Nell’ultimo mese Efootball 2025, simulazione calcistica targata Konami ed erede del mitico Pro Evolution Soccer, ha proposto un evento davvero particolare. La casa giapponese ha infatti pensato di realizzare una collaborazione tra Efootball e Yu-Gi-Oh!, celeberrimo gioco di carte collezionabili, anch’esso appartenente a Konami.
Questa collaborazione si è concretizzata anzitutto per la presenza di nuove carte-giocatore ispirate alle creature più iconiche di Yu-Gi-Oh!. Possiamo dunque ammirare Neymar accompagnato dal mitico mago nero o Mbappé affiancato dal leggendario Drago Bianco Occhi Blu.
Ma le novità proposte da questo update non si fermano qui. Se selezionerete le partite legate all’evento, infatti, tutto lo stadio sarà abbellito da nuove animazioni a tema Yu-Gi-OH!.
Gli spalti diventano pieni di ologrammi, che mostrano creature iconiche come Kuriboh o il Coniglio da soccorso. Al momento di ogni gol, poi, farà la sua comparsa il gigantesco Exodia, che scatenerà il suo potere in un tripudio di luci.
Collaborazioni vincenti
Quella con Yu-Gi-OH! non è la prima collaborazione proposta da Konami. Pochi mesi fa, ad esempio, è uscito un evento che coinvolgeva i famosi personaggi del manga Captain Tsubasa. In questa occasione, oltre alle classiche carte, era possibile addirittura controllare i personaggi del suddetto anime in una serie di sfide speciali.
Insomma, Efootball sembra aver ormai consolidato la sua natura di gioco free to play, secondo il modello dei live service. Tuttavia, non tutti i fan sembrano aver apprezzato questa scelta che, se da un lato ha effettivamente espanso l’utenza del titolo, soprattutto nell’area asiatica, dall’altro sembra avergli ormai alienato i fan storici, che tendono a scegliere in maniera decisa la serie FC Football di EA.
Cogliamo quindi l’occasione per ripercorrere la storia di quello che è senza dubbio uno dei franchise calcistici più famosi ed apprezzati, nonché un caso davvero unico in quanto a scelte di gestione e distribuzione da parte della sua casa di produzione.
Le origini di Efootball
Come abbiamo già detto ad inizio articolo, Efootball altro non è che l’erede della leggendaria serie Pro Evolution Soccer. Questa leggendaria saga calcistica ha una lunga storia alle spalle, da sempre legata a filo doppio con la console di casa Sony.
Il primo episodio in assoluto della serie apparve nel 1997 sulla prima Playstation col titolo Internationa Superstar Soccer Pro. Si trattava in realtà del porting occidentale di Winning Elven, titolo calcistico dedicato alla J-League, campionato di serie a giapponese. Nonostante le recensioni roboanti che ricevette ai tampi, ISS Pro era tutt’altro che perfetto. Se da un lato la grafica e i modelli dei calciatori erano di livello altissimo, dall’altro la giocabilità risultava piuttosto legnosa e poco fluida. Anche il numero di modalità e squadre presenti (limitate alle sole nazionali) era molto limitante.
Già l’episodio successivo, ISS Pro 98, corresse molti dei difetti dell’originale, ampliando il numero delle nazionali presenti e soprattutto migliorando moltissimo il gameplay, che univa un buon rigore tattico ad un ottima fluidità nei dribbling e nel possesso palla.
Fu tuttavia l’episodio successivo, ISS Pro Evolution, a far segnare il vero salto di qualità. Oltre a migliorare ulteriormente grafica e giocabilità, questo episodio introdusse la mitica Master League, un campionato speciale in cui, alla guida di una squadra di totali chiaviche, il giocatore avrebbe dovuto passare dalla categoria inferiore a quella maggiore, migliorando via via la squadra comprando nuovi talenti, sfruttando i punti ricavati dalle proprie vittorie.
Sebbene non fossero presenti nomi e marchi originali, squadre e giocatori risultavano facilmente riconoscibili grazie alle loro fattezze e all’uso di nomi storpiati. Questo episodio ed il suo diretto sequel, ISS Pro Evolution 2, permisero alla saga Konami di farsi conoscere dal grande pubblico e di crearsi una buona fanbase di appassionati, nonostante la dura concorrenza della serie FIFA di EA.
La consacrazione
Fu tuttavia col passaggio all’era Playstation 2 che la saga Konami raggiunse il suo apice. Fu proprio in questa occasione che Konami cambiò nuovamente nome alla sua saga, che, da allora, divenne nota col nome Pro Evolution Soccer (abbreviato PES). Il primo PES uscì nel novembre 2001 (titolo originale World Soccer Winning Eleven 5 Final Evolution), rivelandosi un vero capolavoro.
Il gioco univa una grafia ed un sonoro profondamente rinnovati e potenziati grazie alla nuova console ad un gameplay incredibilmente profondo e divertente. Anche la Master League ritornò in una veste notevolmente potenziata, che iniziava a dare maggiore spazio all’aspetto gestionale della squadra. Iniziarono a fare capolino anche le prime squadre dotate di licenza ufficiale.
Da allora e fino al 2020 la serie Pro Evolution Soccer divenne un appuntamento annuale e la sfida tra FIFA e PES fu una delle rivalità videoludiche più accese di sempre. A partire dal 2008, i vari episodi persero la numerazione tradizionale a favore dell’anno in cui il titolo usciva, in maniera analoga a quanto fatto dalla distinta concorrenza.
Naturalmente, la saga non fu composta da soli capolavori. Se titoli come PES 3, PES 5, PES 2009 (il primo ad introdurre l’esclusiva sulla Champions League) e PES 2013 sono ricordati con affetto dai Fans, giochi come PES 2014, PES 2016 e PES 2008 furono clamorosi passi falsi, che contribuirono al controsorpasso da parte di EA e del suo FIFA.
Una transizione difficile
Nel 2021 Konami realizzò quella che fino ad oggi è stata la svolta decisiva per la serie. Konami decise infatti di ritirare per sempre il marchio Pro Evolution Soccer, sostituendolo con Efootball. Non solo: a partire dal primo episodio, uscito proprio nel 2021, la serie divenne free to play, ovvero scaricabile gratuitamente.
Il gioco divenne disponibile per Playstation, X Box, PC e persino dispositivi IOS e Android. Tuttavia, il titolo venne pesantemente criticato. Apparentemente, non c’era un singolo aspetto di Efootball che funzionasse. La grafica appariva datata e presentava numerosi bug. La giocabilità era un pallido ricordo di quella che sancì il successo della serie e il numero di squadre e modalità era estremamente limitato.
I fan criticarono pesantemente non solamente il gioco, ma anche la direzione intrapresa da Konami, la quale non era nuova a scelte discutibili volte a massimizzare gli introiti provenienti dalle sue serie principali (si pensi a quanto accaduto a serie come Castlevania o Silent Hill).
Una difficile risalita
Nonostante le critiche, Konami ha scelto, coerentemente, di portare avanti il suo progetto. Dalla sua prima incarnazione, Efootball ha ricevuto una serie costante di aggiornamenti. Ora Efootball appare molto lontano dalla sua orrida prima incarnazione. Grafica e giocabilità, seppur non ai livelli di FC, risultano aggiornati e apprezzabili e l’enorme numero di eventi e sfide sopperisce al numero, ancora limitato, di modalità.
Il cuore del gioco consiste nella modalità Squadra dei sogni, che, in modo analogo in quanto visto nella celeberrima FUT, permette la creazione della propria squadra ideale con l’ausilio di una serie di carte, che rappresentano differenti versioni dei vari calciatori. Purtroppo, anche in questo caso, le microtransazioni si rivelano davvero determinanti per l’ottenimento dei calciatori migliori e quindi per la creazione di squadre realmente competitive.
Tuttavia, la strategia di Konami non può definirsi del tutto fallimentare. Rendere la serie gratuita ha allargato di molto la sua utenza, sebbene si tratti nella maggior parte dei casi, di giocatori occasionali. Inoltre, il modello life as service, in questo caso, è stato applicato correttamente da Konami, che non ha mai smesso di migliorare ed ampliare il suo titolo, cercando (almeno in parte) di venire incontro alle critiche.
Certo, sarà davvero dura per Konami riconquistare l’affetto ormai perduto dei fan di lunga data. Tuttavia continueremo ad osservare con attenzione l’evoluzione di questa saga, sia perché rappresenta un unicum nell’industria videoludica sia perché speriamo fino alla fine in un ritorno dell’erede di PES alla sua antica gloria. Voi che ne pensate? Avete apprezzato la trasformazione di PES in Efootball? O rimpiangete la storica rivalità con FIFA?
Siamo ormai giunti alla metà del mese di agosto. Tra vacanze, bagni al mare e viaggi in montagna, ognuno cerca di valorizzare il proprio tempo libero e di trovare ogni modo possibile per sfuggire al caldo, davvero rovente, di questi giorni.
Per tutti i fan di videogiochi, però, la fine dell’estate regalerà un evento davvero bollente. Proprio negli ultimi giorni del mese, infatti, uscirà Metal Gear Solid Delta Snake Eater. Questo gioco, presentato come il remake del leggendario terzo capitolo della saga, segna il ritorno della saga di Snake dopo un’attesa di ormai 7 anni.
Per prepararci al meglio all’evento abbiamo deciso di proporvi una retrospettiva di tutti i principali capitoli della saga di Metal Gear Solid, sia per ripassare insieme tutti i momenti salienti della saga, sia per invogliare eventuali neofiti a confrontarsi con questa autentica pietra miliare della storia dei videogames. Prepariamo tutto il necessario e buttiamoci a capofitto in questa incredibile missione!
Le origini: gli episodi per MSX
Come molti di voi sapranno, la saga di Metal Gear Solid è stata partorita dalla geniale mente di Hideo Kojima (vedi qui per un approfondimento sull’autore). Le sue origini, però, risalgono a ben prima della sua consacrazione, avvenuta sulla prima Playstation.
Il primo episodio della saga, intitolato semplicemente Metal Gear, apparve infatti nel 1987 per MSX, un popolare computer giapponese. Metal Gear era un gioco estremamente originale ed avveniristico. Il giocatore impersonava Solid Snake, soldato d’ elite dell’unità Fox Hound, e aveva il compito, sotto la guida del leggendario Big Boss, di salvare il suo compagno Grey Fox e sconfiggere un gruppo di misteriosi terroristi.
La particolarità del gioco era la necessità di agire quanto più possibile in maniera stealth. Metal Gear non premiava la capacità del giocatore di eliminare i nemici, bensì la sua abilità nell’agire di soppiatto e superare le varie ambientazioni senza farsi scoprire. Anche lo sviluppo della trama, sebbene limitato, riservava diversi colpi di scena. Il gioco ottenne un ottimo successo ed una conversione NES, a dire il vero abbastanza pessima.
I primi sequel
Nel 1990 uscirono ben due episodi di Metal Gear. Metal Gear: Snake’s Revenge era un episodio non canonico in esclusiva NES. Si tratta di un gioco action sparatutto piuttosto divertente, ma che poco aveva da spartire col resto della saga.
Di tutt’altra pasta invece Metal Gear 2: Solid Snake. Uscito sempre per MSX, questo gioco è il seguito diretto del gioco originale e riesce a potenziarne tutti gli aspetti. Grafica, gameplay, sviluppo della storia, dialoghi…tutto risulta più grande e coerente. Risultano potenziati soprattutto l’inventario e le possibilità offerte da esso.
Snake è nuovamente in missione, stavolta a Zanzibar, per debellare la minaccia di Outher Heaven, vera e propria nazione indipendente fatta di soli soldati, che sembra avere a disposizione un’arma devastante, solo accennata nel primo gioco: il Metal Gear.
Questi primi episodi, sebbene molto datati, contengono già molti degli elementi che saranno caratteristici della saga. Personaggi iconici come Big Boss e Gray Fox, l’enorme uso dei dialoghi per sviluppare la trama, l’uso creativo di elementi come le sigarette o le scatole di cartone e molto altro ancora. Questi giochi sono stati inseriti in molte delle collection legate alla saga e consigliamo a tutti di recuperarli (esclusa la versione NES del primo Metal Gear, un vero disastro di bug e cattiva programmazione).
La consacrazione: Metal Gear Solid
Nel 1998, sulla prima gloriosa Sony Playstation, apparve quello che è forse il gioco più famoso dell’intera saga. Metal Gear Solid, pur restando assolutamente coerente con le trame e le meccaniche dei giochi precedenti, riuscì ad elevarsi oltre ogni immaginazione, trasformando una serie di nicchia in un incredibile successo mondiale.
La grafica di Metal Gear Solid era semplicemente stupenda, con ambienti e personaggi solidi, belli da vedere e ricchi di particolari. Anche la colonna sonora risultava coinvolgente e di impatto, con numerose tracce divenute oggi iconiche.
Il gioco narra una missione del nostro Solid Snake in una base in Alaska, dove un gruppo di terroristi, capeggiato dal misterioso Liquid Snake, sembra essere in possesso di missili nucleari e minaccia il mondo intero con lo spettro di una guerra atomica. Grazie alla potenza di calcolo dei CD, Kojima riuscì finalmente a creare una vera trama cinematografica grazie alle numerose sequenze di intermezzo, che sviluppavano l’intreccio con numerosi colpi di scena davvero inattesi.
Anche il gameplay non deludeva. Snake aveva a disposizione molte abilità ed un arsenale davvero vasto e variegato. Riuscire a sfuggire ai soldati è sempre divertente ed appagante ed ogni area può essere affrontata con strategie differenti in base allo stile del giocatore. Anche le boss battle sono davvero divertenti ed iconiche e spesso necessitavano di strategie stravaganti ed originali per essere superate (qualcuno ha detto Psycho Mantis?).
Insomma, Metal Gear Solid si impose subito come un capolavoro assoluto ed è tuttoggi considerato da molti il miglior gioco per la prima Playstation, con come unici difetti la longevità non elevatissima e la presenza di dialoghi a volte fin troppo fitti.
Un seguito divisivo
Quando, nel 2001, fece la sua uscita Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty, il gioco appariva un successo annunciato. Konami infatti aveva deciso di non tentare la strada di un sequel immediato al primo Metal Gear Solid, ma di attendere l’uscita di Playstation 2 per poter realizzare un gioco che potesse realmente innovare e migliorare ogni elemento del gioco originale.
Le prime versioni demo del gioco, che mostravano Snake in azione a bordo di una petroliera, avevano generato pareri molto favorevoli ed entusiastici e sembrava davvero che MGS2 fosse un capolavoro annunciato. Stavolta, però, non tutto andò come previsto. Intendiamoci, Sons of Liberty non si può certamente definire un brutto gioco. Alcuni fan lo considerano addirittura il migliore della serie. A livello tecnico, il gioco fa un passo avanti enorme rispetto al predecessore, soprattutto dal punto di vista grafico.
Eppure, ha indubbiamente diversi difetti. Sebbene il gameplay risulti enormemente ampliato e migliorato, con la possibilità di sparare in soggettiva, addormentare le guardie e nascondere i loro corpi e un’interazione con l’ambiente molto più ricca, le situazioni di gioco che si va ad affrontare nel corso dell’avventura risultano spesso poco originali e ricalcano fin troppo da vicino il primo episodio.
Inoltre la trama di gioco, pur molto articolata ed originale, risulta pesante e fin troppo sopra le righe, anche a causa di una quantità di dialoghi codec davvero mastodontica. Kojima voleva probabilmente creare proprio questo effetto di pesantezza, dal momento che il gioco rompe più volte la quarta parete e “gioca” con le percezioni del videogiocatore. Tuttavia queste finezze non furono colte dal grande pubblico.
E veniamo all’elefante nella staza, quello che per molti è stata la causa principale del parziale fallimento del gioco. Nononstante Konami avesse tenuto la cosa totalmente nascosta, in MGS 2 NON si utilizza Solid Snake, tranne che nella primissima sequenza di gioco. Kojima introdusse a sorpresa il personaggio di Raiden, una nuova recluta di Foxhound che doveva fungere da avatar del giocatore. Questa scelta coraggiosa fu totalmente rigettata dai fan, che non accettarono il nuovo personaggio.
Nonostante queste problematiche, il gioco ricevette comunque una buona accoglienza. Tuttavia, MGS2 iniziò a dare ai fan un assaggio di dove potessero spingersi le stranezze di Kojima.
Il Metal Gear Solid perfetto
Nel corso del 2004 uscirono ben tre giochi della saga Metal Gear. Metal gear Ac!d era un episodio non canonico pensato per la PSP. Metal Gear Solid: The Twin Snakes era invece una sorta di Remake del primo capitolo realizzato per Game Cube.
Ma il vero piatto forte fu indubbiamente Metal Gear Solid 3: Snake Eater. Questa volta ci fu ben poco da polemizzare. Snake Eater fu subito riconosciuto come una gemma assoluta ed è tutt’oggi considerato da molti il miglior episodio dell’intera saga.
MGS 3 è ambientato nel 1964 e racconta la storia di Naked Snake, che si rivelerà presto essere il giovane Big Boss (non è spoiler, basta usare la logica). A differenza dei capitoli precedenti, Snake Eater è prevalentemente ambientato all’interno di giungle, foreste e paludi. Questo setting aumenta di molto le possibilità del gameplay, fornendo al nostro Snake una miriade opzioni per sfruttare l’ambiente a suo vantaggio.
Inoltre viene introdotto il CQC, una tecnica di lotta corpo a corpo che amplia a dismisura le azioni di Snake quando entra a contatto coi nemici. Viene anche introdotta la barra della resistenza, che snake dovrà continuamente alimentare nutrendosi. Oltre alle razioni, Snake può ricorrere alla caccia, facendo attenzione a non ingerire animali pericolosi.
La trama di Snake Eater è semlicemente perfetta. Una storia avventurosa e drammatica, che cita apertamente tutto il cinema spy (in particolare le storie di James Bond) e riesce a non essere mai banale né scontata, fino all’incredibile finale, ricchissimo di colpi di scena. Anche il comparto tecnico del gioco è assolutamente superbo, con una grafica ulteriormente potenziata e musiche davvero emozionanti e divenute iconiche, su tutte il celebre brano Snake Eater, che accompagna l’intro del gioco.
La conclusione della saga: Metal Gear Solid 4
Dopo Metal Gear Solid 3, la saga di MGS si prese altri quattro anni di pausa. Durante questo periodo uscirono alcuni titoli secondari, come Metal Gear Solid: Portable Ops, spin of non canonico uscito per PSP, ed anche le prime collection, contenenti tutti gli episodi principali della saga. Nel giugno 2008, sulla nuova Playstation 3, arrivò finalmente Metal Gear Solid 4: Guns of The Patriot.
Questo quarto episodio è certamente il più malinconico dell’intera saga. A causa dei suoi particolari geni, il nostro Snake subisce un invecchiamento precoce ed è ormai stanco e affaticato dalle 1000 battaglie affrontate. Tuttavia, in questi episodio dovrà affrontare la più dura delle sfide, ovvero smantellare l’intero sistema dei Patriots, una serie di intelligenze artificiali che controllano quasi ogni aspetto della società umana. Inoltre, Snake deve vivere il confronto finale con l’eterno rivale, Liquid.
La trama di Guns of The Patriots è forse la più articolata di tutta la serie. Il gioco riesce a seguire in modo soddisfacente tutti i personaggi della saga, dando ad ognuno di loro la giusta conclusione. La regia di Kojima svolge un lavoro davvero superbo, alternando fasi di azione adrenalitica a scena dalla forte intensità emotiva.
Anche il gameplay non deluse le aspettative, riproponendo tutte le meccaniche viste nei giochi precedenti, integrandole in un ambientazione enormemente più vasta e con moltissime possibilità di interazione. Il gioco proponeva inoltre un numero esorbitante di armi e nuovi equipaggiamenti, tra cui spicca l’MK II, un Metal Gear tascabile che Snake può comandare a distanza per azioni di ricognizioni e numerose altre interazioni.
Anche il comparto tecnico è assolutamente all’altezza delle aspettative, con una grafica ed un sonoro semplicemente mozzafiato che rendono MGS4 davvero simile ad un film interattivo. Unica nota stonata, ancora una volta, furono le sequenze di intermezzo, a volte davvero interminabili.
Un Metal Gear portatile
Con MGS4, la saga di Metal Gear aver raggiunto la sua naturale conclusione. Eppure, i videogiocatori erano ancora affamati delle avventure di Snake. Ecco dunque arrivare Metal Gear Online, spin of mutigiocatore e Metal Gear Solid Touch, per i dispositivi IOS e Android.
In entrambi i casi, si trattava di episodi non canonici, quindi slegati dalla trama principale. Nel 2010 uscì anche Metal Gear Solid: Peacewalker, un nuovo episodio portatile per la PSP di Sony. A differenze di MGS Portable Ops, però, Peacewalker è un episodio assolutamente collegato alla trama principale.
In questo gioco torniamo a vestire i panni del mitico Big Boss, a circa dieci anni di distanza dagli avvenimenti di Snake Eater. Il gioco introduce una serie di personaggi che si riveleranno fondamentali per il proseguo della saga, come Kazuhira Miller, Huey Emmerich e la misteriosa Paz. A causa dei limiti di PSP, Konami compì la scelta di rappresentare le scene di intermezzo in forma di fumetto. Una scelta azzeccata che rende la narrazione visivamente piacevole e scorrevole.
Il gameplay si rifaceva a Snake Eater, introducendo però tutta una serie di elementi gestionali legati al reclutamento dei soldati nemici e alla gestione della Mother Base, centrale operativa del Boss e delle sue truppe. La base avrebbe poi fornito supporto a Snake durante le missione, tramite l’invio di armi e razioni. Questi meccanismi offrirono una ventata di aria fresca e resero lo svolgimento del gioco più vario e metodico, sebbene fosse chiaro che la scelta della struttura a missioni e della gestione della base fu motivata soprattutto dal desiderio di sfruttare al meglio la portatilità della PSP.
Peacewalker ottenne, nel complesso, un ottimo successo. Il pubblico apprezzò molto la trama del gioco e reagì bene alle nuove meccaniche. Non si trattava, però, di un gioco perfetto. Potenziare al massimo la base richiedeva di rigiocare molte volte le stesse missioni. Le missioni stesse, alla lunga, risultavano un po’ ripetitive.
La nota più dolente riguardò il finale del gioco. Per sbloccare il vero finale, infatti, era necessario completare il Peacewalker. Questo però poteva essere fatto solo raccogliendo specifici oggetti. Il giocatore poteva ottenerli in modo randomico sconfiggendo i boss del gioco. Questo obbligava naturalmente a ripetere gli scontri coi Boss un numero imprecisato di volte, cosa che risultava noiosa e non necessaria.
A parte queste sbavature, Peace Walker ricevette, come detto, un’ottima accoglienza. Ora però i giocatori erano ancora più desiderosi di un nuovo episodio della saga che chiudesse il cerchio narrando gli ultimi eventi oscuri della vita di Bigg Boss.
Un episodio tormentato
Dopo l’uscita di Peacewalker, nel 2010, la saga di Metal Gear ritornò nell’ombra per diversi anni. Nel periodo seguente uscirono numerose collection e versioni remake dei principali episodi della saga. Nel 2012 apparve su PS3, X Box 360 e PC Metal Gear Rising: Revengeance, episodio action, sviluppato da Platinum Games, dedicato a Raiden.
Nell’agosto 2012, in occasione del venticinquesimo anniversario della saga, fu presentato per la prima volta il trailer di un videogioco chiamato Ground Zeroes, che avrebbe utilizzato per la prima volta l’avveniristico motore Fox Engine. Non ci volle molto perché i giocatori intuissero che si trattava di un nuovo episodio della saga principale di Metal Gear. Ma le cose divennero molto più complesse.
Nel dicembre dello stesso anno, agli Spike Video Games Awards, venne mostrato il trailer di un altro gioco, chiamato The Phantom Pain. Nonostante i depistaggi tentati da Kokima, divenne chiaro che The Phantom Pain e Ground Zeroes erano entrambi parte di un nuovo Metal Gear. Ground Zeroes sarebbe stato il prologo, The Phantom Pain il gioco principale.
Nei priani di Kojima, i due giochi avrebbero dovuto essere pubblicati insieme. A causa delle forti pressioni esercitate da Konami, si decise invece di pubblicare prima Ground Zeroes e solo in seguito The Phantom Pain.
Un’operazione discutibile
Quando Ground Zeroes uscì, nel 2014, suscitò numerose polemiche. Il gioco infatti proponeva una singola missione, completabile tra l’altro in poco più di venti minuti. Nonostante questo, GZ fu venduto ad una cifra di poco inferiore a quella di un gioco tripla A.
Il gameplay di Ground Zeroes era semplicemente superbo. Il nuovo motore di gioco garantiva una vera esperienza open world. Sebbene il gioco fosse interamente ambientato in una singola base militare, le possibilità offerte dal nuovo sistema erano praticamente illimitate e donavano una libertà di azione e pianificazione sconfinate. La possibilità di segnare i nemici tramite binocolo era la naturale evoluzione dei radar visti nei primi episodi e le numerose mosse ed armi a disposizione del nostro Snake donavano una profondità enorme alla giocabilità.
La trama era collocata a pochi mesi di distanza da Peacewalker e metteva nuovamente il giocatore nei panni di Big Boss, impegnato in una missione per salvare Chico e Paz, due vecchie conoscenze del gioco precedente. Il gioco presentava inoltre Skullface, il nuovo antagonista e la temibile unità XOF.
Nonostante l’ottimo gameplay e la presenza di una serie di missioni Extra sbloccabili al completamento della missione principale, i fan non mandarono proprio giù il fatto di aver dovuto acquistare quella che di fatto era solo la prima parte di un gioco enormemente più grande.
Il dolore fantasma…dei giocatori.
Nel 2015 arrivò nei negozi anche The Phantom Pain. Questo gioco sancì il definitivo divorzio tra Kojima e Konami. Il geniale (e capriccioso) creator decise infatti di rompere definitivamente con la casa produttrice. A suo dire, Konami avrebbe pregiudicato la buona riuscita del gioco continuando a mettere fretta al lavoro di Kojima e ponendogli una serie di paletti che gli impedirono di realizzare l’opera che aveva in mente. Purtroppo, questa situazione ebbe effetti pesanti anche sul gioco.
Dal punto di vista del gameplay, TPP è un capolavoro assoluto. Il gioco riprende tutti i punti di forza di GZ, potenziandoli all’inverosimile. Ora Snake, o meglio, Venom Snake, agisce su due enormi macro aree, ovvero l’Africa e L’Afghanistan, tutte liberamente esplorabili. Una volta entrato nell’area di una missione, però, Snake dovrà rimanervi fino a missione completata, pena il fallimento della stessa.
TPP riprende infatti la struttura a missioni vista in Peacewalker, differenziando in modo chiaro le missioni principali dalle secondarie. Proseguendo nel gioco, si vanno via via a sbloccare nuove missioni e allo stesso tempo la storia avanza. Torna anche la Mother Base, la cui gestione viene enormemente ampliata e perfezionata. Ad accompagnare Venom Snake nelle sue missioni vengono introdotti il cavallo D Horse e il cane DD, a cui andrà presto ad affiancarsi (se il giocatore avrà compiuto le giuste scelte) anche la cecchina Quiet.
Sebbene il gioco possa risultare un po’ ripetitivo, dal momento che le missioni tendono ad avere obiettivi simili, la libertà di movimento, la quantità di azioni e possibilità fornite a Snake e l’incredibile divertimento del gameplay rendono ogni partita a TPP una vera festa.
Il comparto tecnico è semplicemente meraviglioso. La grafica presenta ambientazioni vastissime, realistiche e piene de dettagli. I modelli dei personaggi sono semplicemente perfetti, così come le animazioni. Anche la colonna sonora è un’autentica gemma, con numerosi brani, anche cantati, entrati nella leggenda della saga.
Un gioco incompleto
Purtroppo, però, dal punto di vista della trama o anche solo dei contenuti a disposizione, The Phantom Pain si rivela un progetto incompleto. Mancano infatti molte ambientazioni e anche alcuni personaggi che erano stati anticipati nei trailer. Come se non bastasse, alcuni archi narrativi del gioco non vengono completati.
Il gioco è composto da un prologo e da due atti (si vocifera che nella testa di Kojima avrebbero dovuto essere 5). Se il primo atto risulta ben scritto e con uno sviluppo coerente e completo, lo stesso non si può dire del secondo. Uno dei filoni principali della trama, quello legato ad Eli e al Shaelanthropus, viene troncato e mai completato. Anche la missione finale non è altro che una fotocopia del prologo, con solo alcune piccole varianti negli eventi ed un colpo di scena finale che ribalta totalmente la situazione e funge da finale (parziale) del gioco.
Un peccato davvero. TPP, anche per come è oggi, è certamente uno dei migliori metal gear della saga e ha quasi indubbiamente il miglior gameplay della serie. Ma se Kojima avesse potuto lavorare come aveva in mente, probabilmente ci troveremmo di fronte al miglior Metal Gear di sempre e probabilmente (non pensiamo di esagerare) uno dei più grandi giochi della storia.
Conclusioni
Ed eccosi arrivati alla fine del nostro viaggio. Dopo The Phantom Pain, infatti, non è più uscito alcun episodio canonico della saga. Gli unici prodotti targati Metal Gear ad essere stati pubblicati sono stati il discutibile Metal Gear Survive ed il primo volume della Master Collection.
Come detto, però, le cose stanno per cambiare. Riuscirà Snake Eater Delta a riaccendere le braci della leggenda? Non resta che scoprirlo! Voi come avete vissuto la saga di Metal Gear? avevate giocato a tutti gli episodi principali? O la state riscoprendo solo ora? Fateci sapere!
A diverse settimane dalla sua uscita, Death Stranding 2: On the Beach può essere considerato un buon successo per Hideo Kojima e il suo team. Tuttavia, il famoso creator non sembra essere intenzionato a dedicarsi alla direzione del terzo episodio della saga.
In una recente intervista rilasciata a Playstation Arabia, Kojima ha infatti confermato di aver già scritto un concept e una serie di idee per Death Stranding 3, ma di non avere intenzione di occuparsene in prima persona. La motivazione starebbe nel fatto che Kojima aveva pensato ai finali di entrambi i primi giochi e questi per lui erano entrambi pensati come conclusioni definitive per la vicenda.
Più probabilmente, ad aver spinto il creator verso questa decisione è stato il suo attuale impegno in altri progetti, come ad esempio Physint. Probabilmente la verità sta nel mezzo. Durante l’intervista Kojima si è anche detto intenzionato a produrre giochi finché sarà in vita. Questo non potrà che fare felici tutti i suoi fan, dal momento che di menti creative e originali come quella di Hideo ne esistono davvero poche al mondo.
Nel corso di una recente intervista sulla sua pagina twitter ufficiale, l’attore David Hayter, voce storica di Solid Snake, ha confermato di essere stato contattato da Konami per collaborare a Metal Gear Solid Delta, remake dello storico Metal Gear Solid 3: Snake Eater. Nel corso dell’intervista, l’attore ha svelato di essere stato invitato a provare il gioco e ha tacitamente ammesso di essere coinvolto in un qualche lavoro legato al doppiaggio.
Dunque, sebbene Hayter non si sia sbottonato più di tanto, sembra chiaro che il buon David sia di nuovo all’opera per doppiare il soldato leggendario. Trattandosi di un Remake, un nuovo coinvolgimento del famoso doppiatore sembra suggerire in maniera più o meno palese la presenza di nuovi dialoghi, o perlomeno della modifica di alcuni dialoghi originali.
Questa notizia non ha naturalmente mancato di solleticare la curiosità e l’interesse dei fan. Molti appassionati infatti hanno subito teorizzato che una simile mossa da parte di Konami possa fare da apripista per eventuali nuovi progetti legati al mondo di Metal Gear. Forse stiamo tutti correndo troppo con la fantasia. Certo, però, sarebbe davvero bello vedere finalmente un vero rilancio per la mitica saga di Kojima. Dopo l’abbandono dell’eccentrico designer, infatti, Metal Gear sembra essere precipitato nell’oblio. Vedremo se il vento sta davvero per cambiare.
Vorremmo, con questo articolo, inaugurare una nuova sezione del blog, un focus sugli uomini e le donne che hanno reso la storia dei videogiochi e il videogioco come lo conosciamo tale. Oggi vi spieghiamo chi è Hideo Kojima, raccontandovi opere e aneddoti del genio nipponico.
Hideo Kojima è uno dei più famosi e influenti autori videoludici al mondo. Nato a Tokyo nel 1963, ha sviluppato fin da bambino una grande passione per il cinema e la letteratura d’avventura, che lo hanno ispirato nella creazione delle sue opere. Nel 1986, è stato assunto da Konami per la quale ha ideato e scritto Metal Gear, titolo originariamente per MSX che ha introduse il genere stealth e dato vita all’omonima serie, il suo lavoro più noto e apprezzato.
Metal Gear Solid: la consacrazione
La serie di Metal Gear si caratterizza per la sua trama intricata, degna dei migliori romanzi di spionaggio alla Ken Follett o Frederick Forsyth. Affronta temi come la guerra, la politica, la filosofia, la genetica e l’identità. I protagonisti sono spie e soldati che devono infiltrarsi in basi nemiche e affrontare i Metal Gear, dei giganteschi robot armati di armi nucleari. E anche il lato umano, che Kojima ha molto a cuore, viene preso in considerazione, coi protagonisti che si chiedono, spesse volte, se sia giusto o sbagliato ciò che fanno.
Il gameplay richiede al giocatore di usare l’astuzia e la strategia, evitando il più possibile il combattimento diretto. Non a caso il gioco è stato tra i migliori capostipiti del genere stealth. La serie è nota per il suo stile cinematografico, con lunghe sequenze animate e dialoghi tra i personaggi, per il suo umorismo e le sue numerose citazioni e riferimenti alla cultura popolare.
Altre produzioni
Oltre alla serie di Metal Gear, Kojima ha realizzato altri giochi di successo: Snatcher e Policenauts, due avventure grafiche di ambientazione cyberpunk; Zone of the Enders, una serie di giochi di azione con dei robot volanti, e il famosissimo Death Stranding, il suo primo gioco indipendente dopo aver lasciato la Konami nel 2015.
Kojima è considerato un auteur dei videogiochi, ovvero un autore che esprime la sua visione artistica e personale attraverso il medium, in questo caso a noi tanto caro come il videogioco. Il suo stile è riconoscibile e originale, e ha influenzato molti altri sviluppatori e giocatori. Hideo Kojima è un grande appassionato di cinema peraltro e ha collaborato con diversi registi e attori famosi, come Guillermo del Toro, Norman Reedus, Mads Mikkelsen e Nicolas Winding Refn.
Kojima: l’uomo
Ma cosa rende Kojima un genio dei videogiochi? Quali sono le sue caratteristiche distintive e i suoi segreti? Come fa, ci chiediamo, a rendere i suoi videogiochi maledettamente accattivanti ed interessanti? Non possiamo realmente saperlo, purtroppo o per fortuna, ma ecco alcune curiosità e aneddoti sulla sua vita e carriera che potrebbero aver influito sul suo modo di creare.
Cinema mon amour: Kojima ha iniziato a fare film con una Super 8millimetri quando era a scuola e ha persino ingannato i suoi genitori per andare a girare su un’isola senza dirglielo. Il suo sogno era di diventare un regista, ma ha cambiato idea quando ha scoperto il gioco d’avventura Portopia Renzoku Satsujin Jiken, che lo ha convinto delle potenzialità narrative dei videogiochi
Un film al giorno: La passione sconfinata di Kojima per il cinema permea ogni singolo istante della sua vita. Quando non è impegnato a realizzare un gioco, o a trollare i suoi fan su Twitter, il buon Hideo sta fisso davanti allo schermo a vedere qualcosa da cui prendere ispirazione. Il suo mantra è: “Un film al giorno toglie i rompiballe di torno”. Tra le sue pellicole preferite troviamo vere e proprie pietre miliari, alcune delle quali non del tutto scontate: Taxi Driver, 2001 Odissea nello Spazio, La Grande Fuga, I Cannoni di Navarone, La Strada di Federico Fellini, L’Alba dei Morti Viventi e addirittura il musical Cantando sotto la Pioggia. Stranamente tra i suoi favoriti non ha mai citato 1997: Fuga da New York, capolavoro distopico (ma neanche troppo) di John Carpenter dal quale ha tratto ispirazione per il nome del suo personaggio più famoso Solid Snake.
Kojima ed il Natale: Pochi lo sanno ma Hideo Kojima adora follemente il Natale. Ogni anno, sin dai tempi in cui lavorava per Konami ma soprattutto da quando ha fondato la Kojima Production, inizia a bombardare il suo canale Twitter con foto di decorazioni natalizie, corna di renna infilate ovunque e pacchetti regalo che probabilmente nascondono solo un tizio vestito come Snake. Ha trasmesso questa sua passione anche ad alcuni personaggi dei suoi giochi: provate a chiedere a Big Boss per conferma. La sua “ossessione” sembra essere forte al punto che alcuni membri del suo staff sono convinti che lui creda ancora fermamente nell’esistenza di Babbo Natale.
Fobia dei contatti fisici: Kojima ha una vera e propria avversione per il contatto fisico con le altre persone, tanto da evitare di stringere la mano o di abbracciare chiunque, anche i suoi amici più intimi. Questa sua fobia è stata resa nota da Guillermo del Toro, che ha raccontato di averlo abbracciato una volta e di aver visto la sua faccia terrorizzata. Kojima ha poi confermato la cosa, dicendo che preferisce esprimere i suoi sentimenti con le parole o con i gesti
Potere ad un solo uomo: Kojima è noto per il suo perfezionismo e per il suo controllo totale sui suoi progetti, che lo portano a occuparsi di ogni aspetto della produzione, dalla sceneggiatura alla regia, dal game design al marketing. Questo lo rende spesso insofferente alle pressioni e alle interferenze delle case editrici, come dimostra il suo conflitto con la Konami, che lo ha portato a lasciare l’azienda dopo 29 anni di collaborazione. Kojima ha poi fondato la sua nuova software house, la Kojima Productions, che gli ha permesso di realizzare il suo gioco più ambizioso e personale, Death Stranding, senza alcun vincolo o compromesso.
Genialità ed emozione
Appare chiara dunque la genialità di Hideo, che ha riversato nelle sue opere portandole a nuovi livelli di immersione, narrazione e creatività. Quello che vuole Kojima è emozionare e sorprendere il fruitore finale facendolo riflettere sui vari temi che i suoi giochi trattano.
D’altronde lui stesso si emoziona nel creare e questo è uno degli aspetti più belli che i fruitori maturi del prodotto videogioco possano chiedere: l’emozionarsi nel videogiocare. Non tutti apprezzano Hideo Kojima, molti lo accusano di essere arrogante, di inserire nelle sue opere troppi dialoghi e filmati, di usare senza censura elementi come violenza e sesso, ma credo siano passi necessari affinché il pubblico comprenda appieno la sua visione.
Yu-Gi-Oh Master Duel è il titolo che trasforma il gioco di carte reale in digitale. E lo fa davvero bene, riuscendo a dare spazio anche ai neofiti con una campagna singleplayer che unisce storia e tutorial. Pecca per la versione Nintendo Switch, decisamente più sacrificata rispetto a quella home console. Per il resto, non c’è davvero niente da dire: è un ottimo free to play!
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Yu-Gi-Oh Master Duel è il sogno di tutti i giocatori del TCG. Riesce a unire tutti i tipi di player che hanno mai toccato con mano o digitalmente il titolo cartaceo. Ma non ti preoccupare, non è un gioco punitivo nei confronti di chi si approccia a questo gioco. Yu-Gi-Oh Master Duel si basa sulla serie di manga e anime dove i protagonisti si sfidano in combattimenti a turni che prevedono l’utilizzo di carte che richiamano dei mostri, incantesimi e trappole. L’obiettivo è molto semplice: azzerare i Life Points (Punti Vita, in italiano) dell’avversario. In questa trasposizione videoludica realizzata da Konami avremo lo stesso obiettivo.
Gioca la partita, vinci la fatica
Una delle prime cose che bisogna dire di Yu-Gi-Oh Master Duel è che riesce ad essere decisamente diretto, rispetto ad altri titoli della stessa serie. L’obiettivo degli sviluppatori è sia semplice che comprensibile a colpo d’occhio: l’idea alla base di questo titolo è quello di riproporre il mondo TCG Yu-Gi-Oh e portarlo nel mondo digitale. Dunque, se pensi che sia tempo di duellare è il gioco per te.
Master Duel è propone due modalità di gioco principali: una multiplayer e una singleplayer. Ma ti voglio parlare prima della seconda: la Solo Mode è letteralmente la campagna che ti aiuterà nel comprendere le meccaniche base e ti permetterà di avere un po’ di mazzi da utilizzare, così da farti un’idea su quale sia il tuo stile di gioco. Inoltre, saranno presenti anche delle brevi storie che riguardano le carte che andrai a utilizzare. Questo è anche un ottimo modo per dare un contesto a ciò che giocherai. L’esperienza proposta è molto lunga e divisa in vari capitoli che andranno a narrare una storia tramite delle immagini statiche e una voce narrante.
Ovviamente passare del tempo nella Solo Mode di Yu-Gi-Oh Master Duel è ottimo anche per coloro che sono già a conoscenza dei meccanismi del gioco di carte. Questo perché ti darà accesso a più carte, così da poter realizzare il deck più adatto al tuo stile. Senza contare che è possibile anche guadagnare moneta in-game che ti permette di acquistare pacchetti. Sì, ci sono anche le microtransazioni, ma saranno necessarie solo se desideri velocizzare questo processo. Quindi avrai accesso a un mazzo competitivo senza dover mettere mano al portafoglio, ma dovrai “solo” vincere tanto. Senza contare che è possibile anche creare le carte che desideri grazie ad un intuitivo sistema di crafting visto anche in altri CCG, così da rendere questo procedimento ancora più veloce, se sai già quali carte desideri nel tuo deck.
Fonte: Konami
La modalità multiplayer si divide in due tipi di partite diverse ed un extra. Infatti stiamo parlando di partite casuali, ranked (classificata) ed infine gli eventi. Al momento questi ultimi non sono ancora disponibili, ma è possibile immaginare che si tratti di tornei speciali – come accade in Yu-Gi-Oh Duel Links – oppure degli eventi crossover.
Ora concentriamoci sulle partite, che sono letteralmente il cuore pulsante di Master Duel. Le partite casuali ti permettono di creare(o entrare)in “stanze duello”in cui partecipare a scontri amichevoli, un’ottima occasione per comprendere come giocano le “persone vere” e farti un’idea su quali siano i deck “meta”. Per quanto concerne le Ranked, ti consentono di scalare la classifica e diventare il giocatore di Yu-Gi-Oh! Master Duel più forte. I Ranghi sono molto classici: al momento vanno dal Bronzo al Platino, ma probabilmente in futuro anche questo aspetto verrà ampliato. Ovviamente riceverai dei premi speciali in caso di vittoria o di “scalata di Rango”, come gemme(valuta di gioco)o mini pacchetti di carte.
Descriverti per filo e per segno come funziona una lotta in Yu-Gi-Oh! Master Duel è un discorso che meriterebbe un articolo a sé stante, ma posso spiegarti brevemente come funziona: avrai a disposizione tre tipi di “carte base” divise in mostri, magie e carte trappola. I mostri hanno un valore in Stelle che ti farà capire se possono essere evocati immediatamente o se richiedono qualche azione extra. Mentre gli incantesimi e le carte trappola possono essere lanciate quando vuoi, anche “coperte”, così da attivarle solo vengono rispettate le condizioni scritte sulla carta stessa.
Fonte: Konami
Ogni mostro ha un valore di attacco e di difesa che determinerà in quale posizione vale la pena metterlo. Il tuo obiettivo è eliminare tutte le carte avversarie così da poter danneggiare i Life Points del rivale e ridurli a zero. Troverai una miriade di meccaniche più o meno complesse, come tutti i tipi di evocazione(Xyz, Link, Pendulum e tante altre), ma non posso spiegarti tutto nel dettaglio, poiché un’infarinatura generale richiederebbe un articolo a parte.
L’unico difetto di questo titolo sta nella durata delle partite, che spesso risultano davvero lunghe. Sì, a volte si raggiungono anche i 30 minuti, il che per un TCG che può essere giocato in “movimento” sembra un tantino esagerato. Senza contare che è disponibile anche per smartphone Android e iOS, dunque il concetto di “handheld” è molto spinto. Per questa ragione, è molto meglio giocarlo quando sai di avere tempo. Inoltre, uno dei fattori che “rovina” un po’ l’esperienza sta nelle prime battute dei match. Quando si parte per secondi, e il giocatore che abbiamo davanti è particolarmente avvezzo al titolo in questione è molto probabile che perderai nei primi turni senza avere possibilità di risposta. Il che può diventare frustrante, poiché non si impara nulla. E senza poter imparare non è possibile migliorare.
Devo comunque ammettere che Yu-Gi-Oh! Master Duel è decisamente un titolo che riesce nel suo intento, almeno considerando il gameplay. L’unica cosa che resta da giudicare, ma per questo ci vorrà del tempo, è il post-lancio. Ma la situazione sembra rosea.
Risvegliare un passato mozzafiato
Dal punto di vista dell’aspetto tecnico, tutto ciò che riguarda Yu-Gi-Oh! Master Duel è davvero ben realizzato. L’unica pecca sono i testi molto piccoli delle carte, tant’è vero che Konami ha dovuto trovare un’alternativa per mostrare cosa una determinata carta può fare. La colonna sonora del titolo è estremamente gradevole e accompagna il giocatore in tutte le sue azioni. Gli effetti sonori e visivi danno già l’idea di quello che sta per scatenarsi sulla board e se una carta è forte o meno, dunque anche solo stando attenti a questi dettagli si riesce a capire costa sta succedendo sul campo di battaglia.
Fonte: Konami
A questo proposito ti posso dire che gli sviluppatori hanno voluto realizzare diversi “campi” dove giocare, e saranno tutti disponibili all’acquisto tramite moneta in-game. Sono realizzati in modo davvero eccelso e danno il meglio su home console, rispetto alla versione Nintendo Switch, che invece ha delle pecche tecniche, soprattutto dal punto di vista grafico.
Ne vale la pena?
Ma vale la pena scaricare Yu-Gi-Oh! Master Duel? La risposta è sì, ma solo se sei davvero appassionato del TCG. Questo gioco ti pone davanti un competitivo agguerrito e mutevole. Stare al passo non è così semplice come con altri giochi di carte. Certo, dato che è disponibile come free to play vale la pena provarlo, magari diventerai il prossimo campione!