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Editoriali

Armored Core VI: rigiocare la saga dopo 25 anni

Era il lontano 1998, settembre per la precisione. Da poco diciannovenne e felice possessore della prima Playstation, uscita qualche anno prima sul mercato, mi apprestavo a festeggiare il mio compleanno, rigorosamente posticipato poiché, cadendo in agosto, gli amici erano tutti in vacanza. Nel giorno del mio compleanno bis, i miei amici si presentarono a casa con una decina di giochi per la mia amata console: tra questi, non posso dimenticare, c’era un titolo che stuzzicò da subito la mia curiosità. Si trattava di Armored Core, AC per gli amici.

Genesi

Armored Core nasceva da un’idea di Shoji Kawamori, mecha designer di storiche serie di anime (una delle più note in Italia è Capitan Harlock), oltre che dall’amore sconsiderato dei giapponesi per i robot giganti.

La saga di FromSoftware era ed è formata da simulatori di combattimento tra Mech (o Mecha), enormi robottoni guidati da un pilota che se le danno di santa ragione in scenari più o meno realistici. L’aspetto migliore del primo Armored Core era il fatto che si trattava di un titolo 3D in cui era possibile spostarsi in ogni direzione, sparare ovunque e trovarsi contro nemici che provenissero da ogni angolo, con una fluidità al tempo inimmaginabile.

La caratteristica principale della serie è sempre stata la personalizzazione del proprio mech. Il gioco metteva a disposizione una marea di potenziamenti per gambe, braccia e armi; scalabili al massimo, altamente modulari, i mech potevano essere plasmati ad uso e consumo del giocatore per affrontare le varie missioni, a patto di avere abbastanza crediti per farlo. Come ottenere crediti? È presto detto: bastava concludere le missioni e ottenevate la giusta ricompensa, dopo aver scalato ovviamente il costo dei proiettili usati e le spese di gestione.

Caratteristiche di gioco

Esplorare quei mondi e quegli scenari mi teneva incollato allo schermo per ore. Armored Core aveva una grafica poligonale in 3D che non faceva gridare al miracolo, ma considerando l’anno di uscita e la piattaforma, non si poteva chiedere di più onestamente.

Il gameplay fu considerato ottimo dalla critica e piacque molto anche a me: lo trovai molto interessante e coinvolgente. Questo mio giudizio deriva dalle ore di divertimento che trascorsi e dalla buona struttura a missioni che From Software creò. Gli scenari infatti proponevano città piene di detriti, basi lunari e ambienti desertici. La base lunare, in particolare, attirò la mia attenzione poiché la missione che ospitava era caratterizzata dalla bassa gravità. Nello specifico, nel tentativo di salvare la terra da un attacco dalla luna, il nostro mech avrebbe dovuto fare i conti con la poca gravità che influiva sui salti e sui suoi movimenti.

Un piccolo appunto negativo sul gioco era la difficoltà nel controllare il mech con il pad: i tasti da utilizzare erano troppi, a volta anche contemporaneamente. A parte questo piccolo intoppo, il primo Armored Core risultava godibile sotto tutti i punti di vista, grazie alle missioni ben congegnate, alla fluidità dei movimenti e all’arsenale a disposizione. Infine, la longevità era un altro punto forte, con quasi 50 missioni da completare. Il gioco fu pubblicato nel luglio del 97 in Giappone per poi arrivare in Europa nel giugno dell’anno successivo.

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Approccio a Fires of Rubicon

L’università, la ricerca del lavoro e tante altre vicissitudini – naturali nella crescita di ogni individuo – mi hanno portato ad allontanarmi dal mondo videoludico (ma sono rientrato alla grande negli ultimi anni). Dopo 25 anni, in una calda giornata di fine agosto, mi imbatto in Armored Core VI Fires of Rubicon. Dopo una rapida ricerca mi rendo conto di essermi perso ben quindici capitoli (spin off inclusi), ma i ricordi suscitati dal gioco sono più forti del tempo perso. Così lo ordino senza troppo pensarci.

Il giorno dopo, al day one, Armored Core VI è nelle mie mani. Emozionato inserisco il gioco nella mia Xbox Serie X, ed eccomi di nuovo ai comandi di un mech, dopo tanto, tanto tempo. Quello che non avevo messo in conto è che si ha a che fare con From Software (Dark Souls, Elden Ring): la difficoltà di gioco è elevatissima e non “settabile”; inoltre, gli sviluppatori sono noti per gettare letteralmente il videogiocatore nel mezzo del gioco senza alcun preambolo. Complice la mia età avanzata e i riflessi non più pronti come una volta, mi sono ritrovato ad impiegare due giorni per sconfiggere il boss alla fine del tutorial, maledetta From Software!

Addentrandosi più nel gioco, comprendo che la struttura portante del gameplay è immutata, ma ovviamente abbiamo una storia che fa da contorno alle battaglie.

Caratteristiche narrative e tecniche

Sul pianeta Rubicon 3 è stata trovata una nuova fonte di energia che le varie corporazioni tentano con ogni mezzo di accaparrarsi. Il giocatore interpreta un mercenario che, combattendo ora per una ora per l’altra di queste fazioni, cambierà il destino della guerra e del pianeta. Niente di trascendentale o innovativo dunque. Forse però è proprio questa la forza di Fires of Rubicon.

Giocarci è sempre e maledettamente divertente. Le mappe sono credibili e varie, forse eccessivamente post apocalittiche, ma è la storia che lo impone. Peccato non aver implementato una specie di open world. Infatti, gli scenari sono delimitati da una banda rossa laterale che il mech non può oltrepassare. Una scelta che sicuramente limita la strategia di combattimento.

Voci confermate dicono che avremo ben tre finali diversi, quindi sarà obbligatorio effettuare almeno tre distinte run e fare scelte diverse per completare pienamente il gioco. Le missioni hanno alti e bassi, alcune sono troppo facili altre ai limiti dell’impossibile, con boss finali veramente duri a morire. Fortunatamente ci viene in soccorso la modularità dei mech e il loro collaudo, che è possibile effettuare prima di iniziare ogni battaglia. In questo modo è possibile rendersi conto della efficacia della configurazione adottata.

I combattimenti, infine, sono davvero spettacolari, con un arsenale molto vario da utilizzare che rende piacevole sparare missili di vario genere nei denti degli avversari!

Conclusioni

Armored Core VI è il videogioco che From Software avrebbe voluto sin dall’inizio, ma che i limiti tecnici della tecnologia a disposizione impedivano di creare a suo tempo. Fires of Rubicon è un titolo maturo con bellissimi modelli poligonali dei robot, un ambiente vivo e dinamico, una IA non eccelsa ma percepibile, una storia convincente e una personalizzazione del robot ancora maggiore.

La longevità è di circa 25 ore: si snoda tra 5 capitoli, 41 missioni e la possibilità di scegliere tra finali alternativi. Il gameplay di Armored Core VI – rispetto al primissimo del 97 – mantiene inalterato il divertimento introducendo, grazie a mappe ben strutturate, un’importante componente strategica che costringe il videogiocatore a sfruttare le caratteristiche ambientali per cercare di sorprendere i nemici e procurarsi un vantaggio su di loro.

In definitiva, Armored Core VI è un gran gioco, sia che siate fan della serie sia se non abbiate mai pilotato un mech prima d’ora. L’opera di From Software merita la vostra attenzione, poiché la soddisfazione ed il divertimento che può dare non è inferiore a qualsiasi soulslike di Hidetaka Miyazaki.

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Recensioni

Immortals of Aveum – Recensione

L’uscita di Immortals of Aveum, verso la fine di agosto, è indubbiamente passata un po’ in sordina. Il gioco, infatti, non ha goduto di una campagna pubblicitaria particolarmente efficace. Inoltre l’essere uscito in concomitanza con giochi davvero di primo piano, come Baldur’s Gate 3 (di cui abbiamo già parlato sul blog) non ha certamente giovato alla causa di Immortals of Aveum.

Tuttavia, fin dalle prime immagini mostrate, lo sparatutto targato Ascendant Studios e Electronics Arts è riuscito a catturare la nostra attenzione. Questo soprattutto in virtù della sua natura ibrida, a metà strada tra uno sparatutto ed un’avventura.

In questa recensione passeremo al microscopio Immortals per mettere in mostra pregi e difetti di questo particolarissimo titolo. Recuperiamo il nostro equipaggiamento magico e lanciamoci all’esplorazione del mondo di Aveum!

Nelle terre di Aveum

Immortals of Aveum: magia rossa

Come facilmente intuibile dal titolo, Immortals è ambientato nel mondo magico di Aveum. Quest’ultimo è formato da cinque regni distinti, con al centro un’enorme voragine magica chiamata Lo Squarcio. Da millenni i cinque regni sono falcidiati da un conflitto per il controllo della magia, denominata Sempiguerra, che ha di fatto ridotto le forze in gioco ai soli regni di Lucium e Rasharn.

Protagonista assoluto di Immortals of Aveum è Jak, giovane abitante della periferia di Seren, nell’enorme città di Lucium. In seguito all’uccisione dei suoi cari a causa di un attacco del regno di Rasharn, ora guidato dal tiranno Sandrakk, Jak scoprirà di essere un Advenuto, ovvero un essere umano in cui si manifestano poteri magici. Questo porterà il nostro protagonista a venire arruolato dalla Gran Magus Kirkan, leader degli Immortali, l’esercito magico protettore di Lucium. Inizia così la missione di Jak per risolvere una volta per tutte i conflitti che devastano Aveum e comprendere fino in fondo i suoi poteri.

La trama di Immortals, pur non brillando per originalità, si presenta interessante e abbastanza coinvolgente. il mondo di Aveum è ben caratterizzato e ricco di dettagli e i personaggi che incontriamo godono quasi sempre di una buona caratterizzazione. Mi limito a citare Zendara, una delle comandanti degli immortali, davvero carismatica e a tratti spassosa con le sue battute.

La trama di Immortals ci terrà compagnia per circa 13 ore, che potranno essere almeno raddoppiate qualora il giocatore decidesse di dedicarsi a tutte le prove secondarie e all’esplorazione di ogni area di Aveum. Non si tratta di una longevità particolarmente elevata, ma l’abbiamo trovata adeguata ad un titolo di questo tipo.

Uno sparatutto avventuroso

Immortals of Aveum: magia blu

L’aspetto di Immortals of Aveum che maggiormente colpisce è costituito proprio dal suo gameplay. Il titolo di Ascendant infatti si presenta come un mix piuttosto ben riuscito tra un FPS ed una classica avventura action. Il gioco si svolge in prima persona ed ha il suo fulcro, oltre che nell’esplorazione, nei numerosi combattimenti che affronteremo. Naturalmente, nel corso di queste battaglie, non abbiamo a disposizione armi da fuoco o da lancio, ma tutta una serie di artefatti magici, coi quali scatenare una serie di devastanti attacchi contro i malcapitati nemici.

Tuttavia, in Immortals rivestono un ruolo molto importante anche l’esplorazione dell’ambiente e gli enigmi. Per progredire nell’avventura, infatti, occorre guardarsi sempre attorno con attenzione, dal momento che spesso e volentieri la chiave per aprire la strada consiste nell’interagire con l’ambiente utilizzando uno degli incantesimi a nostra disposizione. Per esempio, alcuni degli elementi dell’ambientazione possono essere modificati dalla magia verde, mentre alcuni trabocchetti vengono rallentati dalle nostre fide ampolle temporali.

A differenza della miriade di sparatutto presenti sul mercato, Immortals of Aveum è completamente dedicato single player (ad oggi è completamente assente una modalità multiplayer nel gioco), proprio per valorizzare al massimo la sua doppia natura di shooter e avventura.

Tre colori per domarli tutti

Immortals of Aveum: magia verde

Nel mondo di Aveum, la magia si manifesta attraverso tre colori principali. Il rosso, che rappresenta entropia e violenza, il blu, che incarna forza e manipolazione fisica della materia ed infine il verde, legato a crescita morte e transizione. Jak durante la trama, scopre di essere un Triarca Magnus, ovvero un mago in grado di utilizzare la magia di tutti e tre i colori.

Attraverso il bracciale di Jak, il giocatore ha la possibilità di passare da un colore all’altro con la semplice pressione del tasto triangolo. Ognuno dei tre colori si adatta meglio ad una determinata situazione; nello specifico: il rosso è pensato per il combattimento ravvicinato, il blu per la distanza e il verde per il fuoco ripetuto. Sebbene spesso i nemici presentino debolezze specifiche per un colore, il giocatore ha la possibilità di privilegiare l’uno o l’altro in base al suo stile di gioco.

Gli scontri in Immortals sono davvero frenetici e spettacolari e ricordano molto le dinamiche dei cari vecchi sparatutto arena. Il giocatore deve restare sempre in movimento, fare attenzione a dove si trova e contemporaneamente gestire al meglio le sue risorse offensive per riuscire ad aver ragione della miriade di avversari che si trova via via ad affrontare.

Il tutto risulta davvero piacevole e divertente e gli scontri raramente diventano troppo punitivi e frustranti. Unica nota un po’ stonata sono le boss battle, un po’ troppo sempliciotte e ripetitive.

Incantesimi per tutte le occasioni

Oltre agli incantesimi di attacco, Jak dispone anche di varie abilità magiche di supporto. Queste abilità sono davvero molte e hanno un’ottima varietà di effetti. Abbiamo anzitutto a disposizione quattro artefatti magici, il primo dei quali è una frusta magica, utile sia per attirare i nemici che per arpionare alcuni specifici punti dello scenario. Abbiamo poi uno scudo di energia, capace di proteggerci da un numero limitato di attacchi nemici, una sorta di lente magica, utile per paralizzare alcuni nemici e soprattutto risolvere alcuni enigmi a base di raggi luminosi ed infine le pietre verdi, capaci di rallentare nemici e trappole.

Jak apprenderà inoltre una serie di abilità automatiche, tra cui la possibilità di levitare per brevi tratti, di appendersi ai flussi magici che attraversano Aveum e di generare un potentissimo raggio in grado di convogliare l’energia di tutti e tre i colori. Le varie abilità possono essere potenziate tramite una sorta di diagramma, che andrà a riempirsi attraverso una serie di pietre magiche. Queste pietre vengono raccolte da Jak dopo ogni battaglia.

In Immortals non esistono punti esperienza e level up. Il potenziamento di Jak avviene unicamente attraverso il suo equipaggiamento. Oltre ai tre bracciali, che possono essere creati e potenziati attraverso una serie di fucine, il nostro protagonista potrà essere equipaggiato anche con diversi anelli e potenziamenti magici. Ognuno di questi oggetti andrà a migliorare un diverso parametro di Jak.

Quindi, pur senza mostrare la profondità e ricchezza di uno strategico o di un gioco di ruolo, Immortals of Aveum presenta anche alcuni elementi tipici di un gestionale, che rendono l’esperienza più varia ed interessante.

Una festa per gli occhi

L’aspetto di Immortals of Aveum che maggiormente colpisce è senza dubbio il comparto grafico. L’Unreal Engine 5 fa davvero un ottimo lavoro e regala al giocatore ambientazioni davvero meravigliose, ben caratterizzate e ricche di particolari.

Anche i personaggi ed i nemici risultano ottimamente realizzati e dotati di un set di animazioni davvero fluide e credibili. Il gioco mostra il meglio di se durante i filmati di intermezzo, che su PS5 sfoggiano una risoluzione davvero altissima, anche se abbiamo notato un evidente calo di frame in alcune sequenze più brevi. Piuttosto anonima invece la colonna sonora, che presenta una serie di tracce non troppo ispirate ed anche un tantino ripetitive.

Conclusione

Immortals of Aveum si è rivelato davvero una gradevole sorpresa. Intendiamoci, non si tratta certamente di un capolavoro, ma il comparto grafico di primo piano, l’immediatezza dei controlli e la particolare natura del suo gameplay rendono lo sparatutto di Ascendant Studios un’esperienza davvero divertente e coinvolgente.

Unico vero difetto di Immortals è la sua longevità un po’ limitata, che tuttavia non va a intaccareil divertimento offerto da questa particolare avventura.

Consigliato sia agli amanti degli FPS che a tutti coloro che cercano un avventura immediata e non troppo lunga.

Dettagli e Modus Operandi
  • Piattaforme: PS5, Xbox Series S/X, PC
  • Data uscita: 22/08/2023
  • Prezzo: 79,99 €

Ho provato il gioco a partire dal day one su PlayStation 5 grazie a un codice fornito dal publisher.

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Exoprimal – Recensione

Fin dal rilascio della prima demo del gioco, Exoprimal aveva catturato il nostro interesse (per chi se la fosse persa ecco la nostra prova ). Lo sparatutto Capcom, forte di un’idea di base decisamente insolita e di un design molto azzeccato, sembrava avere potenzialità decisamente buone.

Da qualche giorno Exoprimal è finalmente uscito e abbiamo avuto la possibilità di provarlo in modo approfondito. Siamo di fronte ad un ennesimo successo per la casa di Osaka? Scopriamolo insieme!

Dinosauri ed exocorazze

exoprimal trama
La trama di Exoprimal verrà sviluppata attraverso una serie di dialoghi e filmati.

Come già lasciava intuire la demo, la trama di Exoprimal è quantomeno curiosa. A partire dall’anno 2040 una misteriosa serie di varchi spaziotemporali iniziano a comparire su tutta la terra. Da questi varchi emergono intere orde di dinosauri geneticamente modificati, che mettono ben presto a ferro e fuoco il pianeta.

Come risposta all’improvvisa minaccia la misteriosa Aibius Corporation da vita al corpo degli exocombattenti, soldati scelti armati di potenti exocorazze, prodotte dalla stessa Aibius. Queste armature rappresentano l’arma principale della razza umana contro i temibili lucertoloni.

Nel corso del gioco interpretiamo Ace, un novello pilota di exocorazze, il cui aspetto è completamente personalizzabile. Durante l’anno 2043 Ace precipita assieme alla sua squadra, gli Hammerheads, in un misterioso vortice dimensionale. Il gruppo viene trasportato sull’isola di Bikitoa e si rende ben presto conto di trovarsi all’interno di una timeline alternativa.

In questa linea temporale l’intelligenza artificiale Leviathan, anch’essa creata dalla Aibius, costringe Ace e un gran numero di altri exocombattenti ad un numero interminabile di guerre simulate contro i dinosauri. Ace e soci si rendono ben presto conto che queste battaglie si svolgono sempre nell’anno 2040 e sembrano chiaramente nascondere un sinistro piano della misteriosa intelligenza artificiale.

Al soldato e al suo team non resta che proseguire di battaglia in battaglia raccogliendo il più ampio numero possibile di dati. Procedendo nel gioco, vengono via via rivelati ai giocatori i vari retroscena e la verità su Leviathan e sulle sue azioni, su cui non daremo eccessivi dettagli.

Un menù scarno

Exoprimal: modalità
Il numero di modalità in Exoprimal è decisamente limitato.

Il primo aspetto di Exoprimal a balzare all’occhio è il numero davvero esiguo di modalità di gioco che propone. Completato il tutorial, che prevede la creazione del nostro avatar, l’introduzione ai comandi e una battaglia di prova, il giocatore viene trasportato nel menù principale del gioco.

Qui, oltre alla modalità sopravvivenza, cuore pulsante di Exoprimal, c’è veramente ben poco da fare. La modalità Hangar permette di modificare e personalizzare le corazze, sia dal punto di vista estetico che per quanto riguarda l’armamento di supporto. La modalità carriera invece non è altro che un riepilogo delle battaglie online affrontate dal giocatore.

La banca dati, infine, raccoglie tutti i dati, gli audio e i filmati relativi alla trama del gioco, che vanno via via a sbloccarsi man mano che vengono completate le varie battaglie online. Exoprimal, quindi, non presenta una vera modalità in single player. Semplicemente, man mano che il giocatore procede con le sfide online, il gioco sblocca tutta una serie di filmati e rivelazioni che vanno a portare avanti la trama del gioco.

Questa scelta ci ha davvero sorpresi, facendoci anche storcere parecchio il naso. Un gioco come Exoprimal, con un setting e una trama così particolari, avrebbe senz’altro beneficiato di una campagna in single player vera e propria. Essa avrebbe permesso uno svolgimento più chiaro e lineare della trama e sarebbe stata un’occasione per fare pratica con le numerose exocorazze. Un peccato davvero.

La legge del più forte

Le sfide della modalità sopravvivenza sono il cuore pulsante di Exoprimal.

Come già detto: il centro dell’esperienza di Exoprimal è costituito dalla modalità sopravvivenza. Una volta selezionata, due squadre, da 5 giocatori ciascuna, si affronteranno in una serie di sfide casuali, i risultati delle quali determineranno la squadra vincente.

Normalmente ogni sfida è composta da un numero variabile di missioni, scelte in modo casuale da Leviathan. Le prime sfide vedono le due squadre impegnate contro le orde di dinosauri controllate dalla CPU. Si tratta di solito di battaglie in cui occorre eliminare un certo numero di dinosauri di un certo tipo (per esempio 100 velociraptor) oppure di scontri a difesa di un’area specifica o ancora di un inseguimento ad un particolare dinosauro, spesso di grandi dimensioni.

Le sfide finali, invece, propongono una buona varietà di obiettivi. Nelle missioni “scorta” la nostra squadra dovrà accompagnare il percorso di un cubo dati difendendolo sia dai dinosauri che dalla squadra nemica. In “conquista il trasmettitore” le due squadre saranno impegnate ad ottenere i dati di vari trasmettitori sparsi per l’area. In “assalto Omega” le squadre dovranno caricare i loro martelli omega uccidendo i dinosauri per poi utilizzarlo per frantumare le barriere nemiche. Vi è persino una sfida, denominata “Neo T-Rex”, in cui le due squadre sono costrette ad allearsi per abbattere un mostruoso tirannosauro geneticamente modificato.

É possibile affrontare la modalità sopravvivenza esclusivamente in modalità PvE. In questo caso le due squadre non si affronteranno mai direttamente, nemmeno nella battaglia finale. Dovranno invece completare a distanza i loro obiettivi. A trionfare sarà la squadra che finirà la sua missione nel tempo minore.

La noia che arriva strisciando

In generale, le sfide di Exoprimal sono abbastanza varie e diversificate. Alla lunga, però, subentra una certa sensazione di ripetitività. Sebbene infatti le sfide finali propongano un buon mix di regole e situazioni, le sfide PvE tendono presto a cadere nella monotonia, dal momento che si tratta quasi sempre di falciare il maggior numero possibile di dinosauri il più velocemente possibile.

Questo alla lunga tende a rendere l’esperienza di Exoprimal piuttosto monotona, anche a causa del numero davvero esiguo di modalità. Lo sparatutto Capcom è sicuramente un buon passatempo se si cerca una partita veloce e senza impegno. Quasi certamente però i giocatori che cercano uno sparatutto profondo e longevo resteranno delusi.

Quando verranno raccolti tutti i dati della trama di gioco andrà a sbloccarsi la sfida selvaggia. Si tratta di una serie di sfide a tempo online con regole e missioni particolari. Questa nuova modalità rende le cose un po’ più interessanti, ma a parere di chi scrive il gioco avrebbe davvero giovato di un maggior numero di opzioni.

Oltre ad una vera modalità single player, sarebbe stata gradita la possibilità di scegliere direttamente in quale tipologia di sfida affrontare la squadra avversaria. Di nuovo: un peccato!

Tecnicamente all’altezza

Exoprimal: Grafica
Il comparto tecnico di Exoprimal è davvero buono.

Dal punto di vista tecnico, Exoprimal non delude le aspettative. Il motore grafico del gioco presenta un’ottima definizione, animazioni veloci e fluide e un uso sapiente dei colori e dei vari effetti visivi.

Il design delle exocorazze è davvero ben fatto e particolareggiato e le varie armature presentano un’ottima varietà sia nel design che nei colori. Stesso discorso per i dinosauri, che appaiono davvero ben realizzati, con delle movenze credibili e un set di attacchi che ben si addice alle varie razze rappresentate.

Il design degli stages invece appare piuttosto anonimo. Intendiamoci, le città in rovina, i templi nella foresta e le altre ambientazioni sono realizzati più che discretamente. Anche le mappe risultano ben strutturate e richiedono una certa dose di strategia per essere affrontate in modo ottimale. Tuttavia nessuna ambientazione sembra brillare particolarmente per originalità o per la presenza di elementi memorabili.

Anche il sonoro del gioco non risulta davvero degno di nota. Le musiche che fanno da sottofondo ai filmati e ai menù sono tetre e minacciose al punto giusto, mentre i motivi che accompagnano le battaglie sono più ritmate e coinvolgenti. Sfortunatamente però nessuna delle tracce di Exoprimal è riuscita a colpirci in modo significativo.

Merita una menzione l’adattamento in italiano, che compie la strampalata scelta di doppiare solo i dialoghi di Leviathan, lasciando in lingua inglese il parlato di tutti gli altri personaggi. Una soluzione tanto strana quanto discutibile.

Piovono lucertole

Exoprimal: pioggia di dinosauri
Il numero di dinosauri che appariranno su schermo è davvero impressionante.

Il sistema di controllo, pur senza far gridare al miracolo, è molto efficace e funzionale. I movimenti, gli attacchi e le varie abilità delle corazze sono semplici, precisi ed immediati. Ciò consente al giocatore di abituarsi velocemente al gioco e lanciarsi nella mischia senza paura di essere un peso morto.

Certo, padroneggiare a dovere ogni corazza, con le sue caratteristiche e stile peculiari, richiede comunque tempo. Lo stesso vale per l’affinamento delle strategie e della coordinazione con gli altri membri del team. Tuttavia, la curva di apprendimento di Exoprimal non è mai troppo ripida e permette anche ai giocatori alle prime armi di farsi rispettare.

L’aspetto del gameplay di Exoprimal che più colpisce è certamente l’enorme numero di dinosauri presenti sullo schermo. Fin dalle prime fasi della missione, infatti, i giocatori vengono letteralmente inondati da migliaia di lucertoloni furiosi. Talvolta i dinosauri precipitano persino dall’alto fuoriuscendo dai varchi, come una vera e propria pioggia di lucertole. Nonostante l’enorme numero di nemici su schermo, il gioco non mostra il minimo rallentamento e riesce a mantenere un ritmo veloce ed incalzante.

Una tuta per ogni occasione

Le exosuits di Exoprimal sono davvero ben disegnate e caratterizzate.

L’altro punto di forza di Exoprimal è sicuramente rappresentato dalla varietà e dal carisma delle exocorazze. Il giocatore ha a disposizione 10 modelli differenti, suddivisi in tre tipologie, ovvero assalto colosso e supporto.

Le corazze assalto hanno il loro punto di forza nella velocità di movimento e nella potenza dei loro attacchi, siano essi a media, lunga o breve gittata. I colossi hanno un enorme potere difensivo e possono persino proteggere gli alleati, a discapito della loro mobilità e gittata. Le exocorazze supporto infine hanno il compito di proteggere e potenziare gli alleati tramite abilità curative o in grado di fornire bonus alla squadra.

Non sarà difficile per il giocatore trovare la corazza più adatta ai suoi gusti e al suo stile di gioco, sebbene la selezione della corazza debba tener conto anche delle scelte degli altri giocatori. fortunatamente, sarà il gioco stesso prima della missione a segnalare la mancanza di elementi chiave nella squadra.

Col procedere del gioco, è possibile sbloccare una serie di oggetti e potenziamenti, che il giocatore può utilizzare per personalizzare la sua corazza. Pur senza presentare una profondità troppo elevata, questa meccanica va ad aumentare ulteriormente la varietà.

Sono presenti infine anche delle varianti per ognuno dei modelli principali del gioco, che ne modificano le armi principali e alcune abilità. Queste corazze mischiano ulteriormente le carte in tavola, fornendo al giocatore ancora più possibilità di trovare modelli adatti al proprio gioco.

Conclusione

Exoprimal è sicuramente un buon titolo, ma non riesce ad essere nulla di più. Ad un design delle exocorazze ispirato e vario si alternano stages piuttosto piatti e anonimi.

Il gameplay, per quanto semplice e divertente, diventa alla lunga piuttosto ripetitivo e ridondante e il numero davvero esiguo di modalità di gioco non fa che peggiorare questa sensazione.

Exoprimal, pur mostrando un concept e una trama piuttosto originali, non ha davvero nulla che lo possa elevare all’interno di un genere, quello degli sparatutto, che presenta un numero davvero enorme di titoli ed alternative.

Se amate la tecnologia e i dinosauri potete prendere in considerazione l’acquisto, ma se siete semplicemente fan del genere sparatutto troverete senz’altro titoli ben più ricchi e completi.

Dettagli e Modus Operandi
  • Piattaforme: PS5, PS4, Xbox One, Xbox Series X/S, PC
  • Data uscita: 14/07/2023
  • Prezzo: 59,99 €

Ho provato il gioco al day one su PlayStation 5 grazie a un codice fornito dal publisher.

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Recensioni

Redfall – Recensione

La ventennale storia di Arkane Studios è intrisa di trame piene di magia, sovrannaturale ed eventi storici, che mischiandosi con credenze popolari hanno sempre formato un mix perfetto per tutti gli appassionati di videogame. Quando la software house annunciò Redfall, uno sparattutto in cui i nostri nemici sono le creature dell’horror gotico di Bram Stoker – i vampiri – la mia curiosità è diventata attenzione. Con Redfall, Arkane Studios ha tutti gli elementi per creare la propria opera magna migliorando e ampliando quanto di ottimo fatto in tutti questi anni, con particolare riferimento a Dishonored, Prey e Deathloop. Ci saranno risusciti? Scopriamolo insieme in questa recensione di Redfall.

Gotico a stelle e strisce

Redfall era una tranquilla isoletta americana del Massachusetts, terra madre di una comunità dedita al lavoro. Oggi Redfall è una pericolosa isoletta statunitense pregna di vampiri da cui è impossibile fuggire perché le acque sono state letteralmente paralizzate. Noi – cioè uno dei quattro personaggi che è possibile interpretare JacobLaylaDev o Remi – iniziamo il gioco dentro un’imbarcazione che ha appena visto svanire le sue possibilità di salvezza. Chi ha giocato Deathloop avrà, tanto per cambiare, un senso di deja vu, ma ben presto Redfall prenderà una piega decisamente diversa.

Sangue, morte e desolazione hanno costretto me e Jacob – il personaggio che ho scelto per questa avventura – sulla terraferma. Il primo compito è sopravvivere: fortunatamente gli abitanti dell’isola oppongono ancora una flebile resistenza, che come nel cinema post apocalittico ha in una stazione di polizia il suo primo avamposto, l’hub centrale da cui far partire le missioni principali per la prima metà della nostra esperienza sull’isola.

Recensione Redfall: inizio

La trama è uno dei maggiori pregi del gioco: l’isola di Redfall è stata vittima dell’avidità e della follia dell’Aevum, una casa farmaceutica che ha condotto esperimenti sul sangue degli abitanti del posto fino a generare dei vampiri. Tentativo dopo tentativo, la situazione è drasticamente peggiorata e l’etica del consiglio di amministrazione dell’Aevum si è rivelato inesistente. Sotto questo punto di vista Arkane Studios ha creato dei villain veramente senza scrupoli: il motivo principale che vi farà continuare a giocare è probabilmente scoprire fino a che punto può arrivare la cattiveria di questi nuovi non morti. Purtroppo e senza alcun particolare motivo, una parte di questa storia viene raccontata attraverso dei cinematic statici: diapositive in stile fumetto che non rendono giustizia alla scrittura dei nemici.

Un mondo chiuso

Redfall è formata da due macroaree di gioco. Normalmente parlerei solo della prima per evitare spoiler; in questo caso, parlerò solo della prima perché la seconda è sfortunatamente uguale alla precedente, solo un po’ più grande.

La mappa dell’isola si dirama in quartieri infestati da vampiri ed esseri umani che hanno deciso di venerare i non morti per scampare a fine certa o con scopi loschi. Per questo, la prima operazione possibile all’interno di un nuovo quartiere è il ripristino dei rifugi, cioè degli scantinati che una collegati alla corrente elettrica agiranno da mini hub per iniziare le quest di quella zona. Missioni che sono in realtà sempre due e sempre le stesse: l’ultima di ogni rifugio ci consente di uccidere un vampiro capo e ottenerne il teschio, oggetto fondamentale per completare la trama principale. Se vediamo dunque queste attività come necessarie per la quest principale, le missioni secondarie si riducono a una manciata a cui possiamo sommare l’aspetto più controverso: i nidi.

Recensione Redfall: Cuore del Nido

I nidi sono dei dungeon che rendono i vampiri di quell’area più forti del normale; di conseguenza, è particolarmente utile distruggerli. Per farlo bisogna avventurarsi in una caverna e distruggere il cuore che alimenta gli essere immondi. Una volta distrutto il cuore, avremo poco meno di un minuto per raccogliere il bottino e scappare via con la refurtiva prima del crollo della struttura. I nidi sono chiaramente pensati per la modalità cooperativa poiché non è fisicamente possibile raccogliere tutti gli oggetti da soli, prima del crollo, ma più di qualcosa non torna.

Dal momento in cui sono entrato nel mio primo nido, ho capito che il gioco è chiaramente incompleto su diversi punti di vista; infatti, anche se non sono uscito per tempo, nessuna penalizzazione mi è stata applicata. Semplicemente un caricamento mi ha portato fuori dalla zona. Inoltre, anche se queste aree sono pensate per la modalità coop, in realtà con Jacob è possibile arrivare fino alla fine senza dover affrontare alcun nemico. Il nostro cecchino infatti ha la capacità di rendersi invisibile e potrà arrivare indisturbato fino al cuore senza nemmeno spettinarsi. Il risultato della mia avventura con tutti i nidi è stato andare dritto per un dungeon che è sempre, ma veramente sempre, uguale, dare due colpi ai connettori del cuore, raccogliere una cassa di oggetti e scappare via.

Recensione Redfall: Jacob Boyer

La conferma che qualcosa non va in questo videogioco è comunque ben visibile anche fuori dai dungeon. La quest principale mi ha fatto viaggiare per tutta la mappa e ho notato che tra una zona d’interesse e l’altra, la città è letteralmente vuota, e sempre uguale. La maggior parte delle case e dei negozi di Redfall non sono accessibili; i pochi che lo sono, hanno un legame con qualche quest, mentre in strada si può girare tranquillamente sia di giorno che di notte, poiché la quantità di nemici, vivi o non morti, è incredibilmente bassa. A questo bisogna aggiungere che Redfall non è un open-world – una volta passati alla seconda mappa non si può tornare più alla precedente – e un’assurda nube rossa, una sorta di zona velenosa che porta alla morte, rende impossibile spostarsi in totale libertà.

Una volta giunto nelle zone di interesse, quelle piene di nemici che ostacolano la nostra missione, ho notato con immensa nostaglia il tocco di Arkane Studios: tutte le aree principali presentano diverse entrate che si adattano al nostro stile di gioco: si può entrare dalla porta principale come un carro armato; si può eludere i nemici sgattaiolando sul tetto oppure entrare dalla porta sul retro con l’aiuto di un grimaldello. Idee interessanti, ma purtroppo copia-incollate da un posto all’altro, nonostante queste aree presentino ambientazioni diversificate e gradevoli: il cinema, la casa infestata, la casa di cura o il cantiere navale hanno tutti una propria identità, anche grazie ai diversi documenti che possiamo trovare al loro interno, che danno un volto alle vittime di questa tragedia e un senso alla trama. Tutto però ritorna sotto la sufficienza quando dobbiamo affrontare gli avversari.

Paletti a salve

Mi piacerebbe dire che il problema principale di Redfall sia l’intelligenza artificiale, come più volte ho letto su diverse fonti, ma in realtà è tutto il sistema che si regge su fondamenta deboli.

I personaggi principali sono eccessivamente forti rispetto a tutto quello che li circonda. Per esempio, Jacob è un cecchino con tre abilità: diventare invisibile; inviare un corvo in ricognizione; evocare un fucile “spettrale” dotato di aimbot che mira direttamente alla testa. Queste tre abilità possono essere potenziate da un albero delle abilità, ma sono così potenti che lo skill tree è completamente inutile.

Anche se Redfall non è un looter shooter, le armi – poco meno di dieci tipi – si differenziano per rarità (indicata dal colore), il proprio livello e l’utilizzo che ne dovremmo fare. Un’arma “gialla” di basso livello farà sempre meno danni di una “grigia” (comune) ma avrà più caratteristiche extra. In aggiunta, dato che abbiamo due nemici principali, umani e vampiri, ci sono armi che sono efficaci contro gli esseri viventi – le comuni armi – e le armi pensate per i vampiri: sparapaletti, cannone a raggi UV e pistola lanciarazzi.

Tra tutti, lo sparapaletti è l’arma più potente del gioco, ma si può tranquillamente arrivare fino alla fine con un fucile a pompa o con uno da cecchino, poiché i nemici non ci metteranno mai veramente in difficoltà e anche nelle situazioni peggiori ci sarà sempre una sorta di glitch che potrà salvarci la pelle. Tutto questo perchè il gunplay del videogioco di Arkane Studios è impreciso e privo di tutti quei dettagli che hanno permesso alla software house di diventare così popolare su altri generi: basta andare dritti con un’arma e prima o poi i nostri nemici cadranno uno dopo l’altro.

La sfida aumenta verso la fine del gioco, ma non ho mai avuto la necessità di pensare a una strategia. Mi è bastato essere semplicemente un po’ più attento, fiducioso del fatto che l’intelligenza artificiale dei nemici sia imbarazzante. Come già detto, Jacob può diventare invisibile e la sensazione è che i villain non siano stati istruiti su come agire con questo personaggio; infatti, se passiamo vicino a un nemico mentre siamo invisibili, tanto gli essere umani quanto i vampiri, diranno qualcosa che ci fa capire che hanno avvertito la sua presenza, ma se siamo all’interno di uno scontro a fuoco e all’improvviso decidiamo di diventare invisibili, gli avversari smetteranno di sparare e addirittura di cercarci.

La sensazione di un videogioco incompleto, o per meglio dire appena abbozzato, è dato anche dalla tipologia di nemici. Gli essere umani sono tutti uguali, anche se ci sono ben tre fazioni con un background interessante ma mai pienamente sviluppato: la squadra dell’Aevum, teoricamente i più armati e pericolosi; la Bellwether Security, società che si occupa dell’eliminazione dei vampiri ma con traffici decisamente torbidi e le varie sette con a capo i vampiri. In fondo, questi tre gruppi dovrebbero distinguersi per la capacità di agire in simultanea ma senza una vera IA di gruppo come si può pensare di diversificarli?

I vampiri sono i più forti, ma semplicemente perché sono più coriacei singolarmente. Già i “base” mi hanno messo maggiormente in difficoltà grazie alla loro capacità di teletrasportarsi di fronte a Jacob. Senza esagerare con gli spoiler, tutte le altre varianti posseggono una qualità unica che li rende un minimo più complessi da gestire, senza però mai diventare veramente difficili. Medesimo discorso anche per le tre boss fight presenti nel gioco: sono morto diverse volte prima di riuscire a buttar giù il Vampire God di turno, ma non ho mai avuto l’impressione di non potercela fare: basta solo essere più accorti. Anche perché le meccaniche sono di quanto più standard e consolidato possibile: alcune boss fight dei primi anni 2000 hanno ancora maggiore appeal (si veda Metroid Prime o anche il più bistrattato The Legend of Zelda: The Wind Waker).

Paradossalmente il nemico più forte del gioco, ma anche la meccanica più interessante, prende il nome di Folgore: un nerboruto vampiro che si presenta in campo sparando fulmini color cremisi. Folgore si materializza andando avanti con la storia principale o quando uccideremo troppi vampiri speciali. Una meccanica che mi ha ricordato i Grandi Antichi di lovecraftiana memoria, che tutto vedono e prima o poi colpiscono. un’idea che mi sarebbe piaciuto vederla ulteriormente sviluppata ma purtroppo così non è stato.

Recensione Redfall: God Vampire

Redfall su Xbox Series X

Tecnicamente Redfall è insufficiente. Ho provato l’opera di Arkane Studios su Xbox Series X e conscio del blocco sui 30 fps, mi aspettavo una resa grafica da next-gen. Così non è: le texture sono mediocri nanche per un titolo per PlayStation 4 o Xbox One. Alcune aree importanti forniscono un bel colpo d’occhio, ma i complimenti sono diretti solo al design di alcune zone al chiuso come il cinema o la villa di un vampiro divino; l’isola di Redfall è scarna e gli interni delle sue abitazioni sono quanto di più generico sia possibile vedere. Gli essere umani sono tutti uguali, mentre i vampi presentano qualche dettaglio apprezzabile. Purtroppo, in questa mediocrità devo segnalare uno spiazzante stuttering presente in alcune delle fasi più concitate del gioco, nonostante i 30 fps.

Conclusione

Redfall è un videogioco, come giustamente detto anche dallo stesso team di sviluppo, che andava cancellato, poiché è insufficiente sotto tutti gli aspetti, con l’aggravante di deludere una fan base che comprerebbe un titolo di Arkane Studios ad occhi chiusi. L’FPS di Bethesda potrebbe sembrare un buon punto di partenza per uno studio indipendente con una manciata di sviluppatori, ma non può soddisfare la necessità degli Xbox Game Studios di creare videogiochi di alta qualità. Redfall delude su tutti i punti di vista: gameplay, level design e persino graficamente. La trama ha delle buone intuizioni, ma il suo sviluppo è approssimativo. Il gioco avrebbe richiesto maggior tempo per essere completato, ma stiamo parlando di anni, non certo mesi.

Dettagli e Modus Operandi
  • Piattaforme: Xbox Series S|X, PC
  • Data uscita: 02/05/2023
  • Prezzo: 79,99 € (disponibile sull’Xbox Game Pass)

Ho provato il gioco al day one su Xbox Series X per un totale di circa trenta ore.

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Editoriali

Perché Bioshock ha fatto la storia dei videogiochi

Bioshock”. Avrei potuto anche scrivere questa unica parola, chiudere qui l’articolo e non aggiungere altro. Già, perché per qualunque amante dei videogame di qualità Bioshock è storia, anzi, è leggenda.

Quello che leggerete d’ora in avanti sarà il variopinto elogio di una saga, “Bioshock”, “Bioshock 2” e “Bioshock – Infinite”, che mi ha appassionato come quasi nessun’altra e che mi ha piacevolmente costretto a giocarla e rigiocarla fino a scoprire ogni più piccolo segreto, ogni sfaccettatura, ogni singolo passaggio. Con “Bioshock” e i suoi sequel, infatti, non si vive semplicemente una storia, non si vestono soltanto i panni del protagonista di turno ma si affrontano i propri demoni, ci si interroga, spinti dalla trama, a fare i conti con sé stessi e ad interrogarsi su cosa, fino in fondo, sia la nostra natura umana.

La nascita del mito

Ma andiamo con ordine. Nel 2007, sviluppato da Blind Squirrel Games e pubblicato da 2K Games, arriva “Bioshock”, un FPS destinato a cambiare la storia degli sparatutto in prima persona e non solo. Il titolo ebbe l’effetto deflagrante di una bomba atomica in un mondo video ludico che attendeva con ansia un nuovo capolavoro di cui cibarsi con voracità. Il lavoro dei ragazzi dello “Scoiattolo Cieco” si rivelò subito un gioiello preziosissimo, sia per il comparto tecnico e la programmazione perfetta sia per il design dei livelli e degli straordinari personaggi. Fu così che tutte le riviste di settore non poterono far altro che dare votazioni altissime tanto da raggiungere la media di 97/100. L’acclamazione di “Bioshock” fu unanime, così come la soddisfazione dei videogiocatori di tutto il mondo che si trovarono per le mani uno dei migliori titoli mai realizzati.

Bioshock: quando si dice colpo di fulmine
Quando si dice il colpo di fulmine!

Successore “spirituale” di System Shock 2, Bioshock venne ideato per stupire la platea videoludica e trasportarla in una realtà distopica in cui il giusto e lo sbagliato vanno a fondersi in un’ipocrisia generale e folle.

Il capostipite della serie inizia con il protagonista Jack intento ad affrontare il dramma di un disastro aereo rimanendo miracolosamente illeso. Precipitato al largo nell’Oceano Atlantico, scorge un faro poco distante. Entrato poi in una batisfera, viene trasportato suo malgrado all’ingresso della città di Rapture obbligato così a scoprire i tremendi segreti di un mondo sommerso intriso di pazzia, disumanità e degrado sociale da cui dovrà evitare di essere inghiottito.

La prima avventura si dipana proprio all’interno di questa stupefacente e affascinante città sottomarina in cui, prima del decadimento, si erano riunite menti illuminate e geniali che avevano come discutibile scopo quello di poter sperimentare senza freni, slegati dalla morale e dalle leggi terrestri.

Scopriamo, ben presto, che l’inizio della fine fu la scoperta di una sostanza estratta da alcune lumache di mare, l’Adam. Tale sostanza agisce sull’organismo umano come una sorta di tumore benigno che sostituisce le cellule presenti con cellule staminali potenziate e instabili. Risultato? Tanti poteri ma anche demenza e follia. Questi poteri vengono chiamati “Plasmidi” e donano a chi li possiede (i ricombinanti) le capacità, tra le altre, di congelare, bruciare, fulminare e generare api assassine. Tali poteri vanno costantemente rimpinguati dalla droga Adam che, come ogni sostanza stupefacente, causa dipendenza. Ed ecco che Rapture, nata come città utopica con lo sguardo rivolto al futuro e alla tecnologia, diventa in breve tempo un enorme calderone di morte e pazzia in cui umani dissennati vagano senza meta per procurarsi una dose.

E già così, ammettiamolo, potremmo parlare di un’idea originalissima alla base di Bioshock. Già così potremmo parlare di capolavoro. Per fortuna, però, Bioshock non si limita ad essere uno sparatutto in soggettiva tecnicamente e visivamente splendido ma anche un gioco in cui la trama ci lascia a bocca aperta e che ci regala chicche splendide come i Big Daddy e le Sorelline a cui non possiamo che dedicare una sezione più in basso.

Un Big Daddy ci sta caricando…

Tralasciando i risvolti di trama, per i quali il sottoscritto vi consiglia caldamente di recuperare i titoli e giocarli, i due sequel procedono nel solco tracciato da “Bioshock”, regalandoci in Bioshock 2 la possibilità di vestire i panni di un possente Big Daddy senziente e, nel terzo, di vivere un’avventura splendida tra l’onirico e il magico, il tutto sapientemente curato da una regia politica che ne fa, probabilmente, il titolo più maturo dei tre.

Big Daddy & Sorelline, terrore e genialità

Come abbiamo detto, gli abitanti di Rapture sono ormai perduti, vittime dei loro stessi vizi e perennemente alla ricerca di Adam. E la loro ricerca si estende, in modo macabro e purulento anche nei cadaveri disseminati qui e lì per una città senza freni. Già, perché con uno strumento terrificante simile ad una pistola con un lungo aculeo finale è possibile estrarre i residui di Adam che scorrono nelle vene del defunto. I cadaveri, però, restano incustoditi e a disposizione di tutti solo per pochissimi minuti perché, a pochi minuti dalla morte, ecco arrivare le visioni più agghiaccianti e terribili che Rapture proponga: i Big Daddy e le Sorelline. I primi sono dei robot corazzatissimi e armati di trivella meccanica che hanno un solo scopo: difendere le bimbe che li accompagnano. Queste creaturine a prima vista sembrano delle dolci e innocenti bambine che però si rivelano esseri mutati geneticamente e riprogrammati per “fiutare” l’Adam ed estrarlo dai cadaveri con i loro arnesi.

Bioshock: sorellina
Ecco una sorellina in tutto il suo macabro e tremendo splendore

Non nascondo che quando le incontrai per la prima volta restai pietrificato e provai una sensazione di terrore misto a fascinazione. È indubbio che, pur silenti, i Big Daddy siano personaggi straordinari, non a caso diventati ultra-famose icone pop più volte rappresentate e ben presenti nell’immaginario videoludico attuale.

Quando le parole “bene” e “male” non hanno più senso

Non starò qui a raccontare minuziosamente le trame di questi capolavori senza tempo a distanza di così tanti anni dalla loro uscita ma è necessario trovare all’interno di essi un filo conduttore dell’intera l’epopea di Bioshock: la difficoltà di distinguere il bene dal male. Cosa è giusto e cosa è sbagliato. Durante tutti i tre i giochi, infatti, saremo spesso chiamati a fare delle scelte difficili che potranno o non potranno rendere il nostro personaggio più forte e, di conseguenza, l’incedere tra i livelli più agevole. Saremo chiamati a scegliere se liberare le sorelline del loro mostruoso fardello regalando loro una nuova infanzia umana oppure ucciderle prosciugandole del tutto del prezioso Adam. Detta così, potrebbe essere semplice dire quale sia la scelta giusta ma, in realtà, siamo ben oltre i limiti dell’ovvio.

Le sorelline non sono biologicamente umane, anzi, sono completamente prive di umanità nel loro stato e ciò, convenzionalmente, non le porta allo status di esseri umani. Non sappiamo i risvolti reali della loro “redenzione” che, per mano nostra, potrebbe lasciarle in una sofferenza perenne e con enormi problemi di carattere psicologico e sociologico. Neanche la dottoressa che le ha create, Brigit Tenenbaum non sa realmente cosa le sorelline siano in realtà né tantomeno conosce la loro origine. Vale la pena rischiare la propria vita per salvare questi soggetti che potrebbero essere stati creati artificialmente in laboratorio? Sta a voi deciderlo… dilemmi etici di tale portata saranno ben presenti anche nei sequel in cui potremo o non potremo forzare la legge di Rapture e quella etica per andare avanti, oppure partecipare ad un golpe che possa favorirci. E’ tutto nelle nostre mani e i vari finali disponibili, che cambiano in base alle nostre scelte, rappresentano il giudizio finale sulle nostre azioni. Provare per credere.  

Sono ambidestro e ve lo dimostro!

Spero che a questo punto via sia passato il messaggio che “Bioshock” e fratelli siano dei capolavori visionari e senza tempo ma non potevi esimermi dal parlarvi di una delle meccaniche di gioco più importanti nonché più iconiche e riconoscibili del gioco: il doppio attacco combinato.

Abbiamo detto in incipit che a Rapture abbiamo la possibilità di acquisire poteri straordinari chiamati Plasmidi e che questi siano alla base di tutti e tre i titoli. Ciò non implica, però, che i nostri protagonisti non possano farsi largo tra selve di nemici a colpi di armi da fuoco, anzi. L’innovazione della saga di Bioshock è proprio rappresentata dal doppio attacco Plasmide/Arma da fuoco che possiamo sfruttare anche in base all’ambientazione. Per fare un paio di esempi banali, ma si può eliminare il nemico con enorme eleganza e in tanti modi diversi, se il nostro avversario si trova con i piedi nell’acqua sarà certo una buonissima idea utilizzare la scarica per fulminarlo per bene prima di finirlo con fucile o pistola mentre se si trova a camminare sul cherosene o sulla benzina, la fiamma ci aiuterà ad arrostirlo a puntino.

Boom e poi bang-bang!

Ecco, la possibilità di utilizzare la mano destra per sparare e la sinistra per utilizzare il potere fu un vero colpo di genio dei creatori che regalarono, così, ai posteri una saga da cui, successivamente, hanno attinto un po’ tutti a piene mani.

Una saga oltre il tempo e la tecnica

Degrado sociale, psicologia, cieca follia e lucida crudeltà sono gli ingredienti che, uniti ad un comparto tecnico di altissimo rilievo e da un level design degno di essere studiato nelle università di settore, fanno della saga di Bioshock una delle più importanti e ricordate dell’intera storia videoludica. Tre titoli che non sentono quasi per nulla il peso degli anni e che possono essere tranquillamente giocati anche al giorno d’oggi senza il timore di vivere un’esperienza vintage e poco appagante. Provare per credere.

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Recensioni

Exoprimal: abbiamo provato l’open beta

A partire dallo scorso venerdì Capcom ha reso disponibile per tutto il weekend una versione beta di Exoprimal, il nuovo sparatutto della casa di Osaka. Dopo tre giorni passati a distruggere dinosauri in sfide a squadre all’ultimo respiro, siamo pronti a darvi le nostre impressioni.

Armature e dinosauri

L’ambientazione di Exoprimal è quantomeno insolita.

Il concept e l’ambientazione di Exoprimal sono quantomeno originali. In un imprecisato futuro, la razza umana ha sviluppato una serie di teconlogie avanzatissime, tra cui gli ologrammi senzienti ed un sistema di teletrasporto.

La principale applicazione bellica di queste tecnologie è rappresentata dalle Exocorazze, micidiali esoscheletri dalla devastante potenza combattiva. I principali nemici che i possessori di queste incredibili tute saranno chiamati ad affrontare sono nientemeno che….i dinosauri!

In base a quanto si legge sul sito del gioco, la causa della loro comparsa sarebbe da riscontrare in una serie di misteriosi vortici apparsi su tutta la terra. La beta di Exoprimal tuttavia non fornisce grandi informazioni sulle cause di tale fenomeno. Fatto sta che in ogni partita i giocatori si troveranno a fronteggiare non solo le exocorazze avversarie, ma orde di centinaia e centinaia di lucertoloni.

Con un’idea che ricorda di vicino opere come Turok e Cadillacs and dinosaurs, Capcom propone nuovamente una lotta tra futuro e passato, tra tecnologia e forza primordiale, tra uomo e dinosauro.

Questione di sopravvivenza

La modalità sopravvivenza è stata l’unica disponibile nella beta di Exoprimal.

Dopo la creazione del nostro avatar (ancora piuttosto scarna a dire il vero) siamo stati sottoposti ad un breve tutorial, che ha fornito le basi del movimento e delle meccaniche di Exoprimal.

Una volta completato, la beta permetteva di ripetere il tutorial (per poter sperimentare altre exotute) oppure di lanciarsi nella modalità sopravvivenza. Quest’ultima si è rivelata essere una sfida tra due squadre di cinque giocatori ciascuno.

Guidati dalla sinistra intelligenza artificiale Leviathan, probabile antagonista del gioco, i giocatori dovranno superare una serie casuale di quattro missioni, quasi sempre incentrate sull’eliminazione di dinosauri. Si tratterà per esempio della semplice eliminazione di un dato numero di bersagli, oppure della difesa di una determinata zona per un tot di tempo, o ancora dell’abbattimento di belve particolarmente grosse e coriacee, come triceratopi o tirannosauri.

La squadra che completerà per prima le missioni otterrà una serie di vantaggi. Al termine di queste missioni, infatti comincerà la sfida finale, in cui le due squadre si scontreranno con regole particolari. Nello specifico, in una sfida vincerà la squadra che raccoglierà per prima 100 nuclei energetici. In un’altra ci sarà una torre mobile che andrà scortata fino al campo avversario mentre nell’ultima entrambe le squadre avranno a disposizione un martello. Dopo averlo caricato al massimo, l’attrezzo andrà usato per distruggere un nucleo energetico situato nel campo avversario.

Anche in queste sfide avremo a che fare con un numero esorbitante di dinosauri, che renderanno l’esito delle partite ancora più incerto e l’azione ancora più martellante. Raggiunto un determinato punteggio, sarà possibile sbloccare alcuni speciali moduli, che ci consentiranno di controllare per un breve periodo un dinosauro gigante (di solito un tirannosauro) con cui portare scompiglio nel campo avversario.

Per gli amanti degli sparatutto non si tratta certo di modalità mai viste prima, ma la varietà delle missioni mi ha regalato diverse ore di divertimento e le partite non sono mai sembrate troppo simili tra loro.

Una tuta per ogni occasione

Le exotute sono apparse davvero belle e ben caratterizzate.

Il maggior punto di forza di Exoprimal è sicuramente costituito dalle Exocorazze. Esse presentano un design davvero bello ed accattivante e sembrano tutte ben caratterizzate. La varietà di forme e colori è davvero buona e conferisce ad ogni armatura una forte personalità.

Come prevedibile, ogni corazza corrisponde ad una particolare classe e sono suddivise tra assalto, colosso e supporto. Le corazze assalto sono quelle dotate della maggior forza d’attacco e di una buona capacità di movimento. Deadeye è la più bilanciata, Zephyr è specializzata nel corpo a corpo mentre Barrage e Vigilant sono rispettivamente l’artificiere ed il cecchino.

Le corazze colosso sono quelle più tozze e massicce ed hanno elevata resistenza ed enorme potenza offensiva o difensiva, a scapito di mobilità e gittata. Tra queste Krieger è la più potente, Roadblock la più forte in difesa e Murasame la più potente nel corpo a corpo.

Infine le unità supporto hanno il compito di curare le unità alleate (Witchdoctor), supportare dall’alto (Skywave) e fare un mix delle due azioni (Nimbus).

Ogni corazza è dotata di un attacco base e di quattro abilità uniche, che dovranno essere ricaricate dopo l’utilizzo. Non sarà difficile per i giocatori trovare la corazza più congeniale al proprio stile di gioco. Personalmente ho provato tutte le corazze e non ne ho trovata nessuna che non risultasse interessante o che non abbia dato qualche soddisfazione.

Prime impressioni

L’azione in exoprimal è davvero al cardiopalma!

A livello tecnico, la beta di Exoprimal fa sicuramente bella figura. La grafica è davvero bella, nitida e definita. Le animazioni ed i movimenti risultano assolutamente fluidi e dinamici. Il gioco non ha praticamente mai mostrato rallentamenti, nemmeno nelle fasi più concitate, in cui letteralmente centinaia di dinosauri inondavano lo schermo abbattendosi sui giocatori.

Anche il sonoro, pur non brillando in modo particolare, è sembrato molto azzeccato per le atmosfere del gioco. Il design dei dinosauri e delle corazze, armi comprese è estremamente curato e ricco di particolari. Unica nota stonata sono le ambientazioni, che appaiono piuttosto piatte e ripetitive e consistono quasi sempre in città abbandonate e semidistrutte.

Anche per quanto riguarda i controlli, la beta risulta promossa in pieno. I movimenti dei nostri personaggi sono estremamente precisi, veloci e funzionali. Una volta presa la mano, sarà possibile sfruttare al meglio tutte le risorse delle nostre corazze in modo efficacie e soddisfacente, dando vita a battaglie all’ultimo sangue davvero coinvolgenti e divertenti.

Come già scritto, abbiamo potuto osservare solo la modalità sopravvivenza, ma quel che abbiamo visto ci è piaciuto. La combinazione tra azione cooperativa contro i sauri e sfida agli altri giocatori rende le partite sempre varie ed imprevedibili ed ha grandi potenzialità per creare un gameplay ancora più ricco ed accattivante nella versione finale del gioco.

Conclusioni

Exoprimal ha sicuramente un ottimo potenziale.

Per concludere, la beta di exoprimal ci ha sicuramente ben impressionato. Comparto tecnico e giocabilità sembrano essere di buon livello e la varietà delle missioni conferisce un’ottima varietà.

Certo, resta una grande incognita. Riuscirà Exoprimal a ritagliarsi un posto in un panorama così affollato e con una fanbase esigente come quello degli sparatutto? Dovremo ancora attendere qualche mese per saperlo, ma secondo noi il gioco Capcom è da tenere d’occhio.

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Recensioni

Serious Sam Siberian Mayhem per PC – Recensione

Recensione in BREVE

Serious Sam Siberian Mayhem si dimostra essere un gioco decisamente interessante. Fa divertire con il suo ampio parco armi, di cui può sicuramente farsene vanto. Gli elementi da GDR lo caratterizzano ulteriormente, aumentandone la giocabilità e le possibilità di personalizzazione del personaggio. Paga il non aver fatto il salto di qualità per essere considerato una pietra miliare, ma rimane certamente un gioco molto valido e divertente.

8.5


Serious Sam Siberian Mayhem è un FPS sviluppato da Croteam e Timelock Studio. Non ha generalmente bisogno di tante presentazioni il titolo, facendo parte della storica saga del mitico Sam Stone. Per chi fa parte della vecchia guardia come me, questo rappresenta lo sparatutto in prima persona per antonomasia. Se c’é un videogame da non prendere troppo sul serio, dinamico, divertente e decisamente frenetico è questo.

Quel che mi lascia stupefatto è la capacità degli sviluppatori nel cambiare pelle completamente alla saga, più volte, senza mai snaturarne la natura FPS. Negli anni infatti si sono susseguiti capitoli VR della serie, mini-giochi, remake dei primi due capitoli storici (First e Second Encounter) e nuovi episodi (come questo). La sottile linea che li ha caratterizzati tutti è la continua innovazione tecnica e lo sforzo nell’introdurre nuovi elementi, riuscendoci ogni volta con successo! Ciò non è da ignorare, considerando il fatto che remake di saghe alla Mass Effect Legendary Edition hanno riguardato solo la parte tecnica, dopo anni di stallo ed un unico nuovo capitolo.

Serious Sam rimane una delle poche pietre miliari del genere che, seppur in ripresa, da un pò di tempo soffre la mancanza di nuove idee. Il genere degli sparatutto in particolare ha vissuto momenti di difficoltà dovuti al massivo impiego del multiplayer. Questo a discapito del caro vecchio singleplayer, con conseguente abbassamento delle qualità tecniche e ludiche dei giochi stessi. Considerato come il gameplay è cruciale in ogni videogame, lo scarso investimento da questo punto di vista ha fatto ristagnare un pò il genere nel recente passato. Per fortuna però questo gioco sembra non averne sofferto affatto, anzi. Che sia il tempo della rinascita degli FPS? Chissà.

Andiamo ora però ad analizzare il titolo nel dettaglio.

Buona grafica e resa tecnica

Desert Eagle Serious Sam
Una delle prime scene di gioco, con la nostra cara Desert Eagle!

A livello tecnico puro il gioco ha nelle grafica un punto di forza. Devo ammettere che in sede di recensione qualche problema di scarsa ottimizzazione è presente. Nonostante abbia una delle più performanti schede video in circolazione (Nvidia Geforce RTX 3070) il gioco soffre di qualche calo di FPS, rallentamenti ed a volte stuttering. Questa è comunque una cosa “normale” vista l’uscita recente del gioco, che presenta una resa grafica potenziale davvero ottima. Anche le texture per le armi, i nemici ed i personaggi sono ben realizzate, con qualche sbavatura nelle ambientazioni, dove si poteva fare di più.

Per quanto riguarda la parte di musica ed audio siamo nella media, niente colonne sonore alla Doom ma “solo” una buona OST di contorno. Menzione d’onore per la perenne ironia di Sam, che ha sempre caratterizzato la saga e continua a farlo. Si poteva osare anche un pò di più con i mini-dialoghi dell’eroe, ma perlomeno fanno da contorno alle sparatorie in maniera simpatica. Carine le citazioni durante i caricamenti.

Nel complesso dunque abbiamo un gioco godibile ma non eccelso nel comparto audio, con una resa grafica di pregio.

Armi, armi ed ancora armi

Slitta con lanciamissili
Gita in slitta con lanciamissili

La parte in cui il gioco si difende meglio, nonostante l’ottima grafica, è il gameplay. Finalmente si ha davanti un titolo che non è affatto semplice, non è banale e soprattutto non è ripetitivo. Dal punto di vista della difficoltà si ha un ottimo equilibrio, con sessioni di gioco impegnative a livello normale ma non proibitive alla Souls-like maniera. In questo modo si è obbligati ad utilizzare tutto l’arsenale a nostra disposizione, dal lanciamissili, al fucile a pompa, passando per le armi utilizzate in coppia. Il parco armi è ben nutrito, ed è inoltre presente una buone dose di mod che possono essere montate in modo fisso o a comando, davvero interessanti.

Ottima aggiunta la possibilità di pilotare mezzi di trasporto, che fanno da contorno alle azioni di gioco e permettono di aggiungere un pò di varietà al tipico shooting. Inoltre la quantità di avversari che possono attaccarci è davvero impressionante, altra caratteristica storica della saga, obbligandoci ancora di più a modificare il nostro stile di gioco. Se infatti ci troviamo davanti ad un kamikaze, non possiamo sperare di affrontarlo con il coltello o il fucile a pompa, pena una veloce dipartita. Al contrario, in caso di avversari che lanciano missili teleguidati, è consigliabile un approccio diretto avvicinandosi con armi a corto raggio.

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Vogliamo poi parlare della possibilità di sapere dove dobbiamo andare per seguire la missione principale? Non c’è problema, abbiamo anche questa funzione. Così sappiamo sempre dove dirigerci o, ancora meglio, dove non dirigerci. Si, perché se c’è un approccio che ho sempre utilizzato per scoprire i vari segreti, trovare subito le armi migliori, sopravvivere meglio agli scontri, è dirigersi in direzione opposta a quella che farebbe proseguire la trama. Anche questo aspetto è ben studiato e sono riuscito così a sbloccare vari segreti e missioni facoltative (con annessi potenziamenti e/o armi bonus).

Possiamo inoltre dire che la quantità di armi, mod, potenziamenti è davvero notevole. Unendo a ciò il fatto che sono ora presenti dei gadget, nella forma di potenziamenti funzionali particolari (rallentamento del tempo, vitalità aggiuntiva sopra la soglia dei cento punti, boost della forza) ed un sistema simil GDR per l’acquisto di determinate abilità, si capisce come la giocabilità ne giovi molto. Potremmo preferire un approccio più ignorante con armi da mischia, affrontando la maggioranza dei nemici di petto, piuttosto che imboccare la via delle armi con le abilità per impugnare due lanciamissili o due mitragliatrici. La scelta sta a noi.

Albero abilità Serious Sam
L’albero delle abilità in Seriuos Sam Siberian Mayhem

Dovrebbe a questo punto essere chiaro cosa intendevo prima quando parlavo del gameplay come punto di forza. Insomma, il titolo innova senza snaturare le tradizioni tipiche della saga. Sono stati fatti degli innesti anche importanti al titolo, è innegabile, senza cambiarne però la pelle da sparatutto divertente ed irriverente. Ed il risultato è godimento puro.

Conclusioni

Serious Sam Siberian Mayhem si è dimostrato un titolo eccezionale, con una resa tecnica buona ed interessanti elementi di innovazione al gameplay. È un titolo capace di divertire davvero tanto, con un parco armi molto ampio ed interessanti elementi da GDR. La frenesia tipica da FPS è intatta e la classica aura scherzosa e divertente del caro Sam Stone non si discute. D’altro canto le musiche non eccezionali, qualche difetto nell’ottimizzazione delle prestazioni grafiche e la mancanza di elementi davvero rivoluzionari non permettono il salto di qualità verso lo status della pietra miliare.

Questo se vogliamo essere davvero pignoli, perchè rimane comunque un gioco degno di essere giocato e su cui investire il proprio tempo, genuinamente ripagato in divertimento.

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: Sparatutto, Action
  • Lingua: Inglese
  • Multiplayer: No
  • Prezzo19,99€

Ho rincorso mentali in Siberia per circa 15 ore grazie ad un codice gentilmente fornito dal publisher.

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Recensioni

Call of Duty: Vanguard – Recensione: un Bastardi senza gloria annacquato

Recensione in un Tweet

Call of Duty: Vanguard potrebbe fare molto di più, ma si limita a tracciare una linea senza picchi di una serie ormai lunga 18 anni. La modalità single player è l’emblema della contemporaneità videoludica. Una buona idea sprecata dall’eccessiva fretta di portare un’enorme quantità di contenuti extra alla modalità multiplayer, la più riuscita e assuefacente del titolo, che si è limitata a riportare quanto di buono già fatto con Warzone.

7.5


La seconda guerra mondiale è probabilmente lo scenario più spremuto degli sparatutto moderni e Activision ha un diritto di prelazione datato 2005. Call of Duty 2 è uno degli FPS più amati apprezzati di sempre, mentre il precedente lavoro di Sledgehammer Games, Call of Duty: WWII, è ricordato con estremo piacere dagli amanti della saga. Di conseguenza, Call of Duty: Vanguard si è portato dietro una grande speranza, che piacerà agli amanti della serie, ma che difficilmente porterà nuovi giocatori.

Call of Duty: Vanguard è diviso in tre parti principali: campagna, multiplayer online e zombie. Sappiamo che Activision porterà tanti nuovi contenuti nel corso del tempo, ma la nostra valutazione può tenere conto soltanto di quanto visto al lancio. E per forza di cose, almeno di due queste hanno bisogno di nuovi contenuti quanto prima.

Call of Duty Vanguard: L'avanguardia

Campagna

Ci aspettavamo che la deriva mutiplayer (ed esport) di Call of Duty avrebbe portato a un ridimensionamento del single player, ma ci dispiace per l’Avanguardia; l’idea di base era realmente coinvolgente. Il single player di CoD: Vanguard ci mette nei panni di cinque membri di una task force impegnata nell’operazione Phoenix, il cui obiettivo è il recupero di importanti documenti. I soldati dell’Avanguardia sono: lo sfortunato Novak, che ci lascerà anzitempo, il leader del gruppo, Arthur Kingsley dell’armata britannica, il cecchino russo Polina Petrova, l’aviatore americano Wade Jackson e Lucas Riggs, geniere australiano.

Tutti i membri dell’Avanguardia e i relativi nazisti hanno una caratterizzazione decisamente stereotipata, che fa l’occhiolino al cinema hollywoodiano. Una scelta decisamente votata ai più giovani, che ci ha ricordato il celebre Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino, in una rivisitazione decisamente annacquata, molto più simile a una serie Netflix per adolescenti. L’idea generale del gioco è ricordare che la guerra porta morte e sofferenza, indipendentemente dalla fazione, etnia o ragioni per cui combatti. L’immediata morte di Novak ci fa pensare che non può esserci niente di peggio, ma i flashback dei singoli protagonisti ci rendono consapevoli che sopravvivere non è necessariamente una vittoria.

Bello, ma non bellissimo

Nella campagna di Call of Duty: Vanguard ci scontriamo nell’egocentrica follia nazista di Hermann Freisinger in diverse parti del mondo e del cielo. Germania, Francia, Russia, Africa e Oceano Pacifico saranno scenari di una guerra caotica e frenetica, che segue i canoni tipici della saga. Le ambientazioni forniscono degli scorci molto suggestivi, mentre la motion capture rende i volti realistici e cinematografici; questo, insieme a piacevoli dettagli come le divise naziste, rendono CoD: Vanguard un titolo visivamente molto godibile, anche se non proprio next-gen.

La cross-generation è sicuramente un freno, ma su Xbox Series X abbiamo affrontato un paio di cali di frame di troppo, che comunque non hanno rovinato un’esperienza di gioco solida. Sullo stesso livello si pone la parte sonora; alcune tracce sono decisamente molto azzeccate, soprattutto sul finale berlinese, ma che non raggiungono alcuni capolavori che abbiamo ascoltato nel recente passato della serie.

Il problema principale della modalità è sicuramente la breve durata di circa cinque ore che segue dei canoni molto, troppo standard. Abbiamo esplorato singolarmente le vite dei membri dell’Avanguardia per poi affrontare la missione finale in coop, con la sensazione che una minore frettolosità avrebbe potuto proporre dei momenti indimenticabili.

Call of Duty Vanguard: Polina Petrova

Multiplayer

Se FIFA e Call of Duty sono i titoli più acquistati dai videogiocatori italiani, il motivo è presto detto: FIFA e CoD appagano la necessità di competizioni dei casual player e degli esporter. Lo stile veloce, quasi arcade, di Call of Duty ha permesso a tanti videogiocatori di fare la guerra con una curva di apprendimento meno ripida di altri titoli competitivi (ad esempio, Counter-Strike). Sledgehammer Games ha mantenuto invariato questo stile, con tutti i suoi pregi e difetti.

Chi passa già tanto tempo in CoD, troverà Vanguard molto allettante per la presenza di tantissimi contenuti già disponibili al day one; infatti, il titolo conta già 20 mappe, di cui 16 per la modalità base mentre 4 in esclusiva per Collina dei Campioni, una delle due nuova modalità insieme a Pattuglia. La Collina dei Campioni è un torneo di sopravvivenza che si svolge su diverse arene, mentre Pattuglia è una rivisitazione di Postazione, con un obiettivo dinamico su tutta la mappa.

Full optional

Le stesse sensazioni di assuefazione che si possono provare da tempi di Call of Duty 4: Modern Warfare sono ulteriormente amplificate dall’esperienza ottenuta dal publisher con il battle royale Warzone. Sin dalle prime battute sarà possibile ottenere skin e nuove abilità da inserire in uno dei quattro slot a disposizione del proprio alter ego. In aggiunta, vi è la presenza dell’armaiolo, feature che permette di sbloccare utilizzo dopo utilizzo nuovi potenziamenti alle armi, che diventano così altamente personalizzabili. Infine, il matchmaking garantisce sempre nuove partite con un tempo che si assesta solitamente sotto al minuto di attesa.

In altre parole, Call of Duty: Vanguard prosegue quanto già costruito dai suoi predecessori, ma per l’innovazione bisognerà attendere; infatti, nonostante l’importante quantità di armi ispirate alla seconda guerra mondiale, difficilmente avremmo il tempo di gustare una battaglia retrò, soprattutto perché lo stile arcade del gioco ci riporta rapidamente alla modernità dei giochi contemporanei.

Zombie

Nei cimiteri di Stalingrado, l’Oberführer Wolfram Von List ha trovato risposte alla sua necessità di paranormale. Il Projekt Endstation ha squarciato le dimensioni e Von List ha stretto un’alleanza con una potente entità demoniaca: Kortifex l’Immortale. L’Alleanza, insieme ai quattro demoni Inviktor il Distruttore, Bellekar l’Arcanista, Norticus il Conquistatore e Saraxis l’Oscura, dovranno sconfiggere il male in questa versione della modalità zombie. La modalità prevede una hall principale, Der Anfang, dove ritrovarsi con altri compagni di squadra per poter scegliere quanti e quali round affrontare.

Ogni round prevede il completamente di un obiettivo, che passa attraverso la distruzioni di orde di zombie, che diventano via via più potenti. Alla fine di ogni round sarà possibile spendere i punti ottenuti per potenziare il proprio personaggio. Inutile dire che sarà fondamentale farlo, soprattutto se vorremmo provare l’Estrazione, un combattimento all’ultimo sangue disponibile dal quarto round, che porterà alla fine, gloriosa o meno, della partita.

Call of Duty Vanguard: Zombie

Minimale

Per molti videogiocatori di Call of Duty, la modalità Zombie è una delle più divertenti, ma in Vanguard manca ancora l’enorme scelta disponibile nella modalità multiplayer; infatti, ogni volta che saremmo catapultati dal Der Anfang a una nuova zona, si ha l’impressione di affrontare sempre la stessa missione. Anche se gli obiettivi sono effettivamente diversi, purtroppo nondovremmo fare altro che massacrare non-morti e premere il tasto X su un oggetto della mappa. Una ripetitività che siamo certi diminuirà con il tempo, ma che per ora non possiamo fare altro che constatare.

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: Sparatutto
  • Lingua: Italiano
  • Multiplayer: Si
  • Prezzo79,99€

Ho completato la modalità single playuer in circa 5 ore, dedicandomi alla modalità multiplayer per almeno il doppio del tempo grazie a un codice gentilmente fornito dal publisher per Xbox Series X.

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Dariusburst Another Chronicle EX+ per Nintendo Switch – Recensione

Recensione in un Tweet

Dariusburst Another Chronicle EX+ è un ottimo videogioco, che subisce un pessimo porting da cabinato. Il gameplay è eccezionale e i contenuti sono tantissimi, ma la fruizione su console è ostica, a tratti frustrante. Il prezzo non proprio budget rende l’acquisto interessante solo ai veri appassionati, consapevoli che Nintendo Switch non è la miglior piattaforma su cui usufruire di tale esperienza.

6.5


Quante volte avete desiderato che i cabinati, siti nella sempre amata saletta giochi, si teletrasportassero direttamente nella vostra stanza? Io tante, tantissime volte, e scommetto che chi ha vissuto gli anni 80-90 ha condiviso con me quel desiderio. Schiere di cabinati, ognuno dal considerevole peso ed ingombro, sfoggiati in file ordinate, pronti per l’ennesimo giro in cerca dell’highscore.

Ora corre l’anno 2021 e la tecnologia ha fatto davvero passi da gigante; dieci, cento, mille cabinati, tutti racchiusi sul palmo della nostra mano, tutti a nostra disposizione. È incredibile pensare come quintali, tonnellate di scatoloni metallici possano esser racchiusi in una minuscola scheda MicroSD dal peso di appena 2 grammi, prontamente usufruibili, e soprattutto non richiedano più quelle dannate monetine, che puntualmente mancavano al me stesso di circa 23 anni fa.

Eppure – come già avevo accennato durante la recensione di R-Type Final 2 – un cabinato sul palmo di una mano semplicemente non è un cabinato; il feeling è differente, l’ergonomia è differente, le caratteristiche hardware sono differenti. Dariusburst Another Chronicle EX+ è il perfetto esempio di come un cabinato ed una console portatile non vadano sempre equiparati.

Dariusburst nasce come titolo prettamente arcade, ovvero destinato alle sale sale giochi, e Another Chronicle EX+ è di fatto un remix del capitolo originale Dariurburst; abbiamo quindi a che fare con il porting – ad opera di Pyramid – di un titolo per cabinato, e questo causerà più di qualche problema alla fruizione su console, ma andiamo con ordine.

Ittiologia spaziale

Lo sappiamo tutti, la trama non è proprio l’elemento centrale di uno Shoot ‘em Up a scorrimento, e la saga di Darius non fa eccezione. Vi basti sapere che l’umanità anche stavolta deve vedersela con l’Impero Belsar, e per farlo ha a disposizione un’unica, potentissima arma, ovvero il caccia Silverhawk. Fin qui nulla di nuovo, umanità contro razza aliena ed un’astronave pronta a vincere la guerra, ovviamente in solitaria. Quel che sin dal primissimo capitolo – rilasciato nel 1986 – ha contraddistinto la serie è proprio l’aspetto peculiare dei nemici; esseri meccanici dalle fattezze di pesci, crostacei, molluschi e varie creature marine. Ovviamente Dariusburst Another Chronicle EX+ non fa eccezione, proponendo per l’ennesima volta scontri con nemici storici, stavolta reinterpretati in praticamente ogni colorazione possibile, con decine di varianti dei tanti boss presenti.

Un calamaro meccanico, tipico design di qualsiasi nave spaziale che si rispetti

A contrapporsi a questo grande acquario spaziale abbiamo la storica navetta Silverhawk, sola ed unica protagonista dell’intera saga. In contrapposizione a ciò che avviene con tanti shmups moderni – ovvero inserire meccaniche su meccaniche – Darius continua nel suo approccio più classico al genere. La Silverhawk è equipaggiata con un cannone primario ed un fuoco secondario – solitamente missili o bombe – e può potenziare il proprio armamentario raccogliendo globi colorati, prontamente rilasciati dai nemici abbattuti. È però presente una novità, che dà anche il nome alla nuova serie di capitoli. La Silverhawk è infatti equipaggiata con un Cannone Burst, un grande laser in grado di infliggere enormi danni ed eliminare quasi tutte le pallottole nemiche che incontra. Ovviamente un’arma tanto potente ha anche un utilizzo limitato, e va ricaricato abbatendo nemici o schivando pallottole. Vi è inoltre la possibilità di sganciare il modulo burst dalla nave, utilizzandolo così come una torretta in grado di coprire una certa porzione di schermo ed a funzionare da scudo al tempo stesso.

Attenzione ai laser nemici!

I livelli, come sempre, sono contrassegnati da varie lettere, presentando una struttura ad albero; si comincia scegliendo da quale dei tre stage iniziali si voglia partire, ed all’abbattimento dell’immancabile boss viene data la possibilità di scegliere quale tra le due zone successive si desideri affrontare. Ogni partita dura esattamente 3 livelli, di difficoltà ovviamente crescente. Ciò porta il totale degli stage a 12, ma come vedremo a breve in realtà gli stage sono molti, molti di più tra varianti e remix.

Il titolo si compone di 4 modalità. Original Mode, ovvero la modalità standard, e Original Mode EX, l’hard mode, che consiglio solo ai veri appassionati, visto l’elevatissimo grado di sfida. Event Mode, composta da 21 stage remixati e rilasciati per il cabinato originale, oggi finalmente disponibili anche su console. E poi quella che considero la modalità più interessante, ovvero la Chronicle Mode; centinaia di stage in multiplayer asincrono, in cui i giocatori sono chiamati a liberare vari sistemi solari, respingendo pian piano l’impero Belsar in vari stage che presentano le condizioni più disparate, come ad esempio il completamento con un solo credito a disposizione. Insomma, di contenuti ve ne sono davvero tantissimi, e terranno impegnati per decine di ore, seppur manchi un qualsivoglia contenuto sbloccabile che giustifichi un esborso di tempo simile.

Ecco la schermata di selezione che verrà presentata a stage ultimato

È particolarmente encomiabile la cura riposta nella realizzazione di ciascuno stage, che suggerisce da subito al giocatore l’utilizzo del cannone burst; non è raro infatti che i nemici attacchino su più lati dello schermo, rendendo così necessario l’utilizzo del modulo burst per fronteggiare un’ondata mentre la navetta comandata dal giocatore ne sistema un’altra; o ancora, potrebbe rivelarsi necessario utilizzare il cannone burst per fronteggiare i cannoni laser nemici, o utilizzarlo come screenclear nelle fasi più concitate.

Insomma, per quanto concerne il gameplay siamo davanti ad un lavoro sopraffino, e pad alla mano il divertimento è tanto. Ed a proposito di pad, è d’obbligo citare l’implementazione del HD Rumble in Dariusburst; potente e ritmata, la vibrazione del pad restituisce un ottimo feeling, e rende l’esperienza decisamente più appagante. Devo però precisare che a volte la vibrazione è anche troppo potente, e più di una volta mi sono chiesto se quel rumble – praticamente continuo durante gli stage – facesse bene alla mia Switch. Fortunatamente vi è la possibilità di settarne l’intesità – che è impostata al massimo di default – nel menù principale, graditissima aggiunta.

Uno spiacevole retaggio

Eccoci arrivati al più grande difetto di Another Chronicle EX+, ovvero la sua natura da titolo arcade. Il cabinato di Dariusburst si compone di due schermi da 32″ posti uno di fianco all’altro, ed il gioco è creato proprio in quel formato; la visuale dello stage è decisamente più ampia rispetto alla quasi totalità degli shmups in commercio e questa soluzione hardware garantisce un colpo d’occhio notevole, avvolgendo chi si trova davanti ad un arcade simile.

Qui però sorge il problema, come avranno fatto i ragazzi di Pyramid a rendere tale aspetto su una console portatile con schermo da 6,62”? Come vi avevo anticipato ci troviamo davanti ad un porting nudo e crudo – arricchito di qualche trascurabile opzione – quindi l’unica soluzione possibile è l’inserimento di due vistosissime bande nere all’estremità superiore ed inferiore dello schermo, soluzione già adottata per tante conversione di shmups; soluzione che ahimè non funziona per Dariusburst, essendo il titolo sviluppato per una visuale estremamente ampia.

Immaginate di dover leggere queste scritte su di uno schermo 6,62″

Il risultato è che la fruizione del titolo risulta davvero ostica, specie in modalità portatile, con una piccola porzione di schermo che deve racchiudere davvero troppi elementi; più di una volta ho riscontrato difficoltà nel manovrare la nave o vedere un proiettile nemico, visto quanto risultano piccoli sullo schermo di Switch. Dariusburst è un ottimo shoot ‘em up, ed usufruirne in tale maniera non rende per nulla giustizia alla qualità del gameplay proposto. La situazione migliora leggermente su TV, a patto però di possedere un pannello di dimensioni adeguate; personalmente ho trovato accettabile la resa a schermo sul mio TV da 55″, ma non vi nego che anche in queste condizioni avrei preferito uno schermo più grande.

La dimensione dello schermo Switch di sicuro non vi aiuterà in fasi simili

I retaggi da arcade non si fermano qui. Another Chronicle EX+ è un titolo davvero stracolmo di contenuti, ma tali contenuti vengono presentati al giocatore in maniera confusionaria; minuscoli testi quasi illegibili in modalità portatile, la onnipresente scritta “freeplay” ed un simpatico “mind the head” alla fine di ogni sessione sono solo alcuni degli elementi che rivelano la natura di conversione del titolo da cabinato. Risulta quindi inspiegabile la scelta di rendere disponibile Another Chronicle EX+ piuttosto che il capitolo creato ad hoc per console portatili Chronicle Saviours – sempre sviluppato da Pyramid – titolo decisamente più adatto per un Nintendo Switch.

In conclusione

Questa è davvero una strana recensione, poiché Dariusburst Another Chronicle EX+ è di fatto un ottimo titolo, pieno di contenuti, con un gameplay divertente e frenetico ed una OST da paura. Sfortunatamente alla bontà del titolo si contrappone la fruizione dello stesso, che risulta davvero ostica, specie in modalità portatile, dove i 6,62″ di Switch proprio non rendono giustizia alle battaglie della Silverhawk. Il problema è leggermente mitigato su TV di una certa dimensione, certo, ma non viene mai davvero risolto. Questo – unito ad un prezzo non proprio irrisorio – mi porta a consigliarlo solo agli appassionati duri e puri del genere, consci del fatto che Switch non è esattamente la console migliore su cui giocarlo.

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: Arcade/Shoot ‘em up
  • Lingua: Inglese
  • Multiplayer: Si
  • Prezzo39,99€

Ho abbattutto banchi di pesci spaziali per circa 10 ore, grazie ad un codice gentilmente fornito dal publisher.

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R-Type Final 2 per Nintendo Switch – Recensione

Recensione in un Tweet

R-Type Final 2 è un tuffo nel passato e al tempo stesso un enorme omaggio a tutta la saga della navetta R9. Un titolo impegnativo, ma mai ingiusto, che propone un gameplay solidissimo, level design di alto livello e il ritmo ragionato tipico di R-Type, il tutto unito a una miriade di sbloccabili, la possibilità di pilotare le più famose navette della saga e tanto altro. Peccato per qualche incertezza sul versante tecnico, che comunque non mina il divertimento che lo shoot ‘em up Granzella saprà regalarvi.

8.5


La sala giochi, punto di ritrovo per tutti gli appassionati di videogiochi tra la fine degli anni ’70 d i primi anni del terzo millennio, con tutti i suoi cabinati che facevano a gara a chi avesse i colori più sgargianti o la forma più stramba, tra repliche di motociclette, mitragliatori, piattaforme di ballo e chi più ne ha più ne metta. Ed è proprio lì, tra gli immancabili cabinati di Metal Slug o Super Street Fighter 2, che il genere degli shoot ‘em up (da qui in avanti shmup) ha vissuto una vera e propria età dell’oro. Titoli spesso difficilissimi, a volte anche ingiusti, il cui unico obiettivo era testare i nervi del giocatore e spillare la maggior quantità possibile di monetine da 100 lire ai poveri malcapitati che osavano sfidarli, il tutto scandito dalla dannata schermata “Continue? 9-8-7…” che tanto, troppo spesso appariva su quegli schermi.

Eppure ricordo con nostalgia quei pomeriggi estivi passati tra amici sul cabinato di Aero Fighters 2, U.N. Squadron, Darius II, Gradius, la gara all’highscore, la conta delle monetine rimaste per capire se effettivamente alla fine del livello ci sarei potuto arrivare o no, l’immancabile richiesta di altre monetine ai miei genitori e infine l’accettazione: le monetine erano finite e i cabinati avevano vinto ancora una volta, l’ennesima volta, ma l’indomani il vincitore sarei stato io, quella sarebbe stata la volta buona. Inutile dire che no, la fantomatica “buona volta” non è mai arrivata, i cabinati hanno vinto e io ho speso molte più monetine del dovuto, ma torniamo a noi.

È in questo paesaggio idilliaco che nel 1987 nasce uno degli esponenti più celebri del genere, il leggendario sparatutto a scorrimento orizzontale R-Type, a opera dello studio Irem. Ciò che distingueva R-Type dalla miriade di altri shmups dell’epoca era sicuramente la veste grafica all’avanguardia, una direzione artistica ispiratissima e un gameplay innovativo, ma solido già dal primo istante, in un genere, quello degli sparatutto a scorrimento, dove innovare non era compito facile. Il successo fu istantaneo, tant’è che Irem sviluppò vari sequel per sistemi arcade e successivamente anche per console casalinghe, fino al 2003, anno d’uscita di R-Type Final su Playstation 2, ultimo vero capitolo della saga. Dopo quasi due decadi e un paio di campagne Kickstarter andate a buon fine è Granzella, con la supervisione di Kazuma Kujo, a raccogliere la pesante eredità di un titolo divenuto leggenda, ed è così che nasce R-Type Final 2, e specificatamente la versione per Nintendo Switch.

Il Force, unico alleato nella lotta ai Bydo

Come l’originale, ma in UE4

Sono passati più di 30 anni, ma il nostro obiettivo rimane sempre e solo uno, ovvero difendere l’umanità dalla minaccia dall’impero Bydo, rivale ricorrente per tutti gli episodi della saga (fatta eccezione per R-Type Leo). E starà al giocatore, a bordo del caccia transdimensionale R9 (e non solo), avanzare stage dopo stage fino ai titoli di coda. Come per i suoi precedessori, anche Final 2 relega la trama a un elemento totalmente accessorio, quasi del tutto assente, presentando l’unica breve scena di intermezzo presente proprio durante il primissimo decollo. Da lì in avanti l’intera partita viene scandita da azione nuda e cruda, con stormi di nemici da abbattere, piogge di proiettili da evitare e ostacoli da superare. I nemici sfoggiano il caratteristico design che ha reso celebre la saga, spaziando da comuni astronavi ad aberrazioni bio-meccaniche, tratto distintivo e aspetto che ha reso celebre il primo R-Type. Fanno il loro ritorno anche numerosi nemici comuni e boss presenti nei vecchi capitoli, tra cui il più rappresentativo dell’intera saga, Dobkeratops, celebre creatura che quasi ogni appassionato di videogiochi avrà quantomeno intravisto almeno una volta.

I vari stage presenti, 11 al momento (con dei DLC in arrivo che li amplieranno a 18), presentano una buona varietà; visiteremo spazioporti abbandonati, caverne sottomarine, laboratori, ambienti interamente composti di materia organica e così via, anche se è da precisare che non tutti risultano particolarmente ispirati, con un paio di livelli in cui si nota una minore qualità di realizzazione, ma nell’insieme è stato fatto un buon lavoro. Bydo, caccia transdimensionali e ambienti di gioco vengono portati alla vita grazie all’utilizzo dell’Unreal Engine 4, e il risultato finale è decisamente piacevole, con ambienti per buona parte ben particolareggiati, background mobili, esplosioni e tanti effetti a schermo. Chiariamo subito che non siamo di fronte a un capolavoro tecnico, e in effetti più di una volta capiterà di notare qualche modello poligonale un po’ troppo spoglio o poco definito, ma va anche specificato che difficilmente sarà possibile soffermarsi su questo o quel modello poligonale, vista la frenetica e continua azione a schermo che assorbirà completamente il giocatore. La colonna sonora svolge il suo lavoro, alternando pezzi frenetici o contemplativi in base allo stage affrontato, seppur non raggiungendo mai picchi troppo elevati.

Insomma, pad alla mano, è come se l’originale R-Type fosse stato trasportato avanti nel tempo: il feedback audiovisivo restituito da Final 2 è ottimo, peccato invece per alcuni sporadici rallentamenti presenti nella versione Switch al momento della stesura di questa recensione, e più precisamente durante lo scontro con il primissimo boss del titolo e nella fase finale dello stage 7.1. Una sbavatura che doveva essere evitata, visto il genere di appartenenza che richiede tassativamente performance stabili sempre e comunque, anche se mi preme sottolineare che entrambe le sezioni “incriminate” sono abbastanza semplici da portare a termine, pur con questi problemi. Altro aspetto da considerare è la resa in modalità portable, davvero bella, che cozza invece con una resa docked che a volte lascia davvero a desiderare.

Ma è tempo di passare al gameplay, nucleo centrale di qualsiasi shmup, e forse l’elemento più difficile in assoluto da replicare e migliorare, soprattutto in un periodo in cui gli sparatutto a scorrimento non sono proprio un genere di tendenza.

Dobkeratops, il nemico più iconico di R-Type

Che il Force sia con te!

Ciò che definisce il gameplay della saga di R-Type e lo differenzia da tantissimi altri shmups è un unico, singolo elemento, ovvero il Force, e Final 2 non fa eccezione, rendendolo elemento portante dell’intera esperienza di gioco, ma cos’è esattamente?

Si tratta di un nucleo formato da cellule Bydo, o in parole povere una sorta di sfera che, se ancorata al fronte (o retro) dell’astronave, fungerà da scudo antiproiettile potenziando al contempo la modalità di fuoco della R9, o da supporto indipendente qualora il giocatore volesse totalmente sganciarlo dalla nave, con alcuni modelli di Force che addirittura si comporteranno come veri e propri mini caccia, muovendosi autonomamente per lo schermo in cerca di nemici da crivellare. È inoltre presente un’ulteriore meccanica legata al Force, ovvero l’indicatore Dose, che potrà essere incrementato assorbendo i proiettili avversari tramite il Force, dando così accesso al giocatore al classico screenclear presente in qualsiasi shmup si rispetti, ovvero una “bomba” che ripulirà lo schermo da nemici e proiettili, infliggendo inoltre enormi danni al boss di turno.

La navetta disporrà inoltre di una modalità di fuoco secondaria, presente in ogni capitolo della saga, il Cannone a Onde, un proiettile da caricare, che può raggiungere stadi di potenza via via maggiori tanto più il giocatore terrà premuto il pulsante di fuoco secondario. In realtà la dicitura “cannone a onde” farebbe pensare a un’arma specifica, ma in realtà ne esistono di svariati tipi, da un enorme laser utile per distruggere formazioni di piccoli nemici, a vulcan fotonici, dal raggio piuttosto ristretto ma capaci di infliggere danni enormi. Anche qui la varietà è tanta e starà al giocatore valutare quale tipo di arma portare in missione, tenendo conto dei nemici che si incontreranno o della conformazione dello stage.

Anche qui, Final 2 restituisce il classico feeling che gli appassionati conoscono ormai da decenni, con posizionamento dei nemici, stage e boss specificatamente costruiti attorno a Force e Cannone a onde. Il lavoro di Granzella è davvero lodevole, la varietà d’approccio è tanta grazie a svariati tipi di force, cannoni a onde, armi primarie e secondarie, e sarà stimolante per il giocatore decidere quale sia la migliore accoppiata da portare da abbinare a ogni stage del gioco, aumentandone oltretutto la rigiocabilità.

Il cannone a onde nella sua variante a cintura fotonica

Difficoltà d’altri tempi

Chiunque conosca o abbia quantomeno provato uno sparatutto a scorrimento saprà benissimo che la sfida offerta da questi titoli è davvero, davvero alta, ma va precisato che nel caso di R-Type Final 2 non ci troviamo dinnanzi al classico titolo bullet hell o, in lingua originale. Se state pensando a quelle schermate piene zeppe di proiettili dai colori sgargianti, tipiche di titoli come i vari capitoli Touhou o l’omonimo Danmaku Unlimited 3, per vostra fortuna (o sfortuna, in base a ciò che state cercando) non è questo il caso. La difficoltà di R-Type risiede nella composizione degli stage, nel posizionamento dei nemici, nella padronanza dei vari tipi di arma a vostra disposizione. Final 2 segue un ritmo più compassato, quasi ragionato, e ogni stage è più una sorta di grande puzzle da risolvere, dove sta al giocatore capire dove posizionarsi in quel determinato passaggio o come evitare che dei nemici chiudano la navetta in una porzione di schermo in cui risulta impossibile destreggiarsi tra i proiettili in arrivo. Badate bene, compassato non equivale a lento o semplice, e anzi, Final 2 è un titolo molto impegnativo e va ragionato, soprattutto in certi frangenti.

Il sistema di checkpoint è un ulteriore grado di difficoltà che potrebbe non piacere a tutti. Di solito negli sparatutto a scorrimento al contatto con un qualsiasi nemico o proiettile si perde una “vita” e si respawna subito dopo, fino all’esaurimento delle “vite”. Ecco, in R-Type ciò non accade, alla morte il giocatore verrà riportato a uno dei checkpoint disseminati per gli stage, ma privo di qualsivoglia potenziamento d’attacco, Force compreso. Ciò renderà alcune sezioni davvero ostiche, qualora il giocatore dovesse morire per poi dover ripetere una sezione di stage di semplice risoluzione se provvisto di una navetta ben armata, ma a tratti frustrante se sprovvista di Force o armi potenziate.

Vedete questa sezione? Grazie ai checkpoint l’ho letteralmente odiata

All’avvio di ogni partita è possibile selezionare uno tra 5 livelli di difficoltà, tutti ben bilanciati nella sfida offerta, che andranno a influire su numero e posizionamento dei nemici, cadenza di tiro di questi ultimi e altri piccoli dettagli. I primi due, Addestramento e Bambino, risultano esperienze impegnative ma comunque approcciabili anche da chi non si è mai seriamente cimentato in uno shmup. Le difficoltà intermedie, Normale e Bydo, sono probabilmente il miglior compromesso per chi cerca un alto grado di sfida, senza mai risultare troppo frustranti. Poi c’è la modalità R-Typer, ma quella è una bestia a sé stante, e in parole povere l’esperienza “hardcore” che R-Type Final 2 offre agli appassionati. Granzella ha svolto davvero un ottimo lavoro nel bilanciamento delle difficoltà con livelli adatti a praticamente qualsiasi tipo di giocatore, dal neofita all’appassionato, sebbene ripeto, anche al grado più basso occorrerà comunque impegno qualora si volesse portare a termine il titolo.

È però nella modalità R-Typer che Final 2 esprime tutto il suo potenziale, imponendo al giocatore l’utilizzo pressoché perfetto di Force, cannone a onde, scelta dell’armamento iniziale e del potenziamento da raccogliere al momento giusto. Va detto che questo non è un grado di sfida approcciabile da chiunque, e il sistema di checkpoint renderà spesso necessario il riavvio totale della partita, poiché a volte risulterà banalmente più semplice tornare a quella sezione armati di tutto punto piuttosto che ricominciare da un checkpoint che vede la navetta sprovvista di qualsivoglia potenziamento e alla mercé dei Bydo, incredibilmente agguerriti in R-Typer.

Abituatevi, questa schermata la vedrete spesso

Non solo R9

Come avrete intuito dalla copertina del titolo, la mitica R9A Arrowhead, disponibile sin da subito, verrà affiancata da tante altre navi, e per la precisione altre 53 al momento, portando il totale dei caccia pilotabili alla sorprendente somma di 54 velivoli. Ognuno di essi sarà acquistabile (e osservabile anche in fpv) nel Museo R, previa raccolta delle tre risorse necessarie ottenibili tramite il completamento degli stage di gioco. Tra i più importanti esponenti del museo è doveroso citare la Leo, la Albatross, la Cerberus… Insomma, praticamente ogni navetta protagonista dei precedenti titoli sarà presente, un sogno per gli appassionati che potranno tornare a pilotare i velivoli più iconici della saga.

Le navi risultano profondamente diverse tra loro, con tipi di force differenti, armi secondarie e bit selezionabili, cannoni a onde di vario tipo provvisti di più o meno cicli di carica e chi più ne ha più ne metta. Inoltre ogni navetta sarà provvista di una breve descrizione che la posizionerà all’interno dell’universo narrativo (in realtà abbastanza esteso negli spinoff della saga), o che fornirà semplici curiosità. Non vi nascondo che la voglia di scoprire cosa si nasconde sotto il prossimo unlock è davvero tanta, e il Museo R risulta a tutti gli effetti un ottimo incentivo per quanto concerne la rigiocabilità del titolo. È possibile inoltre personalizzare le proprie navette, cambiandone il colore della fusoliera e del cupolino, e applicando una miriade di decalcomanie (anch’esse acquistabili) sul velivolo, grazie a un editor spartano ma efficace.

Insomma, Final 2 offre davvero tanti contenuti, soprattutto considerando il genere di appartenenza, e farà felice qualsiasi fan di vecchia data, dando al tempo stesso una motivazione per giocare e rigiocare i vari stage, qualora la ricerca dell’highscore non basti più.

L’Iconica R9A Arrow-Head, e sullo sfondo la mia discreta collezione di navette

Conclusione

R-Type Final 2 è uno strano titolo da valutare, è come intraprendere un viaggio nel passato del medium. La veste grafica, non tecnicamente eccezionale a esser sinceri, comunica al nostro cervello che no, questo non è un cabinato e no, non ci troviamo in quella sala giochi di quel pomeriggio d’estate. Eppure il gameplay è quello, tale e quale a 34 anni fa, e funziona dannatamente bene. I fan della saga ameranno senza alcun dubbio Final 2, con tutte le sue autocitazioni e, al netto di un paio di stage sottotono e di una versione Switch non proprio al top, non si può che lodare Granzella per il lavoro svolto. D’altronde reputo abbastanza coraggiosa la scelta di sviluppare uno shmup nel 2021 e con un gameplay che neanche ci prova a innovare il genere, perché è già perfetto così com’è. Uniamo questo a un buon level design e una miriade di sbloccabili e il risultato è un titolo dal sapore rétro che non teme di mostrarsi per ciò che è, una grande celebrazione di uno degli sparatutto a scorrimento più famosi di tutti i tempi. Se non temete un buon grado di sfida e avete voglia di tornare a blastare alieni, R-Type Final 2 è il titolo che stavate aspettando!

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: Sparatutto a scorrimento orizzontale
  • Lingua: italiano/inglese
  • Multiplayer: no
  • Prezzo39,99 €

Ho respinto i malvagi Bydo a bordo della R9 per circa 15 ore grazie a un codice gentilmente offerto dal Publisher