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Editoriali

Return to Monkey Island è un’anacronistica necessità

Return to Monkey Island è finalmente realtà: ne sarà valsa la pena aspettare 31 anni per chiudere la trama?

“Salve, sono Guybrush Threepwood, temibile pirata”: quanti di noi sono cresciuti con questo tormentone nella testa, agli inizi degli anni ’90, quando le avventure grafiche spopolavano tra i videogiocatori di Amiga? Era il 1990 e la Lucasfilm, poi Lucasarts, nota casa di produzione cinematografica già autrice di pietre miliari nel genere videoludico come Zak McKraken, Indiana Jones e Loom, tirò fuori dal cilindro The Secret of Monkey Island, avventura grafica che innumerevoli notti insonni regalò ai giovani dell’epoca, almeno nel mio caso). Il recentissimo Return to Monkey Island riprendere esattamente da dove eravamo rimasti, con l’obiettivo di chiudere la trama.

La storia

Protagonista della serie è Guybrush Threepwood, temibile pirata o quasi, che in realtà di temibile il personaggio ha ben poco: lo si può definire tranquillamente un farfallone, ironico e rubacuori, un molto ma molto fortunato piratucolo trovatosi nel momento giusto e al posto giusto. Ed è su questa linea che Ron Gilbert, geniale creatore della serie, fa proseguire il suo “vero” terzo capitolo dopo ben 31 anni dall’ultimo episodio. Return to Monkey Island (sviluppato TerribleToyBox con la collaborazione della Lucasfilm). È un ritorno al passato, un cerchio che si chiude, la ciliegina sulla torta, un “padre di famiglia” che finalmente ha deciso di raccontare la fine della storia, a noi che avendo giocato ai primi due capitoli a suo tempo un po’ tutti figli di Gilbert lo siamo.

Return of Monkey Island è un toccasana in questi tempi, in cui le avventure grafiche non vanno più di moda e dove le nuove generazioni rincorrono sparatutto con grafica fotorealistica. Si tratta di un ritorno alla sana ironia e al filone dei videogiochi dove è ancora necessario usare il cervello per arrivare alla fine.

A dire la verità, per quanto Return to Monkey Island sia un gioco con una trama che può essere completata in circa una decina di ore in modalità difficile (RTMI ha anche una modalità “leggera” con meno enigmi che impedisce ogni tipo di frustrazione), il mio consiglio è di prendersela comoda, di conoscere tutti i personaggi, di sperimentare ogni dialogo perché signori, il tutto vale davvero il prezzo del biglietto!

Ok bello, ma tecnicamente?

Tecnicamente Gilbert non si è molto discostato dal concetto del vecchio SCUMM, innovandolo però con una nuova interfaccia che prevede che il cursore identifichi gli oggetti con i quali si può interagire “suggerendo” l’azione da intraprendere in base agli oggetti stessi. La grafica, per quanto in fase di anteprima sia stata criticata da buona parte della comunità videoludica di appassionati e non, risulta a mio avviso ben riuscita, centrando perfettamente la caratterizzazione dei vari personaggi, dai protagonisti alle comparse. Gli enigmi sono ben calibrati riuscendo, nel contempo, a rappresentare una sfida adeguata senza appesantire la storia di sfide troppo cervellotiche che porterebbero alla frustrazione del giocatore.

Gilbert tra l’altro lo aveva anticipato nelle sue varie interviste prima dell’uscita del titolo, il 19 settembre: ha dovuto, in fase di realizzazione, privilegiare enigmi quanto più possibili lineari per andare incontro alla generazione attuale di videogiocatori, non disposta a sacrificare più tempo del dovuto come magari nei primi anni ’90. In quest’ottica, altro supporto ai videogiocatori è dato dal libro degli aiuti, disponibile sin dai primi istanti nell’inventario di Guybrush e utilizzabile a piacimento. “Se il giocatore si barcamena cercando aiuti su internet, tanto vale che glieli diamo direttamente noi del team di sviluppo, che il gioco l’abbiamo creato” ha affermato Ron Gilbert.

Quella mente geniale di Ron Gilbert

La trama di Return to Monkey Island

La storia di Return to Monkey Island inizia esattamente dallo stesso punto in cui è finito il secondo capitolo, prendendo la piega che probabilmente aveva in mente Gilbert sin dal principio. Certo, ha dovuto fare i conti col passato e con il fatto che prima di RTMI sono usciti altri tre capitoli, ma grazie a dei flashback narrativi e al libro dei ricordi, il giocatore viene riportato immediatamente sui giusti binari della storia.

Sono passati anni da quando Guybrush ha cercato di mettere le mani sul Segreto di Monkey Island, di fatto non riuscendoci a causa del malvagio pirata fantasma Le Chuck che si è rivelato avere il suo stesso obiettivo. Ora si ritrova di nuovo sull’isola di Melee: tante cose sono cambiate ma non la voglia del nostro eroe di scoprire il Segreto. Venendo a sapere che Le Chuck sta mettendo su una ciurma per salpare verso l’Isola della Scimmia, trova il modo di salpare anche lui.

Tutto qui?

Le cose si complicano quando entra in gioco anche un trio di pirati improbabile, salito alla ribalta come nuovo comando pirata dell’isola di Melee e che, attraverso la magia oscura, cerca anch’esso il Segreto alleandosi a fasi alterne, con una spruzzata di un pò di sano doppiogiochismo piratesco, con Le Chuck. Ci saranno nuove isole da esplorare e nuovi personaggi da incontrare, ma anche alcune conoscenze di vecchia data: i riferimenti al passato sono numerosi lungo tutto il gioco, e avremo nuovamente a che fare con Carla, Stan, Otis, Herman.

Se una nota si può appuntare a Ron Gilbert è che, a volte, è davvero estenuante dover andare da un punto all’altro della mappa perché magari ci si rende conto di non aver preso un oggetto…ma d’altronde, è questo lo spirito di un’avventura grafica (peraltro i tempi di percorrenza vengono efficacemente ridotti), fino allo scontro finale, il faccia a faccia tra Guybrush e Le Chuck da tutti atteso, scontro in cui colui che ne uscirà vittorioso avrà finalmente in mano il desiderato Segreto di Monkey Island!

Conclusioni

RTMI è un gioco da provare, adatto sia a chi non ha mai avuto a che fare con un’avventura grafica e non conosce la saga, sia ai fan di vecchia data di Guybrush per i quali diventa un “must have”, imprescindibile prosecuzione (e fine?) del percorso fatto finora tra isole, spade, vascelli e zombie fantasma.

Return to Monkey Island è un gioco di altri tempi di cui si sentiva proprio il bisogno, un prodotto quasi anacronistico ma tremendamente attuale per chi lo aspettava da ben 31 anni. Sembra ieri aver lasciato Guybrush e affini in quel criptico finale di Monkey Island 2, e oggi eccoci qui, con in mano un bellissimo seguito in cui i dialoghi, la satira, l’ironia ci accompagnano nell’opera, forse, di commiato di Ron Gilbert. Saluteremo probabilmente Ron, ma in futuro credo proprio che la saga proseguirà. Monkey Island continuerà a vivere e quel piratucolo senza nessuna speranza con un nome più assurdo della sua ambizione avrà ancora altre avventure da affrontare.

Di Corrado Fermariello

Primo computer? Commodore 64...ne è passata di acqua sotto i ponti, e io con lei, ritrovandomi oggi, superati gli anta ad amare ancora il videogioco come forma di intrattenimento

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