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Videogiochi: i numeri del 2021

Il 2021 è prossimo alla conclusione, e come ogni fine anno è tempo di fare bilanci, anche in materia di videogiochi. Questo doveva essere ricordato come il primo assaggio di next-gen, di tutte le novità che avrebbero portato PlayStation 5 e Xbox Series X|S, ma un po’ a causa della pandemia, un po’ a causa dei tanti gamer al momento scontenti, non abbiamo ancora assistito a un netto step generazionale. Per analizzare il 2021 ci siamo affidati ai dati pubblicati da Gameindustry.biz e Newzoo, che ogni anno forniscono spunti interessanti per fare una riflessione e posteriori di quello che è successo nel mondo del videogioco. 

Il 2021 dei videogiochi

Innanzitutto, rispetto all’anno precedente le revenue sono in crescita: +1,4%. Parlando di numeri incredibilmente alti, significa un incremento di quasi 3 miliardi nel complesso. Rimane più o meno stabile il mercato PC, mentre cresce del 7% quello mobile, a dimostrazione di un mercato che ha ancora molte potenzialità e tante cartucce da giocarsi nei prossimi anni. Il 2021 segna invece una mini-crisi per il mercato console, che nel giro di 12 mesi ha perso il 6,6%. Il software sta diventando sempre più digitale: includendo tutte le piattaforme, solo il 6,6% è riferito all’acquisto del fisico: nel 2020 rappresentava il 9%. Il 99% del mercato PC è digitale, mentre per quel che riguarda le console c’è ancora una componente del 22,7% legata al fisico. In entrambi i casi le percentuali riferite al digital sono in crescita, guadagnando l’1% su PC e il 5,3% su console.

La situazione del mercato dei videogiochi nel 2021.

I videogiochi discussi in rete nel 2021

Nel 2021 più coperti in rete sono Fortnite e Cyberpunk 2077, esattamente come 12 mesi fa, ma in entrambi i casi c’è un calo sugli articoli pubblicati: nel 2020 superavano entrambi quota 70 mila, mentre nell’anno appena concluso si fermano rispettivamente a 60 e 43 mila. Non è stato un anno di prodotti che hanno particolarmente scaldato il cuore degli appassionati, visto che le new entry sono “solo” Resident Evil Village , Battlefield 2042 e New World. Lato companies, invece, è Nintendo la più coperta, con 360 mila articoli e oltre 110 mila di vantaggio rispetto alla seconda in classifica, Microsoft. Sony è la terza compagnia più citata, con un distacco di 70 mila su Microsoft. Per concludere la top 5, Epic games si posiziona davanti a Ubisoft. Tutte e 5 sono in calo rispetto all’anno precedente. I prodotti più cercati su Google risentono ovviamente delle mode: nel 2020 si parlava moltissimo di Among Us e Valorant, quest’anno invece compaiono IP tornate nel 2021, come Battlefield, Resident Evil, Call of Duty o FIFA. Fra i teaser e i trailer rilasciati nel corso del 2021, quello più apprezzato è stato Battlefield 2042, con oltre 22 milioni di visualizzazioni.

PlayStation 5, molestie, processi

Si parla anche di PlayStation 5, praticamente introvabile online, che nonostante tutti i problemi legati alla produzione, è stata la console di Sony che ha raggiunto più velocemente le 10 milioni di unità vendute. Il fatto che ora la scarsità sia una notizia di rilevanza mondiale, a differenza di quanto accaduto con la PS4, fa capire quando ad oggi il pubblico videogiocatore sia aumentato: secondo Newzoo, nel 2013 il mercato aveva un valore di 70 miliardi e i gamer erano “solamente” 1,2 miliardi (nel 2021 sono 3 miliardi). La stessa cosa si potrebbe dire per Microsoft, visto che Xbox Series X|S sta vendendo più della Xbox One, ma nonostante tutto se ne sottolinea l’introvabilità in negozio e online. Curiosi i numeri, anche un po’ polemici rilasciati da Gamesindustry, su fatti decisamente importanti accaduti negli ultimi 12 mesi: 3, le volte che il governo statunitense ha investigato Activision Blizzard; 0, i CEO che si sono dimessi dopo aver gestito situazioni di crisi legate al clima e ai rapporti all’interno dell’azienda in Riot Games, Ubisoft e Activision Blizzard; 16, i giorni di processo nel caso che ha visto Apple ed Epic Games sfidarsi in tribunale; 400 milioni, la cifra raccolta da Star Citizen grazie al crowdfunding, ma che però non ha ancora portato a una release definitiva.

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Vendono di più delle console che le hanno precedute, ma sono ugualmente introvabili.

Lo sport del futuro è esports

Gli esports sono uno dei trend degli ultimi anni. I gamer vengono ormai comunemente definiti atleti, e l’intero settore viene trattato alla pari di un qualsiasi sport tradizionale: da questo punto di vista, anche in Italia, c’è stato un grandissimo salto culturale. Ad oggi gli esport valgono complessivamente poco più di un miliardo di dollari, con un +14,5% rispetto al 2020. La maggior parte delle revenue è legata a sponsorship, che corrispondono attualmente a circa il 60% del totale. Il pubblico che segue competizioni di questo genere è pari a 465 milioni di utenti, diviso abbastanza equamente fra chi si interessa costantemente del settore e ne è appassionato, e chi invece è un sostenitore occasionale. Anche in questo caso parliamo di numeri in crescita, dal momento che si è registrato un incremento del 6,7% sui numeri del 2020, corrispondenti a circa 30 milioni di nuovi spettatori negli ultimi 12 mesi.

Le voci in cui vengono divise le revenue legate agli esports, nel 2021.

Cosa dice il futuro?

Stando alle previsioni di Newzoo, nel 2024 il mercato dovrebbe attestarsi quasi a 220 miliardi di dollari in totale: oltre la metà di questa cifra si dovrebbe riferire al settore mobile, che beneficerebbe non poco della graduale diffusione del 5G, permettendogli di superare abbondantemente quota 100 miliardi complessivi. Il cloudgaming vedrebbe quadruplicare nel giro di 3 anni le revenue, passando dagli attuali 1,5 miliardi agli oltre 6 miliardi nel 2024: lo sviluppo di ulteriori tecnologie e l’entrata in questo campo di ulteriori attori permetterebbe un processo che, vista la “crisi” del fisico, sembrerebbe più che scontato. Gli esports, secondo le stime, vedrebbero le revenue salire del 50% circa, attestandosi sui 1,6 miliardi, grazie anche alla spinta di un pubblico che da quasi 2 anni attende di tornare a vedere le competizioni dal vivo.

Sarà veramente così il mercato nel 2024? Difficile dirlo adesso, dal momento che stiamo attraversando un periodo di incertezza a livello globale. Quello che però è certo, è che il biennio 2020-2021 ha dimostrato che nonostante tutto quello che di negativo sta accadendo nel mondo, i videogiochi sono destinati a crescere, spinti da una domanda costantemente in crescita che con le nuove console troverà strade alternative per essere soddisfatta.

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Editoriali

The Game Awards 2021, tutti i vincitori (e le nostre scelte)

Durante la notte, si sono svolti i Game Awards 2021, l’evento che premia i migliori videogiochi dell’anno e che incorona quello che è stato il miglior prodotto: il Game of the Year. Come al solito, ci aspettiamo che qualcuno non si troverà d’accordo con i premi assegnati; di conseguenza, quest’anno abbiamo voluto dire la nostra. Quali sono stati i migliori titoli del 2021 secondo la giuria del Game Awards 2021? E soprattutto, quali sono i videogiochi che avrebbero dovuto trionfare secondo la redazione de IlVideogiocatore?

Per non generare inutile caos, rispetteremo le nominee dell’evento ufficiale, ma abbiamo sentito la necessità di sottolineare ogniqualvolta non eravamo d’accordo sulle singole categorie (e alcune sono state escluse dalla nostra personale votazione, con buona pace del Most Anticipated Game).

Game of The Year

  • Deathloop
  • It Takes Two
  • Metroid Dread
  • Psychonauts 2
  • Ratchet & Clank: Rift Apart
  • Resident Evil Village

Vincitore The Game Awards 2021: It Takes Two

Il nostro vincitore: Metroid Dread

Inizialmente pensavamo fosse una scelta impopolare, ma dopo i tanti messaggi d’amore dei fan, non possiamo che farci portavoce di un nostro pensiero. Cyberpunk 2077 meritava di essere nominato nella categoria di gioco dell’anno. Nonostante l’opera di CD PROJEKT ha fallito su diversi aspetti, deludendo le aspettative di molti videogiocatori, alcuni dei giochi proposti per il GOTY sono comunque inferiori all’opera polacca.

Il Game of The Year è una categoria complessa e molto spesso soggettiva; il suo vincitore non può essere valutato secondo un vero paragone tra i titoli in gara, perché si paragonano videogiochi di generi differenti. Piuttosto, si può valutare il suo impatto nel contesto videoludico contemporaneo e sicuramente titoli come Psychonauts 2 e Resident Evil Village, due giochi solidi e divertenti, ma non capolavori, non possono definirsi superiori a Cyberpunk 2077.

Noi abbiamo scelto Metroid Dread, perché sembrava impossibile prendere il meglio da una serie di nicchia, lunga 35 anni, senza cadere nella trappola di sembrare troppo attaccati al passato o troppo irrispettosi della natura vintage della saga 2D. MercurySteam ha riportato in auge il Metroid originale, chiudendo il cerchio con un gameplay frenetico ed esplosivo, a cui si aggiunge una trama e un comparto tecnico che attribuiscono a Samus Aran il rispetto che merita.

Game Awards 2021: Metroid Dread

Best game direction

  • Deathloop
  • It Takes Two
  • Returnal
  • Psychonauts 2
  • Ratchet & Clank: Rift Apart

Vincitore Game Awards 2021: Deathloop

Il nostro vincitore: Deathloop

Siamo molto contenti di vedere l’importanza data alla game direction nel 2021; infatti, non è un caso se tutti i titoli nominati per il GOTY siano (quasi) tutti presenti anche qui. La nostra scelta è la stessa della giuria dei Game Awards 2021: Deathloop. Non è così originale vedere un’opera artistica in cui si rivive le stesse 24 ore continuamente, ma farlo in un videogioco tecnicamente eccelso come quello di Arkane Studios è tremendamente raro.

Best narrative

  • Deathloop
  • It Takes Two
  • Life is Strange: True Colors
  • Marvel’s Guardians of the Galaxy
  • Psychonauts 2

Vincitore Game Awards 2021: Marvel’s Guardians of the Galaxy

Il nostro vincitore: It Takes Two

It Takes Two è tutto quello che un amante dell’animazione Pixar vorrebbe vedere nella sua vita. L’interattività che solo un videogioco può dare all’interno di una commedia romantica ricca della cultura pop contemporanea dai tratti gotici.

Non riusciamo a capire come il GOTY dei Game Awards 2021 sia stato vinto da It Takes Two, ma la giuria non abbia dato questo premio al suo Game of The Year, dato che la forza del gioco di Hazelight Studios è proprio la parte narrativa.

Best art direction

  • The Artful Escape
  • Deathloop
  • Kena: Bridge of Spirits
  • Psychonauts 2
  • Ratchet & Clank: Rift Apart

Vincitore Game Awards 2021: Deathloop

Il nostro vincitore: Kena: Bridge of Spirits

Kena: Bridge of Spirits è sembrato fin da subito un prodotto interessante. L’uscita ha poi confermato le attese, immergendo il giocatore in un ambiente che alterna luoghi aperti a grotta, luci e ombre: il giusto mix di questi elementi gli vale il premio per la miglior direzione artistica.

Game Awards 2021: KENA

Best Indie

  • 12 Minutes
  • Death’s Door
  • Inscryption
  • Kena: Bridge of Spirits
  • Loop Hero

Vincitore Game Awards 2021: Kena: Bridge of Spirits

Il nostro vincitore: Inscryption

Best Indie è stata la categoria più difficile da valutare. In gara ci sono stati cinque titoli di altissimo profilo, che meritano di essere giocati con attenzione. Tutte le opere in gara potrebbero meritare la vittoria, ma in redazione la sfida è stata un testa a testa tra Death’s Door e Inscryption. Alla fine, ha prevalso la geniale follia del titolo di Daniel Mullins, perché il suo impatto nel 2021 videoludico è stato dirompente.

Inscryption sembra un card game, ma nasconde un mix esplosivo dei migliori videogiochi indipendenti degli ultimi anni, il cui risultato è un viaggio nell’umana paura di essere sopraffatti da qualcosa troppo grande da gestire.

Alla fine, la vittoria durante i Game Awards 2021 è andata a Kena: Bridge of Spirits. La nostra scelta è diversa, ma non la riteniamo scellerata, anzi.

Best Mobile Game

  • Fantasian
  • Genshin Impact
  • League of Legends: Wild Rift
  • Marvel Future Revolution
  • Pokémon Unite

Vincitore Game Awards 2021: Genshin Impact

Il nostro vincitore: Pokémon Unite

Creare un prodotto MOBA a tema Pokémon è indiscutibilmente una grande sfida, a maggior ragione visto il grande successo, sempre su mobile, di Pokémon Go. Pokémon Unite riesce a riproporre la saga dei mostriciattoli tascabili in una versione insolita, ma ugualmente di qualità nonostante un genere sulla quale non si è mai puntato troppo.

Sottolineiamo che Genshin Impact ha avuto una rilevanza importante durante tutto l’anno, ma non è un gioco puramente mobile. La nostra scelta è ricaduta su Pokémon Unite, perché Nintendo Switch e smartphone possono essere portati sempre con sé, mentre Genshin Impact offre la migliore esperienza su PC.

Best Action Game

  • Back 4 Blood
  • Chivalry II
  • Deathloop
  • Far Cry 6
  • Returnal

Vincitore Game Awards 2021: Returnal

Il nostro vincitore: Returnal

C’erano una volta gli FPS, adesso chiamati genericamente Action Game. Returnal può far parte di tanti generi ed è probabilmente questa la sua forza. Per questo motivo, la generica categoria Action è perfetta per premiare l’esclusiva PlayStation 5, che ha mischiato FPS e Metroidvania in un mix di altissima fattura.

Game Awards 2021: Returnal

Best Action Adventure

  • Marvel’s Guardians of the Galaxy
  • Metroid Dread
  • Psychonauts 2
  • Ratched & Clank: Rift Apart
  • Resident Evil Village

Vincitore Game Awards 2021: Metroid Dread

Il nostro vincitore: Metroid Dread

La categoria Best Action Game, oltre ad avere un titolo fuorviante, contiene videogiochi che non possono essere valutati tra loro. Qualcuno può veramente dire che Metroid Dread e Resident Evil Village siano due videogiochi dello stesso genere?

La scelta è per noi semplice: il GOTY dell’anno non può far altro che vincere anche questo premio. Congratulazioni a Metroid Dread!

Best Role Playing Game

  • Cyberpunk 2077
  • Monster Hunter Rise
  • Scarlet Nexus
  • Shin Megami Tensei V
  • Tales of Arise

Vincitore Game Awards 2021: Tales of Arise

Il nostro Vincitore: Cyberpunk 2077

Cos’è un gioco di ruolo nel 2021? I Game Awards hanno creato svariate categorie distinte per poi accorpare nella categoria dei giochi di ruolo opere imparagonabili. Capiamo la necessità di creare macrocategorie, ma Cyberpunk 2077, Monster Hunter Rise e Shin Megami Tensei V sono titoli profondamente diversi tra loro.

Se dovessimo valutare il miglior gioco di ruolo “puro”, Shin Megami Tensei V è probabilmente il titolo che ha maggiormente proposto un’innovazione nel suo genere (JRPG), mescolando meccaniche classiche e collaudate all’interno di una veste tecnica contemporanea; però, visto che dobbiamo scegliere il migliore tra i titoli proposti, Cyberpunk 2077 è quel gioco che sta qualche spanna sopra a tutti gli altri. In particolare, per quanto riguarda il GDR, la trama è semplicemente fantastica, anche nelle sue missioni secondarie e la progressione del personaggio ha una struttura di crescita che impone delle scelte, anche ai veterani del genere.

Best Sim / Strategy

  • Age of Empires IV
  • Evil Genius 2: World Domination
  • Humankind
  • Inscryption
  • Microsoft Flight Simulator

Vincitore Game Awards 2021: Age of Empires IV

Il nostro vincitore: Age of Empire IV

Dopo aver visto Age of Empires II resistere al passare del tempo per oltre 22 anni, le aspettative per il quarto capitolo della serie Microsoft erano contrastanti. Nell’eterna lotta tra lo sperare in qualcosa di eccelso e il credere che mai si potrà avere un altro AoE2, Age of Empires IV ha messo d’accordo tanti fan. Probabilmente, il seconda capitolo è realmente inarrivabile, ma il nuovo strategico di Xbox Game Studios riesce nel duro compito di riportare in auge un genere e una serie di grande valore, sia del passato, e finalmente, anche dell’attuale panorama videoludico.

Il motivo per i Game Awards abbiano creato una categoria insieme ai simulatori, con l’aggiunta di Microsoft Flight Simulator insieme a tutti gli altri titoli, è un mistero a noi ignoto.

Best sports/racing

  • F1 2021
  • FIFA 2022
  • Forza Horizon 5
  • Hot Wheels Unleashed
  • Riders Republic

Vincitore Game Awards 2021: Forza Horizon 5

Il nostro Vincitore: Forza Horizon 5

Ancora una volta, dopo aver visto strani sdoppiamenti, accorpare i giochi sportivi e i racing in un’unica categoria è semplicemente insensato; infatti, è ben noto che i giochi di guida hanno raggiunto un comparto tecnico di altissimo profilo, imparagonabile con gli sportivi più arcade. In questo strano miscuglio, Forza Horizon 5 surclassa tutti grazie a una qualità tecnica irraggiungibile dagli altri competitor; che si tratti di gioco offline, o multiplayer online, l’esperienza di guida risulta sempre e comunque piacevole e nettamente superiore a tutte le altre esperienze di gioco degli altri titoli in gara per questo premio.

Gli altri vincitori

  • Best Score and Music: NieR Replicant
  • Best Audio Design: Forza Horizon 5
  • Best Performance: Maggie Robertson as Lady Dimitrescu (Resident Evil Village)
  • Games for Impact: Life is Strange: True Colors
  • Best Ongoing: Final Fantasy XIV Online
  • Best Community Support: Final Fantasy XIV Online
  • Innovation in Accessibility: Forza Horizon 5
  • Best VR / AR: Resident Evil 4
  • Best Fighting: Guilty Gear -Strive-
  • Best Family: It Takes Two
  • Best Multiplayer: It Takes Two
  • Content Creator of the Year: Dream
  • Best Debut Indie: Kena: Bridge of Spirits
  • Most Anticipated Game: Elden Ring
  • Best eSports Game: League of Legends
  • Best eSports Athlete: Oleksandr “Simple” Kostyliev
  • Best eSports Team: Natus Vincere (CS:GO)
  • Best eSports Coach: Kim “KKOMA” Jeong-Gyun
  • Best eSports Event: 2021 League of Legends World Championship
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Editoriali

La Top 5 dei videogiochi con il peggior doppiaggio

Nei videogiochi moderni, trattati sempre più come dei film (soprattutto i titoli narrativi), il doppiaggio diventa una parte fondamentale dell’opera e, in quanto tale, può aumentarne il valore o affossarlo. Generalmente, nel settore i professionisti non vedono alcuna scena e quindi si trovano a dover impersonare un personaggio senza avere il riferimento video della scena: si doppia basandosi sull’onda sonora dell’interprete originale. Questo ha quindi portato spesso a dei prodotti che potessero risultare un po’ deficitari dal punto di vista del doppiaggio. Nel corso del tempo le cose sono un po’ migliorate, tant’è che si fa ricorso non più solo a doppiatori che interpretano un personaggio, ma proprio ad attori che, oltre alla voce, con il motion capture possono effettivamente recitare le scene che poi verranno digitalizzate e trasposte all’interno del videogioco. Un anno fa sulle nostre pagine abbiamo già parlato della localizzazione, mentre questa volta ci focalizzeremo proprio sul doppiaggio, riportando alla luce alcune opere che potevano senza alcun dubbio avere una lavorazione più attenta. Nella nostra top 5 di videogiochi con i doppiaggi horror, confezionata proprio in occasione di Halloween, andremo ad ascoltare alcune opere che si sono distinte in negativo in questo ambito. E chissà che non fosse stato meglio parlare di occasioni mancate da inserire nella lista dei videogiochi che meritavano una traduzione ma che non l’hanno avuta.

Top 5 dei videogiochi con doppiaggio horror da giocare ad Halloween

Si tratta di prodotti nella maggior parte dei casi non recentissimi, quindi sviluppati in un periodo dove era più difficile arrivare sui singoli mercati. Dal lato dello sviluppo, ci si accontentava di un doppiaggio per nulla memorabile, praticamente con il solo obiettivo di tradurre i dialoghi in italiano a scapito di tutto il resto, non curandosi troppo dell’interpretazione e del risultato finale. Dopo queste premesse, andiamo a scoprire i doppiaggi più horror dei videogiochi!

Nocturne (1999)

In un videogioco, normalmente non ci si aspetterebbe una voce con un inconfondibile accento romagnolo, o almeno se non fosse contestualizzato in qualche modo. Tutto ciò non succede in Nocturne, dove in un momento molto cupo assistiamo a una scena che sembra essere stata doppiata senza avere idea del contesto in cui ci si trova. Oltre all’accento, però, stona proprio l’interpretazione, che risulta essere troppo pimpante. Nel video è inoltre possibile notare anche il mancato synch fra voci e sottotitoli.

Haven: Call of the King (2002)

Per quel che riguarda Haven: Call of the King, il mercato italiano forse non è stato ritenuto sufficientemente importante da meritarsi un doppiaggio ad hoc. Le voci sono chiaramente straniere, quindi presumibilmente sono stati “riciclati” gli attori originali. Non c’era strumenti come Google Translator o siti che potevano aiutare a capire la pronuncia delle parole, e quindi il risultato è un disastro: quella che doveva essere una scena in cui si spiegava qualcosa di importante non è chiara per nulla.

Call of Cthulhu: Prisoner of Ice (1995)

L’ambientazione lovecraftiana generalmente è facilmente affiancabile ai prodotti horror. Nel caso di Call of Cthulhu: Prisoner of Ice a spaventare non è quello che vediamo, ma quello che ascoltiamo. Una richiesta d’aiuto, che dovrebbe essere straziante, in realtà risulta così poco convinta che assume un aspetto comico. Abbiamo da una parte un personaggio ferito, presumibilmente disperato e spaventato, e al contempo gli viene affiancata una voce e un’intonazione da parodia. L’unica soddisfazione è che anche il doppiaggio originale non è che brilli particolarmente…

Alpha Prime (2007)

In Alpha Prime viene mostrato Bellini, lo stereotipo italiano all’estero: un inglese incerto in cui si pronuncia ogni singola lettera, parole italiane inserite fra una frase e l’altra, senza dimenticarsi dei gesti esasperati quando si parla. Probabilmente al pubblico internazionale può andare anche bene così, poiché magari veniamo visti così noi italiani e quindi la differenza non viene nemmeno percepita più di tanto. Per noi, che invece riusciamo a capire il miscuglio di parole inglesi e italiane, la scena risulta particolarmente comica. La tristezza più grande? Il doppiatore, che è italiano.

King’s Field IV (2001)

La cima della classifica dei videogiochi con i doppiaggi horror per Halloween è occupata da King’s Field IV. Valgono più o meno le considerazioni fatte per Haven: Call of the King, quindi doppiatori inglesi, pronuncia non perfetta. Ma ci sono delle aggravanti: il testo è molto velocizzato, manca un’intepretazione e, soprattutto, viene detta una parola che in italiano nemmeno esiste. Oltre agli accenti sbagliati, la parola “traccia” diventa “tracchia”. Oltre a questo, mettendo a confronto la versione inglese con quella italiana, si nota come il testo tradotto sia veramente troppo lungo, tant’è che in scene dove in originale c’è silenzio, il doppiaggio è ancora presente.

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Tecnologie

Tennis For Two: milestone della storia del videogioco

Il 18 ottobre 1958 “usciva” Tennis For Two, considerato il primo videogioco mai sviluppato. In realtà ci sono molte discussioni a riguardo la storia del settore, un po’ perché negli anni ‘50 il videogioco era un concetto diffuso più in ambito accademico (senza considerare quei progetti scritti su carta e mai realizzati), un po’ perché quello che veniva definito “videogioco” all’epoca non era lontanamente paragonabile, per meccaniche e forme, ai prodotti moderni. Per questo motivo, in base a quali criteri vengono scelti, Tennis For Two non può essere indicato in maniera univoca e universalmente riconosciuta come il primo videogioco, ma senza ombra di dubbio è uno dei primissimi mai sviluppati.

Tutta la potenza di calcolo (e tutto lo spazio) che serviva a cavallo fra anni ’40 e ’50 per poter supportare lo sviluppo di un videogioco come OXO.

Negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, a livello universitario, o comunque lontano dagli occhi del pubblico, c’erano molti esperimenti che miravano a mostrare come un computer potesse “giocare” a qualcosa, seppur di semplice. In questo senso, ancora prima di Tennis For Two, possiamo trovare interazioni fra uomo e macchina che riprendono giochi con dinamiche calcolabili a livello matematico: nim o tris, rispettivamente trasposti nel Nimrod e in OXO, che contendono a Tennis For Two il titolo di “primo videogioco”. La componente ludica era decisamente limitata, ma appunto lo scopo non era quello di essere divertenti né di intrattenere. 

Tennis For Two: 63 anni portati bene

Tennis For Two era invece un prodotto di per sé molto più moderno, almeno vagamente affiancabile a quelli che conosciamo tutt’oggi: c’era uno schermo, c’erano delle manopole che funzionavano come joystick, era multiplayer e, a differenza dei suoi “predecessori”, era stato concepito proprio per intrattenere. È stato sviluppato nel giro di pochi giorni da William Higinbotham, che di mestiere faceva il fisico e non il game designer: durante la sua carriera ha partecipato al progetto “Manhattan”, riferito agli studi sulla bomba atomica, e ha brevettato una serie di invenzioni legate al mondo della fisica. Nulla che facesse intendere a una carriera da game designer.

William Higinbotham aveva sfruttato un oscilloscopio, uno degli strumenti usati nel suo laboratorio, ricreando un campo da tennis visto di lato. Con delle manopole si poteva far rimbalzare la palla dall’altro lato della rete, e dopo una serie di aggiornamenti si poteva anche agire sui parametri che ne definivano la parabola. Non aveva quindi creato una console o un sistema ad hoc, ma si era limitato a prendere oggetti già a disposizione. Li ha ricombinandoti e ricontestualizzati, in modo da realizzare qualcosa di totalmente nuovo.

Tennis For Two: la linea orizzontale è il campo di gioco, quella verticale è la rete.

Da esperimento a mezzo di intrattenimento

Proprio in questo momento la storia del settore cambia, soprattutto a livello culturale. Se prima il videogioco era considerato alla stregua di un esperimento elettronico che esaltava l’interazione uomo-macchina, William Higinbotham gli ha dato una funzione di intrattenimento, accessibile a un pubblico più ampio: era infatti stato posizionato all’interno del Brookhaven National Laboratory di Long Island (New York), con lo scopo di intrattenere i visitatori. Dopotutto non esisteva un mercato del videogioco, non c’erano negozi o strutture specializzate in questo genere di prodotti, mentre nelle sale giochi dell’epoca spopolavano soprattutto flipper e altre attività meccaniche. Bisognava anche considerare un ulteriore elemento: a quei tempi un computer che supportava un semplice prodotto videoludico occupava un’intera stanza, di conseguenza una commercializzazione massiccia necessitava di spazi enormi.

Una volta iniziato a concepire il videogioco come intrattenimento, sono passati una decina d’anni prima di vedere una diffusione capillare sul territorio del nuovo medium. Con il progresso tecnologico, computer che prima occupavano una stanza adesso potevano essere inglobati all’interno dei primi cabinati, che approdavano in sala giochi fra anni ‘70 e ‘80. Oltre ai videogiochi in sé, che di anno in anno si perfezionavano sempre di più tecnologicamente e graficamente aggiungendo qualche elemento rivoluzionario per l’epoca, si lavorava anche sulle componenti con i quali l’utente interagiva: potevano essere joystick, home console e relative cartucce. La ricerca non si ferma nemmeno oggi, visto che assistiamo a una continua pubblicazione di nuove periferiche che risultano essere sempre più ergonomiche ed efficienti.

Sviluppare videogiochi quando non esistevano i videogiochi

Vista la diffusione e il successo crescente in sala giochi, e trattandosi ormai di un fenomeno aperto a tutti, è aumentato esponenzialmente il numero di titoli disponibili sul mercato, portando conseguentemente un incrementato della concorrenza. Molte aziende, che inizialmente si occupavano di altri business, hanno riconvertito l’attività e sono entrate nel settore videoludico intravedendone le future potenzialità di guadagno: tra queste c’era anche Nintendo, creata a fine ‘800 (ben prima del Nimrod, OXO e Tennis For Two), che prima di sviluppare videogames si occupava di carte da gioco hanafuda, ma anche di taxi, riso, aspirapolveri e love hotel.

William Higinbotham è scomparso nel 1994, un mese prima dell’uscita della PlayStation in Giappone, ma ha potuto vedere cosa è diventato il mercato del videogioco. In quei primi 36 anni che sono passati dal suo Tennis For Two, ne ha constatati molti di progressi: ha assistito a Pong, Pac-Man, Super Mario, e al Game Boy, vivendo quelle che sono le prime quattro generazioni di console e l’inizio della quinta. E pensare che tutto quanto è partito da un oscilloscopio modificato con lo scopo di intrattenere

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Editoriali

PES si trasforma in eFootball e diventa gratuito: il ricchissimo mondo dei free-to-play

PES diventa eFootball, e per la prima volta Konami punta sul titolo calcistico con un modello free-to-play. C’erano già state delle anticipazioni a riguardo: da qualche anno viene messa in commercio la versione Lite, qualche mese dopo la release ufficiale, con le funzioni limitate al multiplayer, e lo scorso anno non è uscito PES 2021 ma un update, che sostanzialmente andava ad aggiornare il titolo precedente senza stravolgerlo. A distanza di un anno, però, le cose sono totalmente cambiate, a cominciare dal motore grafico, quindi proprio dalle basi. Sparisce il “PES” dal nome, storico marchio del videogioco, si passa a eFootball, e per giocare basterà scaricarlo. FIFA invece continuerà con la solita formula, cioè uscita annuale a prezzo pieno, più ovviamente tutte le micro-transazioni e le relative polemiche. Ma siamo sicuri che in Konami stiano facendo la scelta giusta? Intanto scopriamo cosa si cela dietro a un prodotto free-to-play.

Che cosa significa free-to-play

Il termine free-to-play, letteralmente “gratis da giocare”, descrive quei videogame che possono essere scaricati senza alcun costo aggiuntivo. Non obbligatorio almeno. Per rendere sostenibile questa tipologia di prodotti, publisher e sviluppatori devono puntare su alcune caratteristiche che possano permettergli di rivaleggiare con titoli nuovi. Statista valuta che nel 2021 il mercato del free-to-play mobile sia intorno ai 100 miliardi di dollari, con una netto apporto del mobile (75%, con un contributo dei player asiatici che vale oltre la metà del segmento), seguito da PC (23 miliardi) e console (2 miliardi). Questi ultimi due sono parecchio indietro, ma la spiegazione è che i prodotti di nota sono sensibilmente di meno (esistono migliaia di ottimi giochi mobile, e spesso di tratta di cloni), e al fatto che lo sviluppo su queste piattaforme è soprattutto legato al mondo multiplayer e, di conseguenza, necessita di un lavoro più lungo e che coinvolge più figure professionali.

Il poter arrivare a tante persone senza doverne pretendere l’acquisto è sicuramente il vantaggio principale del free-to-play, almeno per poterli attrarre una prima volta. Se questo è efficace per l’approccio, però, poi è necessario trovare il modo di farli rimanere connessi e di renderli degli utilizzatori abituali. Bisogna quindi aggiornare il videogioco, continuamente, per far sì che ci sia un’effettiva convenienza a giocare e a collegarsi quotidianamente (o quasi). Come suggerisce Medium, anche i live event possono fare un’enorme differenza, portando a connettersi cifre di giocatori generalmente insolite. In Fortnite è possibile assistere a eventi speciali. Specialissimi anzi, perché parliamo di un fenomeno che è uscito (positivamente) molto al di fuori del contesto videoludico. All’interno del gioco, nel 2020 è stato mostrato un trailer in esclusiva, e  non parliamo di un film di nicchia o di un regista emergente: si tratta di Tenet, di Christopher Nolan, che ha scelto un palco insolito per presentare un prodotto cinematografico. Altri casi che hanno visto Fortnite come protagonista sono i concerti. Marshmello, Travis Scott, Ariana Grande e altri ancora si sono esibiti virtualmente: gli utenti si connettono, e possono assistere all’interno del videogioco a uno spettacolo vero e proprio. Tutte queste attività sono un’elevazione alla n-esima potenza del concetto di “far rimanere i giocatori”.

Come si monetizza da un gioco gratuito?

Ma se finora abbiamo parlato di come far arrivare gli utenti, come si fa a monetizzare? Semplicemente gli si dà il videogioco gratuitamente, e poi gli si fa pagare degli extra facoltativi, che possono aiutare ad esempio a customizzare il proprio personaggio e la propria esperienza di gioco, o semplicemente levare i banner pubblicitari (su mobile). In altri casi si possono acquistare dei veri e propri vantaggi in-game, ma lì ci si allontana un po’ dal classico free-to-play: per i videogiochi sportivi può essere un atleta in particolare o l’aver maggiori possibilità per raggiungerlo, negli FPS possiamo parlare di armi, abilità speciali, e così via. La legge dei grandi numeri dice che più sono i giocatori, più sono quelli che pagano. E quindi si torna al punto precedente, cioè il tenersi stretti quelli che entrano in contatto con il videogame e che sono disposti a investirci tempo e risorse. Un ulteriore boost in questo modo sono anche gli aggiornamenti legati a specifici eventi: Pasqua, Halloween, Natale, e magari altri appuntamenti legati al Paese della casa di sviluppo. In questi frangenti è possibile avere accesso a mappe, modalità di gioco inedite oppure oggetti rarissimi, spingendo di conseguenza ancora più persone a restare in-game. 

Nel marketing viene valorizzato sempre di più il concetto direlazione”. Questo significa che ottimizzare la singola transazione (l’utente che spende 70 euro) è una grande operazione, poiché si riesce a vendere al prezzo desiderato e gli obiettivi minimi di business vengono soddisfatti, ma se si riesce a rendere il rapporto più duraturo, nel lungo periodo si guadagna molto di più. Semplificando il concetto al massimo, viene fatta una stima che tiene conto di quanto un utente può rimanere attivo e quanto è disposto a spendere in un certo lasso di tempo. Il free-to-play si basa proprio su questo concetto, perché non si presta più alla massimizzazione di un acquisto solo (il videogioco, fisico o digiale) ma si punta quasi esclusivamente sulle micro-transazioni che, singolarmente, possono essere risibili e accessibili, ma che sommate nel lungo periodo possono portare a grandi cifre: nel 2020, Honour of Kings è arrivato a 2,45 miliardi di dollari. Non mancano comunque i prodotti non free-to-play che puntano molto su questo modello di business, con la differenza che necessitano di una spesa iniziale.

PES diventa eFootball: la svolta free-to-play è giustificata?

Tornando alla domanda principale: che conviene realizzare un videogioco free-to-play? La risposta è dipende“. Ancor prima della pubblicazione del videogioco bisogna ragionare sulla tipologia di prodotto che si sta creando, sulle risorse finanziarie a disposizione e sulla quantità e qualità degli aggiornamenti che sono previsti dopo il rilascio. Nel caso specifico di eFootball, probabilmente ci sono le condizioni giuste per rendere il modello sostenibile. Ha sicuramente una grande fanbase potenzialmente molto ampia, che nel corso del franchise ha generato 111 milioni di vendite e 400 download su mobile. Il tipo di gioco poi si presta ampiamente ad update ed eventi speciali, come succede già adesso: aggiornamenti in base alle prestazioni di calciatori e squadre, inserimento di campioni del passato. La possibilità di monetizzare invece può essere data dall’acquisto di valuta in-game, o direttamente di calciatori e di skin uniche. Bisogna però anche tenere conto dell’effettiva qualità del risultato finale, il videogioco in sé, che pare non essere stato troppo apprezzato dagli utenti e che vedono eFootball 2022 come un passo indietro rispetto a PES 2021.

Se, almeno esternamente, sembrerebbe una scelta sensata quella di passare al free-to-play, “sacrificando” gli incassi dati dalla vendita del videogioco base per accrescere (sensibilmente) il proprio seguito, la vera domanda da porsi è se questa rivoluzione del franchise basterà per superare FIFA, il rivale di sempre. In realtà ci sarebbe un altro quesito, perché quella che è spesso stata definita una lotta a due, da quest’anno con UFL potrebbe essere a 3. Non sappiamo ancora troppo di quest’ultimo, se non che è gratuito e che quindi opera nello stesso “campo” di eFootball 2022; il free-to-play.

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Società

E3 2021, il primo evento next-gen è troppo old-gen

L’E3 è tradizionalmente uno degli appuntamenti più attesi dai videogiocatori, nonché una delle occasioni per i publisher per mettere in mostra la loro (futura) line-up, sapendo di avere milioni di occhi puntati da tutto il mondo. Nel 2020, a causa dei problemi levati alla pandemia, l’E3 non si è potuto svolgere: nel giugno scorso eravamo ancora in piena emergenza, e realizzare un evento di presenza era fuori discussione prima del 2021. In compenso però c’è stata una vetrina online simil-E3, che ha comunque permesso alle compagnie di aggiornare i gamer sui propri titoli.

L’ultimo E3 “normale” è quello di due anni fa, quindi: venivano mostrati o annunciati Star Wars Jedi Fallen Order, Ori and the Will of the Wisps, Elden Ring, Fallout 76, Watch Dogs Legion, Gods and Monsters (che poi è diventato Immortals Fenyx Rising), Marvel’s Avengers o Ghostwire Tokyo, tanto per citarne alcuni. Era  l’anno in cui Keanu Reeves è salito sul palco a rendere noto il suo coinvolgimento in Cyberpunk 2077, ad annunciare la prima data d’uscita e a urlare “you’re breathtaking!”. Ed era anche l’estate in cui si pensava che Google con Stadia stesse quasi per rivoluzionare l’industria.

Ma allora Elden Ring non se l’erano scordato!

Dal 2019 al 2021: quanti titoli!

Molti dei prodotti di quel 2019 ormai sono usciti, ma ce ne sono molti di cui si sono un po’ perse le tracce, e fra questi, fino a una settimana fa, avremmo potuto citare anche Elden Ring. L’impossibilità di realizzare un E3 dal vivo, così come anche gli altri appuntamenti di questo genere, hanno comunque dato la spinta alla realizzazione di altri eventi, online, realizzati e gestiti nei modi, nei tempi e nei format direttamente dai publisher: le informazioni sono ugualmente circolate nel corso del 2020/2021. 

Poche settimane fa discutevamo dei dilemmi della next-gen: la scarsità di console per il bacino d’utenza attuale porta tutti i publisher a fare valutazioni e prendere decisioni delicate riguardo l’esclusività o il rinvio di alcuni prodotti. La domanda fondamentale che si fanno è: “facciamo uscire il titolo adesso, sapendo che lo potranno giocare in (relativamente) poche persone, leviamo alcune meccaniche e lo rendiamo cross-gen, o lo rimandiamo a quando ci saranno più console?”. Un quesito da (almeno) 1 miliardo di dollari, visto il settore in continua crescita. 

Per un E3 completamente immerso nella next-gen dovremo aspettare il 2022. Forse.

E3 2021: com’è andata?

A distanza di due anni, come possiamo definire l’E3 2021? A livello personale non mi ha entusiasmato molto, se non per qualche titolo (ma li posso contare sulle dita di una mano). Dopotutto possiamo ritenere possibile che quanto mostrato ora sia il frutto di mesi di lavoro passati in quarantena o in smartworking, un periodo in cui poteva essere difficile essere produttivi.

Dopo una pausa di due anni dell’E3 era lecito aspettarsi qualcosa di fenomenale, possibilmente su next-gen. Invece continua a mancare la “killer app”, quel videogioco capace di farci rompere ogni indugio per cercare e acquistare a tutti i costi una PlayStation 5 o una Xbox Series X|S. Finora ero convinto di aspettare la disponibilità in negozio (senza fare la fila online) o qualche bundle interessante, e niente di quanto visto pochi giorni fa mi ha fatto vacillare: continuerò ad attendere.

A distanza di mesi, è ancora la miglior esclusiva next-gen.

L’E3 2021 che avrei voluto

Non mi aspettavo di certo che gli annunci originariamente pianificati per il 2020 avrebbero subito un rinvio di 12 mesi, ma sicuramente al primo E3 post-next-gen avrei accolto con gioia una sorta di rivoluzione” improntata molto più su PlayStation 5 e Xbox Series X|S. Anche perché i videogiochi annunciati possono uscire anni dopo aver mostrato un trailer.

Sarà che forse avevo aspettative troppo alte, e che reputo l’E3 il palco più prestigioso per certi annunci, ma ho recepito in maniera un po’ sofferente i vari DLC o le nuove stagioni di prodotti già usciti, i remake e gli spin-off: probabilmente è una questione legata alla situazione in cui ci troviamo, che ha portato a un rallentamento dei lavori di sviluppo e la scarsità di console, e di conseguenza numero di giocatori che possono fruire dei nuovi videogiochi.

Sarà interessante capire le novità che ci saranno da qui a fine anno, anche per capire come sta andando la produzione e quali saranno le prime compagnie che romperanno gli indugi per produrre quei videogiochi che PlayStation 4 e Xbox One proprio non possono supportare.

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Editoriali

Il 2021 dei videogiochi, ancora sospesi tra le generazioni

Sei mesi fa (più o meno), è iniziata la next-gen, con Microsoft e Sony che hanno permesso di toccare con mano le nuove console (più o meno). Sono noti ovviamente tutti i rallentamenti sulla produzione, in parte a causa del COVID-19, che ha colpito proprio nel momento in cui si doveva lavorare duramente, in parte per la scarsità di alcuni materiali indispensabili per le console. E si tratta di problemi che si portiamo dietro ancora oggi.

In questi giorni è ancora difficile trovare una nuova Xbox o una PlayStation in negozio, e le uniche in vendita sono online: nonostante si parli di milioni di unità vendute, siamo ancora lontanissimi dal soddisfare la domanda. Se teniamo conto della base di giocatori console Microsoft/Sony, siamo intorno ai 160 milioni in totale.

Microsoft Xbox Series X and Playstation 5

Poca next-gen, tanta old-gen

La buona notizia? Che non ci sono ancora molti prodotti next-gen sul mercato videoludico, quindi la “fortuna” è che Xbox One e PlayStation 4 sono tutt’altro che superate. Quello che però è positivo per l’utente, non è detto che lo sia anche per l’azienda, che ancora oggi deve trovarsi a supportare una piattaforma vecchia, che quest’anno compie 8 anni, al di là dei periodici aggiornamenti hardware.

Una next-gen lanciata cosìpresto”, senza poter garantirne la disponibilità è un doppio problema: innanzitutto l’utente scontento, che dopo anni di supporto potrebbe puntare nuove soluzioni, come l’acquisto della concorrenza, di un PC o un definitivo passaggio al cloud (che nei prossimi anni si perfezionerà, vero?); l’altro punto riguarda la distribuzione, perché non puoi vendite giochi se non hai una base numerosa installata.

Nel 2021 sono previsti, almeno per ora, i sequel di Horizon Zero Dawn e God of War: i franchise hanno venduto più di 10 milioni di copie ciascuno su old-gen, ma già sappiamo che entro fine anno questo risultato difficilmente sarà replicabile visto che al momento sono state vendute circa 8 milioni di PlayStation 5. Vale la pena lanciare qualcosa di incredibilmente futuristico che potranno giocare in (relativamente) pochi, e che al lancio farà registrare sicuramente numeri inferiori ai titoli precedenti?

I record di vendite dei videogiochi per PlayStation 4 al momento sono imbattibili.

Nel 2021, ma con un occhio al 2013…

L’alternativa sarebbe sviluppare una versione che possa andare bene anche per la old-gen: praticamente nel 2021 si lavora per far girare un gioco su una console del 2013. Se il downgrade riguarda solo l’aspetto grafica, è più che comprensibile, ma se in questo adattamento si perdono ad esempio delle meccaniche di gioco, la situazione è più seria. Si dovrebbero limare tutte quelle nuove funzionalità rese possibili con la next-gen. A maggior ragione i titoli first party dovrebbero essere quelli che possono sfruttare con più maestria ogni caratteristica dell’upgrade e valorizzarla al massimo.

La non reperibilità delle console non è un problema risolvibile “solo” con la produzione, ma incide significativamente sulle strategie sul lungo periodo: quali giochi sviluppare? Quando pubblicarli? Su quali console? Tutte domande che prevedono una pianificazione con diversi anni d’anticipo e quindi un investimento di ingenti risorse (economiche e non) per portare quel contenuto specifico sul mercato, nel momento giusto.

Dopo oltre 6 mesi, potremmo vedere la prima esclusiva next-gen di un certo spessore.

Pianificazione andata in fumo

Uscire con un gioco nel 2021 è una scelta pianificata ben prima della pandemia, quindi un intoppo che riguarda non solo il singolo prodotto ma tutta la filiera, rischia di stravolgere completamente ogni strategia pensata in futuro. A distanza di sei mesi non abbiamo ancora avuto la killer app, il titolo travolgente che ti spinge a comprare una console specifica e, probabilmente, fino all’autunno almeno non avremo delle novità su questo fronte.

Questi problemi di pianificazione fanno presumere che grandi progetti inizialmente pensati per il 2024/2025 possano subire dei cambiamenti di qualche genere: probabilmente non si produrrà più su vecchie console, ma in fase di sviluppo non sappiamo quali conseguenze potrebbero esserci, che poi potrebbero presentarsi all’utenza come continui rinvii o, peggio, un prodotto non all’altezza della aspettative.

Magari l’E3, o altri grandi eventi, ci mostreranno titoli AAA non ancora annunciati o con una data d’uscita, ma difficilmente grandi franchise faranno le loro mosse fra luglio e agosto, quindi bisognerà aspettare settembre, che potrebbe aprire la “grande era della next-gen”, finora esplorata fin troppo poco e con un potenziale mostrato solo a sprazzi. Si potranno fare i confronti con i lanci di PlayStation 4 o Xbox One, delle varie line-up lancio e post-lancio, delle vendite o delle disponibilità delle console, ma sono passati quasi 10 anni e inevitabilmente ogni paragone va quindi “pesato” il giusto. Siamo nel 2021, la cultura del videogioco, e il videogioco stesso, sono totalmente diverse dal 2013.

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Tecnologie

Ogni anno è l’anno della VR

Ogni anno è l’anno della VR. Puntualmente, ogni dodici mesi, ripetiamo questa stessa frase, ma poi non lo è mai davvero. La realtà virtuale è indiscutibilmente il futuro (come lo sarà nel breve l’augmented reality), ma forse per ora siamo troppo in anticipo con i tempi, un po’ perché l’utente medio si vede ancora con un joystick in mano, un po’ perché per costi è qualcosa che difficilmente può essere alla portata di tutti i giocatori, in base a quello che offre al momento. 

Finora è mancata la killer app, quel videogioco che spinge ad acquistare la console, o il visore nel caso specifico. Non che il mondo della VR non abbia sviluppato prodotti di qualità nel frattempo, ma non c’è ancora stato nulla di così eclatante e mainstream da contribuire alla diffusione dei visori, né tantomeno spingere i grandi publisher a investire pesantemente nel settore: le maggiori IP ad oggi sono da giocare joystick alla mano. 

Half Life Alyx, e poi?

Half Life Alyx doveva in questo senso essere un apripista nel settore VR anche per altre grandi compagnie, ma un po’ per il lancio dei giochi su next-gen, un po’ perché in periodo di pandemia, forse è consigliabile andare sul sicuro piuttosto che sperimentare qualcosa di nuovo. In ogni caso, magari qualche big dell’industria è già al lavoro su qualcosa da portare in realtà virtuale, solo che ancora non lo sappiamo.

Al contempo è anche difficile a questo punto, con miliardi di gamer (PC, console e mobile) abituati al “classico” videogioco, diffondere un nuovo modo di vivere l’esperienza ludica dove si è parte integrante dell’opera, un po’ come un pilota di moto che, una volta in sella, è parte del veicolo e contribuisce con i propri movimenti all’aerodinamica. Si tratterebbe di una svolta epocale, ancora più di quando si è passati dalle sale giochi alle home console: all’epoca il fenomeno gaming era fin troppo poco diffuso e di nicchia. 

Giochi AAA solo per PlayStation, Xbox e Nintendo

Oltre al lato ludico dei videogiochi, bisogna anche parlare di costi: una PlayStation o una Xbox di ultima generazione costano 500 euro, una Nintendo Switch circa 300 euro. A fronte di una spesa del genere, abbiamo accesso a migliaia di videogiochi AAA (e anche indipendenti). Viceversa, se parliamo di realtà virtuale non abbiamo una libreria così vasta da fornirci la convinzione di acquistare un visore piuttosto che una console più mainstream.

Forse in futuro quando potremo avere tecnologie top a costi decisamente inferiori, sarà possibile avere una fruizione più facilitata ed economica della realtà virtuale. Oltre ai costi del visore parlo anche delle tute aptiche, che permettono di poter inserire le sensazioni tattili nel videogioco, o anche un tappeto omnidirezionale, per poter camminare e non essere più limitati alle misure di una stanza.

Qualche acuto della VR

Ci sono già le tecnologie adatte, e sul web è possibile vedere com’è effettivamente giocare correndo (sul posto) o sentirsi toccati da qualcuno, ma al momento hanno costi non accessibili al gamer medio. Quando però nel futuro sarà più facile mettere mano su visori, tute e tappetini, allora potremo avere un’evoluzione interessante della VR, con i (poveri) sviluppatori che dovranno tenere in considerazione ancora più elementi in ambito di game e level design. 

Ma non è solo una questione di costi, perché poi occorre proprio entrare nelmood VR”. Se con PlayStation, Microsoft e Nintendo basta prendere in mano un joystick, quando cerchiamo un’esperienza più immersiva allora dobbiamo sapere che è qualcosa di molto più impegnativo, fra “vestizione” ed eventualmente la ri-calibrazione (se lo usano più persone) dei vari sensori.

Cosa manca alla VR

Il principale scoglio della VR è ora quello di superare quella iniziale diffidenza dei giocatori e quell’indifferenza dei grandi publisher, che non hanno ancora seriamente puntato sulla realtà virtuale. Ho partecipato ad alcune fiere di settore come “addetto alla VR”, e quando proponevo alle persone di provare il visore c’era anche un buon numero di utenti terrorizzati. A livello di publisher, lo scorso anno Sony ha riferito di aver venduto circa 5 milioni di PSVR e 115 milioni di PlayStation 4: praticamente quattro giocatori su 100. Ancora troppo poco. 

Il secondo ostacolo invece è dato dai limiti tecnologici, perché un’esperienza veramente coinvolgente e “comprensibile a tutti” necessita di tanti soldi (qui un esempio di alcuni visori consigliati). Non parliamo di sviluppo, perché (teoricamente) è sempre possibile trovare dei finanziatori, ma di investimenti importanti che deve fare l’utente.

In futuro probabilmente sarà molto più normale vivere un videogioco dall’interno, ma anche un film o una serie tv. Potremo forse sentire fisicamente le sensazioni che i designer hanno pensato per noi ed essere indubbiamente più protagonisti dell’opera. Nel frattempo, in attesa di essere noi stessi parte del videogame, possiamo usare tutti i vantaggi della VR e dell’AR in combinazione, per arricchire quella che è l’esperienza ludica del momento: quanto sarebbe bello avere a portata di mano un visore e una pista di kart, e combinarli assieme?

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Editoriali

Tornano le PlayStation 5, ma solo per pochi fortunati

Marzo doveva essere il mese delle PlayStation 5, stando alle pagine social di un’importante catena che tratta prodotti videoludici. La realtà è però molto diversa, perché è vero che settimanalmente sono state messe in vendita nuove console, ma è altrettanto evidente che fossero poche, in relazione alle richieste: qualche mese fa un mio amico era il cliente in lista numero 110 mila, quindi parliamo di cifre a cinque zeri.

Calcolando che la PlayStation 4 ha venduto in Italia circa 4 milioni di unità, di persone da soddisfare ce ne sono potenzialmente tantissime. Sono ovviamente numeri relativi a tutta la generazione, quindi più o meno fra 2013 e 2020, e parliamo mediamente di 500-600 mila ogni anno

Nei giorni scorsi sono apparsi dei post in cui veniva pubblicata la disponibilità di PlayStation 5 ma, nonostante la buona notizia, in molti sono rimasti delusi per non essere riusciti ad acquistarla, per l’ennesima volta da settembre ad oggi. In alcuni casi, nei commenti, si sono anche lamentati coloro che hanno dato via la propria PlayStation 4, ipervalutata a settembre (50 euro in più), dal momento che non hanno ancora ricevuto una console prenotata quasi sei mesi fa e che si trovano a leggere che invece c’è disponibilità adesso.

In totale sono oltre 100 milioni le persone che hanno acquistato una PlayStation 4.

Sei mesi per una PlayStation 5 prenotata

C’è qualcosa che sicuramente non va. Da utente appassionato non posso ovviamente comprendere le dinamiche che ci sono dietro a queste strategie: non so quante sono le prenotazioni esatte né quanti sono i clienti potenziali con precisione o i comportamenti della concorrenza, ma posso ugualmente percepire questa situazione come decisamente frustrante per chi spera ogni volta di mettere le mani sulle console next-gen e che, dopo essere messo in lista d’attesa, puntualmente scopre che tutte le scorte sono terminate.

Non ho provato ancora ad acquistare la PlayStation 5, perché punto a qualche bundle più in là nel tempo (le esclusive next-gen per ora non le trovo molto esaltanti), ma in ogni caso in quei momenti specifici non ero fisicamente al PC e non avrei potuto comprarla nemmeno volendo. Chi però ha tentato, fra i miei amici e contatti, è rimasto ulteriormente deluso, perché ogni volta parte fiducioso e carico di entusiasmo, per poi rendersi conto di aver atteso per nulla.

Questi continui annunci alla lunga non fanno altro che spazientire le persone, perché i più temerari ogni volta si collegano al sito, anche con più dispositivi, iniziano a perdere fiducia e a chiedersi se veramente queste console ci siano o se invece sia solo una trovata per far cliccare la gente sul sito.

Non c’è algoritmo che tenga: per acquistare la PlayStation 5 serve solo un po’ di fortuna.

Ma le cause sono anche esterne

Le cause di ciò ovviamente sono anche di questa crisi mondiale, che è un po’ alla base di tutto. La produzione è stata molto rallentata, e quindi le scorte del 2020 inevitabilmente sono state minori di quanto inizialmente preventivato: il periodo di lancio si sapeva che sarebbe stato durante le holidays, e un rinvio di qualche settimana avrebbe comunque fatto poco. A tutto questo vanno aggiunti i lockdown, che hanno sia ridotto il potere d’acquisto dei clienti, sia le possibilità di vendere ai negozi fisici, a volte chiusi, a volte accessibili con limitazioni.

Da semplice utente che vuole portarsi a casa una PlayStation 5, preferirei senza dubbio trovarmi una scorta più corposa, ma meno frequente. Praticamente l’opposto di adesso. Se è vero che con un rilascio sul mercato più diluito posso avere più occasioni di acquisto, il contro è che la percentuale di successo con poche console è veramente bassa, a maggior ragione quando non sappiamo nemmeno quante PlayStation 5 sono disponibili di volta in volta: decine? Centinaia? Migliaia? Vista la velocità con cui vengono esaurite, non penso moltissime.

E poi sappiamo di tutti i problemi causati dai bagarini, che acquistano le console e le rivendono a prezzi maggiorati, usando bot e sistemi di vario tipo, che inevitabilmente ne vanno a minare la disponibilità. Dopo tutto ciò che è successo negli scorsi mesi, forse siamo anche un po’ sfiduciati a prescindere, perché dovremmo superare sia la concorrenza “legale”, cioè gli altri clienti, sia quella irregolare, derivante da utenti che hanno come obiettivo solo la rivendita.

I prezzi giusti, quelli decisi dall’azienda: se trovate prezzi più alti (e non legati a bundle), qualcosa non torna.

Io aspetto

Io per ora non acquisterò la PlayStation 5 (e non sono l’unico): l’upgrade lo farò presumibilmente tra fine 2021 e inizio 2022, quando sarà passato oltre un anno dalla release. Non sono un amante delle file chilometriche nei negozi, né dell’attesa compulsiva davanti a un PC: andrò al negozio solo ed esclusivamente quando avrò la certezza (o quasi) di poterla toccare con mano. Senza sperare nella fortuna, senza dover fissare uno schermo per ore, senza ricorrere ai bagarini. Esattamente come feci con la PlayStation 4, presa un anno dopo e con GTA V incluso nel bundle.

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Editoriali

Immortals Fenyx Rising in offerta: perché è ingiusto

Immortals Fenyx Rising è in offerta: 40 euro, a più o meno una settimana dal lancio. Ottimo per chi vuole comprarlo, devastante per chi lo ha già acquistato. Non si tratta di rivenditori inaffidabili che operano in una zona “grigia” della legge, ma di buona parte delle catene di elettronica/videogiochi, segno che non è una trovata aggressiva da parte di un singolo dettagliante per prevalere sui competitor. Al di là di ogni logica di marketing, questo taglio così netto oggi non ha senso di esistere. Non parlo a livello di convenienza, perché Ubisoft e tutti i rivenditori avranno dati a supporto di ciò, anche se ne dubito, ma proprio di correttezza.

Chi si è fidato e ha voluto dare credito al gioco pagandolo in anticipo probabilmente non lo ha ancora nemmeno finito, eppure è già disponibile a metà prezzo. E fosse un episodio isolato un utente se ne può anche fare una ragione: è stato sfortunato. Ma quando succede due volte nel giro di poche settimane, come già visto con Watch Dogs Legion, possiamo parlare di caso? Comprereste il prossimo Watch Dogs al day one sapendo che nel giro di poche settimane (o giorni) lo potreste trovare a metà prezzo? Probabilmente no.

La fine dell’anno è il periodo delle grandi offerte

Con il black friday e il Natale è inevitabile andare incontro a grandi offerte, ma nella maggior parte dei casi ci sono poche copie disponibili e, soprattutto, per un periodo limitatissimo. E succede lo stesso con i titoli nuovi, che però difficilmente scendono di prezzo così tanto, anche se si possono risparmiare mediamente quei 10-20 euro, in base alla versione. Quando si deve decidere la finestra d’uscita si valuta anche questo, e si tiene conto che qualche competitor uscito settimane prima può permettersi sconti tra fine novembre e inizio dicembre, visto che ha venduto presumibilmente già un buon numero di copie.

Anthem
Anthem: uno dei giochi più venduti del 2019, e probabilmente anche il prodotto più criticato dell’anno.

Facciamo finta che abbiate speso 70 euro per Watch Dogs Legion e 70 per Immortals Fenyx Rising: 140 euro in tutto. Ora potete prenderli insieme a circa 80 euro. Un bel risparmio, perché aggiungendo pochi euro avreste potuto averli entrambi. Ma c’è gente che ha assistito a tutto questo anche con Anthem, che secondo Forbes è il 15° gioco più venduto del 2019: avete sentito parlare di questo prodotto in maniera positiva? Avete mai letto qualche notizia che non parlasse di risultati al di sotto delle aspettative e di gamer delusi? No, eppure è nella top 20, davanti a Pokémon Spada, Resident Evil 2, Luigi’s Mansion, Days Gone e New Super Mario Bros. U Deluxe, segno che tanti lo hanno preordinato. Anche in questo caso EA è corsa ai ripari abbassando drasticamente il prezzo, indispettendo ancora di più chi si è fidato fin dai primi trailer.

L’abbassamento del prezzo è un procedimento lento e graduale

Quando viene messo sul mercato un videogioco bisogna tenere a mente che l’azienda ha la necessità di rientrare dei costi, milionari, per la sua produzione. Devono guadagnarci quindi gli sviluppatori che quotidianamente lavorano sul prodotto, il publisher, gli store e i distributori, a grandi linee. Più si vende, più si può ottimizzare il processo, e vale un po’ in tutte le industrie. Questo ciclo fa sì che un gioco che costa 70 euro al day one, nel corso del tempo possa scendere gradualmente di prezzo, fino ad attestarsi anche sui 10-20 euro: arrivati qui, tutti i costi sono presumibilmente rientrati e ci si può permettere un taglio del genere.

Questo procedimento però dura mesi o anni, non giorni. Il mio professore di marketing diceva che una volta che un prezzo scende (non per offerte flash) poi è difficile farlo risalire, perché la gente a quel punto istintivamente percepisce quel prodotto meritevole di una cifra più bassa. Se sappiamo che Ubisoft stessa è disposta a darcelo a 40 euro, perché dovremmo convincerci che debba essere pagato 70 euro?

Sapendo che in pochi giorni è sceso a 40 euro, Immortals Fenyx Rising è ancora un prodotto da 70 euro?

Conclusione

Un taglio del prezzo così drastico rompe inevitabilmente quel patto non scritto che c’è fra chi vende e chi compra. Io pago mesi prima un gioco che mi sembra ottimo, ma che ha ancora tutto da dimostrare, e merito rispetto per questo. Se la compagnia abbassa subito il prezzo non solo non vengo valorizzato, ma anche un po’ preso in giro perché chi arriva una settimana dopo ha anche la possibilità di trovarsi Immortals Fenyx Rising in offerta e averlo nella mia stessa finestra temporale. Di conseguenza perderò la fiducia in quel publisher, perché so che con un po’ di pazienza ho buone chance di trovarlo in offerta.

Se nel breve periodo questa strategia può essere efficace, perché più persone comprano il prodotto, nel medio termine la compagnia perde la credibilità: per chi ogni anno rilascia tanti videogiochi e può contare su franchise milionari, questo diventa un problema. Quello che sembrerebbe un torto all’utente è in realtà un torto che l’azienda fa a se stessa, perché potrebbe trovarsi i preordini diminuiti in maniera sensibile o peggio ancora, scoprire che tutti quei potenziali acquirenti sono in attesa di uno sconto che, a questo punto, credono inevitabile e doveroso.

Alla luce di quanto detto in questo articolo, a gennaio esce il remake di Prince of Persia, che già in estate non sembrava troppo entusiasmante a livello di grafica: vi sentireste tranquilli a comprarlo al day one? O questa volta aspetterete l’offerta come successo con Immortals Fenyx Rising?