famiglia che ti ama.
Invito tutti a provare a giocare a questo gioco e di fermarsi a pensare. Aprite The Binding of Isaac e per questa volta non pensate a giocare un roguelike ma ad una storia.
In un mondo corrotto dal potere e dalla sete di sangue, scegliere i propri nemici è un lusso che a volte non ci si può permettere. Una trama già sdoganata con Il trono di spade di George R. R. Martin prende vita in forma videoludica in The Last Spell, il nuovo Tactical defense RPG di Ishtar Games.
La fine dell’umanità
La magia ha reso potenti molti regni, ma i danni del suo abuso ha causato una tragedia che va ben oltre la fine di innumerevoli vite umane. Un eccesso di potere magico ha aperto un portale demoniaco che ha trasformato il mondo in un campo di battaglia già visto in alcuni giochi da tavolo come Zombicide. Per questo, i regni umani hanno decretato una pace per sconfiggere i mostri notturni che infestano le città. Adesso l’unica cosa che conta è sopravvivere all’orrore e per farlo bisogna eliminare completamente la magia dal mondo che alimenta anche questo tumore inarrestabile. Un modo c’è ed è proprio un incantesimo che i maghi hanno chiamato The Last Spell.
L’arte del comandare
La desolante trama di The Last Spell è la giustificazione che Devolver Digital pone come base per il suo nuovo gioco di ruolo con elementi roguelite decisamente interessanti e che ricordano altri recenti titoli del publisher come Loop Hero.
Nell’opera di The Arcade Crew impersoneremo un comandante che dovrà guadagnare del tempo prezioso (sotto forma di turni) che i maghi useranno per lanciare l’ultimo incantesimo in un ciclo giorno e notte. Durante le ore diurne, il gioco è composto da due fasi. La fase di produzione consiste nello spendere denaro e materiali per costruire nuovi edifici, migliorare quelli già esistenti, assegnare lavoratori alle costruzioni e spendere punti su abilità e perk dei nostri eroi. La seconda fase invece trasforma il titolo in un vero e proprio tower defense tattico in cui costruiremo le difese per l’ondata notturna. Infatti, durante la notte impartiremo ordini ai nostri eroi (inizialmente tre o quattro in base al livello di difficoltà scelto) che difenderanno i maghi dall’ondata di mostri, magari non lasciandoci le penne.
Consolida e attendi
La fase di notturna è indubbiamente la parte più divertente e carica di tensione, perché è durante le tenebre che il gioco saprà dimostrarsi impegnativo. Infatti, i danni sferrati dai nemici ci obbligano a studiare il campo di battaglia, i nemici e ovviamente le caratteristiche dei nostri personaggi. All’interno di una griglia tattica in pieno stile Intelligent Systems (ma con visuale isometrica), gli eroi infliggeranno danni importanti, molto spesso ad area e decisamente spettacolari grazie a (quattro) abilità uniche. Per questo motivo, la maggior parte del tempo sarà speso nel curare la fase difensiva della nostra strategia, anche perché i personaggi recuperano solo una parte della loro vita e mana.
Questa scelta voluta dagli sviluppatori farà felici i giocatori appassionati del genere, ma rende il titolo decisamente poco fruibile per i novizi che rischieranno di morire ripetutamente prima di comprendere le meccaniche base del titolo, che li porterà facilmente verso la frustrazione. D’altro canto, i più smaliziati avranno almeno una ventina d’ore di divertimento che si tramuterà pian piano in noia in questa fase di accesso anticipato. Infatti, una volta comprese le statistiche, le abilità e le difese più forti, il gioco risulta un po’ troppo ripetitivo.
Imparare a costo di morire
Come già abbiamo gustato in altri titoli con una sistema simile come Hades, la morte è parte integrante dell’esperienza videoludica. Perdere in The Last Spell significa fare la conoscenza della presunta benevolenza di entità divine che forniranno nuovi upgrade permanenti che ci renderanno più forti.
Questo significa che i giocatori che poco apprezzano l’idea di perdere e ripetere la stessa sequenza, difficilmente potranno beneficiare del buono lavoro fatto fino a questo momento da Ishtar Games. Per tutti gli altri, The Last Spell è un gioco dall’ottimo potenziale che merita l’attenzione dei giocatori PC a cui però si chiede, nella sua versione definitiva, maggiore varietà durante la fase centrale del gioco.
Pixel di qualità
Venti euro è un prezzo decisamente concorrenziale (17,99 euro nel momento in cui scriviamo) per un gioco in accesso anticipato che ha la qualità tecnica di The Last Spell. Infatti, raramente ci siamo imbattuti in un titolo che in una versione così primordiale possegga un qualità audio e soprattutto grafica praticamente già ultimata. La pixel art del gioco è bella, ma soprattutto pulita come la sua interfaccia grafica. Nonostante le tante statistiche da visualizzare, il gioco è decisamente intuitivo e ci fa pensare che la maggior parte del tempo che separa questo indie game dall’uscita ufficiale sarà speso dagli sviluppatori per aggiungere nuovi contenuti che possano rendere l’esperienza maggiormente variegata.
Pro
Contro
Pixel art bella e interfaccia pulita già in accesso anticipato
Loop Hero è un rogue-like gestionale molto difficile che esalta gli appassionati, ma che non sarà facilmente apprezzato al di fuori della nicchia di try harder. All’interno del suo genere, il titolo di Four Quarters è una perla di originalità e complessità che sarà in grado di tenervi incollati allo schermo per tantissime ore.
8
Dopo quasi due mesi dal nostro provato (di cui vi consiglio la lettura per comprendere al meglio le meccaniche di gioco), Loop Hero arriva sul mercato PC con la sua versione finale. Devolver Digitals e Four Quarters hanno puntato tutto su una meccanica molto semplice, ma il gioco è in realtà molto più profondo e complesso di quanto possa sembrare. In questa recensione, capiamo se dopo decine di ore questo gestionale di dungeon conferma i punti di forza dell’anteprima e togliamo ogni dubbio sulle potenziali debolezze.
I punti di forza
Loop Hero è un rogue-like atipico. Il gioco si divide in dungeon generati casualmente dal computer, ma la fortuna non incide sulla partita. Infatti, la casualità crea solamente un percorso circolare in cui andremo, in loop, fino a quando non avremo inserito abbastanza elementi nella mappa da poter evocare il boss di fine livello. Anche dopo molte ore di gioco, questa meccanica si è rivelata tanto semplice quanto geniale e il sistema di deck-building è sufficientemente complicato da necessitare uno studio che rende il titolo per nulla banale.
La maggior parte delle carte sono disponibili sin da subito, ma la possibilità di costruire nuovi edifici grazie alle risorse raccolte durante la spedizione, permette varietà e nuove combo da scoprire di volta in volta. Partendo dal presupposto che i combattimento sono automatizzati, l’abbastanza elevata difficoltà del gioco consiste nello scegliere la giusta combinazione di carte e abilità da adattare alle tre classi disponibili. Inoltre, ci vorrà poco per capire che non bisognerà disdegnare la ritirata per conservare un 30% in più dei propri ritrovamenti sul campo.
Classi tutti gusti +1
Partiremo con il guerriero che baserà tutta la sua forza sui danni fisici, sull’armatura e sul recuperare vita velocemente, ma ci sono altre due classi estremamente diverse da sbloccare. Il ladro, che raccoglierà i suoi oggetti solo dopo un intero loop e il negromante, ottenibile solo dopo aver costruito un edificio discretamente costoso. Quest’ultima classe prende chiaramente ispirazione da Diablo 2 e ci permetterà di avere un vero e proprio esercito di scheletri e zombie che fanno il lavoro sporco per noi. In questo caso, le meccaniche e gli oggetti indossabili sono totalmente differenti da quanto visto con le precedenti classi. Questo comporterà un’accurata scelta delle carte da usare nel dungeon, capendo quando usarle e quando temporeggiare.
Come già detto, Loop Hero è un indie difficile. Infatti, la somiglianza con Darkest Dungeon (e per i veterani Dungeon Keeper) non è solamente nel genere e nello stile, ma soprattutto nell’impegno che richiede. Noi stessi, da videogiocatori, dovremmo entrare in un loop di fallimenti prima di poter battere il boss del capitolo. Nel dettaglio, anche se si può attendere prima di giocare le carte che andranno a popolare la nostra mappa con nemici e risorse, ogni giro completato aumenta il livello dei mostri che dovremmo affrontare. In altre parole, pochi combattimenti portano poca gloria, pochi oggetti potenti e disfatta assicurata.
Souslike in pixel
Sulla stessa scia di altri rogue-like famosi, Loop Hero dà molta importanza al crafting che sbloccheremo dopo non molto. Potremmo così creare alimenti e oggetti che miglioreranno in modo persistente il nostro eroe, così da fornirci la forza necessaria anche nei momenti più bui di un circolo vizioso che fa chiaro riferimento ai soulslike più spinti.
La parte più affascinante di Loop Hero sta nel vedere il proprio personaggio combattere in autonomia, mentre gli mettiamo di fronte sempre nuovi difficoltà, che se mal calibrate porteranno a una morte prematura del nostro personaggio.
I punti deboli
Purtroppo, l’ottimo gameplay passa attraverso una pixel art molto mediocre. Se durante i pochi dialoghi, la qualità dei disegni è molto gradevole, la maggior parte di mostri e icone della mappa sono eccessivamente stilizzate. Stesso discorso vale per la musica, che ho deciso di disattivare dopo la decima ora di gioco. Infatti, nonostante le tante cose da fare in-game, le tracce risaltano eccessivamente tanto da risultare una fonte di disturbo.
Trama minimale
Infine, l’ultimo punto che destava dubbi era la trama. Tutto inizia con un possente lich che ci incatena dentro un mondo che gira all’infinito e la storia continua con diversi dialoghi che aggiungono pezzi alle vicissitudini, ma senza mai decollare. Nonostante i ragazzi di Four Quarters abbiano provato ad aggiungere qualche dettaglio effettivamente interessante, il risultato è non è sufficiente. L’ambientazione da gioco di ruolo poteva offrire molto più spunti, che non sono stati sfruttati.
Conclusione
Confermiamo tutto quello di bello che è stato detto su Loop Hero durante il provato. Siamo di fronte a un gioco indipendente veramente geniale, con un buon carisma e un gameplay assuefacente, ma non per tutti. Il gioco è improntato per piacere a una nicchia di gamer che amano lo stile trial and error molto spinto. Per questo Loop Hero può risultare snervante anche ai videogiocatori più navigati, che magari sperimentano per la prima volta questo genere di intrattenimento. I casual gamer mi aspetto che non vogliano nemmeno provarlo.
Loop Hero non è un gioco per tutti e non solo a causa dell’elevata difficoltà. Incidono anche il livello tecnico medio-basso e una trama poco coinvolgente. D’altro canto, qualsiasi amante del genere dovrà seriamente tenerlo in considerazione. Infatti, Loop Hero non teme i rivali del genere e riesce a portare originalità e complessità a una nicchia troppo spesso poco considerata, ma che diverte i videogiocatori da almeno quarant’anni. Se a questo aggiungiamo che il nuovo esperimento di Devolver Digitals costa poco più di una decina di euro, allora non posso far altro che consigliarvi questo gioco come un vero e proprio affare che vi terrà incollati per molto tempo, ma solo se ne avrete il fegato.
Durante i The Game Awards 2020, Devolver Digitals ha mostrato con un’istrionica presentazione l’ultima fatica degli sviluppatori di Four Quarter. Loop Hero può essere definito come un gioco di carte roguelike con un’ambientazione fantasy, ma le svariate feature tipiche dei giochi di ruolo e l’interessante meccanica del loop, meritano una spiegazione approfondita.
Un loop infinito
Un potente lich ha costretto il mondo in un loop infinito, che obbliga il nostro alter ego, inizialmente un guerriero, a esplorare un dungeon, generato casualmente dal videogame. Rispetto agli altri titoli, Loop Hero non permette una vera e propria esplorazione. Il nostro eroe si muove nel livello di gioco automaticamente e in senso orario. A ogni passo, il tempo avanzerà scandito da una barra che una volta completata ritornerà all’inizio e farà scattare un nuovo giorno. Ogni alba darà vita a nuovi eventi come il respawn dei nemici, il recupero di vita e altri effetti dipendenti dal mazzo di carte che stiamo giocando.
Inizialmente, la mappa sarà vuota con la sola presenza del personaggio principale e alcune slime, gelatine verdi che ci attaccheranno appena occuperemo la loro casella. Ogni volta che sconfiggeremo un nemico, riceveremo delle carte provenienti dal nostro mazzo, che ci permetteranno di aggiungere nuove componenti all’interno del dungeon. Di conseguenza, anche se non potremo controllare il movimento del nostro personaggio e nemmeno i combattimenti, che avverranno in automatico tenendo conto solo delle statistiche, avremo comunque il possesso della mappa, decidendo noi dove e quando inserire degli aiuti, o delle difficoltà, all’interno della mappa.
Il loop, e quindi il livello, termina quando la barra con il “teschio” sarà piena. In quel momento, farà la sua apparizione il boss di fine dungeon, che affronteremo la prossima volta che arriveremo all’accampamento. Si tratta di uno scontro arduo, da affrontare rigorosamente con il massimo della vita e magari usando dell’equipaggiamento che si concentri su un unico bersaglio.
You’ll never walk alone
Indipendentemente dall’esito del livello, quando ne usciremo, finiremo nel nostro accampamento. Qui scopriremo che non siamo soli. Ci sono altri avventurieri all’interno del vortice e sarà nostro compito, per mezzo della costruzione di nuovi edifici, creare un villaggio che ci permetta di unire le forze.
Durante il dungeon, raccoglieremo delle risorse che saranno poi utilizzabili quando arriveremo al villaggio. L’albero delle costruzioni è molto variegato e non lineare. Con i nuovo edifici sarà possibile ottenere nuove carte, strumenti, abilità e persino nuove classi, ma sarà necessario ripetere la raccolta delle risorse un po’ di volte prima di poter ripartire con nuove abilità e strumenti che faranno la differenza nel campo di battaglia.
Lo strumento fa il maestro
Trovare il giusto equilibro non sarà sempre facile, perché una volta completato un giro completo, che ci farà ritornare al nostro accampamento, i mostri avversari saliranno di livello e sarà sempre più complicato batterli. Oltre alle carte, i nemici dropperanno anche dell’equipaggiamento casuale in base al loro livello e con una rarità individuabile dai colori dello sfondo dell’oggetto: grigio, blu, oro e arancione. La statistica base, per esempio il danno per un’arma, non dipenderà dalla rarità, che si limita ad aggiungere una statistica bonus extra. Di conseguenza, gli oggetti grigi non avranno nessun bonus, quelli blu ne avranno solo uno tra quelli disponili e specificati prima dell’avvio della mappa, quelli oro ne avranno due e gli arancione ben tre.
Le armi sono essenziali per progredire nel gioco. Le statistiche permettono sia di aumentare i danni che di evitarli. Questo ci darà abbastanza libertà su come buildare il nostro personaggio. Infatti, anche se dipenderà molto da quello che troveremo, la quantità di equipaggiamento che i mostri ci daranno è sufficientemente ampia da riuscire quasi sempre a trovare dei pezzi su cui impostare una strategia.
Nelle varie partite che ho affrontato, mi sono reso conto che è fondamentale bilanciare i mostri che vorremmo nella mappa con il nostro equipaggiamento. Ad esempio, potremmo decidere di inserire nella mappa un covo di ragni. Queste creature hanno la particolarità di non essere molto forti, ma il loro respawn è estremamente veloce. In altre parole, quando finiremo sulla loro casella, ne affronteremo molti contemporaneamente. Per questo motivo, se il nostro personaggio avrà un alto “Damage All”, sarà abbastanza facile abbatterli. In caso contrario, ci potrebbero mettere in seria difficoltà.
Scegli il tuo ruolo
Sono tre le classi disponibili in questa anteprima: guerriero, ladro e necromante. La prima classe è disponibile sin da subito, mentre le altre due si ottengono sbloccando nuovi edifici. Ogni classe ha dei bonus alle statistiche uniche e potrà equipaggiare dei pezzi diversi. Ad esempio, il guerriero avrà nella seconda mano uno scudo e potrà portare un anello, mentre il ladro combatterà con due armi e avrà degli stivali.
Lo stile di gioco si deve adattare in base alla classe scelta. Con il guerriero, ho preferito allungare la durata del loop perché l’alta difesa e l’ottima rigenerazione di vita mi hanno dato il tempo di raccogliere tutto quello che mi serviva prima dello scontro finale. Con il ladro, invece ho ritenuto più profittevole usare i suoi elevati danni per arrivare prima possibile al boss finale per evitare che la fatica prendesse il sopravvento. Infatti, la maggior parte della vita si recupera quando si arriva all’accampamento e dopo alcuni giri sarà difficile riuscire a rimettersi completamente in sesto.
Too much pixel art
La scelta grafica e sonora è ricaduta sulla pixel art a cavallo tra la fine degli anni ’80 e i primi anni ’90. Le animazioni durante il combattimento e i volti di personaggi e boss durante le linee di dialogo sono veramente piacevoli, ma il dungeon e il villaggio fuori dal loop manca di dettagli. Sono consapevole che si tratti di scelte artistiche, ma il nostro alter ego somiglia troppa a un personaggio di E.T. di Atari del 1982 per farmi una buona impressione.
Il sonoro è gradevole, ma un po’ ripetitivo. Inoltre, durante le mia run mi sono dovuto abituare agli acuti tipici del suono dei primi anni ’90, eccessivamente fastidiosi in certi momenti e che vi invoglieranno a mettere il volume abbastanza basso così da avere al massimo un leggero sottofondo.
Prova e sbaglia
I dungeon crawler si basano spesso sull’idea della sconfitta come parte integrante del gioco. Me ne sono venuti in mente tanti durante la mia run su Loop Hero, ma penso che il gioco che più si avvicina a questo titolo è Darkest Dungeon. Premetto che il titolo di Four Quarter è decisamente meno frustrante, ma richiede un impegno e una pianificazione molto simile alla follia di Red Hook Studios.
Non sono un amante del trial and error, ma Loop Hero mi ha sempre fatto venire voglia di riprovarci, perché il gioco mi ha messo nelle condizioni di tornare nel dungeon con sempre qualcosa di nuovo. Una nuova classe, un nuovo mazzo oppure una nuova abilità dopo aver sbloccato un edificio. La varietà è veramente tanta e la voglia di ritentare non è mai scemata nemmeno dopo svariate ore di gioco.
Conclusione
Sono realmente colpito da quello che ho provato. Non sono un amante dei roguelike né del trial and error. Con un filo di vergogna, ammetto che ho abbandonato prematuramente anche titoli di altissima qualità come Darkest Dungeon, ma Loop Hero mi ha causato assuefazione.
In questa anteprima, ho visto un’attenzione maniacale nel tentare di fornire un’esperienza sempre diversa al videogiocatore. Infatti, tranne le primissime volte, quando saremmo costretti a ripetere la spedizione, avremmo un numero sufficiente di risorse che ci permetteranno di ottenere nuovi potenziamenti così da rendere sempre diversa la nostra esperienza. Un’avventura sicuramente difficile, ma che vorremmo continuare per svariate ore.
I dubbi sul gioco sono soprattutto sulla trama e sulla realizzazione tecnica. La narrazione sembra essere interessante, ma ho il forte dubbio che si tratti solamente di un palliativo per andare avanti e che si possa concludere senza nessun colpo di scena particolare. Per quanto riguarda grafica e sonoro, invece ci sono esperienze indipendenti di gran lunga più gradevoli e penso che si potrebbe fare molto di più. Ho trovato molto fastidioso giocare il titolo solo su finestra, decisamente troppo piccola anche per uno schermo 13”. In queste condizioni, il gioco sembra più adatto per una versione mobile, orientata al tablet, piuttosto che per PC.
Le sensazioni positive mi spingono a seguire il gioco fino alla sua uscita, perché il lavoro “matematico” dietro a delle meccaniche così semplici è di grandissima qualità e la voglia di continuare a giocare Loop Hero è una diretta conseguenza. Un vero e proprio moto perpetuo di cui non mi sono ancora stancato.
Devolver Digital e gli sviluppatori di Four Quarters hanno annunciato il loro prossimo titolo in arrivo su PC, Loop Hero. Il gameplay del gioco è ancora una vera incognita, ma dal trailer e dalla descrizione del gioco, che trovate sotto, può essere definito come un gestionale rogue-like con un’importante componente di gioco di carte e un’ambientazione da gioco di ruolo fantasy.
Il mondo è stato gettato in un ciclo senza tempo, facendo precipitare i suoi abitanti in un caos senza fine. Brandendo un mazzo di carte mistiche in espansione, posiziona nemici, edifici e terreni lungo il percorso di ogni spedizione per ricostruire i ricordi del tuo coraggioso eroe e ripristinare l’equilibrio nel mondo.
Recupera ed equipaggia potenti bottini per i tuoi eroi per le loro battaglie, ed espandi il campo dei sopravvissuti per rafforzare ogni avventura attraverso il ciclo. Sblocca nuove classi, nuove carte e subdoli guardiani nella tua missione per spezzare il ciclo infinito della disperazione.
La spedizione di nessun eroe è mai uguale a quelle precedenti. Solo i più audaci e pieni di risorse possono sconfiggere gli empi boss guardiani in una grande saga per salvare il mondo e spezzare il ciclo temporale del Lich!
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