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Il 2021 dei videogiochi, ancora sospesi tra le generazioni

Sei mesi fa (più o meno), è iniziata la next-gen, con Microsoft e Sony che hanno permesso di toccare con mano le nuove console (più o meno). Sono noti ovviamente tutti i rallentamenti sulla produzione, in parte a causa del COVID-19, che ha colpito proprio nel momento in cui si doveva lavorare duramente, in parte per la scarsità di alcuni materiali indispensabili per le console. E si tratta di problemi che si portiamo dietro ancora oggi.

In questi giorni è ancora difficile trovare una nuova Xbox o una PlayStation in negozio, e le uniche in vendita sono online: nonostante si parli di milioni di unità vendute, siamo ancora lontanissimi dal soddisfare la domanda. Se teniamo conto della base di giocatori console Microsoft/Sony, siamo intorno ai 160 milioni in totale.

Microsoft Xbox Series X and Playstation 5

Poca next-gen, tanta old-gen

La buona notizia? Che non ci sono ancora molti prodotti next-gen sul mercato videoludico, quindi la “fortuna” è che Xbox One e PlayStation 4 sono tutt’altro che superate. Quello che però è positivo per l’utente, non è detto che lo sia anche per l’azienda, che ancora oggi deve trovarsi a supportare una piattaforma vecchia, che quest’anno compie 8 anni, al di là dei periodici aggiornamenti hardware.

Una next-gen lanciata cosìpresto”, senza poter garantirne la disponibilità è un doppio problema: innanzitutto l’utente scontento, che dopo anni di supporto potrebbe puntare nuove soluzioni, come l’acquisto della concorrenza, di un PC o un definitivo passaggio al cloud (che nei prossimi anni si perfezionerà, vero?); l’altro punto riguarda la distribuzione, perché non puoi vendite giochi se non hai una base numerosa installata.

Nel 2021 sono previsti, almeno per ora, i sequel di Horizon Zero Dawn e God of War: i franchise hanno venduto più di 10 milioni di copie ciascuno su old-gen, ma già sappiamo che entro fine anno questo risultato difficilmente sarà replicabile visto che al momento sono state vendute circa 8 milioni di PlayStation 5. Vale la pena lanciare qualcosa di incredibilmente futuristico che potranno giocare in (relativamente) pochi, e che al lancio farà registrare sicuramente numeri inferiori ai titoli precedenti?

I record di vendite dei videogiochi per PlayStation 4 al momento sono imbattibili.

Nel 2021, ma con un occhio al 2013…

L’alternativa sarebbe sviluppare una versione che possa andare bene anche per la old-gen: praticamente nel 2021 si lavora per far girare un gioco su una console del 2013. Se il downgrade riguarda solo l’aspetto grafica, è più che comprensibile, ma se in questo adattamento si perdono ad esempio delle meccaniche di gioco, la situazione è più seria. Si dovrebbero limare tutte quelle nuove funzionalità rese possibili con la next-gen. A maggior ragione i titoli first party dovrebbero essere quelli che possono sfruttare con più maestria ogni caratteristica dell’upgrade e valorizzarla al massimo.

La non reperibilità delle console non è un problema risolvibile “solo” con la produzione, ma incide significativamente sulle strategie sul lungo periodo: quali giochi sviluppare? Quando pubblicarli? Su quali console? Tutte domande che prevedono una pianificazione con diversi anni d’anticipo e quindi un investimento di ingenti risorse (economiche e non) per portare quel contenuto specifico sul mercato, nel momento giusto.

Dopo oltre 6 mesi, potremmo vedere la prima esclusiva next-gen di un certo spessore.

Pianificazione andata in fumo

Uscire con un gioco nel 2021 è una scelta pianificata ben prima della pandemia, quindi un intoppo che riguarda non solo il singolo prodotto ma tutta la filiera, rischia di stravolgere completamente ogni strategia pensata in futuro. A distanza di sei mesi non abbiamo ancora avuto la killer app, il titolo travolgente che ti spinge a comprare una console specifica e, probabilmente, fino all’autunno almeno non avremo delle novità su questo fronte.

Questi problemi di pianificazione fanno presumere che grandi progetti inizialmente pensati per il 2024/2025 possano subire dei cambiamenti di qualche genere: probabilmente non si produrrà più su vecchie console, ma in fase di sviluppo non sappiamo quali conseguenze potrebbero esserci, che poi potrebbero presentarsi all’utenza come continui rinvii o, peggio, un prodotto non all’altezza della aspettative.

Magari l’E3, o altri grandi eventi, ci mostreranno titoli AAA non ancora annunciati o con una data d’uscita, ma difficilmente grandi franchise faranno le loro mosse fra luglio e agosto, quindi bisognerà aspettare settembre, che potrebbe aprire la “grande era della next-gen”, finora esplorata fin troppo poco e con un potenziale mostrato solo a sprazzi. Si potranno fare i confronti con i lanci di PlayStation 4 o Xbox One, delle varie line-up lancio e post-lancio, delle vendite o delle disponibilità delle console, ma sono passati quasi 10 anni e inevitabilmente ogni paragone va quindi “pesato” il giusto. Siamo nel 2021, la cultura del videogioco, e il videogioco stesso, sono totalmente diverse dal 2013.

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What Remains of Edith Finch, quattro anni dopo aver cambiato il concetto di videogioco

Il pubblico più sprezzante del web ha sempre molte certezze spinte dalla superficialità. Una di queste è l’ironica definizione walking simulator per descrivere i videogiochi di avventura in cui le interazioni sono meno frenetiche rispetto agli altri titoli. Anche se questo modo di dire è tornato di moda con Death Stranding di Hideo Kojima, i videogiocatori di tutto il mondo hanno preso consapevolezza che questo termine sia un’infondata stupidaggine con l’uscita di What Remains of Edith Finch, un capolavoro del nostro decennio che il 25 aprile ha festeggiato i suoi primi quattro anni.

L’avventura sviluppata da Giant Sparrow ed edita da Annapurna Pictures ha stravolto la concezione popolare di videogame, fino ad ora ampiamente teorizzata da svariati autori e docenti universitari, ma mai arrivata alla ribalta con un titolo che spegnesse gli animi dei più superficiali tra i videogiocatori. Se i tempi sono maturi, lo dobbiamo parzialmente a noi stessi che stiamo approfondendo la vastità del medium videoludico, ma la spinta decisiva è data da titoli come What Remains of Edith Finch che hanno dimostrato che anche un’opera con un’interattività meno vorticosa del solito può essere un capolavoro videoludico.

Il diario di Edith Finch

Una trama da vivere

What Remains of Edith Finch è un videogioco in cui viviamo gli eventi narrati da Edith Finch, una ragazza che racconta la triste storia della sua famiglia. I Finch sono succubi di una presunta maledizione. Presunta, perché non c’è esoterismo nelle parole di Edith, ma sembra comunque incredibile credere che si tratti solo di una coincidenza se tutti i membri dell’albero genealogico dei Finch siano deceduti prematuramente.

Le storie che affrontiamo sotto gli occhi dei protagonisti in procinto di perire camminano su un percorso predefinito, proveniente dal diario di Edith e, a meno di qualche sporadico mini-gioco, non faremo nient’altro che muoverci verso un destino immutabile. Del resto, What Remains of Edith Finch non ha bisogno degli enigmi demenziali delle avventure grafiche di LucasArts, né necessita di enfatizzare le tristi storie della famiglia Finch con ansiogene ambientazioni tipiche dei survival horror psicologici. Tutto quello che è sufficiente è ascoltare una trama che merita lo stesso rispetto di Monkey Island e Silent Hill.

Avventure infinite per la famiglia Finch

Un caleidoscopio di stili

What Remains of Edith Finch ha entrambe le caratteristiche che servono per definire un’avventura grafica: una trama meravigliosa e un’interattività che, seppur minimale, disdegna l’epiteto di walking simulator con la dirompente forza di una decina di racconti di tragiche scomparse, che gli sviluppatori esaltano con ambientazioni e stili artistici (quasi) sempre diversi. Chiunque abbia giocato il titolo potrà scegliere la propria storia preferita, in cui non importa il finale, ma il viaggio. E tra questi itinerari, i nostri preferiti sono quelli di Barbara e Lewis Finch.

Barbara Finch è la voce più famosa della famiglia, divenuta un’attrice di successo nei suoi anni grazie al suo urlo di paura che risuona nei film horror cui ha partecipato. Se il cliché dell’attrice in rovina è ormai sdoganato, la scelta di raccontare questa storia sotto forma di strisce a fumetti è una scelta spiazzante e magica che ci fa vivere il gioco, senza bisogno di interazioni forsennate.

La disavventura di Lewis Finch invece colpisce più nel profondo, perché narra del suicidio di un giovane in preda alla depressione e all’abuso di droghe. Un percorso vissuto sotto gli occhi di Lewis, che ci accompagna tra il suo ripetitivo lavoro in un conservificio e un mondo onirico in cui è re. Inizieremo tagliando la testa di un pesce in modo meccanico e finiremo per dimenticare la realtà a favore di un sogno fatto di re, principesse, conquiste e finalmente la pace.

La novella di Barbara Finch

Avventure, non simulatori

Qualcuno ci ha provato ad additare What Remains of Edith Finch come un walking simulator, ma anche la più becera superficialità si deve arrendere di fronte a un capolavoro. L’opera di Ian Dallas è un videogioco e questa ovvia affermazione è la vittoria dei veri videogiocatori che si sono indignati per la mancanza di rispetto nei confronti di un’opera d’arte che secondo alcuni è un non-gioco, al più è un cortometraggio.

Lo sdoganamento del genere portato avanti da What Remains of Edith Finch ha rivoluzionato il settore videoludico, i cui membri hanno rivalutato altri titoli del passato ingiustamente snobbati. Videogiochi story-driven con un’interattività minimale come The Stanley Parable (Galactic Cafe, 2013) e Journey (Thatgamecompany, 2012) sono oggi avventure affermate e per questo un plauso va anche alla famiglia Finch. Del resto, potremmo anche innamorarci del diario di Edith Finch o piangere per una serie TV dedicata, ma le sensazioni provate joypad alla mano per la fame notturna di Molly sono esclusive di un videogioco.

Lewis Finch, tra realtà e fantasia.

Un rispettoso epilogo

Il termine walking simulator è da rigettare con foga, perché nasce da una mancanza di rispetto nei confronti di artisti che vogliono creare qualcosa di indimenticabile. Dietro alle avventure della famiglia Finch ci sono sviluppatori, game designer, level designer, scrittori, disegnatori e publisher che hanno investito in un progetto in cui credevano fermamente. In altre parole, dietro le quinte ci sono persone con un talento straordinario che condividono una visione fiabesca del mondo dei videogiochi, che pochi stolti hanno provato a cancellare con un termine che mette in evidenza tutta la loro superficialità.

Sfortunatamente per loro, ma fortunatamente per l’intera industria videoludica, a distanza di quattro anni, What Remains of Edith Finch è un capolavoro riconosciuto tanto dagli addetti ai lavori quanto dal pubblico, che ha cambiato la nostra concezione di videogioco, in meglio.

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Monster Hunter: Rise, cacciare tra presente e passato

L’attesa è finita, poco più di sei mesi ci separano da quell’ormai lontano 17 settembre, giorno in cui Monster Hunter: Rise fu rivelato durante un Nintendo Direct Mini: Partner Showcase. Sei mesi in cui fantasticare su cosa Capcom aveva in serbo per noi cacciatori, quali sarebbero stati i cambiamenti apportati, quanti nuovi mostri avremmo affrontato, insomma, sei mesi in cui le aspettative sono salite alle stelle, quantomeno per il sottoscritto, fan della saga di lunga data. E vi preannuncio già da subito che sì, le aspettative sono state rispettate ed in alcuni casi ampiamente superate!

Innovazione e tradizione

È inevitabile il confronto con gli due ultimi capitoli della saga, Monster Hunter Generations Ultimate e Monster Hunter World: Iceborne, soprattutto considerando la diversa filosofia alle loro basi. Il primo rappresenta la tradizione di Monster Hunter sin dalla nascita dell’IP, ed è di fatto un grande omaggio ai titoli che si sono susseguiti per 13 anni (2004-2017). Il secondo rappresenta invece l’innovazione per la saga, e traccia una linea netta tra quel che c’è stato e quel che ci sarà.

Bene, dove si colloca quindi Rise? Fa parte dei MH “vecchia scuola” o abbraccia la “nuova” filosofia di World? Questa è una domanda che più e più volte mi sono posto durante quel lungo periodo d’ attesa, ed ho finalmente la risposta.

Rise riesce nel difficile compito di selezionare le migliori caratteristiche di entrambi i filoni e le combina sapientemente, creando un titolo moderno, che non ha paura di sperimentare, ma che al tempo stesso rispetta le vecchie tradizioni. Ma andiamo con ordine, ogni caccia che si rispetti è composta da tre elementi fondamentali, ovvero ambiente di caccia, cacciatore e preda.

Il piacere del viaggio

Iniziamo il primo di questi elementi ovvero le mappe e l’esplorazione. Rise abbandona la vecchia struttura ad aree separate da caricamenti tipica della serie, accostandosi alla concezione di grande mappa portata da World. Al tempo stesso però le mappe di Rise non risultano mai troppo grandi nè troppo piccole, e sono caratterizzate da varie arene naturali, ampi spazi spesso pianeggianti in cui combattere il mostro di turno, tipica impostazione da MH classico, laddove in World le mappe erano sì bellissime e dettagliatissime, ma a volte visivamente confusionarie e non proprio di facile navigazione.

monster hunter rise foresta inondata
Dopo 12 anni ho finalmente scoperto cosa nasconde la piramide della Foresta Inondata!

Con questo non voglio far intendere che le mappe di Rise siano spoglie o semplici, anzi, tutt’ altro. Tra un’ “arena” e l’altra potremo perderci in cunicoli, caverne, laghi sotterranei, antiche città dimenticate e chi più ne ha più ne metta. Insomma, il risultato raggiunto da Capcom è restituire una lotta più “intima” dove il focus non è più sull’ambiente iperdettagliato del nuovo mondo, quanto sul cacciatore, il mostro ed il loro scontro in una grande arena, proprio come nei vecchi MH. Contemporaneamente non mancano le fasi esplorative, con ambientazioni dalla spiccatissima verticalità che va a nozze con quella che reputo la più importante aggiunta regalataci da Capcom, gli Insetti Filo, piccole creature in grado di “trainare” il nostro cacciatore e fungere letteralmente da fionde che lo proietteranno in ogni direzione possibile.

Tutto ciò, unito alla possibilità del cacciatore di scalare (quasi) qualsiasi parete presente, eleva all’ennesima potenza la già ottima esplorazione degli ambienti presenti in World, permettendo movimenti aerei rapidi e precisi, e non di rado mi sono ritrovato a voler raggiungere quel punto in lontananza senza mai toccare il terreno, giusto per il gusto di farlo, per farvi capire quanto è divertente ed appagante l’utilizzo dei nostri piccoli amici insetti.

Per quanto riguarda la navigazione terrestre Capcom ci viene incontro con l’aggiunta di un nuovo tipo di compagno, il Canyne, che và ad affiancarsi agli iconici Felyne. Il nuovissimo amico a quattro zampe, oltre ad essere utile in combattimento, dà la possibilità di essere cavalcato e và a velocizzare la navigazione terrestre degli ambienti. La cavalcatura risulta essere una diretta evoluzione dei Cacciaprede introdotti in Iceborne

Spero vivamente tali features verranno mantenute anche nei prossimi capitoli della saga, perchè è il classico esempio di quelle funzionalità che fanno pensare “mai più senza”, e questo la dice lunga sulla qualità del lavoro svolto da Capcom con Rise.

monster hunter rise canyne
I Compagni Canyne ci eviteranno lunghe camminate.

Il giusto equilibrio

Veniamo ora al secondo elemento, ovvero il cacciatore. Il combat system nudo e crudo è chiaramente costruito sopra l’ottimo lavoro già svolto per World ed Iceborne; i movesets delle 14 tipologie d’arma disponibili sono stati leggermente rimaneggiati, occasionalmente stravolti come nel caso del corno da caccia, ma è indubbio che la base di partenza sia stata proprio World, pur con alcuni rimandi a Generations Ultimate.

Un cacciatore armato di spada e scudo durante l’esecuzione di una tecnica Fildiseta.

Difatti, con l’aggiunta delle tecniche Fildiseta, Rise propone una chiara reinterpretazione delle Arti di Caccia presenti in GU, dei “colpi speciali” dagli effetti spesso devastanti, a volte visivamente “esagerati”, quasi a far sembrare la lotta tra cacciatore e mostro uno scontro degno di uno Shonen giapponese.
Altra nuova aggiunta sono le Tecniche Scambio, che ci permettono di personalizzare il moveset di ciascuna arma, proprio come gli Stili di Caccia presenti in GU, seppur in maniera(fortunatamente)più contenuta e coesa rispetto al predecessore.

Tutto ciò è impreziosito dall’aggiunta della Cavalcatura Wyvern che và a sostituire il vecchio sistema di mount, permettendoci di comandare, seppur per breve tempo, ciascun mostro presente nel titolo.
E’ inoltre presente una nuova modalità di gioco, la Furia, il cui scopo è difendere una fortezza da varie ondate di mostri, utilizzando vari strumenti d’ assedio quali balliste, cannoni, ammazzadraghi e tanto altro. Forse è proprio tale modalità l’elemento che mi lascia qualche dubbio, ma ammetto di doverla testare meglio, soprattutto in multiplayer, dove credo dia il meglio di sé.

Insomma, anche sul versante gameplay Monster Hunter Rise riesce a creare un perfetto mix tra vecchio e nuovo, proponendo un combat system fluidissimo contornato da aggiunte che rimandano al passato della saga, e di fatto creando quello che è il miglior gameplay della saga, a mio modesto parere.

monster hunter rise cavalcatura
La Cavalcatura Wyvern è una gradita svecchiata al sistema di mounting.

Il Giappone secondo Capcom

Abbiano già trattato il tema della funzionalità degli ambienti di gioco, ma vorrei soffermarmi sulla magnifica direzione artistica di questo titolo. Il tema di riferimento dell’opera è ovviamente il Giappone, dalla mitologia alle ambientazioni più rurali.

Ecco a voi Magnamalo, il flagship monster di Rise. A voi indovinare quale yokai abbia dato vita al suo design.

I nuovi mostri sono ispirati a diversi Yokai (Spettro/Demone della mitologia giapponese) , e risultano tutti, nessuno escluso, delle aggiunte cariche di personalità e splendidamente ideate ed animate. Ovviamente alle nuove bestie vengono affiancate anche vecchie conoscenze, sapientemente scelte tra le più iconiche che la saga possa offrire, e soprattutto tutte ottimamente contestualizzate nell’ambiente di gioco; basti pensare al Mizutsune o lo Zinogre, due tra i mostri più “giapponesi” dell’intera saga. Insomma, il bestiario non è il più esteso di sempre, impresa quasi impossibile se si considera che esiste Generations Ultimate, ma risulta probabilmente quello con la qualità media più alta ad oggi, quantomeno per un capitolo “di lancio”.

Anche le mappe sono tutte splendidamente disegnate, e non di rado ci offriranno panorami mozzafiato, soprattutto grazie a giochi di luci ed ombre offerti dal ciclo giorno/notte presente nel titolo. Anche qui, rispettando le origini della saga, fanno il loro ritorno due splendide reinterpretazioni di ambienti già apparsi in precedenti capitoli, ovvero le Lande Sabbiose e la Foresta Inondata.
Sia i mostri che gli ambienti vengono poi introdotti da una splendida sequenza in pieno stile teatro Kabuki, scelta perfetta vista la direzione generale di Monster Hunter Rise.

L’hub di gioco, il villaggio di Kamura, tra fiori di ciliegio, sala da tè, rospi meccanici e tanto altro, riporterà alla mente dei vecchi fan, come il sottoscritto, il magico villaggio di Yukumo, HUB presente in Monster Hunter: Portable 3rd. Insomma, anche qui la modernità fa da padrone, con viaggi rapidi per raggiungere le varie strutture utili in perfetto stile World, riuscendo comunque a restituire quel feeling più tradizionalista.

La colonna sonora è evocativa ed adrenalica e si sposa alla perfezione con mostri ed ambienti. Tracce come il tema del flagship di questo capitolo, Magnamalo, raggiungono vette di qualità altissime, e non vi nascondo che reputo questa colonna sonore tra le migliori mai prodotte per la serie.

Il piccolo villaggio di Kamura, base operativa per le nostre cacce.

In conclusione

Ho esplorato i vari aspetti che legano Monster Hunter Rise ai suoi predecessori, ma mi preme specificare un concetto. Siete dei veterani della saga di Monster Hunter? Avete intrapreso la carriera del cacciatore “solo” dal capitolo World/Iceborne? Non avete mai cacciato in vita vostra? Bene, in tutti e tre i casi Monster Hunter: Rise non vi deluderà.

Capcom è riuscita nell’ardua impresa di coniugare passato e presente della saga, mantenendo comunque un ottimo livello di accessibilità ai neofiti ed un buon grado di sfida ai veterani, offrendo un gameplay fluido, divertente ed appagante, con tante nuove aggiunte una migliore dell’altra.
Quindi non posso far altro che consigliare a chiunque l’acquisto del titolo, che personalmente considero già il mio Monster Hunter preferito. Ora torno a cacciare, spero di ritrovarvi tutti a Kamura!

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Tornano le PlayStation 5, ma solo per pochi fortunati

Marzo doveva essere il mese delle PlayStation 5, stando alle pagine social di un’importante catena che tratta prodotti videoludici. La realtà è però molto diversa, perché è vero che settimanalmente sono state messe in vendita nuove console, ma è altrettanto evidente che fossero poche, in relazione alle richieste: qualche mese fa un mio amico era il cliente in lista numero 110 mila, quindi parliamo di cifre a cinque zeri.

Calcolando che la PlayStation 4 ha venduto in Italia circa 4 milioni di unità, di persone da soddisfare ce ne sono potenzialmente tantissime. Sono ovviamente numeri relativi a tutta la generazione, quindi più o meno fra 2013 e 2020, e parliamo mediamente di 500-600 mila ogni anno

Nei giorni scorsi sono apparsi dei post in cui veniva pubblicata la disponibilità di PlayStation 5 ma, nonostante la buona notizia, in molti sono rimasti delusi per non essere riusciti ad acquistarla, per l’ennesima volta da settembre ad oggi. In alcuni casi, nei commenti, si sono anche lamentati coloro che hanno dato via la propria PlayStation 4, ipervalutata a settembre (50 euro in più), dal momento che non hanno ancora ricevuto una console prenotata quasi sei mesi fa e che si trovano a leggere che invece c’è disponibilità adesso.

In totale sono oltre 100 milioni le persone che hanno acquistato una PlayStation 4.

Sei mesi per una PlayStation 5 prenotata

C’è qualcosa che sicuramente non va. Da utente appassionato non posso ovviamente comprendere le dinamiche che ci sono dietro a queste strategie: non so quante sono le prenotazioni esatte né quanti sono i clienti potenziali con precisione o i comportamenti della concorrenza, ma posso ugualmente percepire questa situazione come decisamente frustrante per chi spera ogni volta di mettere le mani sulle console next-gen e che, dopo essere messo in lista d’attesa, puntualmente scopre che tutte le scorte sono terminate.

Non ho provato ancora ad acquistare la PlayStation 5, perché punto a qualche bundle più in là nel tempo (le esclusive next-gen per ora non le trovo molto esaltanti), ma in ogni caso in quei momenti specifici non ero fisicamente al PC e non avrei potuto comprarla nemmeno volendo. Chi però ha tentato, fra i miei amici e contatti, è rimasto ulteriormente deluso, perché ogni volta parte fiducioso e carico di entusiasmo, per poi rendersi conto di aver atteso per nulla.

Questi continui annunci alla lunga non fanno altro che spazientire le persone, perché i più temerari ogni volta si collegano al sito, anche con più dispositivi, iniziano a perdere fiducia e a chiedersi se veramente queste console ci siano o se invece sia solo una trovata per far cliccare la gente sul sito.

Non c’è algoritmo che tenga: per acquistare la PlayStation 5 serve solo un po’ di fortuna.

Ma le cause sono anche esterne

Le cause di ciò ovviamente sono anche di questa crisi mondiale, che è un po’ alla base di tutto. La produzione è stata molto rallentata, e quindi le scorte del 2020 inevitabilmente sono state minori di quanto inizialmente preventivato: il periodo di lancio si sapeva che sarebbe stato durante le holidays, e un rinvio di qualche settimana avrebbe comunque fatto poco. A tutto questo vanno aggiunti i lockdown, che hanno sia ridotto il potere d’acquisto dei clienti, sia le possibilità di vendere ai negozi fisici, a volte chiusi, a volte accessibili con limitazioni.

Da semplice utente che vuole portarsi a casa una PlayStation 5, preferirei senza dubbio trovarmi una scorta più corposa, ma meno frequente. Praticamente l’opposto di adesso. Se è vero che con un rilascio sul mercato più diluito posso avere più occasioni di acquisto, il contro è che la percentuale di successo con poche console è veramente bassa, a maggior ragione quando non sappiamo nemmeno quante PlayStation 5 sono disponibili di volta in volta: decine? Centinaia? Migliaia? Vista la velocità con cui vengono esaurite, non penso moltissime.

E poi sappiamo di tutti i problemi causati dai bagarini, che acquistano le console e le rivendono a prezzi maggiorati, usando bot e sistemi di vario tipo, che inevitabilmente ne vanno a minare la disponibilità. Dopo tutto ciò che è successo negli scorsi mesi, forse siamo anche un po’ sfiduciati a prescindere, perché dovremmo superare sia la concorrenza “legale”, cioè gli altri clienti, sia quella irregolare, derivante da utenti che hanno come obiettivo solo la rivendita.

I prezzi giusti, quelli decisi dall’azienda: se trovate prezzi più alti (e non legati a bundle), qualcosa non torna.

Io aspetto

Io per ora non acquisterò la PlayStation 5 (e non sono l’unico): l’upgrade lo farò presumibilmente tra fine 2021 e inizio 2022, quando sarà passato oltre un anno dalla release. Non sono un amante delle file chilometriche nei negozi, né dell’attesa compulsiva davanti a un PC: andrò al negozio solo ed esclusivamente quando avrò la certezza (o quasi) di poterla toccare con mano. Senza sperare nella fortuna, senza dover fissare uno schermo per ore, senza ricorrere ai bagarini. Esattamente come feci con la PlayStation 4, presa un anno dopo e con GTA V incluso nel bundle.

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The Medium, 3 motivi per giocare il survival horror polacco

The Medium è il nuovo survival horror dei polacchi di Bloober Team, già noti per la serie Layers of Fear. Nel giro di pochi anni, la software house fondata da Peter Babieno e Peter Bielatowicz è passata dall’essere una promettente casa indipendente a un team leader nel genere degli horror, tanto da essere già a lavoro (rumor non ufficiale) per un remake dei primi capitoli di Silent Hill. Per capire le motivazioni che hanno portato Konami a prendere questa decisione, o quantomeno a non far sembrare questo rumor completamente illogico, bisogna giocare The Medium, uno dei migliori survival horror psicologici degli ultimi anni, che non può mancare nella libreria di qualsiasi appassionato di videogame.

The Medium è un titolo che va vissuto, perché la narrazione della Polonia del dopoguerra è tanto affascinante quanto cruda, ma ho voluto comunque raccogliere tre motivi per invogliarvi a iniziare un viaggio tra mondo reale e spirituale, perché sembra che non tutti stiano dando il peso che merita a Marianne e ai suoi poteri sovrannaturali.

L'innovativo split-screen di The Medium.

3. Storia e spiritualità

Nonostante fosse bravissimo, il mio professore di storia del liceo ci ha raccontato la Polonia della seconda guerra mondiale solo come quella nazione vittima della guerra lampo di Hitler e per la presenza sul suolo polacco del campo di concentramento di Auschwitz. Due eventi storici importantissimi e da non dimenticare per nessuna ragione al mondo, ma il dolore polacco è durato molto di più di una blitzkrieg.

Gli atroci eventi dell’hotel Niwa, città realmente esistente vicino a Breslavia, che in tempi non sospetti ho avuto modo di visitare e vi consiglio caldamente, non sono realmente accaduti, ma il contesto del dopoguerra, dove la Polonia è stata costretta a passare dall’invasione tedesca alla finta libertà comunista è reale. Si tratta di un pezzo di storia che non c’è mai tempo di raccontare tra i banchi di scuola, ma che merita qualche ora di attenzione in più, lacuna pienamente colmata da The Medium.

Una vera atmosfera horror.

2. Un omaggio a Silent Hill

Non chiedetelo, perché non ha alcun senso. Silent Hill e The Medium sono due giochi con molte similarità, ma non si possono confrontare. Il primo è il capostipite dei survival horror psicologici, un gioco visionario nato nel 1999 dal genio e dalla sregolatezza giapponese di Konami. Se The Medium fosse come un titolo di 12 anni fa, non ve lo consiglierei. Il survival horror di Bloober Team, invece è un omaggio al capolavoro del Team Silent che non manca di una propria personalità.

Visitando l’hotel Niwa, avrete una sensazione di déjà vu quando Marianne darà la sua personale opinione su quello che vede e legge, ma la protagonista ha anche una propria personalità, troppo forte per essere ignorata. Non stiamo parlando di una caricatura di Harry Mason o James Sunderland, ma di Marianne Rekowicz, un personaggio che sarà ricordato negli anni a venire come un protagonista femminile di spessore.

Per quanto riguarda il gameplay, non è un caso se lo split-screen ha causato non pochi problemi a tante piattaforme, inclusa la potente Xbox Series X su cui ho notato dei cali di framerate. Marianne vive in due mondi, e spesso lo fa contemporaneamente. Questo comporta una renderizzazione dei due piani di gioco in simultanea. Un esperimento ben riuscito, ma da ottimizzare e che potrebbe essere sfruttato in futuro da altre opere che potranno mostrarsi su piattaforme next-gen.

Anche le piattaforme next-gen faticano in certi punti a causa dello spit-screen.

1. L’entry-level perfetto

The Medium ha tutte le caratteristiche necessarie per essere il primo gioco horror di un videogiocatore. Se siete tra quelli a cui non interessa il genere perché non avete voglia di imbattervi in jumpscare privi di logica, rasseneratevi e tenete in considerazione l’opera di Bloober Team, perché non ci saranno mai momenti da horror movie di serie B.

The Medium basa la sua narrazione sulla cupa tensione con qualche scarica di adrenalina ben studiata nei momenti principali e rientra nella nicchia dei survival horror psicologici, in cui la vera paura non nasce dal timore della morte, ma dal dolore che proviene dal passato. La difficoltà del titolo risiede nello sforzo di proseguire in una trama che si intreccia duramente con il comprovato male che è stato perpetrato ai danni del popolo polacco dalle correnti estremiste durante buona parte del ‘900. Infatti, il gioco permette di risolvere pian piano un intricato puzzle raccogliendo informazioni e risolvendo enigmi, spesso troppo semplici per i più esperti, ma perfetti per chi vuole entrare nell’ignoto mondo degli horror game.

Inoltre, The Medium dura circa otto ore, un tempo sufficiente per approfondire la trama e perfetto tanto per i neo-appassionati degli horror che vogliono provare il genere senza soffermarsi sul titolo settimane intere, quanto per i videogiocatori più adulti che hanno poco tempo da dedicare alla loro passione.

Infine, il gioco è totalmente gratuito per i possessori dell’Xbox Game Pass, sia su PC che su Xbox One e Xbox Series S|X (che costa solo 1 euro per i primi tre mesi). In altre parole, non avete nessun motivo per non vagare nei mondi di questa piccola opera d’arte.

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Captain Tsubasa: Rise of New Champions e l’importanza di recensire il multiplayer online

Per giorni, ho studiato i grafici dei prezzi di Bandai Namco per capire l’esatto momento in cui Captain Tsubasa: Rise of New Champions sarebbe andato in sconto. Nel periodo della sua uscita, 27 agosto 2020, avevo già parecchio materiale da giocare, quindi ho preferito acquistarlo al primo vero calo di prezzo, che non si è fatto troppo attendere. Il 17 dicembre, il nuovo titolo di Holly e Benji riceve uno sconto del 40%, lo acquisto e scioccamente penso di potermi divertire nella modalità online, sperando di sfamare la mia voglia di competizione calcistica.

Bandai Namco ha da poco chiesto con un lunghissimo sondaggio l’opinione degli utenti che sono stati abbastanza “sinceri”. Magari era meglio farlo prima, invece di concentrarsi su una vagonata di DLC.

Recensioni incomplete

Captain Tsubasa: Rise of New Champions merita i voti che vedete sui siti di informazione videoludica, se teniamo in considerazione solo il single player. Purtroppo, nessuna recensione che vedete in giro tiene conto del multiplayer online. Sembra anche piuttosto logico, perché sono solitamente scritte pochi giorni prima dell’uscita e non possono quindi contenere informazioni su una modalità che si può provare solamente quando i videogiocatori scenderanno in campo.

Andare online prima di queste prove però significa falsare la valutazione globale del videogame. In qualsiasi contesto, prendendo spunto dal rasoio di Occam, bisognerebbe usare il minor tempo necessario per fornire una soluzione con un corretto risultato. Nel mondo dei videogiochi, invece il rasoio taglia pagine alla recensioni per venire incontro alla necessità di avere i contenuti il prima possibile, a qualsiasi costo. Nel nostro caso, il costo è quello pagato dagli appassionati che sono interessati a giocare un titolo solamente online, che non sono di certo pochi dato che in questo periodo storico i titoli più giocati hanno solo la modalità competitiva online come Fortnite e League of Legends oppure dove la maggior parte dei profitti arriva proprio dall’online come la serie FIFA o Call Of Duty.

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Ho sognato questo momento per anni.

Uno spreco di tempo…

Tornando a Captain Tsubasa, mi sono ritrovato tra le mani un videogioco discreto nella campagna single player e anche abbastanza rigiocabile con la possibilità di creare sempre nuovi personaggi. Il gioco stesso ti invoglia a finire tutta la campagna in solitaria prima di passare a giocare su internet, perché solo a quel punto ti fornisce (quasi) tutti i giocatori disponibili nel roster. In altre parole, dopo tre giorni di concentrazione sul single player, sono finalmente pronto ad affrontare la tanto agognata sessione su internet. Porto con me l’idea di competere con altri giocatori e di scalare le classifiche con Oliver Hutton e Tom Becker sin dagli anni ’90 e oggi tutto questo è possibile.

In realtà, Captain Tsubasa: Rise of New Champions non permette di giocare subito contro i giocatori, nonostante tu stia scegliendo di giocare in multiplayer, quindi proprio contro altri giocatori! Infatti, bisogna svolgere, “come allenamento”, poco meno di una decina di partite contro la CPU prima di poter iniziare a fare sul serio. Scelta priva di ogni logica, ma ho aspettato così tanti anni che mi turo il naso e vado avanti. Dopo un’altra giornata persa in partite contro il computer e scelta della formazione iniziale, finalmente parte la mia esperienza multiplayer sullo spokon numero due nella mia personale classifica (il primo è Slam Dunk, scusa Holly).

Io vs Lag.

… e pazienza

Ho avuto terribili esperienze nel gioco online, ma nessuna è stata mai così deludente. Prima ho dato la colpa all’orario in cui giocavo, tanto da riprovare i giorni successivi in altre fasce orarie. Poi ho incolpato Nintendo Switch che in mancanza di cross-play potrebbe avere un pool di giocatori troppo ristretto e concentrato soprattutto in Asia e Stati Uniti. Però, dopo aver visto diversi youtuber giocare solo la modalità single player e sbirciato l’esperienza online di altri giocatori su qualsiasi piattaforma, mi sono dovuto arrendere alla realtà che il netcode di Captain Tsubasa: Rise of New Champions fa semplicemente schifo.

Il lag è un problema ben noto, ma non ricordo un titolo in cui questo problema fosse in grado di cambiare la fisica di gioco. In questo Captain Tsubasa, tutto è processato sul momento in base alla posizione di giocatori e pallone. Questo implica che se il vostro avversario calcia senza alcuna speranza il pallone contro il vostro portiere e una “botta di lag” arriva proprio in quel momento, l’estremo difensore non vede il pallone, che entra in rete indisturbato.

Per non inveire ulteriormente, tralascerò i diversi bug che ho trovato a causa di una mancata risposta della connessione dell’altro utente, dovuta alla pessima scelta del peer-to-peer come se si trattasse di un picchiaduro. Però, sento la necessità di raccontarvi del glitch in cui non si può passare il pallone con il portiere e si è costretti a subire un contrasto per sbloccare la situazione, con l’ovvia conseguenza di prendere gol.

Il fastidio più grande causato dal pessimo netcode di gioco è sui contrasti. Il sistema base è alquanto semplice. Ci sono due tipi di finta e due tipi di contrasto. La finta “A” è bloccata dal contrasto “A” e lo stesso vale in modo analogo per l’opzione “B”. I calciatori eseguono una simile, ma diversa animazione per ogni finta e dei buoni riflessi possono fare la differenza. Semplice, efficace e totalmente sballato nel multiplayer online. Infatti, il ritardo in praticamente il 90% delle partite è così elevato, che basta prendere il miglior fantasista della squadra e andare semplicemente dritto. Il calciatore sarà totalmente non contrastabile e il gol arriverà per certo, poiché alcuni tra i giocatori più forti posseggono un’abilità passiva per cui se usano un tiro speciale a due passi dal portiere, sarà sempre rete.

Il dribbling può essere un vero inferno se la latenza è elevata.

Conclusione

Un gioco ha il diritto di essere semplicemente pessimo, ma chi si occupa di videogiochi ha il dovere di avvertire il consumatore che sta pagando del denaro per fruire di un prodotto. Se avessi saputo che Captain Tsubasa: Rise of New Champions fosse così pietoso nella modalità che più mi interessava, non lo avrei mai comprato. Purtroppo, almeno in Italia, nessuno si è preso la briga di dirlo, perché il mercato è troppo veloce e non vale la pena fornire un buon servizio. Ho perso del denaro, ma ho imparato una lezione e mi auguro che l’editoria si possa rendere conto quanto prima che è meglio posticipare l’uscita di una recensione, piuttosto che valutare un titolo solo parzialmente, anche se sono ben conscio che nel giornalismo dell’hype, l’unica cosa che conta è parlare del prossimo videogioco, perché il rasoio di Occam può ferire il consumatore, ma di certo non le mani del recensore.

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Editoriali

New World, l’ultima speranza per gli MMORPG

Sin da bambini, una delle più grandi fantasie dell’essere umano è immergersi in un mondo fantastico in cui l’avventura e la sfida gli permetta di innalzare il proprio prestigio. Se non ti sei mai stupito per il successo che hanno avuto tutti quei videogiochi che ci permettono di essere un incredibile mago o un possente guerriero, ancor più facile è ipotizzare il successo dei giochi di ruolo online, più comunemente noti come MMORPG.

Nel 1997, in un settore ancora impreparato per gestire un mondo virtuale, nasceva Ultima Online, il precursore della volontà di tutti quei bambini di piegare la magia per i propri scopi. Sette anni dopo, quando l’evoluzione informatica ci ha dato l’opportunità di collegarci contemporaneamente in un universo fantastico è nato World Of Warcraft, un colosso da 113 milioni di iscritti e un picco di utenti attivi pari a 10 milioni nel 2010.

I numeri sono sempre brutalmente onesti. Negli ultimi venti anni, chiunque avrebbe detto che l’MMORPG è il genere a cui ambisce qualsiasi videogiocatore, perché permette di vivere un videogioco, invece che limitarsi a giocarlo. Nel 2021, sono già stati prodotti tanti MMO (Massive[ly] Multiplayer Online), ma per ottenere dieci milioni di utenti attivi bisogna sommare i giocatori dei cinque principali esponenti. Del resto, tutte le mode hanno un punto di massimo e di minimo. Per adesso il gaming online è basato su sfide più immediate, con titoli velocemente accessibili come Fortnite, FIFA o Call Of Duty, ma teoricamente niente ci vieta di pensare a un ritorno in pompa magna dei giochi di ruolo online. In termini pratici però le cose sono decisamente diverse.

Ideare, progettare, realizzare e soprattutto mantenere un MMORPG costa e una scarsa utenza può significare la morte di un titolo e addirittura di un genere. Se le stime pessimistiche troveranno riscontro nella realtà, gli MMO saranno relegati soltanto al pubblico asiatico, e in particolare coreano, storicamente noto per il suo amore per il genere e per i gacha (le controverse microtransazioni alla base di giochi come Geshin Impact). In Occidente invece serve un’importante scossa che solo meccaniche innovative possono dare. La prima software house che lo ha compreso sembra essere Amazon Games che sta tentando di rinvigorire un genere sull’orlo del baratro con il suo nuovo titolo, New World.

Un nuovo mondo

Ho avuto una lunga chiacchierata con il fondatore della community italiana di New World, Capitolino, e un attivo giocatore del PvP di New World, Berenike, che stanno provando l’alpha dell’MMORPG di Amazon Games. Dopo questa intervista, il mio interesse nei confronti di New World è di gran lunga aumentato e voglio raccontarvi i motivi.

Dopo l’ultimo rinvio di pochi giorni fa, New World arriverà sul mercato il 31 agosto 2021 solo su PC. Sono abbastanza certo che il gioco approderà in futuro anche sul cloud proprietario, Amazon Luna, che permetterà di giocare in mobilità, probabilmente con controller e quindi magari in futuro anche su console. Però, fino ad allora, dobbiamo tenere traccia dell’importante scelta della casa di Seattle di voler limitare il titolo soltanto al mondo PC, puntando alla nicchia più appassionata del genere.

Nonostante New World abbia cambiato faccia più volte nel corso degli anni, il titolo ha mantenuto intatta la volontà di soddisfare un pubblico esigente formato da veri cultori del genere. Il punto di partenza è la base PC, ma la conseguenza è un gameplay che sfrutta il progresso tecnologico e i nuovi standard degli action game.

Lo stato dell’arte

New World ha subìto diversi rework che hanno generato una naturale confusione nella community videoludica. Chiariamo dunque a cosa stanno giocando gli amici di New World Italia in questi giorni.

A differenza di quanto progettato inizialmente, attualmente New World è un MMORPG diviso in server, in cui la parte PvP è ancora di vitale importanza tanto da invogliare molti giocatori a pensare di intraprendere la scena competitiva. In particolare, la sfida tra giocatori sembra essere più sofisticata della controparte PvE, ancora priva di un vero endgame e che probabilmente sarà incompleta all’uscita prevista per questa estate.

Per quanto concerne il PvE, la forma scelta è quella dei classici dungeon, dei party da cinque giocatori e di alcuni boss “open” (in stile Azuregos di WoW). In altre parole, niente di particolarmente innovativo, ma gli sviluppatori sono coscienti della necessità di aggiungere altri aspetti, tanto da aver appena annunciato che il loro obiettivo è concentrarsi proprio sull’aggiungere contenuti endgame PvE nei prossimi mesi.

Ricordiamo che l’idea originale degli sviluppatori era concentrarsi sulla sfida tra giocatori. Non stupisce quindi che New World abbia maggiore varietà sotto questo aspetto. Premettiamo che non è più presente il Full Loot, quindi non perderete tutti i vostri averi in caso di morte e la feature caratterizzante è la presenza di tre fazioni (anche se si parla di una quarta neutrale) con una forte diplomazia di gilda basata sulla conquista.

Se l’idea che una fazione può insediare i territori di gioco risulta estremamente interessante, poiché si tratta di una caratteristica sviluppata con estremo insuccesso su altri giochi come World of Warcraft, la realizzazione può essere soggetta a varie problematiche. Una tra tutte la presenza di più server che può comportare un’eterogeneità nella quantità di giocatori di ogni fazione. Per questo Amazon Games sta studiando, oltre al miglioramento dell’attuale sistema di ranking, un bilanciamento che fornisca dei bonus a chi ha meno territori al fine di non rendere frustrante la sfida.

Tra le formule di combattimento, oltre alle arene che saranno introdotte a breve, ci sono i duelli e le “guerre tra fazioni”:

Le guerre tra Fazioni sono un semplice siege 50 vs 50, dietro però a qualcosa di così semplice si nascondono molte strategie di difesa o di attacco, con build dedicate e posizionamenti strategici nonché l’uso stesso delle armi di assedio. Noi dello Staff di New World Italia ne abbiamo provate diverse in Preview, arrivando persino a reclamare una città a nome della community vincendo il siege. Le guerre sono risultate molto divertenti, ti ritrovi in mezzo al caos della guerra con 50 nemici che sono pronti a prendere il tuo territorio. Una sola voce che parla nel tuo team, quella dello shotcaller che chiama gli obiettivi e le strategie di gioco, d’altronde da un buon shotcaller deriva la vittoria della guerra, tirare spell a caso o posizionarsi dove capita non è mai una buona strategia.

La vittoria del siege si ottiene conquistando 3 punti esterni al forte, solo dopo si può entrare sfondando le porte e catturare l’ultimo punto per reclamare il territorio. Una cosa inoltre che abbiamo trovato utile è la scelta dell’orario della war, quindi la gilda che difende sceglie l’ora in cui iniziare la guerra. Questo è un ottimo modo per avere un momento comune con tutti i gildani di giocare senza escludere nessuno che magari ha impegni lavorativi o altro

Capitolino, founder di New World Italia

Un mondo old style

New World presenta delle meccaniche tipiche dei giochi di ruolo più classici. Infatti, sarà necessario scegliere i punti caratteristiche da aumentare a ogni livello e sono presenti degli alberi delle skill per l’utilizzo delle armi. La novità principale sotto questo aspetto è la mancanza di una classe di riferimento. Infatti, i giocatori possono intraprendere qualsiasi classe e adattare le proprie caratteristiche a essa. Questa scelta è agevolata dalla presenza di un reset dei punti facilmente accessibile in termini economici e, soprattutto lato PvE, dalla non totale necessità di avere un party “standard”, cioè nessuna fondamentale presenza di tank e healer, per affrontare le sfide di gioco.

Di recente è stato aggiunto il crafting che, secondo la visione degli sviluppatori, dovrebbe essere una parte cruciale di New World, con una scarsa presenza di NPC a favore di giocatori-mercanti.

Innovativo per definizione

Gli MMORPG sono dei titoli longevi, che mutano forma con il tempo, ma che per motivi tecnici non possono allontanarsi dal pattern che è stato deciso all’uscita, che magari risale anche a più di una decade fa. Questo ciclo di vita così lungo, non permette alla stragrande maggioranza dei GDR online più seguiti di rimanere al passo con tempi e tecnologia. Il vantaggio del titolo di Amazon Games parte proprio da questo.

New World basa il suo combat system sul genere soulslike. Questa scelta comporta due importanti considerazioni. La prima è la volontà della casa di sviluppo di puntare a una tipologia di videogiocatori più preparati ad affrontare le difficoltà che il gioco può porre. La seconda è scegliere un sistema di combattimento che non era immaginabile 15 anni fa. Gli sviluppatori di un gioco di ruolo online devono tenere conto di vari fattori quando progettano il proprio titolo e tra questi c’è sicuramente la banda media e la latenza di ogni utente.

In altre parole, solo un MMORPG in uscita nel 2021 come New World può avere un combat system in stile Dark Souls, perché la tecnologia di rete lo permette solamente oggi. Magari ci sono stati altri giochi online che hanno voluto proporre una tale scelta, ma si contano sulle dita di una mano le aziende che possono permettersi dei server in grado di ospitare un titolo che contenga migliaia di videogiocatori con la necessità di colpire, parare e schivare con tempismo e precisione. Infatti, anche i mostri manovrati dalla CPU offrono una sfida impegnativa (quasi da survival) che richiede attenzione da parte del giocatore e un’importante risposta agli input da parte dei server.

Il fattore Amazon

Le strutture proprietarie (come il cloud computing di AWS) garantiscono ad Amazon Games la possibilità di osare con idee difficilmente realizzabili a causa dei limiti tecnologici. Gli MMORPG abbracciano le difficoltà di sviluppare un videogame con quelle di gestire un’applicazione sempre online, e l’esperienza ci insegna che buone idee possono crollare facilmente sotto il peso di un’architettura informatica non adeguata. Sotto questo punto di vista, Amazon ha un’infrastruttura che sarebbe un vero peccato sprecare e la scelta di un genere così complicato può esaltare questi enormi vantaggi strutturali.

A quanto appena detto, dobbiamo aggiungere l’importanza che ha la piattaforma streaming di Amazon nella campagna marketing della software house. In un contesto pieno di spettacolarizzazione, Twitch con i suoi record di contenuti e visualizzazioni, permette una campagna pubblicitaria coinvolgente e che farà sicuramente parlare di sé.

Dubbi e speranze

Gli MMORPG richiedono un’attenzione maniacale nel gameplay e nel bilanciamento. Una sfida che ha messo in difficoltà tantissimi veterani, che hanno imbracciato il mondo online solo dopo molti anni di esperienza. Come confermato anche dai ragazzi di New World Italia (con cui potete interagire su Discord e seguire su Facebook), il titolo uscirà probabilmente incompleto in termini di endgame e con tante feature che dovranno essere aggiunte o migliorate in corso d’opera. Questo costringerà Amazon Games a seguire al 110% il gioco per un lungo periodo, ma la recente storia della software house è fonte di perplessità. Breakaway e Crucible sono stati un profondo insuccesso e New World è l’ultima spiaggia di una casa di sviluppo, che se non riuscisse a sfondare con il suo titolo di punta, in 5 anni, non sarebbe riuscita a portare a casa nemmeno un gioco di medio successo.

In conclusione, ho grandi speranze nei confronti di New World, che vuole portare delle idee innovative in un contesto molto complesso e potrebbe realmente essere in grado di farmi innamorare nuovamente degli MMORPG, nonostante a trent’anni sia difficile trovare il tempo per fiondarsi nuovamente su questo genere.

New World un progetto molto ambizioso, ma è così facile farlo diventare “troppo” ambizioso che non voglio affezionarmi sin da subito, perché la probabilità di una profonda delusione è dietro l’angolo. Di certo, attualmente nessun altro MMORPG mi può convincere a riprendere il genere se non proprio il gioco di Amazon Games. Questo significa che l’idea c’è ed interessante, ma sarà vera gloria?

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Editoriali

Cyberpunk 2077 ci ha confermato che i voti dei videogiochi sono troppo alti

A un mese dall’uscita del vociferato Cyberpunk 2077 e dopo lunghe discussioni, abbiamo capito, in redazione, che le nostre posizioni divergenti hanno in comune un’unica certezza: la media dei voti dei videogiochi è troppo alta.

Rispetto a tutti gli altri media come i film e le serie TV, i voti dei videogiochi tendono decisamente verso l’alto, tanto da far pensare, a chi ha meno tempo per giocare, di abbondonare i titoli con votazione inferiore a 9, perché l’attuale panorama videoludico è pieno di giochi che sono ritenuti capolavori.

Questa tendenza ha generato mostri quando la stampa di settore ha dovuto scegliere il voto da dare al controverso Cyberpunk 2077. Tralasciando le pessime conversioni per PlayStation 4 e Xbox One, molti gamer sono rimasti insoddisfatti anche dai voti attribuiti alla versione PC. Le maggiori testate italiane hanno dato una votazione tra 9 e 9,5. Le testate internazionali, invece si sono sbizzarrite dal massimo voto di VG247 e GamesRadar fino a un risicato 78/100 di PC Gamer.

Chi ha ragione? Probabilmente tutti e nessuno.

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Cyberpunk 2077 ha avuto voti decisamente variegati.

I capolavori del genere

Per poter dire che Cyberpunk 2077 meriti un voto da capolavoro, dobbiamo confrontarlo con i suoi diretti avversari che hanno stabilito uno standard sul genere. L’ibrido di CD Projekt Red non è facile da collocare in uno specifico genere, quindi ho preso in considerazione gli open world più simili. La concorrenza d’élite è spietata: Red Dead Redemption II e The Legend of Zelda: Breath of the Wild.

Su YouTube sono disponibili decine di video confronti, ma basta un po’ di memoria per affermare che, su alcuni aspetti, Cyberpunk 2077 è abbastanza lontano da questi due giochi. L’intelligenza artificiale di Red Dead Redemption II, il combat system di The Legend of Zelda: Breath of the Wild e, in generale, la qualità delle animazioni di entrambi i titoli sono decisamente più avanti rispetto al lavoro fatto da CD Projekt.

Quindi Cyberpunk 2077 non merita più di nove? Personalmente, dico di no, ma ci sono comunque alcune cose in cui Cyberpunk 2077 è un capolavoro: narrazione e statistiche come gioco di ruolo.

Red Dead Redemption II, un capolavoro open world.

Narrazione perfetta

Se chiedessimo a un appassionato del genere se Cyberpunk 2077 è un capolavoro del genere dei GDR, probabilmente avrebbe difficoltà a rispondere, o dovrebbe omettere alcune considerazioni. Molti puristi dei giochi di ruolo hanno lamentato la forte incoerenza che si può avere durante la gestione di V. Possiamo decidere di essere spiegati corporativi e l’esatto contrario come e quando vogliamo, senza che il mondo si faccia un’opinione su di noi. Allo stesso tempo, le scelte durante il dialogo molto spesso non portano delle conseguenze letali come avviene in altri titoli più vetusti come Baldur’s Gate o con voti decisamente più bassi come The Outer Worlds, Tyranny o Pillars of Eternity.

The Outer Worlds, un ottimo gdr in prima persona.

D’altro canto, Cyberpunk 2077 ha le migliori quest secondarie che io abbia mai giocato, con molti personaggi, anche quelli completamente irrilevanti, che possono straziare il videogiocatore.

Ovviamente è facile dire che i principali personaggi come Judy, Panam e River meriterebbero un DLC personale. Questi NPG sono semplicemente fantastici e le loro quest lasciano veramente con il magone e un senso di vuoto che raramente si prova nei videogiochi, troppo spesso occupati a far uccidere al giocatore qualsiasi cosa si muova.

Il nuovo standard impostato da CD Projekt Red risiede nei personaggi secondari di cui non si ricorda nemmeno il nome. Durante una quest secondaria, vi potrete imbattere in un ex-militare che vuole assassinare un politico. Lo potrete convincere a desistere. I risultati? Lui si suiciderà davanti ai vostri occhi e sarà terribile.

Trame, narrativa e linee di dialogo sono fondamentali in qualsiasi gioco. Di conseguenza, sotto questo punto di vista, Cyberpunk 2077 ha stabilito un nuovo standard difficile da superare, anche per la durezza con cui vengono affrontati argomenti delicati come il suicidio, la politica, il sesso e la religione.

La quest di Judy fa davvero soffrire.

Bilanciamento di qualità

Nonostante il gioco non ci faccia mai arrivare in una situazione in cui pensiamo di non uscirne vivi, Cyberpunk 2077 ha un ottimo bilanciamento di statistiche in termini puramente matematici, che ci costringe a tenere gli occhi aperti anche dopo decine e decine di ore. In particolare, ho apprezzato la necessità di dover pianificare ogni singolo punto attributo che viene speso sul proprio personaggio. Il folle prezzo per resettare i talenti, unito al bilanciamento punitivo, mi hanno impedito alcune specializzazioni che volevo per il mio personaggio durante la prima run.

Non significa che non sono riuscito a finire il gioco, ma l’insoddisfazione per una mancata pianificazione ricorda i titoli del passato più difficili e maggiormente basati sulle regole di D&D come il già citato Baldur’s Gate oppure i vari Planescape: Torment e Neverwinter Nights.

Creare un personaggio in Baldur’s Gate.

Cyberpunk 2077 merita meno di nove?

Cyberpunk 2077 ha alcuni punti molto forti e altri più deboli. Non sembra essere un capolavoro, quindi dobbiamo trovare un voto inferiore a 9,5.

Cyberpunk 2077 merita 9? Abbiamo detto che non è un capolavoro per troppi aspetti e anche i bug fanno precipitare il titolo. Facile dire che il voto deve essere più basso di 9.

Esattamente come già fatto con i pilastri del genere prima elencati, cerchiamo di capire quali sono gli altri titoli molto simili all’open world polacco con una votazione inferiore. E capiamo se Cyberpunk 2077 vale quanto loro.

  • Fallout 4 ha, in media, un voto molto vicino al 9. Molti lo hanno definito come un titolo con dialoghi troppo ridotti all’osso e un combat system lontano da quanto sapevano offrire i capitoli precedenti. Personalmente, penso che il gioco di CD Projekt Red sia migliore.
  • Assassin’s Creed Valhalla ha un voto che oscilla intorno all’8,5. Lo abbiamo recensito anche noi e parliamo di un gioco solido, divertente, ma lontano dalla perfezione. E sicuramente il suo open world non è dettagliato e bello come quello di Cyberpunk 2077.
  • The Outer Worlds oscilla tra l’8,9 e il 7 tra i voti italiani e possiamo definire il voto di PC Gamer pari a 7,9 (un punto decimale sopra Cyberpunk 2077) come la giusta media. Ho recensito questo titolo per Nintendo Switch, e tralasciando il downgrade grafico, il gioco è esattamente uguale alle altre versioni. In poche parole, si tratta di un gioco eccessivamente snello per impensierire la creatura polacca.
  • Watch Dogs Legion è altalenante esattamente come The Outer Worlds, con un voto che si assesta intorno all’8. Dobbiamo veramente parlarne? Nonostante alcuni momenti da next-gen, la vita da hacker targata Ubisoft è decisamente troppo lontana dall’esperienza distopica di Cyberpunk 2077.

Quattro titoli che sono delle solide realtà e che hanno ricevuto voti appena sotto il capolavoro. Titoli di livello, che però non sono neanche lontanamente paragonabili a un Cyberpunk 2077 pieno di bug e di tagli più o meno forzati.

Fallout 4, un buon titolo con un nome ingombrante.

Una scala di valori errata

Dare un voto a Cyberpunk 2077 è impossibile, perché la scala di valutazione che stiamo utilizzando è sbagliata. I giochi attuali, oltre ad avere voti così diversi tra le testate giornalistiche da rasentare la schizofrenia, sono semplicemente troppo alti. Questo non permette di collocare giochi importanti come Cyberpunk 2077, cioè titoli di altissimo livello, ma con delle lacune importanti, perché un 8,5 è un voto condiviso tra troppi giochi di diverso valore.

In un ambiente comune, come quello scolastico, Cyberpunk 2077 è un progetto ambizioso che ha puntato al sole, si è scottato, ma non è precipitato. Un solido “distinto” che si può premiare o punire in base alla tendenza della maestra di premiare la creatività. Nei videogiochi, il “distinto” è un fallimento per i tripla A e un 6, sufficienza che ti permette di andare avanti nonostante le difficoltà, può far chiudere uno studio.

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Le varie versioni di Cyberpunk 2077 necessitano di voti diversi.

Evoluzione non rivoluzione

Una valutazione generale troppo alta crea diversi problemi. Prima di tutto, solo una parte dei voti è realmente usata. Per esempio, i voti sotto la sufficienza sono stranamente più rari dei voti molto alti. In questo modo, è estremamente complesso poter valutare quei titoli a cavallo tra il distinto e l’ottimo, perché la coperta è diventata così stretta che tanto vale usare la classica scala da 1 a 5 di Amazon, che dice tutto e nulla.

Premetto che ci sono delle testate che assegnano voti decisamente più bassi, ma parliamo soprattutto di storiche riviste a cui poca importa del problematico giornalismo online. Un esempio è chiaramente EDGE, che ha dato 7 a Cyberpunk e che non ha interesse a omologarsi con le testate digitali.

EDGE ha valutato Cyberpunk 2077 come un “sette”.

Per il mondo online, la rivoluzione non può partire dalle piccole realtà, perché se le grandi testate digitali decidono che Fallout 4 vale 9, il piccolo blog che gli riserva un 7 viene visto negativamente dal publisher, che purtroppo potrebbe decidere che non sei degno di recensire i suoi giochi. Volevi apparire, ma hai solo commesso un inutile sacrificio. E così, potrebbe capitare che il blog non riceva più il gioco oppure che questo arrivi solo il giorno del lancio. Il risultato è fornire una recensione con estremo ritardo rispetto a una concorrenza maggiormente omologata.

Per poter dare un voto vero a Cyberpunk 2077, bisogna cominciare a rivalutare un intero sistema di recensioni che non può essere più basato su un scala di valutazione irreale, dove la maggior parte degli studenti è un genio e devi fare proprio del gran casino per essere scadente. Per farlo però non è sufficiente una rivoluzione di pochi piccoli temerari, ma un’evoluzione del giornalismo videoludico che con standard ferrei e una rigidità tipica di realtà consolidate possa stabilire quanto un gioco è meritevole del denaro dei videogiocatori.

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I peggiori ritorni del 2020: Warcraft III e Pikmin

Il 2020 dei videogiochi è stato un anno ricco di eventi. La pandemia di Covid-19 ha acceso i riflettori su un mercato in enorme espansione, che ha dovuto anticipare i propri tempi di maturazione, spesso non riuscendoci. Casi come le versioni old-gen di Cyberpunk 2077 rimarranno nei libri di storia, ma ci sono stati anche danni più subdoli e pericolosi.

Warcraft III Reforged e Pikmin 3 Deluxe sono rispettivamente un remake e una remastered. Questi due titoli portano nomi pesanti come Blizzard e Shigeru Miyamoto, ma il loro fallimento non si limita all’imbarazzo dei creatori. Stiamo parlando di due giochi diversi, con problemi differenti, ma che rischiano di convidere un unico destino, quello di non vedere mai più un proseguo della serie.

Warcraft III Reforged

Warcraft III: Reign of Chaos arrivò sul mercato nel 2002 e fu letteralmente una bomba atomica. Definito oggi come uno dei più grandi capolavori di tutti i tempi, confermò il periodo d’oro di Blizzard che con StarCraft, Diablo II e Warcraft III dimostrò di saper trasformare in oro qualsiasi cosa toccasse. Da lì cominciò un lungo viaggio che portò a quella che è probabilmente l’espansione più famosa di tutti i tempi, Warcraft III: The Frozen Throne, e l’MMORPG più giocato in assoluto, World of Warcraft.

Per questi motivi, quando fu annunciato Warcraft III Reforged, la fanbase rimasta delusa dai tanti svarioni della nuova Activision Blizzard, pensò che era ritornato il momento di veder risplendere la luce di Blizzard. Il 28 gennaio 2020 esce Warcraft III Reforged ed fu un incredibile flop.

Warcraft III ha fatto del suo comparto online, e del suo settore competitivo, un gioiello così prezioso che Battle.net riuscì a sopravvivere anche a distanza di quasi vent’anni. Blizzard ne era cosciente e annunciò che il titolo avrebbe solamente aggiunto, senza modificare nemmeno le hitbox dei personaggi per mantenere intatta l’esperienza online. In altre parole, Warcraft III Reforged doveva portare nuove persone a giocare il capolavoro Blizzard e ravvivare la scena e-sport del titolo.

Paragona tra demo e versione finale di Warcraft III Reforged.
La demo di Warcraft III Reforged aveva migliori ombre e migliori texture su erba e alberi della versione finale.

Purtroppo, il gioco fu una terribile delusione per tre motivi. Il primo è il downgrade rispetto a quanto mostrato nei trailer degli anni precedenti. Semplicemente il gioco non era così bello come si era visto nelle demo. Il secondo è la mancanza di feature online importanti per la community. Per farla breve, il vetusto Battle.net aveva più opzioni rispetto al nuovo sistema competitivo. Infine, la terza goccia che fece traboccare il vaso fu la scelta di Blizzard di applicare una policy per cui le mappe create con l’editor di gioco sarebbero per sempre appartenute all’azienda stessa.

I motivi di quest’ultima scelta sono abbastanza semplici da capire. Da una mappa personalizzata nacque DotA, ma Activision Blizzard ha dimenticato che senza quell’opportunità, il primo vero MOBA non sarebbe mai esistito e forse nemmeno un intero genere.

La risposta degli utenti non si è fatta attendere. Blizzard è stata costretta ad aprire ai rimborsi e ad oggi il rinominato Warcraft III “Refunded” ha un votazione su Metacritic pari a 0.6.

Pikmin 3 Deluxe

La strategia di Nintendo sui giochi usciti in esclusiva su Wii U è stata abbastanza chiara. Secondo Nintendo, anche se Wii U non ha avuto un notevole successo, la console ha avuto tantissimi capolavori che probabilmente non avete mai giocato. Di conseguenza, l’azienda di Kyoto ha deciso di riproporli praticamente tutti su Nintendo Switch e nell’anno 2020 mancava all’appello una delle ultime creature di Shigeru Miyamoto, Pikmin 3.

Premetto che Pikmin 3 Deluxe non è un brutto gioco. Anzi, è il miglior capitolo del franchise. Semplicemente, non ha nulla di veramente “Deluxe” e lo scotto pagato è altissimo.

Pikmin è un franchise nato su un’altra console poco fortunata, il Nintendo Gamecube. Il primo capitolo vide la luce nel 2002 da un’idea del maestro Miyamoto. Lo scopo del titolo è sopravvivere in un pianeta avverso con l’aiuto dei Pikmin, piccole creature che possono svolgere delle azioni in base al proprio colore. L’utente, nonché sopravvissuto a uno schianto, dovrà gestire i Pikmin per riuscire a ripartire verso la sua vera casa.

Trova le differenze, difficoltà: God.

Il brand è universalmente riconosciuto come innovativo, ma non ha mai fatto impazzire i videogiocatori come comprovato dalle vendite. Per un titolo Nintendo, le 1,6 milioni di copie di Pikmin sono poche. Ancora peggio le 1,27 milioni di copie di Pikmin 3 per Wii U dopo un’attesa lunga 9 anni rispetto al secondo capitolo.

Fino ad oggi, le colpe delle scarse vendite di Pikmin sono sempre ricadute sull’hardware e Pikmin 3 Deluxe doveva essere la consacrazione di una serie che finalmente proponeva il suo miglior titolo su una delle console più vendute di sempre, Nintendo Switch. Purtroppo per i fan e per Miyamoto, Pikmin 3 Deluxe ha venduto meno rispetto alla versione per Wii U causando quella che io credo sia la morte del brand.

Spero di sbagliarmi e mi auguro che il maestro Miyamoto annunci nel 2021 Pikmin 4, ma le colpe di Nintendo sono tante. L’azienda ha dimostrato di non credere in questo progetto realizzando un porting svogliato per una serie che non ha avuto né la giusta dose di fortuna né soprattutto di fiducia da parte di Nintendo.

Conclusione

Tra Warcraft III Reforged e i “danni” nella trama causata da World of Warcraft, è difficile oggi pensare che arriverà Warcraft IV. Sicuramente non in tempi brevi visto che Blizzard sta lavorando totalmente a Diablo IV di cui dovremmo avere notizie al BlizzCon 2021. Di certo, è che Warcraft III Reforged sarebbe dovuto servire come collante tra le generazione per creare l’umore adatto per chiedere a gran voce un nuovo capitolo di uno dei migliori RTS di sempre.

Activision Blizzard ha le spalle larghe, ma non sono certo che gli sviluppatori Blizzard siano ancora in grado di fornirci un titolo migliore di Warcraft III. Se avessi fatto quest’affermazione dieci anni fa, molti l’avrebbero presa per eresia, ma oggi non sembra più così sciocca.

Per quanto riguarda la serie Pikmin, rimane solo una fievole speranza. Negli anni si è parlato della serie e molti hanno affermato che Pikmin 4 fosse realmente sotto sviluppo. A differenza di Warcraft, è necessario sperare che Pikmin 3 Deluxe sia stato solamente un passo falso dovuto dal Covid-19 e che con il 2021, oltre al virus, ci dimenticheremo anche dell’ingrato ruolo di tappabuchi affidato all’opera di Shigeru Miyamoto. Se così non fosse, probabilmente Nintendo prenderà la decisione più ragionevole per un’azienda, che è quella di abbandonare il brand per sempre.

Questi sono stati i ritorni nel 2020 che più mi hanno deluso. I vostri invece quali sono?

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Editoriali

Le evoluzioni digitali dei giochi da tavolo

In questo articolo esamineremo la superficie di un fenomeno che da qualche anno sta prendendo sempre più piede e che l’emergenza pandemia sta accelerando, per certi aspetti in maniera inattesa…

GDT… non GDR!

Attenzione all’ultima lettera: T e non R.

Oggi non parleremo di GDR (gioco di ruolo). Questo concetto, seppur in ambito videoludico possieda dei connotati abbastanza precisi tanto da costituirne un genere, nel mondo classico del carta-e-matita vive da anni uno scontro epocale fra giocatori, esperti, designer e utenti in generale… giusto per riuscire a darne la sola definizione!

Per fortuna, per i GDT le cose sono più semplici: la sigla indica i Giochi Da Tavolo, quelli che prevedono per l’appunto un tavolo e l’immancabile tabellone da poggiarci sopra.
Dai più classici (Risiko, Monopoli, Cluedo, …) ai più recenti (Terraforming Mars, Root, Scythe…), tutti hanno una plancia comune, ma possono presentare anche altri componenti fisici, realizzati in materiali differenti come cartone, legno e plastica.

Come ultima nota introduttiva, e come ulteriore distinguo, i giochi che prevedono molte miniature, interi eserciti e che impiegano righelli, sagome di effetto, elementi scenici e simili, sono meglio noti come wargames.

Gioco da Tavolo
Carte, dadi, segnalini, miniature… e sopratutto: il tabellone!

Il fenomeno dei Giochi da Tavolo

Da circa quindici anni a questa parte, dapprima timidamente, ma poi con un impulso sempre maggiore, il mondo dei GDT (fisici) si è evoluto e si è espanso a dismisura. Le fiere del gioco quali Lucca C&G e Modena Play sono cresciute e hanno dedicato molto più spazio a questi passatempo; nello stesso momento sono nati blog, forum, pagine internet con recensioni, video di unboxing, demo, spiegazioni delle regole e migliaia di progetti crowdfounding sulle più note piattaforme online.

La forbice dell’età degli appassionati si è allargata ed esistono a oggi numerose categorie che coprono prodotti molto diversi: titoli dedicati alla famiglia, ai giocatori occasionali, agli hardcore gamers e così via… ce n’è per tutti i gusti. Inoltre, di recente, molti giochi moderni prevedono in modo nativo la modalità “solo” ovvero possono essere giocati anche se non ci sono amici o parenti disponibili a intavolare una partita.

Provate a dare un occhio a BGG: Board Game Geek, giusto per farvi un’idea…

Il connubio GDT e digitale

Il salto dai giochi da tavolo in modalità solitaria alla loro implementazione digitale è breve, un passo quasi naturale, ma il fenomeno “digitale” è molto più variegato e complesso di quello che si potrebbe immaginare…

Uno degli approcci al GDT digitale è quello “simulativo”, ovvero ricreare in un ambiente virtuale tutti i suoi componenti fisici: plancia, segnalini, miniature, schede, carte e a volte anche il tavolo (Tabletop Simulator, Vassal, Tabletopia). Una sorta di piattaforma che funge da framework per intavolare i giochi di questo tipo.

Un altro modo è quello di prendere un gioco da tavolo e farne il porting, ovvero implementarlo in un programma per PC, tablet o dispositivi simili. Ecco, questo è ciò che si avvicina di più a un tipico videogioco per come lo conosciamo (che nasce però da un GDT).

Poi ci sono i giochi da tavolo (fisici) più moderni che includono elementi digitali, da “semplici” link raggiungibili via qrcode o simili, che rivelano contenuti segreti o altre informazioni, a vere e proprie app. Alcune di queste si limitano a semplificare dei passaggi e a randomizzare e preparare il setup, altre consentono di aggiungere effetti sonori, dialoghi ed elementi capaci di coinvolgere maggiormente i giocatori, altre ancora implementano una precisa meccanica e dunque sono esse stesse parte integrante del gioco.

E non finisce qui. In epoca di pandemia, alcuni GDT hanno tentato la via di ristrutturare un po’ le proprie regole per poter essere giocati anche da remoto, sfruttando qualsiasi programma di videochiamata o di videoconferenza…

Tabletop Simulator
Tabletop Simulator: pedine, carte, dadi, fiches, segnalini, miniature, pezzi degli scacchi… e ovviamente anche un tavolo. Tutto virtuale.

Giochi da Tavolo online: hanno senso?

Ecco, questa è la classica domanda da un milione di dollari. E come sempre, esistono le varie fazioni di pensiero contrapposte.

C’è chi sostiene che un GDT ha poco senso se non lo si gioca con i propri amici al tavolo, mentre si ungono le carte con le patatine, mentre si inveisce contro tutti i presenti o, viceversa, ci si scervella insieme per risolvere le sfide in modo cooperativo.

Poi ci sono altri che vedono in questo nuovo approccio un modo di superare le distanze (imposte dalla pandemia, per esempio) o di poter giocare spendendo un po’ meno e non invadendo casa con chili di materiale e scatole…

Paragonare il mondo fisico a quello digitale o a una loro ibridazione non è semplice, e probabilmente neanche troppo significativo, dato che è evidente che le esperienze di gioco offerte sono profondamente diverse, pure se si sta giocando allo stesso titolo. Il fatto di poter vedere, manipolare i componenti e toccarli con mano e vivere la partita in presenza o, viceversa, gestire il tutto a schermo, tipicamente da remoto, sono cose completamente diverse.

Terraforming Mars: gioco fisico
Terraforming Mars: dal gioco da tavolo fisico…

Fisico vs digitale

Limitandomi a considerare i soli GDT digitali intesi come quelli portati sul PC (e piattaforme simili), ecco di seguito alcune osservazioni, spunti di riflessioni o indicazioni scaturite dal giocare alcuni titoli in versione digitale… dopo aver provato per diverso tempo le loro controparti fisiche.

Prezzo. Solitamente un gioco digitale costa meno della metà di uno fisico e spesso ci sono offerte o “bundle” interessanti a livello economico; tuttavia, se un gruppo di amici vuole giocarci insieme, ciascuno dovrà comprare la sua copia.

Spazio. Ovviamente un gioco digitale non occupa alcuno spazio fisico in casa, ma anche considerando l’occupazione su HD o altre periferiche di memorizzazione, lo spazio necessario è irrisorio (tipicamente una manciata di centinaia di megabyte), nulla in confronto ai “videogiochi classici”.

Regolamento. Ovviamente il regolamento del gioco fisico è identico a quello digitale, ma in quest’ultimo caso è più semplice organizzarlo in sezioni collegate e strutturate, eseguire ricerche per argomento o meccaniche di gioco, e trovarvi note supplementari o esempi utili a costo zero, non dovendo stampare su carta.

Demo. Questo è un plus delle edizioni digitali ed è eredità dei videogiochi. È possibile avere demo per spiegare efficacemente le regole e le meccaniche del gioco e imparare a giocare con pochi sforzi. Questa prassi è comune anche nel gioco fisico, dove solitamente è il possessore del titolo a svolgere il ruolo di facilitatore, spiegando regole, casi specifici ed eccezioni… fattibile ma oneroso in tempo.

Terraforming Mars: gioco digitale

… alla versione digitale.

Interfacce. Sono curate e rese identiche a quelle del gioco fisico, ma potenziate con animazioni, effetti sonori e altri elementi che possono aiutare a seguire meglio il turno di gioco e il suo flusso. Viceversa, alcuni elementi di minor conto o anche informazioni molto utili ma relative agli altri giocatori potrebbero essere più difficili da scovare, penalizzando un po’ la tattica e la strategia. Infine, la riorganizzazione di certi elementi può provocare un iniziale disorientamento per chi migra dalla versione fisica a quella digitale, ma di solito ci si abitua in breve tempo.

Grafica. Come sopra riportato, i giochi da tavolo digitali di per sé non necessitano di grandi risorse per essere installati e giocati. La grafica riprodotta a video è quella delle arti, dei disegni, dei font e dello stile del gioco fisico. Vari elementi possono essere ricostruiti in 3D e texturizzati, come pure è quasi sempre previsto un motore di gioco capace di zoomare o cambiare la visuale del tavolo e degli elementi: per un GDT, nulla in più di questo è necessario.

Suono. L’impianto sonoro è altalenante: mi sono imbattuto in giochi che hanno una vera e propria colonna sonora, un plus rispetto all’edizione fisica, e altri che seppur utilizzano temi gradevoli e di ambientazione, si sono ben presto rivelati noiosi e ripetitivi. Ciononostante, è da notare che per questa tipologia di giochi, la musica e gli effetti devono rimanere di contorno, aiutare a pensare piuttosto che rendersi protagonisti e distrarre il giocatore mentre pianifica le proprie mosse.

Bug e problemi. In alcuni casi sono usciti dei giochi in versione digitale ancora troppo acerbi e con numerosi problemi e bug, anche gravi. A meno di non incorrere in casi più unici che rari, questo non avviene per i prodotti fisici. È impensabile ristampare e rispedire un gioco errato a tutti coloro che l’hanno acquistato. Certo, possono esserci alcuni errori o la necessità di disporre di alcune faq, ma distribuire un prodotto fisico incompleto, non testato o non giocabile è abbastanza raro. Per contro, per un prodotto digitale è più semplice intervenire a posteriori, correggere gli sbagli e migliorare le cose, dato che oggi è naturale per chiunque scaricare patch o nuove versioni aggiornate.

Terraforming Mars: IA
Meglio mettere un po’ di IA difficili, così da allenarsi meglio e divertirsi un po’.

Intelligenza artificiale e dintorni. Sostituire uno o più giocatori umani non è questione da poco. Nei giochi con alea, ovvero con tiro di dado, pesca di carte, setup random, etc, si spera che la difficoltà variabile delle IA non riguardi il poter barare o meno. Non possiamo verificare infatti che una IA forte faccia tiri migliori o peschi carte ad hoc in base alla situazione. Comunque sia, personalmente ho deciso di fidarmi delle IA e non ho riscontrato particolari vizi di gioco o forzature in tal senso.

Sempre dall’esperienza maturata sul campo, ho notato che spesso la differenza nel loro grado di “bravura” è data dal gestire in maniera più o meno oculata le strategie e le tattiche intese come tipo di mossa, tempistiche e ordine delle stesse. Un giocatore umano può invece sempre sorprendere con una mossa inaspettata e inizialmente controproducente. Di fatto le IA sono mediamente curate e offrono sfide adeguate, ma tipicamente non sono capaci di rimpiazzare un giocatore in carne e ossa.

Modalità di gioco. Le partite in locale di solito sono quelle che danno meno problemi tecnici ma anche meno soddisfazioni. Il giocatore umano è tipicamente uno e può sfidare quindi il gioco in modalità “solo” (quando prevista), oppure impostare una partita con più giocatori gestiti dalle IA.

Le partite in multiplayer sono sicuramente più soddisfacenti, anche se i giocatori umani sono sparsi per il globo e non sono seduti allo stesso tavolo. Un vantaggio è quello che pure se i nostri amici storici non hanno il gioco o non possono giocare in quel momento, molti altri sono sempre presenti online, e una partita si può organizzare facilmente. Per contro, giocare online prevede quasi sempre appoggiarsi a dei server dedicati e in più di un’occasione mi è capitato di venire disconnesso o di non riuscire a giocare per la troppa gente presente o per alcuni problemi tecnici. Anche altre seccature e bug non riscontrati durante le partite in locale paiono invece spuntar fuori sul più bello mentre si sta per chiudere la partita con successo e soddisfazione… nonostante ciò, spesso è possibile ricollegarsi al gioco senza dover subire l’eliminazione a tavolino.

Scythe: gioco digitale
Ecco Scythe, un altro bel “cinghiale” da giocare intorno a un tavolo o dietro lo schermo di un PC. In ogni caso rischierete di perdere degli amici, reali o virtuali che siano.

Conclusioni

Il mercato del GDT digitale è in crescita e pescando dall’oceano della sua controparte fisica, sta recuperando e proponendo numerosi giochi. In tal senso, negli ultimi anni vengono pubblicati in forma digitale moltissimi titoli validi, puntando su un target di giocatori molto ampio (per età, generi e modalità di gioco). Seppur il gioco da tavolo tradizionale è uscito fuori dalla nicchia con le sue forze, disporre delle versioni digitali permetterà di essere conosciuto a un’utenza ben maggiore, favorendone anche la fruibilità grazie a un medium molto più accessibile e diretto, il videogioco.

In ultimo, tre cose:

  • I titoli digitali sono un buon modo per valutare l’acquisto della controparte fisica: costano significativamente meno e, giocandoci, possiamo farci un’ottima idea a riguardo.
  • I GDT digitali possono essere impiegati anche per allenarsi e per provare strategie diverse… da sfoderare quando si è al tavolo con gli amici.
  • La maggior parte delle piattaforme di gioco possono essere sfruttate per lavoro da autori, progettisti ed editori per simulare il GDT che stanno sviluppando prima ancora di realizzarne un prototipo fisico. Quest’ultimo è un passo imprescindibile dell’intero processo creativo, ma si può avviare questa fase in tempi minori, con problemi già risolti in fase “virtuale” e contenendo i costi di produzione.

Se avete letto fin qui e l’argomento vi interessa, scrivetelo nei commenti, così magari recensiremo per voi qualche GDT digitale…

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