The Alters è disponibile da ieri 13 giugno su Steam, GOG, PlayStation 5 e Xbox Series X|S. Lo studio polacco 11 bit studios (già noto per This War of Mine) propone un’avventura sci-fi fuori dagli schemi, in cui la sopravvivenza non dipende solo da risorse e rifugi, ma anche dal confronto diretto con sé stessi.
Il protagonista è Jan Dolski, unico sopravvissuto a una missione spaziale fallita. Intrappolato su un pianeta ostile, Jan non ha modo di cavarsela da solo. Così decide di sfruttare una tecnologia sperimentale: creare delle sue versioni alternative, ognuna generata da una scelta di vita diversa. Un Jan che ha fatto il militare. Uno che è diventato padre. Uno che ha rinunciato agli studi. Tutti sono reali. Tutti ricordano.
Ma The Alters non è un gestionale classico. Qui, costruire una base è solo parte dell’esperienza. Ogni Alter ha una personalità distinta, spesso in conflitto con quella del protagonista. I dialoghi mettono a nudo rimpianti, frustrazioni e identità irrisolte. C’è chi collabora. C’è chi si ribella. E ogni scelta ha un peso emotivo concreto.
Non solo sopravvivenza: identità, rimorsi e il valore dell’autonomia
Il gioco alterna fasi di survival e base-building a momenti narrativi forti, con bivi morali che interrogano direttamente il giocatore: stai usando i tuoi Alter come strumenti o stai riconoscendo la loro autonomia? La domanda è tutt’altro che teorica. Alcuni Alter inizieranno a mettere in discussione la tua leadership. Altri, semplicemente, non vorranno più collaborare.
The Alters colpisce anche per l’atmosfera: ambientazioni claustrofobiche, design minimale e colonna sonora inquieta costruiscono un mondo che sembra chiudersi addosso. Tecnicamente, il gioco gira solido sulle nuove console e su PC, con opzioni grafiche ben ottimizzate.
Dopo cinque anni di sviluppo e un team di appena 40 persone, 11 bit studios ha consegnato un titolo coraggioso, capace di parlare di identità, libertà e controllo senza retorica.
The Alters è una storia di fantascienza, ma anche una riflessione amara sulle vite che non viviamo.
E voi, se poteste incontrare una vostra versione alternativa… ci collaborereste o la temereste?
Negli ultimi anni, il mondo dei videogiochi ha assistito a un fenomeno sempre più evidente: la riscoperta del passato. Ne sono testimonianza gli innumerevoli siti, riviste online e non, emulatori…il vintage attira.
Retro Classic, la nuova raccolta di giochi vintage su Xbox Game Pass, non è solo un omaggio ai grandi titoli degli anni ‘80 e ‘90, ma una vera e propria dichiarazione d’amore per una generazione di giocatori cresciuta tra pixel meravigliosi e colonne sonore in formato MIDI indimenticabili e che per l’epoca sembravano un sogno.
Un portale verso il passato
Immagina di accendere la tua console e ritrovarti catapultato in un’epoca in cui le sale giochi ruggivano di vita, i joystick cigolavano sotto la pressione delle dita e ogni pixel rappresentava una sfida epica. Retro Classic fa esattamente questo: spalanca le porte del passato e permette a nuove generazioni di scoprire tesori dimenticati, e ai veterani di tornare ai giorni gloriosi delle loro prime avventure digitali e da bar.
Tra i titoli disponibili ci sono leggende che hanno definito il gaming. Platform frenetici, sparatutto strategici e rompicapo che mettevano alla prova la tua astuzia: ogni gioco è una capsula del tempo che racconta una storia unica, fatta di innovazione, sfide e, soprattutto, divertimento puro. Divertimento che, ahimè, non sempre è scontato nelle opere odierne, anche se si definiscono tripla A. Ma titoli come Robin Hood, Commando, Pitfall e Pitfall II, Mechwarrior e Mechwarrior 2 tra l’altro per diverse piattaforme: DOS, Amiga, Atari, SNES sono una sicurezza sul divertimento che la raccolta propone.
Videogiochi: un’eredità da custodire
Parlare di retrogaming oggi significa anche affrontare un tema molto importante: la preservazione del patrimonio videoludico. Se il cinema ha la sua cineteca e la letteratura i suoi archivi, i videogiochi si trovano spesso a lottare contro l’incedere del tempo. Vecchi hardware che smettono di funzionare, formati ormai desueti, licenze dimenticate: senza iniziative come Retro Classic, molte gemme digitali sarebbero destinate a scomparire.
Microsoft, con questa raccolta, si fa custode di un’eredità culturale che rischiava di svanire, dimostrando che il valore di un gioco non si misura solo in grafica fotorealistica o mondi aperti vastissimi, ma nella sua capacità di divertire, stupire e rimanere nel cuore dei giocatori.
Nintendo e Microsoft: due visioni differenti
Non si può parlare di retrogaming senza citare Nintendo con la quale mettiamo a confronto l’iniziativa Microsoft. Nintendo pioniera indiscussa della nostalgia videoludica. La sua raccolta di giochi classici su Nintendo Switch Online segue una filosofia diversa: meno titoli, selezionati con cura, ma fortemente legati alla storia della compagnia. Super Mario, Zelda, Metroid: l’approccio della grande N è più museale, quasi “sacrale”, mentre Microsoft punta sulla quantità e sull’accessibilità.
L’esperienza offerta da Retro Classic è più dinamica e aperta: achievement, sfide online, funzionalità moderne, mentre Nintendo preserva un’esperienza quanto più vicina all’originale. Entrambe le visioni hanno il loro fascino: una celebra il passato come qualcosa di immutabile, l’altra lo trasforma per adattarlo ai tempi moderni.
Ma in ogni caso l’obiettivo è quello, mantenere il ricordo di ciò che è stato per ricordarci da dove veniamo e capire meglio dove vogliamo andare.
Conclusioni: il futuro del passato
La vera domanda che emerge da tutto questo è: quanto vale il nostro passato videoludico? È solo nostalgia, o è un pezzo fondamentale della nostra cultura digitale? Retro Classic non è soltanto una raccolta di giochi, ma un manifesto che grida a gran voce che il passato conta. E non solo per chi c’era, ma anche per chi lo scopre per la prima volta.
In un’epoca in cui tutto evolve a ritmi forsennati, c’è qualcosa di incredibilmente potente nel tornare indietro e riscoprire le radici di ciò che oggi diamo per scontato. E se il futuro del gaming dipende dalla sua storia, Retro Classic è un ottimo modo per viaggiare nel tempo.
Konami fissa la data di lancio del nuovo capitolo horror della saga. Atmosfere disturbanti e narrazione psicologica al centro del nuovo trailer.
Durante lo State of Play del 6 giugno 2025, Konami ha finalmente svelato la data di uscita ufficiale di Silent Hill f: il gioco arriverà il 26 settembre 2025 su PlayStation 5, Xbox Series X|S e PC. Il nuovo trailer, completamente doppiato in giapponese, ha mostrato per la prima volta ambientazioni estese, frammenti di trama e uno stile visivo unico nel panorama horror attuale.
Ambientato in un Giappone rurale degli anni ’60, Silent Hill f rappresenta una deviazione radicale dalla classica città nebbiosa americana. Le immagini del trailer combinano folklore giapponese, elementi psicologici e body horror per costruire un’esperienza disturbante e visivamente potente. La protagonista, ancora senza nome, appare inseguita da una forza invisibile in un mondo che si contorce, marcisce e fiorisce in modo inquietante.
Un nuovo volto per l’orrore targato Konami
Il gioco è scritto da Ryukishi07, autore delle famose visual novel horror Higurashi e Umineko, mentre il design delle creature è affidato all’artista giapponese Kera. A svilupparlo è lo studio Neobards Entertainment, con la supervisione di Konami.
Il trailer lascia intendere che l’approccio sarà fortemente narrativo e psicologico, con meccaniche ancora da svelare ma un’enfasi chiara sull’atmosfera. Spiccano le scene in cui la protagonista si fonde letteralmente con la natura, invasa da fiori parassitari, in un crescendo di body horror viscerale che richiama l’immaginario classico della serie ma con una sensibilità completamente nuova.
La data del 26 settembre 2025 è ora fissata per il ritorno di una delle saghe horror più iconiche, ma in una forma mai vista prima.
Secondo te, questa nuova ambientazione e lo stile giapponese riusciranno a riportare Silent Hill ai suoi fasti? Oppure ti aspettavi qualcosa di più tradizionale?
L’universo videoludico si è sempre contraddistinto per un’ingente mole di opere. Oggi viviamo nella bulimia più assoluta, ma anche 30 anni fa eravamo ricchi di giochi, che molto spesso ne copiavano altri molto influenti. Il titolo di cui parleremo oggi è tra quelli più plagiati, più amati, più venduti. Del resto il Doom di Romero e Carmack ha reso popolare gli FPS e creato un sacco di cloni, alcuni anche molto popolari come Duke Nukem 3D.
Dal 2016, Doom è rinato tra le mani di Bethesda che ha potuto sperimentare ed evolvere il franchise con risultati – per i primi due capitoli – di altissimo livello. Oggi, nel 2025, la trilogia si chiude con un prequel, Doom: The Dark Ages, che vi raccontiamo in questa recensione.
Le premesse del game director di Doom: The Dark Ages, Hugo Martin, sono sempre state molto chiare: vogliamo creare un Doom single-player, che abbia una trama e un’ambientazione unica, mai vista per la saga. È naturale che se queste parole vengono pronunciate da un membro di Bethesda, la mente viaggia nelle terre di Skyrim, nel post-apocalittico di Fallout e, soprattutto in questo caso, nello spazio di Starfield. C’è tanto di questo approccio nel nuovo Doom, ma vi garantisco che i titoli a cui si ispira The Dark Ages, vi sorprenderanno.
Una trama e tanti cliché
È possibile dare una storia a Doom? John Carmack paragonava la trama di un videogioco a quella dei film a luci rossi: “Ti aspetti che ci sia, ma non serve a niente”. Doom: The Dark Ages prova ad andare oltre questa affermazione, crea una storia intorno al prequel di Doom, ma il risultato può essere paragonato a quello di un film action degli anni 80.
The Dark Ages è ambientato in un mondo dark fantasy, in cui la tecnologia si fonde con un’atmosfera medievale dai toni cupi e oscuri. Il palcoscenico in cui si esibirà lo Slayer ricorda soprattutto Berserk del compianto Kentaro Miura e quindi trova una sua naturale similitudine con tutte le opere videoludiche che da Berserk derivano. Ampliando il quadro, qualcuno ci vedrà Bloodborne per i toni medievali, altri, come me, System Shock per quello tecnologico. Ma penso che tutti concorderanno che quando si scende all’inferno il riferimento è Diablo 4. E se poi, a un certo punto, vi sembra di essere all’interno della Maschera di Inssmouth, qualche ora dopo ne avrete la conferma: sì, vedrete anche una forte ispirazione all’orrore sommerso di Lovecraft.
Per alcuni sa di già visto, per me è un sogno che diventa realtà. Tutte le opere che più amo fuse in un unico contesto con a capo il videogioco per eccellenza degli anni 90, Doom. E in questo contesto onirico, i demoni escono dall’inferno, come nel più classico dei canovacci, alla ricerca di un artefatto, il Cuore di Argent, che gli permetterebbe di avere il controllo totale su tutto l’universo. Da un lato demoni e diavoli, dall’altro la razza, per così dire, umana. Lo scopo è preservare l’artefatto, ma solo un’entità può affrontarli. Sempre lui, ma tanto diverso rispetto al passato: lo Slayer.
Un nuovo Slayer
Vi ho raccontato tutte le opere a cui si ispira Doom: The Dark Ages, ma a mio avviso è Berserk il punto focale. E il motivo sta proprio nel suo protagonista. A differenza del passato, il nuovo Slayer è più pesante, meno veloce ma di gran lunga più distruttivo. Le armi che impugna sono enormi e alla fine non puoi non notare le somiglianze con Gatsu. Il nuovo slayer è una macchina infernale, silenziosa e brutale, nata per combattere e per generare tante scene splatter, sia durante il gioco che nel cutscene realizzate divinamente con il portentoso motore idTech 8.
L’esagerazione di Berserk non si limita solamente all’ambientazione ma si fonde perfettamente con il gameplay di Doom, che ora è più compassato, meno veloce, meno verticale ma molto più cinematografico. Qualsiasi videogiocatore navigato capisce subito quando ci sarà da menar le mani, perché la mappa 3D ci mostrerà delle ampie zone in cui non può che esserci una battaglia epica, che è la grande novità di The Dark Ages. Il nostro Slayer si dovrà muovere tanto in battaglia e lo fa all’interno di arene molto grandi, dove medipack, munizioni e armature sono sparse in modo chirurgico, con l’esatto scopo di farci correre per tutta la zona, evitando i colpi e massacrando gli enormi mostri e i demoni da cannone.
La scelta è vincente. Le battaglie epocali che affronteremo generano un’enorme soddisfazione e si alternano tra grandi spazi all’aperto – tipiche dei migliori giochi di ruolo e soulslike in circolazione – e angusti spazi cibernetici, come visto in System Shock Remake. In tutto questo, i demoni che abbiamo odiato, e amato, in tutti Doom continuano a essere sempre gli stessi, con i loro pattern e le loro movenze, e con un personale e particolare odio per i Revenant.
Ferri del mestiere
Le novità non mancano nemmeno per quanto riguarda il comparto armi, e aggiungerei difesa. Sono certo che tra di voi ci sarà chi le apprezzerà e chi assolutamente no. Cambiare in modo così drastico non è sempre apprezzato, ma le scelte di Hugo Martin sono molto sensate. Il nuovo Slayer ha tre tipologie di arma. Oltre alle vere e proprie “pistole”, ci sono nuovamente le armi da Mischia, ma la novità principale è lo Scudo, che diventa anche l’oggetto cardine di tutto il gioco.
Le armi sono tante, molto delle quali attingono dal passato e posseggono un fuoco alternativo che si sblocca andando avanti per i 22 capitoli del nuovo Doom. Non può mancare la mitica doppietta, ma i designer si sono concessi anche una morning star semi-automatica. Il risultato è un gunplay effervescente come tutti i Doom, in cui purtroppo la mira può anche essere secondaria. La sensazione infatti è che il gioco, almeno su Xbox Series X, favorisca molto il videogiocatore, anche il meno preciso.
Alle armi a distanza si aggiunge l’attacco in Mischia. Si può scegliere un unico attacco in mischia alla volta, tra una manciata disponibili. Quest’ultimo non si potrà spammare perché ha solamente tre cariche, ricaricabili con le munizioni che trovano in giro o, così come gli altri caricatori, recuperabili colpendo i nemici grandi o piccoli che siano.
Arriviamo dunque alla novità: lo Scudo con tanto di lama rotante. Il tutorial vi dirà che serve per pararsi utilizzando il trigger sinistro. In realtà, ben presto scopriremo che possiamo lanciarlo sugli avversari come un boomerang e sarà fondamentale per scoprire tutte le aree segrete di Doom: The Dark Ages, perché permetterà di risolvere la maggior parte degli enigmi ambientali. Una scelta che sa molto di gioco di ruolo e che viene confermata anche dalla possibilità di sbloccare dei perk per Armi, Scudo e Mischia attraverso dei Santuari (Diablo docet) in cui spendere denaro e pietre preziose trovate nel mondo di gioco.
Tanti contenuti infernali
Ho giocato a Doom: The Dark Ages per circa 20 ore, muovendomi tra i capitoli a diversi livelli di difficoltà (molto alta ai massimi livelli), senza riuscire a completarli tutti al 100%. Di conseguenza, mi aspetto che i completisti possano avere almeno 40 ore di divertimento, anche se alcuni livelli si possono terminare solo al 100% e mi riferisco alle sezioni meno riuscite del gioco.
Inoltre, oltre a comandare lo Slayer nella sua Gatsusità, in The Dark Ages sono diventato anche un Mech e ho cavalcato un Drago, fido servitore dello Slayer. Nella maggior parte è successo in livelli a sé stanti, ma qualche volta queste sezioni di gioco fanno da intermezzo tra una zona e l’altra per farci rifiatare. Atlan è un riempitivo non necessario. Avremmo appena un paio di azioni disponibili, tra pugni e palmate. Ben più riuscito invece è il Drago, perché ricalca quanto abbiamo già avuto modo di vedere con videogiochi ben oliati come Panzer Dragoon. In questo caso, dovremmo evitare i colpi degli avversari, quasi a tempo, e colpire quando mostreranno il fianco, con la possibilità di inseguire in cunicoli stretti dei nemici che dropperanno oro (sì, proprio come in Diablo, o Elden Ring).
Concludiamo questa recensione di Doom: The Dark Ages parlando di qualcosa di scontato: le musiche metal a cui si poteva chiedere qualcosa in più, ma che sanno caricarci nei momenti in cui veramente conta e il multiplayer, o meglio la sua assenza. Personalmente ritengo che Doom non sia il miglior esponente della modalità multiplayer e già sapevamo che The Dark Ages non era stato pensato per questo. A mio avviso è una scelta sensata non includerlo, perché probabilmente avrebbe tolto tempo alla realizzazione di qualcosa che, nella sua interezza, è veramente ben riuscito. D’altro canto però fa effetto non vedere una modalità multiplayer su quello che poteva comunque essere un gradevole arena shooter online, anche se più lento e compassato. Però non stiamo parlando né di Quake né di Unreal Tournament. Se Bethesda vuole ha tutte le IP necessarie per creare qualcosa di grandioso senza scomodare lo Slayer.
Doom: The Dark Ages è una nuova incarnazione dello storico franchise, in puro stile Bethesda. Dopo due capitoli eccellenti, Hugo Martin ha deciso di dare a Doom un tocco tipico della casa madre, includendo elementi da gioco di ruolo. Lo fa introducendo una trama più presente – seppur dimenticabile – e soprattutto offrendo la possibilità di esplorare vaste mappe per il puro piacere di scoprire nuovi segreti. Per ottenere questo risultato, ha dovuto sacrificare la velocità frenetica di Doom Eternal in favore di uno Slayer più lento, ma allo stesso tempo più possente ed epico. Il risultato è un videogioco evoluto e moderno, che prende forma attraverso la cultura pop contemporanea e in cui si citano – e si fondono con successo – Kentaro Miura, H. P. Lovecraft e i videogiochi cult degli anni ’90 nati proprio dopo Doom.
9
Dettagli e Modus Operandi
Piattaforme: PS5, PS5 PRO, Xbox Series X/S
Data uscita: 15/05/2025
Prezzo: 79,99 €
Ho giocato a partire dal day one Doom: The Dark Ages su Xbox Series X, grazie a un codice della Premium Edtion gentilmente fornito dal publisher.
Clair Obscur: Expedition 33 ha venduto oltre 2 milioni di copie in meno di due settimane dal lancio, avvenuto il 24 aprile 2025. Lo ha annunciato Sandfall Interactive, piccolo studio francese al suo primo progetto, attraverso un post su X.
Il risultato è sorprendente, considerando che il titolo è disponibile su Xbox Game Pass fin dal day one. Nonostante ciò, le vendite a prezzo pieno sono state elevate, con 500.000 copie vendute nelle prime 24 ore e 1 milione in tre giorni.
Expedition 33 è un GDR a turni con elementi in tempo reale, ambientato in un mondo ispirato alla Belle Époque francese. La trama ruota attorno alla “Pittrice”, un’entità che ogni anno dipinge un numero su un monolite, causando la scomparsa di tutte le persone di quell’età.
Il gioco ha ricevuto lodi unanimi dalla critica, con una media di 92 su Metacritic, il punteggio più alto del 2025. Anche il pubblico ha risposto positivamente, esaurendo le copie fisiche nei negozi, un evento raro nell’era digitale.
Inaspettatamente, il titolo ha registrato ottimi risultati anche in Giappone, un mercato spesso difficile da penetrare per gli studi occidentali. Secondo quanto riportato da GameRant, Expedition 33 ha venduto oltre 150.000 copie solo nella prima settimana in Giappone, posizionandosi tra i primi 3 giochi più acquistati nel Paese durante quel periodo. Un risultato che conferma l’appeal internazionale del gioco, anche presso un pubblico storicamente legato alle produzioni locali.
Il successo ha attirato l’attenzione anche al di fuori del mondo videoludico. Il presidente francese Emmanuel Macron ha definito il gioco “un fulgido esempio di creatività e audacia francese”.
Con questi risultati, Clair Obscur: Expedition 33 si candida come uno dei principali contendenti al titolo di Gioco dell’Anno. Il suo successo dimostra come anche piccoli studi indipendenti possano competere con le grandi produzioni, puntando su originalità e qualità.
E voi, avete già provato Expedition 33? Pensate che meriti il titolo di Gioco dell’Anno?
Mi chiamo… beh, non importa. Tanto tra poco non ci sarò più. Non è una frase da film noir, è proprio così che comincia Clair Obscur: Expedition 33. Ti svegli in una Parigi che non è Parigi, guardi in alto, e il monolite ti sussurra un numero: 33. Ed è lì che capisci. Il tuo tempo è finito. Un anno. Poi il Gommage – quella macabra magia dipinta dalla Pittrice – cancellerà te e chiunque altro abbia osato compiere quell’età.
E allora che fai? Ti unisci a una spedizione impossibile. Una manciata di anime segnate che decidono di sfidare l’inevitabile. Perché se proprio devo sparire, almeno provo a farlo lasciando un segno. Magari non nel mondo… ma su di me.
Un mondo pittorico che ti vuole morto (ma con eleganza)
Lumière. Sì, il nome è ironico. Perché questo mondo, per quanto splendido, è tutto fuorché luminoso. È un mosaico in chiaroscuro, fatto di rovine art nouveau, cieli viola e vicoli affrescati con la disperazione. Sandfall Interactive non ha creato un’ambientazione: ha preso un’enciclopedia artistica, ci ha versato sopra un po’ di Lovecraft, l’ha shakerata con un pizzico di Jrpg classico e ha servito il tutto su una tela sporca di sangue e ricordi.
Ogni zona che attraversi – dalle Biblioteche Scolpite al Giardino delle Ceneri – è un’opera d’arte da scoprire. O da temere. Perché qui ogni bellezza ha un prezzo, e spesso lo paghi in HP.
Arte, morte e Belle Époque: un mondo che ti guarda negli occhi
Il primo impatto con Expedition 33 è visivo. Ed è potente. Ambientato in un mondo ispirato alla Belle Époque francese – un’estetica raffinata, decadente, lussuosamente malinconica – Clair Obscur è un’opera che non ha paura di essere elegante, anche quando parla di annientamento.
Architetture scolpite, colori soffusi, ambienti carichi di simbolismo. È un Rpg che non scimmiotta la realtà: la reinventa con la grazia di un quadro impressionista e l’angoscia di un incubo romantico.
Ogni ambientazione, ogni dettaglio, è fatto per comunicare qualcosa. E anche se nulla è spiegato “a voce alta”, tutto – dai palazzi alle statue rotte – ti parla di un mondo al tramonto.
Il sistema di combattimento: balletto e proiettili
Chi ha detto che i turni sono noiosi non ha mai provato questo gioco. Sì, tecnicamente è un Rpg a turni. Ma nel mezzo del turno, devi premere al momento giusto, devi schivare, devi parare. Devi ballare. Ogni nemico è una coreografia diversa, e se sbagli passo, sei fuori. Letteralmente.
Chi pensa che “combattimento a turni” significhi passività non ha ancora provato a parare con tempismo una raffica di colpi mentre la musica accelera e il nemico muta forma davanti a te.
Clair Obscur adotta un sistema ibrido tra turni e azione, dove il tempismo è fondamentale. Ogni attacco può essere schivato, ogni parata ben eseguita può diventare un contrattacco. Il gameplay è un’alchimia di strategia e istinto, più simile a un ballo che a una scacchiera.
Ci sono meccaniche profonde:
Le Posture, che cambiano stile e abilità dei personaggi
I Pictos, potenziamenti passivi per costruire build uniche
Le Luminas, magie e poteri attivi da usare con intelligenza
E poi ci sono gli Attacchi Sfumati, che evolvono in base al contesto e al team
Ogni personaggio ha una funzione e una voce chiara in battaglia, senza cadere nel cliché del “tank, healer, dps”. Qui non si fa teoria dei ruoli, si crea sinergia
Più che narrativa, atmosfera
La trama di Expedition 33 non ti viene lanciata in faccia. Non ci sono lunghi monologhi o forzature. Il gioco ti accompagna in un mondo dove la morte non è un evento, ma una regola. Dove ogni personaggio è consapevole che il suo tempo è contato.
Eppure, non è mai pesante. Non è “dark” per il gusto di esserlo. È elegante. Lucido. Triste, ma mai cinico.
Ci sono dialoghi scritti con attenzione, missioni che ti raccontano più attraverso l’ambiente che con le parole, e una direzione artistica che ti fa sentire esattamente nel mezzo tra un sogno e un quadro.
Una storia scritta con inchiostro e sangue
Non aspettarti il classico “salva il mondo”. Qui si salva il senso stesso dell’esistenza. La narrazione ti prende per mano e poi ti lascia in un abisso esistenziale. Ti chiede cos’è che rende la vita degna di essere vissuta, se è davvero la longevità… o l’intensità.
Il tuo gruppo non è fatto di eroi. Sono condannati. Ognuno con la propria ferita, ognuno col proprio modo di affrontare la fine. Gustave, il comandante, sembra fatto di pietra ma nasconde cicatrici profonde. Maelle non parla mai più del necessario – e il suo silenzio pesa come una spada ancora nella guaina. Lune? Sembra fragile, ma ha la determinazione di chi ha visto troppo per la sua età. E Sciel… è puro istinto, ma anche puro cuore.
In mezzo a loro ci sei tu, che cerchi di tenere insieme il tutto mentre ogni missione ti porta più vicino alla fine.
Difetti? Sì. Ma a noi piacciono anche quelli
Diciamolo: Clair Obscur non è perfetto.
Le animazioni nei momenti meno importanti sono a volte legnose. I caricamenti non sono sempre rapidi. E su PC, l’ottimizzazione va a giornate alterne, soprattutto con configurazioni meno recenti.
Ma poi c’è la colonna sonora: suadente, drammatica, sospesa. Le musiche non accompagnano: guidano. Ti portano dentro lo stato d’animo dei personaggi, fanno da ponte tra il gioco e chi gioca. A volte, ti sorprendono con un crescendo che ti strappa il respiro.
Il doppiaggio (disponibile in francese e inglese) è ben recitato: ti fanno sentire davvero in un altro mondo.
Perché giocarci, anche se non è per tutti
Clair Obscur: Expedition 33 è un gioco che chiede qualcosa in cambio. Vuole che tu ascolti. Che tu rallenti. Che tu osservi, anche dove altri giochi ti direbbero di correre.
Non è per chi cerca solo adrenalina. Ma se ami gli Rpg che raccontano senza spiegare, che emozionano senza urlare, che osano con l’arte e con il gameplay… allora questo è un viaggio che devi fare.
E sì, magari a volte inciampa. Ma è come una poesia letta con un accento imperfetto: resta bellissima lo stesso.
Combattere non per vincere, ma per esserci
Ti resta un anno. Poco tempo. Eppure combatti. Non per sconfiggere la morte, ma per meritarla.
In un panorama videoludico dove spesso si combatte per ottenere qualcosa, Expedition 33 ti fa combattere per lasciare qualcosa. Un’eco. Un’impressione. Un segno.
Ed è raro, oggi, trovare un gioco che ti chieda di essere non solo un giocatore… ma una persona.
In un panorama videoludico come quello moderno, è sempre più raro poter scoprire un videogioco nel vero senso della parola. Ormai tutto viene servito con tutorial su tutorial, spiegazioni dettagliate e sistemi pensati per assicurarsi di far capire ogni meccanica ancor prima di toccare il pad. Blue Prince, invece, va nella direzione opposta. Ci propone un modo di videogiocare che ricorda il passato: catapultati nel suo mondo con pochissime informazioni, abbiamo il compito di esplorare e capire il resto da soli.
Il nostro protagonista, Simon P. Jones, è il giovane erede di Mount Holly, una magione avvolta nel mistero. La sua vita prende una svolta inaspettata quando riceve un testamento dal defunto zio, Herbert S. Sinclair, che lo spinge a intraprendere un viaggio nella villa, alla ricerca della stanza n°46. Senza indicazioni chiare e senza nessuna guida, siamo costretti a fare affidamento esclusivamente sulla nostra intuizione e pazienza. Nessun combattimento, nessun obiettivo evidente: solo la determinazione di svelare i segreti che si celano dietro quel luogo.
Sviluppo e Gameplay di Blue Prince
Il titolo è stato interamente sviluppato da Tonda Ros, fondatore dello studio indipendente Dogubomb, con una lavorazione di quasi otto anni. Il lavoro è stato portato avanti con un gruppo estremamente ristretto, con il supporto di pochi collaboratori tra cui Davide Pellino, artista e designer italiano. Il progetto è stato fortemente ispirato all’opera Maze: Solve the World’s Most Challenging Puzzle, un libro illustrato che sfida il lettore a trovare il percorso più breve attraverso un labirinto di 45 stanze. Oltre a questo, sono state incorporate features prese da vari giochi da tavolo e di carte, come Magic: The Gathering a cui si deve il drafting delle stanze.
Blue Prince è, essenzialmente, un puzzle mystery con elementi roguelite. La villa che siamo chiamati ad esplorare è viva e mutevole e ogni sua stanza racconta qualcosa di ciò che è esistito prima di noi. Ogni giorno, il giocatore deve scegliere tra diverse stanze, alcune accessibili, altre chiuse o senza uscita (dead ends). Spesso queste decisioni determinano l’andamento della run, a volte costringendo a ricominciare da capo dopo pochi minuti. Il sistema di drafting non solo offre libertà di esplorazione, ma introduce un livello strategico importante, in cui ogni scelta ha peso. Al termine di ogni giornata, la villa ritorna allo stato iniziale, azzerando i progressi se non per alcuni cambiamenti permanenti. Questo meccanismo di reset spinge il giocatore a fare affidamento sulla propria memoria. Prendere appunti e annotarsi gli indizi è, infatti, parte integrante dell’esperienza.
Un esempio di drafting: scegli una delle tre stanze disponibili per proseguire l’esplorazione.
Narrazione ed estetica
Per quanto concerne l’aspetto narrativo, l’evoluzione della trama non è mai esplicita: si costruisce da sola, attraverso fogli, appunti, libri, disegni, schemi e frammenti sparsi di un passato da ricomporre. Sono presenti pochissime cutscene e la comprensione è affidata esclusivamente alla nostra deduzione, scelta che si integra perfettamente con il senso di scoperta che permea l’intero gioco. Il worldbuilding è ben approfondito, e si riesce a delineare una rete complessa di legami tra i personaggi, anche senza raccontarla in modo diretto. Pur vestendo i panni dell’unico personaggio vivo e tangibile, ci troviamo immersi in una storia ricca di intrighi di corte, guerre nazionali, relazioni e scambi epistolari. Il tutto supportato dalla colonna sonora di Trigg & Gusset, che rafforza l’atmosfera enigmatica e si fonde coerentemente al resto.
Dal punto di vista puramente grafico, Blue Prince adotta uno stile visivo che è, in un certo senso, la trasposizione videoludica del nostro taccuino per appunti. Le linee irregolari, i tratti frettolosi, e la sensazione di disordine visivo rappresentano l’atto stesso di prendere nota mentre si è immersi nella ricerca, con idee, mappe e pensieri che si incastrano senza mai darti tutte le risposte, bensì alimentando nuove domande.
L’estetica del titolo non ha quindi solo valore stilistico. In questo modo, Blue Prince diventa metafora visiva di come teniamo traccia dei nostri progressi, cercando di mettere ordine al caos.
Punti di forza e progressione
Per quanto atipico possa apparire in un contesto videoludico, uno degli aspetti più accattivanti risulta essere l’apparente assenza di una progressione, elemento che offre piena libertà all’utente. È possibile infatti esplorare la villa secondo i propri ritmi, decidendo autonomamente quali enigmi prioritizzare in base alle proprie preferenze.
L’obiettivo primario del gioco si completa in circa 15/20 ore da principiante, ma il raggiungimento dei titoli di coda è solo la punta dell’iceberg di un ghiacciaio infinito di cui è difficile stabilire i confini se non dopo averne raggiunto gli abissi.
Il team di sviluppo si è divertito a lasciarci la possibilità di scoprire tutte le sue sfaccettature, implementando sfide stimolanti e varie chicche da scopirire. Blue Prince strizza l’occhio anche ai completisti offrendo un sistema di trofei e modalità alternative che metteranno alla prova anche i videogiocatori più incalliti. Sebbene il gameplay loop possa risultare ripetitivo, l’elemento chiave risiede proprio nella voglia di fermarsi, guardarsi attorno e scoprire nuovi dettagli.
I difetti di Blue Prince
Nonostante ciò, il gioco non è privo di difetti. La frustrazione che può nascere in un punto morto è da non sottovalutare, specialmente per chi non è abituato al genere. Inoltre, l’assenza di tutorial e la difficoltà iniziale nel capire come proseguire potrebbero spingere alcuni giocatori all’abbandono. L’elemento fortuna, determinante nel drafting delle stanze, può influire negativamente sulla buona riuscita di una run e generare sconforto. Questa combinazione di casualità e illusione di una progressione chiara si presenta sia come punto di forza che come criticità: se da un lato stimola il videogiocatore a perdersi nell’esperienza ludica, dall’altro può risultare tedioso per chi ricerca un approccio più guidato. In ogni caso, la sensazione è che Blue Prince riesca sempre a tenerci coinvolti, grazie alla costante voglia di svelare nuove piste.
In definitiva, Blue Prince presenta una grandezza di contenuto impressionante, con la possibilità di scoprire sempre qualcosa di nuovo anche oltre le 50 ore di gioco, riuscendo a rimanere costantemente imprevedibile. Nonostante un gameplay loop a tratti ripetitivo e la presenza di diversi difetti, seppur facilmente arginabili, gli aspetti positivi sono decisamente superiori, rendendolo un titolo da tenere d’occhio per i GOTY, specialmente nella categoria indipendente.
8.5
Dettagli e Modus Operandi
Piattaforme: PlayStation 5, Xbox Series X/S, Microsoft Windows
Remedy Entertainment ha annunciato ufficialmente l’uscita mondiale di FBC: Firebreak, il nuovo sparatutto in prima persona cooperativo ambientato nell’universo di Control. Il gioco sarà disponibile a partire dal 17 giugno 2025 su tutte le principali piattaforme. La notizia è arrivata durante un livestream speciale trasmesso il 24 aprile.
Il titolo propone sessioni PvE a squadre di tre giocatori in scenari sempre diversi. Ogni missione – chiamata “Job” – presenta obiettivi unici, ostacoli dinamici e mappe che spingono alla collaborazione. Non si tratta solo di sparare: comunicazione e adattamento saranno essenziali per sopravvivere e progredire.
Durante l’evento che ha annunciato la data di uscita di FBC, il team ha anche mostrato per la prima volta una partita dal vivo con l’Hot Fix Job, una delle missioni disponibili al lancio. Il gameplay ha messo in evidenza l’approccio tattico, i poteri paranormali e una forte attenzione alla rigiocabilità. Niente open world, niente grind infinito: si entra, si gioca, si coopera.
Un modello accessibile e zero pressioni
Remedy ha sottolineato che tutti i contenuti giocabili post-lancio saranno gratuiti. Nuovi Jobs verranno aggiunti regolarmente senza costi extra. Saranno disponibili solo elementi cosmetici acquistabili, senza alcun impatto sul gameplay.
Un altro punto a favore: nessuna rotazione a tempo limitato, niente login giornalieri forzati. Firebreak punta su un’esperienza pensata per chi non vuole sentirsi obbligato a entrare ogni giorno. Remedy sembra voler spingere forte su un mix di accessibilità, cooperazione strutturata e atmosfera sci-fi. Dopo il successo narrativo di Control, Firebreak potrebbe rappresentare il lato più action e immediato di quell’universo.
Cosa ne pensate di questa nuova direzione multiplayer per Remedy? Vi convince l’idea di una cooperativa PvE ambientata nel mondo di Control?
A distanza di sole 48 ore dal lancio, Sandfall Interactive ha annunciato di aver superato un milione di copie vendute. Un risultato che ha superato ogni aspettativa, anche considerando che il videogioco è presente anche sull’Xbox Game Pass. Questo record fa coppia con quello battuto nelle prime 24 ore, dove in meno di una giornata dal lancio, Clair Obscur: Expedition 33 ha tagliato un traguardo impressionante: oltre 500.000 copie vendute.
L’annuncio è arrivato tramite i canali ufficiali del team, che ha espresso gratitudine verso la community e l’entusiasmo per i risultati ottenuti. Il team ha sottolineato come parte del successo sia merito del supporto del Game Pass, che ha permesso a molti giocatori di provare il gioco fin dal primo giorno. Tuttavia, gran parte delle vendite è arrivata dalle versioni PC, PS5 e Xbox acquistate direttamente.
Per l’occasione, anche il Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, si è complimentato con il team per il successo ottenuto.
The president of France Emmanuel Macron commenting on Instagram about Clair Obscur Expedition 33 was not on my bingo card.
"One million copies sold, and one of the best rated game in history : and yes, it is French! Congrats to Sandfall Interactive and the creators of… pic.twitter.com/yRBTz9M8Lu
L’ambientazione del gioco – un mondo decadente e onirico che mescola arte e distruzione – ha colpito soprattutto per la direzione artistica, definita dallo stesso team come paint-punk. A questo si aggiunge un sistema di combattimento che miscela turni classici con input d’azione in tempo reale, dando dinamismo e profondità agli scontri.
Il gioco, realizzato dallo studio francese Sandfall Interactive e pubblicato da Kepler Interactive, ha debuttato il 3 maggio e ha subito catturato l’attenzione del pubblico, grazie a un’estetica unica e a un gameplay ispirato ai classici RPG a turni. E voi, lo avete già provato o siete tra coloro che stanno aspettando le prime patch? Pensate che questo successo sia meritato o gonfiato dall’hype?
DOOM: The Dark Ages sta arrivando. Il nuovo capitolo sarà disponibile dal 15 maggio su PC, PS5 e Xbox Series X|S. Il preload inizierà il 13 maggio per la Standard Edition e l’11 maggio per la Premium Edition, che include un artbook digitale da 17,58 GB. Il gioco richiederà 84,32 GB di spazio su PS5, per un totale di oltre 100 GB nella versione completa.
In queste ultime settimane, Bethesda ha pubblicato anche un nuovo trailer in cui presenta il Cosmic Realm, una dimensione ispirata all’estetica lovecraftiana, con architetture ciclopiche e creature ibride. Tra i nemici, il Cosmic Baron utilizza attacchi psionici che richiedono parate e contrattacchi tattici, mentre il Kaca demon è una massa fluttuante di terrore telepatico con tentacoli.
Il gameplay mostrato introduce nuove armi, come il Reaver Chainshot, un’arma che lancia una sfera metallica su una catena, e lo Shield Saw, uno scudo-sega per parate e contrattacchi. Il gioco offre 22 livelli con combattimenti intensi e una narrazione più ricca rispetto ai precedenti capitoli.
ASUS x DOOM con una GPU in edizione limitata
ASUS ROG, in collaborazione con Bethesda e id Software, ha presentato la ROG Astral RTX 5080 DOOM Edition, una scheda grafica in edizione speciale per celebrare il 30° anniversario delle GPU ASUS e il lancio del gioco.
La scheda presenta una combinazione di colori verde e oro, con l’artwork ufficiale del gioco sul backplate e ventole verdi. Offerta esclusivamente tramite il Bethesda Gear Store, è disponibile in un bundle che include una T-shirt, un tappetino per il mouse, una riproduzione della keycard gialla, una skin di gioco esclusiva e la possibilità di includere la Premium Edition del titolo.
Inoltre, fino al 21 maggio, è possibile ottenere la Premium Edition di DOOM: The Dark Ages con l’acquisto di una scheda grafica o PC desktop con GeForce RTX 5090, 5080, 5070 Ti o 5070, oppure di un laptop con GPU GeForce RTX 5090, 5080, 5070 Ti o 5070.
E voi, siete pronti a esplorare il Cosmic Realm e affrontare i nuovi nemici di DOOM: The Dark Ages?