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Call of Duty: Vanguard – Recensione: un Bastardi senza gloria annacquato

Recensione in un Tweet

Call of Duty: Vanguard potrebbe fare molto di più, ma si limita a tracciare una linea senza picchi di una serie ormai lunga 18 anni. La modalità single player è l’emblema della contemporaneità videoludica. Una buona idea sprecata dall’eccessiva fretta di portare un’enorme quantità di contenuti extra alla modalità multiplayer, la più riuscita e assuefacente del titolo, che si è limitata a riportare quanto di buono già fatto con Warzone.

7.5


La seconda guerra mondiale è probabilmente lo scenario più spremuto degli sparatutto moderni e Activision ha un diritto di prelazione datato 2005. Call of Duty 2 è uno degli FPS più amati apprezzati di sempre, mentre il precedente lavoro di Sledgehammer Games, Call of Duty: WWII, è ricordato con estremo piacere dagli amanti della saga. Di conseguenza, Call of Duty: Vanguard si è portato dietro una grande speranza, che piacerà agli amanti della serie, ma che difficilmente porterà nuovi giocatori.

Call of Duty: Vanguard è diviso in tre parti principali: campagna, multiplayer online e zombie. Sappiamo che Activision porterà tanti nuovi contenuti nel corso del tempo, ma la nostra valutazione può tenere conto soltanto di quanto visto al lancio. E per forza di cose, almeno di due queste hanno bisogno di nuovi contenuti quanto prima.

Call of Duty Vanguard: L'avanguardia

Campagna

Ci aspettavamo che la deriva mutiplayer (ed esport) di Call of Duty avrebbe portato a un ridimensionamento del single player, ma ci dispiace per l’Avanguardia; l’idea di base era realmente coinvolgente. Il single player di CoD: Vanguard ci mette nei panni di cinque membri di una task force impegnata nell’operazione Phoenix, il cui obiettivo è il recupero di importanti documenti. I soldati dell’Avanguardia sono: lo sfortunato Novak, che ci lascerà anzitempo, il leader del gruppo, Arthur Kingsley dell’armata britannica, il cecchino russo Polina Petrova, l’aviatore americano Wade Jackson e Lucas Riggs, geniere australiano.

Tutti i membri dell’Avanguardia e i relativi nazisti hanno una caratterizzazione decisamente stereotipata, che fa l’occhiolino al cinema hollywoodiano. Una scelta decisamente votata ai più giovani, che ci ha ricordato il celebre Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino, in una rivisitazione decisamente annacquata, molto più simile a una serie Netflix per adolescenti. L’idea generale del gioco è ricordare che la guerra porta morte e sofferenza, indipendentemente dalla fazione, etnia o ragioni per cui combatti. L’immediata morte di Novak ci fa pensare che non può esserci niente di peggio, ma i flashback dei singoli protagonisti ci rendono consapevoli che sopravvivere non è necessariamente una vittoria.

Bello, ma non bellissimo

Nella campagna di Call of Duty: Vanguard ci scontriamo nell’egocentrica follia nazista di Hermann Freisinger in diverse parti del mondo e del cielo. Germania, Francia, Russia, Africa e Oceano Pacifico saranno scenari di una guerra caotica e frenetica, che segue i canoni tipici della saga. Le ambientazioni forniscono degli scorci molto suggestivi, mentre la motion capture rende i volti realistici e cinematografici; questo, insieme a piacevoli dettagli come le divise naziste, rendono CoD: Vanguard un titolo visivamente molto godibile, anche se non proprio next-gen.

La cross-generation è sicuramente un freno, ma su Xbox Series X abbiamo affrontato un paio di cali di frame di troppo, che comunque non hanno rovinato un’esperienza di gioco solida. Sullo stesso livello si pone la parte sonora; alcune tracce sono decisamente molto azzeccate, soprattutto sul finale berlinese, ma che non raggiungono alcuni capolavori che abbiamo ascoltato nel recente passato della serie.

Il problema principale della modalità è sicuramente la breve durata di circa cinque ore che segue dei canoni molto, troppo standard. Abbiamo esplorato singolarmente le vite dei membri dell’Avanguardia per poi affrontare la missione finale in coop, con la sensazione che una minore frettolosità avrebbe potuto proporre dei momenti indimenticabili.

Call of Duty Vanguard: Polina Petrova

Multiplayer

Se FIFA e Call of Duty sono i titoli più acquistati dai videogiocatori italiani, il motivo è presto detto: FIFA e CoD appagano la necessità di competizioni dei casual player e degli esporter. Lo stile veloce, quasi arcade, di Call of Duty ha permesso a tanti videogiocatori di fare la guerra con una curva di apprendimento meno ripida di altri titoli competitivi (ad esempio, Counter-Strike). Sledgehammer Games ha mantenuto invariato questo stile, con tutti i suoi pregi e difetti.

Chi passa già tanto tempo in CoD, troverà Vanguard molto allettante per la presenza di tantissimi contenuti già disponibili al day one; infatti, il titolo conta già 20 mappe, di cui 16 per la modalità base mentre 4 in esclusiva per Collina dei Campioni, una delle due nuova modalità insieme a Pattuglia. La Collina dei Campioni è un torneo di sopravvivenza che si svolge su diverse arene, mentre Pattuglia è una rivisitazione di Postazione, con un obiettivo dinamico su tutta la mappa.

Full optional

Le stesse sensazioni di assuefazione che si possono provare da tempi di Call of Duty 4: Modern Warfare sono ulteriormente amplificate dall’esperienza ottenuta dal publisher con il battle royale Warzone. Sin dalle prime battute sarà possibile ottenere skin e nuove abilità da inserire in uno dei quattro slot a disposizione del proprio alter ego. In aggiunta, vi è la presenza dell’armaiolo, feature che permette di sbloccare utilizzo dopo utilizzo nuovi potenziamenti alle armi, che diventano così altamente personalizzabili. Infine, il matchmaking garantisce sempre nuove partite con un tempo che si assesta solitamente sotto al minuto di attesa.

In altre parole, Call of Duty: Vanguard prosegue quanto già costruito dai suoi predecessori, ma per l’innovazione bisognerà attendere; infatti, nonostante l’importante quantità di armi ispirate alla seconda guerra mondiale, difficilmente avremmo il tempo di gustare una battaglia retrò, soprattutto perché lo stile arcade del gioco ci riporta rapidamente alla modernità dei giochi contemporanei.

Zombie

Nei cimiteri di Stalingrado, l’Oberführer Wolfram Von List ha trovato risposte alla sua necessità di paranormale. Il Projekt Endstation ha squarciato le dimensioni e Von List ha stretto un’alleanza con una potente entità demoniaca: Kortifex l’Immortale. L’Alleanza, insieme ai quattro demoni Inviktor il Distruttore, Bellekar l’Arcanista, Norticus il Conquistatore e Saraxis l’Oscura, dovranno sconfiggere il male in questa versione della modalità zombie. La modalità prevede una hall principale, Der Anfang, dove ritrovarsi con altri compagni di squadra per poter scegliere quanti e quali round affrontare.

Ogni round prevede il completamente di un obiettivo, che passa attraverso la distruzioni di orde di zombie, che diventano via via più potenti. Alla fine di ogni round sarà possibile spendere i punti ottenuti per potenziare il proprio personaggio. Inutile dire che sarà fondamentale farlo, soprattutto se vorremmo provare l’Estrazione, un combattimento all’ultimo sangue disponibile dal quarto round, che porterà alla fine, gloriosa o meno, della partita.

Call of Duty Vanguard: Zombie

Minimale

Per molti videogiocatori di Call of Duty, la modalità Zombie è una delle più divertenti, ma in Vanguard manca ancora l’enorme scelta disponibile nella modalità multiplayer; infatti, ogni volta che saremmo catapultati dal Der Anfang a una nuova zona, si ha l’impressione di affrontare sempre la stessa missione. Anche se gli obiettivi sono effettivamente diversi, purtroppo nondovremmo fare altro che massacrare non-morti e premere il tasto X su un oggetto della mappa. Una ripetitività che siamo certi diminuirà con il tempo, ma che per ora non possiamo fare altro che constatare.

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: Sparatutto
  • Lingua: Italiano
  • Multiplayer: Si
  • Prezzo79,99€

Ho completato la modalità single playuer in circa 5 ore, dedicandomi alla modalità multiplayer per almeno il doppio del tempo grazie a un codice gentilmente fornito dal publisher per Xbox Series X.

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Darkest Dungeon 2, provato dell’accesso anticipato

Cinque anni fa, il mondo videoludico, per mezzo di Red Hook Studios, è caduto in un terrificante labirinto denominato Darkest Dungeon. Nel contesto dei roguelike, che hanno ricevuto tante piacevoli novità nell’ultimo decennio, Darkest Dungeon è riuscito a farsi spazio grazie a un livello di difficoltà e senso di frustrazione difficile da trovare nei videogiochi contemporanei. Già dalle prime battute dell’accesso anticipato, Darkest Dungeon 2 ci riporta in una complicata ambientazione lovecraftiana, ma questa volta solo dopo aver ascoltati i fan della serie.

Darkest Dungeon 2 Accesso Anticipato: la locanda

Come prima, più di prima

In esclusiva su Epic Store Games, l’accesso anticipato di Darkest Dungeon 2 rispecchia il modo di dire anglosassone più ambito da un sequel: more of the same. Il secondo capitolo del gdr roguelike di Red Hook Studios ha mantenuto tutte le caratteristiche fondamentali del suo predecessore; lo scopo del gioco è salvare il mondo dall’immonda malvagità già incontrata nel maniero e che ora si è estesa sul pianeta. Lo faremo per mezzo di quattro eroi da un passato oscuro, che lotteranno nemici di differenti piani in uno scontro a turni in cui conterà il posizionamento su linea orizzontale.

Rispetto al passato, dove ci muovevamo a piedi in una scacchiera a due dimensioni, in Darkest Dungeon 2 avremo a disposizione una carovana tridimensionale (ampliabile) che ci permetterà di spostarci in zone più vaste. Purtroppo, questa nuova feature rende il gioco più lento, e non potendo tornare indietro, più volte ci è capitato di essere condotti dal gioco in una direzione non voluta con conseguente debacle. Le zone sono decisamente ben caratterizzate e se arriveremo alla fine, potremmo riposarci in locanda dove recuperaremo punti vita e soprattutto sanità mentale.

Darkest Dungeon 2 Accesso Anticipato: la carovana

Colui che sussurrava nelle tenebre

Lo stress è la caratteristica principale dell’accesso anticipato di Darkest Dungeon 2, ancor prima dei punti vita. Una volta che la barra si riempie, il personaggio avrà una crisi che lo porterà all’autolesionismo e a perdere fiducia nei suoi alleati. Nello specifico, i quattro prescelti costruiranno un rapporto che potrà essere di amore (o rispetto) oppure odio (o perplessità). Questa dicotomia fornirà bonus o malus decisamente impattanti, che possono divenire letali se scatenati nel momento meno opportuno.

Esattamente come il titolo originale, ci muoveremo all’interno di una mappa che prevede diversi tipi di bonus e soprattutto ostacoli. I vari punti d’interesse saranno raggiungibili per mezzo di una strada, che può essere “sicura” oppure infestata da creature che bloccano il percorso. I combattimenti, invece possono essere di tre tipi: la più classica delle battaglie, il covo (dove incontrare i boss) oppure una serie di tre sfide, solitamente prima del punto di ristoro. In Darkest Dungeon 2 non si potrà scappare dal male; infatti, è presente una barra di “loathing”, che indica quanto è pericolosa la zona che stiamo attraversando. Più questa barra aumenta, più i nemici saranno forti; sarà dunque indispensabile bilanciare i combattimenti con gli altri punti d’interesse per diminuire la pericolosità delle creature.

Darkest Dungeon 2 Accesso Anticipato: i rapporti (odio)

Combattimenti all’ultimo sangue (tridimensionale)

Il clou sono gli scontri con le creature che infestano il mondo. In particolare, i combattimenti di Darkest Dungeon 2 hanno un nuovo engine 3D che rende le animazioni uniche sia per ogni eroe che per ogni nemico. Il risultato estetico è brillante, mentre il gameplay è ancora concentrato sui numeri e sulla gestione di bonus e malus. I fan della serie troveranno un videogame ancora profondo, anche se alcune penalizzazioni non sono ancora state spiegate a dovere e richiederanno sicuramente degli aggiornamenti.

I nostri personaggi, ma anche i nostri nemici, si posizionano su una linea orizzontale e potranno usare solamente le abilità attivabili in quella posizione. Alcune di queste permettono anche di muovere eroi e avversari lungo la linea così da creare interessanti combinazioni che possono avvantaggiarci o crearci dei problematici grattacapi. In Darkest Dungeon 2, il party dovrà essere necessariamente eterogeneo, ma permane quasi sempre la necessità di un tank e un curatore.

Eroi per sempre

Il primo capitolo della serie permetteva di reclutare nuovi personaggi su una serie limitata di classi, ma con differenti abilità. Darkest Dungeon 2, invece dà una propria identità agli eroi, che saranno sempre gli stessi. Le abilità fra cui scegliere sono più delle quattro “equipaggiabili”, ma per ottenerle dovremmo scoprire di più sul passato del personaggio; per farlo, bisognerà visitare un punto d’interesse specifico. Riteniamo la scelta di rendere “nostri” gli eroi con cui viaggeremo molto azzeccata, visto che ora soffriremo un po’ di più per la loro (frequente) dipartita.

Come sappiamo, la morte è parte integrante della serie di Darkest Dungeon; però, nel secondo capitolo, essa è fondamentale per il proseguo. Ad ogni sconfitta, il nostro profilo aumenterà di livello, sbloccando una serie di ricompense via via più forti, tra cui nuove classi. Purtroppo, quando capiremo che la fine è vicina, la morte non arriverà subito; infatti, gli sviluppatori ci costringeranno a proseguire il nostro viaggio, anche se abbiamo perso la maggior parte dei nostri eroi, costringendoci a una lenta fine prima di poter cominciare una nuova spedizione totalmente da capo.

Conclusione

Darkest Dungeon 2 continua lungo la stessa linea del capolavoro del 2016, semplificando alcune parti un po’ troppo laboriose e innovando il comparto tecnico. L’idea di scartare il reclutamento a favore di eroi unici migliora due componenti del gioco: velocizzare il gioco semplificando la scelta dei personaggi e dare una trama agli eroi che avranno il duro compito di salvare il nostro pianeta. D’altro canto, aggiungere la terza dimensione ha creato delle animazioni più fluide e gradevoli, a discapito di una lentezza generale che può annoiare nel lungo periodo. Per fortuna, Red Hook Studios ha ancora diversi mesi prima di poter lanciare ufficialmente il gioco sul mercato e le premesse sono maledettamente positive.

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Hearthstone: Mercenari, tanto potenziale ma molto lavoro da fare

Activision Blizzard ha finalmente reso disponibile la tanto attesa modalità Mercenari su Hearthstone. Il popolare gioco di carte collezionabili basato sul mondo di Warcraft ha vissuto un lungo periodo di transizione che ha portato diverse modalità. Mercenari è stata la più attesa, ma è anche la migliore?

Hearthstone è divenuto famoso perché è riuscito a divertire pur semplificando le regole di giochi di carte storicamente più complessi. Questa formula, unita alla lore di World of Warcraft, ha permesso al gioco di essere un grande successo almeno fino a pochi anni fa; infatti, l’addio di Ben Brode nel 2018 sembrava culminare un periodo sottotono in cui la magia si pensava fosse realmente finita. Probabilmente da quel giorno Blizzard ha cominciato a lavorare a un gioco di carte diverso; più variegato, in cui la ladder è solo una parte di un mondo molto più sfaccettato.

Con il micro-mondo dei Mercenari, contenente al suo interno sia un gioco single-player che PvP, Blizzard vuole chiudere il cerchio della rivoluzione di Hearthstone.

I Mercenari di Hearthstone

La ladder classificata non è un gioco per casual player; nonostante Hearthstone sia un gioco con una varianza tendenzialmente più alta rispetto ai trading card game più popolari sul mercato, la fortuna ha un limite anche in un mazzo da trenta carte. Con Hearthstone: Mercenari, Blizzard vuole focalizzare l’attenzione sul motivo per cui la maggior parte dei giocatori saltuari si diverte: le combo. Nella modalità Mercenari di Hearthstone abbiamo sei personaggi nel nostro team e solamente tre alla volta potranno presenziare sul campo di battaglia. In questa lotta 3vs3 sarà importante saper amalgamare al meglio i propri mercenari, in modo da ottenere vantaggio dai bonus forniti da ognuno di loro.

Ogni mercenario possiede dei punti vita e dei punti attacco; a questi, si aggiungono tre abilità, tre equipaggiamenti ed opzionalmente anche una tipologia (per esempio, Grommash Malogrido è un “Orco”). Ogni mercenario parte dal livello 1 e può arrivare fino al livello 30, ottenendo le abilità rispettivamente al livello 1, 5 e 15. D’altro canto, gli equipaggiamenti arrivano al livello 30 o completando gli incarichi del mercenario (una serie di quest).

Quello che rende i mercenari veramente forti è la sinergia che questi hanno con le altre carte. Ad esempio, Varian Wrynn, Re di Roccavento e leader umano dell’Alleanza, possiede l’abilità “Assalto Spaccante” che fornisce un bonus di attacco a tutti gli umani, nel caso in cui il suo colpo distrugga un personaggio avversario. Queste combo sono attuabili sia per tipologia di mercenario che per tipologia di abilità; ad esempio, Tirion Fordring può lanciare abilità di tipo “Sacro”, mentre Uther ottiene al livello 15 “Ira Vendicatrice”, che similmente alla carta presente in gioco consente di infliggere 4 danni a un nemico casuale, ripetendo l’effetto per ogni abilità “Sacro” giocata nel turno.

Gameplay

Nel tentativo di bilanciare la modalità, Blizzard ha deciso di usare un sistema triangolare di debolezze per forzare i giocatori ad avere delle squadre eterogenee; infatti, ogni mercenario ha un colore, che può essere blu, verde o rosso. Esattamente come gli starter di Pokémon, l’acqua è superefficace sul fuoco, quest’ultimo sull’erba, che raddoppia i propri danni sull’acqua; in particolare, il rosso è colore dei protettori, il verde dei combattenti e il blu contiene gli incantatori.

Un’ulteriore complessità nel gameplay è aggiunta dalla velocità delle abilità. I sei mercenari che compongono il campo di battaglia si affrontano in una sistema in “tempo reale”; in altre parole, ogni giocatore sceglie le abilità che ogni proprio mercenario deve usare, e contro chi scagliarle. Una volta che entrambi gli sfidanti hanno fatto le proprie scelte, i danni sono stabiliti attraverso un sistema di velocità; attacca prima chi ha il numero più basso.

Infine, i danni possono essere inferti in due modi: l’Attacco è un danno fisico a cui corrisponde un danno subito nel momento in cui i mercenari si scontrano, pari agli attacchi base dei due contendenti; l’Abilità i cui danni sono inferti come un attacco a distanza, a meno che non sia specificato diversamente. Queste due tipologie di attacco comportano il dover ragionare con la variabile degli eventuali danni subiti in caso di attacco fisico.

Punto di Ritrovo

La modalità Mercenari di Hearthstone inizia in un campo limitatamente ampliabile. Prendendo spunto dai roguelike, Blizzard ha dotato il giocatore di una serie di punti di interessi; purtroppo, si tratta solamente di un’interfaccia carina per mostrare l’essenziale per giocare, e in qualche modo già presente anche nella modalità ladder. Il campo contiene infatti le due modalità di gioco, single e multiplayer, una carovana per la creazione dei gruppi, un falò per gli incarichi dei mercenari, una casella di posta per i messaggi degli sviluppatori e un negozio che ci porta nello store del gioco.

Il single-player è la modalità più innovativa per Hearthstone. Rappresentata dal “Punto di Ritrovo”, essa è caratterizzata da una mappa teoricamente procedurale simile a un card game roguelike come Slay The Spire, Hand of Fate o il più recente Inscryption. Ogni mini-mappa, affrontabile in modalità normale o eroica, consiste nello scegliere il percorso che ci porterà allo scontro con il boss finale, di cui dovremmo riscuotere la taglia e che ci dropperà dei punti potenziamento per i nostri mercenari.

In questo momento, le zone affrontabili sono molto poche e i percorsi consistono sempre di poche scelte; infatti, oltre agli scontri, i punti di interesse che potremmo incontrare sono: lo Spirito Guaritore, dover poter resuscitare i nostri mercenari, il Dono, che fornisce un bonus e il Mistero, cioè un evento casuale di cui il più importante fornisce dei punti extra che potenziano le abilità di un mercenario presente nel gruppo. Questa poca varietà risulta ancor meno appetibile, se consideriamo che portare un mercenario a livello 30 comporta una bella dose di farming, da moltiplicare per ogni mercenario che possediamo (attualmente 51).

La mappa dei Mercenari di Hearthstone

Fossa

La modalità PvP denominata “Fossa” porta le stesse regole del single player in uno scontro tra giocatori reali, che può risultare molto divertente e discretamente ragionato; infatti, le scelte che potremmo prendere non saranno molte, ma il gameplay richiede di ponderare tutte le scelte da fare, poiché incappare in macro-errori porta a sconfitta certa. Questo rende il PvP particolarmente interessante per i giocatori più casuali, perché una partita può durare davvero una manciata di minuti.

In questo momento, il PvP dei Mercenari di Hearthstone non ha un vero e proprio meta-game; di conseguenza, risulta molto rigiocabile e decisamente interessante anche per i veterani dei giochi di carte che cercano un’esperienza veloce, ma che richiede di considerare tutte le poche variabili in gioco per avere successo, solitamente pensando con più turni di distanza.

Infine, la vera differenza rispetto alle altre modalità riguarda il matchmaking. Come ovvio, i livelli dei mercenari contano abbastanza. Questo può comportare un’attesa discretamente lunga per trovare il giusto match, che in alcuni casi può generare una sfida contro un avversario controllato dal computer:

Nello stato corrente di Mercenari, se la coda dura per più di un minuto e mezzo e i tuoi punteggi interno ed esterno sono sotto determinate soglie (quella del punteggio esterno è 7.000), ti verrà assegnato un avversario controllato da un’I.A. Questa soglia significa che i giocatori più occasionali avranno sempre una coda rapida, ma quelli più accaniti potranno comunque competere tra loro per i primi posti della classifica.

Per ora abbiamo un solo livello di difficoltà della I.A., quindi essa verrà regolata calibrando il livello della sua squadra in modo da corrispondere al tuo punteggio interno. Se hai una squadra con un ampio spettro di livelli e ti viene assegnato un avversario controllato dall’I.A., la sua squadra rispecchierà il livello della tua (invece di prendere un livello medio) e quindi regolerà tale livello in base al tuo punteggio. I tuoi aggiornamenti post-partita saranno influenzati anche se avrai affrontato un’I.A.

Nota degli sviluppatori
Una busta dei Mercenari di Hearthstone

Conclusione

La modalità Mercenari di Hearthstone è un’aggiunta decisamente gradita, per svariati motivi. La modalità single-player è una ventata di aria fresca che attinge dai migliori giochi di carte digitali in circolazione; il PvP, invece permette di divertirsi spendendo veramente poco tempo. Inoltre, in questo momento, l’economia di gioco è decisamente vantaggiosa, grazie ai tanti regali fatti per incentivare il giocatore. In altre parole, il potenziale è enorme, anche se in mano abbiamo veramente poco.

Infatti, la modalità singola può offrire qualche ora di divertimento, ma le scelte sui percorsi sono veramente pochi e l’unico divertimento consiste nel livellare al massimo i proprio mercenari oppure provare nuove combo su un campo di battaglia che presenta una sfida decisamente bassa. Per quanto riguarda il PvP, poter provare nuove combinazioni è decisamente intrigante; purtroppo questo richiede la pazienza di farmare diversi mercenari fino a livello 30, perché, in caso contrario, i tempi di matchmaking ci porteranno spesso a dover affrontare dei bot. Un’esperienza decisamente poco gradevole per un casual player che vorrebbe solamente provare la sua nuova combo contro giocatori in carne e ossa.

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Editoriali

I valori dei Videogiochi: Subnautica

Quante volte i gamer si sono sentiti discriminati perché la loro passione non è considerata intellettualmente elevata dalla maggioranza delle persone? Quante volte è stato detto: perché non leggi invece di buttare la tua vita davanti ad una console? Ebbene siamo qui oggi per iniziare a sfatare questo mito. I videogiochi non sono e non sono mai stati solo una fonte di divertimento. In essi si possono trovare contenuti profondi ma anche informazioni e insegnamenti, sia di natura scolastica che personale. Vi porto l’esempio di Subnautica, che solletica temi come il rispetto dell’ambiente e delle altre creature o argomenti come il pregiudizio e la valutazione in base all’aspetto. 

Subnautica e il rispetto 

Subnautica è un survival rispettoso della vita. So che potrebbe sembrare un controsenso, siamo abituati, in questi tipi di gioco, a sfruttare le risorse in modo sconsiderato. Accumulando materiali e uccidendo tutto ciò che capita a tiro. Questo comportamento da parte di noi giocatori lo possiamo rivedere anche nella società odierna, che ci insegna che per stare bene serve avere tanto. Questo consumismo spesso ci influenza anche in cose minori, ad esempio nei giochi. In Subnautica invece questa mentalità ha vita breve. Non abbiamo armi perciò i predatori devono essere evitati e il cibo non si conserva facilmente perciò si è costretti a cacciare solo il necessario. 

Il contesto Survival 

Il concetto di sopravvivenza ai nostri tempi è qualcosa di molto distante dalle società progredite, pensiamo sempre più al superfluo perché non dobbiamo lottare per l’indispensabile. Questa condizione ci influenza e tende a renderci accumulatori nelle situazioni estreme. 

In Subnautica il giocatore è portato a rispettare il luogo in cui naufraga. Raccogliendo i materiali necessari a costruire le cose e a cacciare lo stretto necessario a sopravvivere. Conservare il cibo per lungo periodo è infatti un lavoro laborioso che può essere facilmente sostituito dalla caccia costante e dalla coltivazione di piante aliene. 

Le creature pericolose sono solitamente fonte di sfida per i giocatori di survival, dimostrano che abbiamo imparato a sopravvivere e ci siamo procurati i materiali giusti per battere anche i predatori più pericolosi. Nel gioco della Unknown Worlds Entertainment si ha una mentalità completamente opposta, gli animali più pericolosi infatti sono solo da evitare. Non si tratta infatti di una scelta del giocatore ma è lo stesso gioco che ci dice che il metodo migliore per superarli è girargli alla larga, si può leggere nelle descrizioni delle specie stesse: da evitare assolutamente. 

L’intreccio ben riuscito 

Il giocatore inizia come naufrago di una spedizione interstellare. È subito chiaro che gli obbiettivi principali sono quelli di sopravvivere e lasciare il pianeta alieno. Ovviamente si dovranno anche scoprire le ragioni dello schianto dell’astronave che ci trasportava: l’Aurora. Per raggiungere questi punti è d’obbligo esplorare tutta l’area di gioco, infatti i materiali necessari a fuggire dal pianeta sono distribuiti in tutta la mappa. 

La distribuzione dei materiali segue anche una logica particolare: più l’attrezzatura è complessa, più in profondità si troverà il materiale per costruirla. In questo modo si innesca un meccanismo per cui chi si impegna raggiunge obbiettivi sempre più alti suggerendo al giocatore una specie di meritocrazia. La dinamica del gioco però non diventa mai frustrante, ogni materiale è facilmente raggiungibile se si è al punto giusto della storia. 

Storia, gameplay, esplorazione e sopravvivenza si fondono in un’esperienza omogenea che permette di apprezzare tutte le sfumature del gioco. Nonostante la storia sia parte integrante dell’esplorazione non la limita in nessun modo anzi l’arricchisce. Sopravvivere non è il solo scopo del gioco, lo è anche seguire una successione di eventi e ammirare la meraviglia del paesaggio subacqueo. 

Il mistero degli alieni 

Durante l’esplorazione si possono notare delle strane strutture aliene costrui­te sul pianeta che potrebbero sembrare solo un vezzo artistico fino all’abbattimento della Sunbeam. Grazie a questo evento veniamo cosi a conoscenza anche della causa del nostro naufragio. L’Aurora, l’astronave in cui viaggiavamo, si è schiantata sul pianeta 4546B perché colpita dal laser di una delle base aliene. 

Le strutture verdi e nere, anche se in primis potrebbero sembrarlo, non sono un sofisticato sistema di difesa militare ma parti di un centro di ricerca. Sul pianeta infatti si è diffusa una malattia di cui possiamo osservare il lento avanzare anche su noi stessi. Il virus in questione si può trovare in vari esemplari di tutte le specie presenti sul pianeta. Inoltre scopriamo che gli alieni, chiamati Precursori, erano in cerca di una cura per il batterio Kharaa. Non avendola trovata hanno messo il pianeta in quarantena cosicché non si diffondesse nel resto dell’universo. 

Salvare sé stessi e il pianeta 

A questo punto gli obiettivi del giocatore aumentano e il tipico survival egoistico diventa un gioco mirato alla salvezza comune. 

Gli alieni si dimostrano così egoisticamente interessati alla cura e non si comprende bene se essi se ne siano andati dal pianeta o si siano estinti su esso per colpa del virus. Curarsi diventa strettamente necessario visto che il pulsante per disabilitare il cannone che ci impedisce di lasciare il pianeta può essere premuto solo da un individuo sano. 

Una precauzione presa probabilmente per evitare che qualcuno di loro fuggisse e diffondesse il batterio. Questo aggiunge un altro spunto di riflessione ovvero mettere il bene comune al di sopra del proprio. Il gioco non ci suggerisce quale risposta sia corretta ma ci insegna che il proprio interesse è strettamente connesso a quello comune. 

La salvezza del pianeta infatti diventa essenziale anche alla nostra stessa sopravvivenza e viceversa la nostra ricerca della cura diventa indispensabile alla sopravvivenza delle specie su 4546B. Subnautica sottolinea in questo modo lo stretto legame che vi è tra il mondo e le creature che vi abitano. Questo concetto è un valore aggiunto che ci viene donato, non esplicitamente ma facendoci riflettere su come lo stesso principio sia applicabile anche alla Terra. 

Un mostro umano 

Giunti all’ultima base aliena si scopre come mai i Precursori aveva fallito nell’estrarre la cura. Essi infatti avevano scoperto una specie resistente al morbo, l’animale più grande presente nella biosfera del pianeta: l’imperatore marino. O per meglio dire l’imperatrice marina. 

Nel punto più profondo della mappa infatti si trova il Centro di Contenimento Primario dove in un acquario di proporzioni enormi troviamo l’enorme creatura. Immergendoci nell’acquario la incontriamo e dopo qualche minuto di panico scopriamo che nonostante sia il più grande essere vivente sul pianeta è innocua. 

L’animale ha dimensioni notevoli e un’intelligenza. Ha inoltre la capacità di comunicare telepaticamente e così ci racconta che la razza aliena l’aveva rinchiusa nel tentativo di ottenere la cura con la forza. Ci chiede di dimostrarle di essere diversi dai nostri predecessori e aiutarla. 

Nell’enorme acquario in cui la troviamo con lei ci sono cinque uova in un’incubatrice che però è spenta. Gli alieni prima di noi non avevano creato le condizioni necessarie per la schiusa delle uova. L’accendiamo e grazie a questo gesto di altruismo ci viene alla fine svelato il modo di curarci. Questo a dimostrazione che la gentilezza non è sempre a discapito di chi la mostra. 

L’imperatrice marina è il simbolo che mette il giocatore in posizione di riflettere sul fatto che anche i mostri sanno essere umani, che essere brutti o grotteschi fuori non vuol dire per forza esserlo anche dentro. Una volta curati possiamo disattivare il cannone e ripartire. 

La profondità di Subnautica 

Durante tutta la durata del gioco ci si districa in un ambiente marino ben progettato e si ha a che fare con vari tipi di creature ostili e non si entra mai in possesso di una vera e propria arma o di un modo per danneggiare l’ecosistema di 4546B. Anzi, ad un certo punto, si può anche fermare l’inquinamento radioattivo derivante dal danneggiamento del reattore dell’Aurora. 

Il gioco sfiora molti argomenti importanti senza mai affrontarli direttamente, lasciando spazio al giocatore per riflettervi in completa autonomia.  

Il messaggio finale 

Seduti sulla plancia di comando del razzo che ci riporterà a casa quello che sentiremo non è sollievo ma nostalgia. Lasciando il pianeta marino su cui abbiamo passato tutto quel tempo, anche se in continua lotta con i pericoli e la fame, ci viene recapitato un ultimo messaggio della creatura che abbiamo aiutato che finalmente può morire tranquilla sapendo che i suoi cuccioli sono liberi. 

Solo delle persone senza cuore lascerebbero 4546B senza un po’ di rammarico. Abbiamo passato tempo e speso risorse, siamo cambiati nel lungo cammino fatto su quel pianeta e quindi lasciarlo è come lasciare un pezzetto di noi stessi. 

Subnautica: un viaggio videoludico 

Quindi ecco perché non me la sento di categorizzare Subnautica come un comune survival. Dietro alle meccaniche del videogame infatti si può ritrovare un pensiero rispettoso dell’ambiente e dell’equilibrio. Questo gioco come tanti altri non è solo un passatempo ma un vero luogo di apprendimento per tutti.  

Un videogioco proprio come un libro o un film, può essere un viaggio e una fonte di riflessione. Un giocatore può finire un gioco ed esserne cambiato nel profondo. 

Essere contrari ad un viaggio introspettivo solo perché scaturito da un videogioco potrebbe essere uno sbaglio: spero che queste parole vi diano lo spunto necessario per capire. Se volete un suggerimento per un altro gioco da vivere e per riflettere vi invito a giocare What Remains of Edith Finch e a leggere perché questo gioco ha cambiato la concezione di videogioco.

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Inscryption – Provato dell’inquietante gioco di carte

Il mercato indie è famoso per essere capace di sfornare videogiochi semplici, con idee o meccaniche geniali e profonde. Daniel Mullins ne ha fatto il suo cavallo di battaglia grazie al successo dei suoi titoli precedenti: The Hex e soprattutto Pony Island. Sulla falsariga di quest’ultimo, nasce Inscryption, un gioco di carte dai toni cupi la cui uscita è prevista il 19 ottobre solo su PC. Vi raccontiamo i nostri pensieri dopo aver provato la demo,

La bilancia di Inscryption

La vita come un gioco

Inscryption è la storia di una povera ragazza sequestrata all’interno di quella che sembra una baita. Vivremo la nostra esperienza tra quattro mura in legno con l’inquietante presenza di un pazzo furioso, che deciderà della nostra vita in base ai risultati che otterremo in un gioco di carte da lui ideato. Lo strano inquilino avrà sempre il volto nascosto nell’ombra, ma indosserà delle maschere per impersonare i personaggi più importanti del gioco.

Potremmo muoverci all’interno della stanza, dove sono contenuti pochi oggetti ancora abbastanza criptici: una cassaforte, un candelabro e degli oggetti del gioco; due in particolare: il regolamento e delle macabre miniature.

In Inscryption, quanto avviene sulla plancia di gioco si ripercuote su di noi. Per vincere uno scontro, dovremmo metaforicamente colpire il nostro avversario, che appoggerà dei denti (veri) su una bilancia; quando la bilancia sarà totalmente dalla parte di uno dei due giocatori, la partita terminerà. Per questo motivo, è particolarmente cinematografica la presenza della pinza: potremmo staccare uno dei nostri denti per guadagnare un punto in più sulla bilancia.

Durante la partita, avremmo due tentativi prima di fare una brutta fine. Queste chance sono scandite da un candelabro. Quando la luce di entrambe le candele terminerà, saremo condotti in una stanza dove verremo presumibilmente uccisi divenendo parte integrante del gioco; infatti, il terrificante nemico ci trasformerà in una carta da gioco che potremmo pescare nel nostro prossimo tentativo.

La mano del destino

Le meccaniche di Inscryption torneranno familiari a chi ha avuto modo di giocare a un altro titolo indie: Hand of Fate. La sfortunata ragazza si muoverà, per mezzo di una pedina, all’interno di una mappa, dove in base all’icona sulla casella potrà affrontare uno scontro, incontrare dei commercianti o ricevere dei bonus utili per la battaglia. In caso di sconfitta, faremo conoscenza dello stile roguelike del gioco, che caricherà casualmente una nuova plancia di gioco, mentre il boss finale sarà interpretato dal nostro sequestratore e richiederà una strategia specifica per essere battuto.

Scontri bestiali

Il gioco vero e proprio avviene all’interno di una griglia 4×3. Per vincere, bisogna colpire direttamente il proprio avversario tanto quanto basta per far pendere la bilancia dei punti totalmente dal lato dell’avversario.

All’inizio del gioco pescheremo delle carte dal nostro mazzo e potremmo giocare delle creature appartenenti a diverse tipologie di animali selvatici. Tra questi, menzione d’onore all’unica carta parlante: l’ermellino, che odierà essere sacrificato, conosce la malvagità del nostro sequestratore e soprattutto ci fornirà utili consigli durante il gioco.

Potremmo giocare le nostre carte solamente nelle prime quattro caselle davanti a noi. Una volta passato il turno, esse attaccheranno le caselle subito davanti a loro (tranne effetti particolari), senza ricevere alcun danno dalla carta avversaria. Nel caso in cui non ci sia nessuno su quelle caselle, il danno sarà inflitto al giocatore. Da specificare, che le creature dell’avversario, prima di attaccare, si muoveranno in avanti finendo al centro della plancia, come indicato dal suo lato di gioco.

Dal secondo turno, dovremmo pescare una carta dal mazzo prima di compiere qualsiasi azione. Durante la fase di pescata, possiamo scegliere tra due pile: il nostro mazzo, che contiene le carte ottenute durante la nostra run, oppure dal mazzo “scoiattolo”, una creatura debole che torna utile principalmente come sacrificio per le carte più forti.

Dopo aver pescato, potremmo usare tutti gli oggetti presenti sul nostro zaino e qualsiasi numero di carte nella nostra mano, a patto di poterne pagare il costo, diviso in sacrifico e ossa. Il primo si paga sacrificando le nostre creature in gioco, mentre il secondo attraverso dei gettoni che si ottengono ogni volta che un nostro animale muore.

La pinza di Inscryption

Più forti di prima

Durante i vari fallimenti per sconfiggere il primo boss, abbiamo capito che la morte è parte integrante del gioco; infatti, dopo ogni sconfitta abbiamo ricevuto nuove carte con nuove meccaniche da sfruttare, anche se abbiamo visto solo una modesta parte di tutti gli effetti presenti sul regolamento; in particolare, ci siamo imbattuti in animali che diventano più forti dopo un turno, creature volanti che bypassano le difese, animali con “veleno” il cui attacco è letale, ma sembra che ci sia molto di più da scoprire.

Da citare che trasformeremo la nostra ultima sconfitta in una carta; infatti, a partire dal nostro ultimo mazzo, dovremmo scegliere valore di attacco, difesa ed effetti di una nuova carta a cui noi assegneremo un nome e il nostro carnefice una foto.

Inscryption: il nostro alter ego.

Ferri del mestiere

Durante la partita di Inscryption, potremmo usare degli oggetti utili alla causa. Il più importante è lo zaino, che potrà contenere fino a tre oggetti e che si potrà riempire quando finiremo nell’apposita casella sulla plancia. In aggiunta, il gioco prevede dei totem, degli oggetti che forniranno dei bonus speciali ad animali di una certa tipologia, sia a noi che al nostro avversario.

Conclusione

Inscryption ha un’ambientazione tanto macabra quanto interessante, coerente con un gioco di carte impegnativo e potenzialmente complesso. Le meccaniche viste nel provato non sono molte, ma gli indizi ci portano a un titolo ricco di contenuti. Di contro, lo stile di gioco è molto simile a un altro titolo di successo come Hand of Fate e abbiamo alcuni dubbi sul bilanciamento delle carte. La casualità mitigherà il problema, ma potendo scegliere tra qualsiasi combinazione, il rischio è che una volta trovata la combinazione perfetta, il giocatore possa proseguire fino alla fine con eccessiva sicurezza e ripetitività.

ProContro
ambientazione immersivasa già di visto
gioco di carte difficiledubbi sul bilanciamento delle carte
tante meccanicherischia di essere ripetitivo
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Editoriali

Diablo, guida alla demonologia dei videogiochi

Diablo si può definire una serie cult per i gamers, siano essi fedelissimi Sony, Xbox o provenienti dal mondo dei PC. Il primo titolo (Diablo I) uscì nel lontano 1996 seguito quattro anni dopo dal suo sequel Diablo II. I giocatori però hanno dovuto attendere ben dodici anni per avere un terzo capitolo. 

Dopo tanti anni d’attesa Diablo III si è presentato al pubblico con una grafica largamente migliorata rispetto ai primi due e oggi, a quasi dieci anni da quella pubblicazione, Blizzard ci offre una chicca. Nell’attesa del quarto capitolo (previsto tra il 2022 e il 2023) si potrà giocare Diablo II: resurrected, la remastered dell’ormai ventenne Diablo II. Grazie ad una grafica migliorata e a dinamiche di gioco semplificate la casa Blizzard offre un tuffo nel passato senza però stravolgerne il ricordo. Diablo II: resurrected è un ottimo punto di partenza per avvicinarsi alla saga per la prima volta o per rivivere le emozioni di un tempo. 

Tutti i Diablo fluttuano attorno all’eterna lotta tra il bene e il male, le schiere infernali e quelle celesti che si contendono il mondo di Sanctuary e la vittoria finale. Vi siete mai chiesti però se i nomi e le ambientazioni del gioco abbiano un qualche richiamo alla demonologia e cosmogonia Cristiana? 

In occasione dell’uscita di Diablo II: resurrected perché non dare una sbirciatina al mondo da cui questa saga prende spunto? 

Diablo e i nomi di Satana

Partiamo appunto dal demone che dà il nome alla serie Diablo, che in spagnolo significa Diavolo. Un sostantivo spesso associato alla figura di Satana. Se usato più generalmente però può diventare un sinonimo di demone e quindi indicare i torturatori dell’inferno e non il Diavolo con la D maiuscola. 

Secondo la Bibbia quest’ultimo è la contrapposizione a Dio, il peccato e il tentatore. Quindi se la mitologia fosse un gioco allora potremmo dire che si tratta del boss finale dell’inferno, il grande male. Questa figura all’interno dei giochi di Blizzard però non è presente, le schiere infernali infatti sono capitanate da un terzetto di demoni maggiori.  

Diablo è uno di loro insieme a Mefisto e Baal. I nomi utilizzati dagli ideatori del gioco per i membri del triumvirato sono tutti nomi che fanno riferimento alla figura di Satana. Diablo è forse quello più usato ma anche gli altri due, in vari passaggi della Bibbia e non solo, vengono usati per parlare del Diavolo. 

Diablo
Diablo

A seconda della sfaccettatura del male che vogliono evidenziare, spesso i riferimenti bibliografici utilizzano nomi diversi per riferirsi a Satana. Astarte, Belfagor, Belzebù, Azazél, Dagon, Moloch, Samael e molti altri. Questo caleidoscopio di volti che Satana può prendere lo si può ritrovare nei titoli utilizzati nel gioco della Blizzard. Diablo per esempio era il signore del Terrore. Questo titolo gli è stato affibbiato probabilmente nella speranza che sembrasse il più temibile nel trio a capo degli inferi. Il terrore infatti è la forma primordiale di minaccia, fin dal suo stato larvale l’umanità ha sempre conosciuto la paura e per questo il demone più potente poteva assumere solo quel titolo. 

Mefisto il diavolo tedesco

Accanto a Diablo, al vertice dell’Inferno, c’è Mefisto detto anche Mefistofele. Questo nome è spesso usato nel folkore tedesco per indicare il Diavolo. La figura di Mefistofele però è diversa da quella caprina di Satana. Il primo infatti è rappresentato spesso come un uomo vestito di nero con in mano un libro rosso. I due hanno in comune la caratteristica di stringere patti in cambio dell’anima della loro vittima. 

Mefistole è un demone menzionato anche nella leggenda di Faust di Goethe nella quale il dottor Faust stringe un patto col Diavolo, scambiando così la sua anima in cambio della conoscenza assoluta. Questo personaggio letterario ha condizionato anche il linguaggio contemporaneo dando origine all’aggettivo mefistofelico, utilizzato in riferimento a qualcosa di perfido, maligno e fuorviante. 

Mefisto in Diablo
Mefisto

Baal dio fenicio o demone?

Ultimo ma non meno importante è Baal. Il nome di questo personaggio potrebbe avere radici nella figura del dio Fenicio Baal. Esso era visto come il padre di tutti gli Dei, assumendo nella mitologia fenicia la stessa funzione di Crono in quella greca. Nella visione cananaica invece era visto come uno degli dei principali ma non come creatore degli dei. 

Molto più probabilmente però, il personaggio di Diablo, prende spunto dal demone Bael. Si tratta di uno dei dodici re dell’inferno e secondo le descrizioni che ne vengono fatte ha l’aspetto di un ragno con tre facce, una felina, una da rospo e una umana. Nel gioco della Blizzard la forma aracnoide è ripresa nel design del signore della distruzione ma anche qui, come nella figura di Mefisto non troviamo nessun’altra caratteristica in comune con la controfigura religiosa. 

Baal Diablo
Baal

Belial il falso idolo

Baal viene confuso spesso con Belial, altro demone della religione cristiana e ulteriore nome usato per riferirsi a Satana. Chi ha giocato il terzo capitolo della saga di Diablo conosce anche Belial. Il giocatore lo incontra nella città di Caldeum e aiuta ad intrappolarlo nella pietra nera delle anime. Belial fa parte di un gruppo di demoni minori che rovesciò il governo degli inferi quando il triumvirato di cui abbiamo parlato finora venne sconfitto. 

In Diablo, Belial è il signore della menzogna e infatti il suo nome in ebraico può prendere il significato di falso idolo. Questo demone dovrebbe quindi incarnare l’antagonismo della figura di Satana verso quella dell’unico e vero Dio cristiano. 

Belial
Belial

Azmodan, re dell’inferno

Nel terzo capitolo della saga di Diablo, una volta sconfitto Belial, entra in scena un demone dall’imponente figura. Si tratta di Azmodan che sfida Leah a fermare le schiere infernali al suo servizio che stanno per invadere Sanctuary. 

La figura di Azmodan sembra essere un potente generale degli inferi ed è sicuramente ispirato ad Asmodeo. Asmodeus è considerato uno dei dodici re degli inferi ed è un demone talmente potente da essere messo alla stregua di Lucifero e Satana. Altri lo associano addirittura al serpente che corruppe Eva nell’Eden e forse da questo deriva il titolo che gli viene dato in Diablo: “signore del peccato”. 

Azmodan Diablo 3
Azmodan nella visione di Leah

I Nephilim di Diablo

Alla fine del capitolo tre l’arcangelo Tyrael è preoccupato perchè il giocatore è diventato talmente potente da essere riuscito a sconfiggere Diablo nella sua forma fisica. Il personaggio giocato, indipendentemente dalla classe scelta, è chiamato il Nephilim per il suo misto tra demoni e angeli. Ebbene non vi sorprenderà sapere che nemmeno questi esseri per metà demoni o angeli sono frutto dell’immaginazione della Blizzard. I Nephilim erano esseri per metà umani e per metà demoni o angeli. 

Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro delle figlie, i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli a loro scelta. 

Genesi 6:1-8

Questo passo della genesi suggerisce che metà del sangue di questi esseri è divino. Per figli di Dio infatti si intendono sia angeli che demoni. Ad una prima interpretazione essi infatti erano stati associati alle schiere di angeli caduti, ma in un secondo momento è sembrato più corretto interpretarli come angeli veri e propri. 

La creatrice Lilith

Arriviamo infine alla figura della creatrice di Sancturay, la demone Lilith. Figlia di Mefisto che assieme a Inarius fuggì dall’eterna guerra tra il cielo e gli inferi creando il mondo degli umani. Il trailer fornito dalla Blizzard durante il Blizzconline di quest’anno annuncia il ritorno di Lilith dal vuoto in cui era stata imprigionata. L’entrata ad effetto della creatrice può preannunciare di sicuro un’avventura epica, d’altronde è della regina dei demoni che stiamo parlando. Nella demonologia infatti Lilith è vista come la madre di tutti i demoni e simbolo della donna che non si sottomette all’uomo. Nel medioevo viene presto associata alla lussuria e alla stregoneria e quindi negli anni prende anche il titolo di prima strega.

Nella cabala ebraica però Lilith è invece la prima donna creata, precedente a Eva, che non accetta di sottomettersi ad Adamo. Ella viene creata dalla terra proprio come il consorte che però voleva comandarla e dimostrarsi superiore, Lilith non volle sottomettersi e quindi le venne affibbiato il titolo di demone.

La storia della Lilith di Diablo sembra accostarsi a quella della sua controparte religiosa. La creatrice di Sanctuary infatti si ribella insieme a Inarius che però alla fine la relega nel vuoto rinnegandola.

Lilith Diablo
Lilith

Diablo: un mondo di gioco indipendente

Nei Diablo i riferimenti demonologici a volte si limitano a rubare un nome o a deformare i personaggi religiosi per renderli conformi alla storia del gioco, tutto questo rende un gioco già magnifico ancora più bello. La storia, inserita tra i round di gioco con cut-scene o nascosta nelle descrizione degli oggetti, si sviluppa insieme al gioco ma anche indipendentemente da esso. L’universo di Diablo infatti, proprio come quello di altri giochi Blizzard, è così ampio da non limitarsi a contenere un unica storia ma lasciando al giocatore la possibilità di immaginare al di fuori del tracciato. Questo è il risultato di un buon world-building che non si limita a creare un universo fine alla storia.

Se le ambientazioni cupe di Diablo, la storia dal retrogusto infernale e i riferimenti alla demonologia cristiana non vi sono bastati allora forse potreste dare una sbirciatina anche a qualche altro gioco che tratta argomenti simili come Dante’s inferno.

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Recensioni

Essays on Empathy per PC – Recensione

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Essays on Empathy è una collezione di esperimenti che dimostrano come un’opera videoludica può essere un medium affascinante per raccontare delle storie con un alto contenuto emotivo, senza necessariamente coinvolgere freneticamente l’utente. Ci piace vedere questo titolo come un buon punto di partenza, in attesa di un seguito maggiormente organico e complesso da parte del talentuoso Deconstructeam.

6.5


Negli ultimi anni, l’importanza culturale dei videogiochi è stata rivalutata, permettendoci di godere di titoli con una forte componente narrativa. Ancor prima di What Remains of Edith Finch, gli sviluppatori di Deconstructeam hanno improntato i loro progetti interamente su esperienze ricche di emozioni umane; Essays on Empathy è una raccolta di dieci opere in cui Jordi, Marina e Paula hanno osato lavori dall’alto impatto emotivo, di cui De Tres al Cuarto è la nuova esperienza di punta.

Brevi, ma intensi

Ad eccezione di De Tres al Cuarto, Essays on Empathy è diviso in nove giochi con una longevità inferiore ai trenta minuti. Ogni opera affronta sempre tematiche diverse, accomunate dal loro essere forti e attuali.

Le opere sono affrontabili in qualsiasi ordine, ma riteniamo che gli autori abbiano seguito un percorso ben preciso, da sinistra verso destra. Il primo gioco è Underground Hangovers, il titolo più dinamico della collezione: un action a scorrimento laterale in cui sono trattate le tematiche dell’alcolismo; i successivi due videogame si concentrano sulla narrativa cyberpunk già vista in The Red Strings Club: Zen and the Art of Transhumanism e Supercontinent Ltd.

Cyberpunk

In Zen and the Art of Transhumanism impersoneremo un’artigiana di perk per essere umani. Questi add-on modificano le caratteristiche fisiche o psichiche del corpo che li ospita: starà a noi decidere se rendere un cliente competitivo o se inibire la sua volontà, rendendola semplicemente felice.

Supercontinent Ltd è un intrigo testuale con protagonista un hacker, coinvolto suo malgrado in un rapimento. L’intero videogioco si svolge al telefono e si divide in due fasi principali: trovare i numeri, da scrivere rigorosamente a mano, e usare le parole giuste per scoprire il contorto meccanismo che si cela dietro a tutta la vicenda.

Tragiche decisioni

In ogni caso, starà a noi decidere che strada intraprendere in Essays on Empathy.

Engolasters January 2021 dovremmo trovare un difficile equilibrio nella nostra vita. Muovendoci in una mappa innevata dovremmo bilanciare due eventi distinti: fenomeni paranormali, che potrebbero lanciare la nostra carriera giornalistica e la forte volontà di nostro figlio di scappare via da casa. Lo stesso gameplay è il motore di Dear Substance of Kin, il cui protagonista può plasmare il carattere degli abitanti di un piccolo villaggio, rimuovendo le caratteristiche che preferisce al costo di sacrifici umani.

Decisioni ancora più traumatiche possono essere prese in Eternal Home Floristry, dove creare un bouquet significa far incontrare sessualità e morte. Qualcosa di meno doloroso, se lo vorremmo, potremmo provarlo in The Bookshelf of Limbo: dovremmo “semplicemente” leggere titoli e prefazioni di libri, il regalo per nostro papà.

Vittime della vita

Quelli che riteniamo i giochi più riusciti della collezione hanno come protagoniste due donne. Behind Every Great One racconta la routine di una moglie costretta a subire le subdole pressioni del marito artista e della sua famiglia. In quest’opera, vestiremo i panni di una casalinga vicina all’esaurimento nervoso, che dovrà sacrificare se stessa per la carriera del marito.

Anche più macabra è l’avventura 11.45 A Vivid Life: lo scopo del gioco è asportare parti del nostro corpo e dare una motivazione delirante per giustificare l’autolesionismo.

De Tres a Cuarto

L’inizio dell’avventura ci avverte che questo videogame durerà circa 90 minuti e non ci saranno punti di salvataggio: gli autori ci vogliono raccontare una storia senza interruzioni, tutta d’un fiato.

De Tres a Cuarto è un duo comico in tournée, che aprirà svariati spettacoli in giro per la Spagna. Impersoneremo un giovane cabarettista, che pronuncerà le proprie battute seguendo un sistema di deckbuilding formato da quattro carte carte: blank, poor, punch e build. Le prime tre, dalla più scadente alla migliore, concludono la battuta e forniscono un punteggio in monete; la carta build permette di continuare il dialogo, aumentando anche il livello delle battute.

Nonostante il mazzo e la qualità delle battute sia migliorabile, l’obiettivo di De Tres a Cuarto è narrare la storia di due giovani artisti omosessuali, che stanno costruendo una relazione raccontando le proprie avventure, paure e ambizioni, senza alcun tabù.

Oltre il gioco

Dare eccessiva impoortanza al lato tecnico di Essays on Empathy significherebbe demolire delle ottime idee, che ci hanno permesso di riflettere sulla nostra vita per svariate ore. Il titolo di Devolver Digital e Deconstructeam presenta svariati bug, anche molto basilari. Per esempio, a volte, non è possibile passare a schermo intero o bisogna chiudere un titolo con ALT+F4; inoltre, i giochi sono spesso legnosi e i comandi non sempre rispondono come dovrebbero.

D’altro canto, la pixel art crea la giusta empatia con il videogiocatore, che percepirà esattamente le emozioni che gli sviluppatori vogliono trasmettere. Allo stesso modo, musiche e suoni riescono a farci percepire intensamente le (molto spesso) tragiche scelte della trama.

Conclusione

Essays on Empathy è una collezione per chi considera i videogiochi un altro modo di raccontare, per chi percepisce il medium videoludico come una valida alternativa a cinema e libri. Il titolo di Deconstructeam non è la migliore avventura interattiva che sia mai arrivata sul mercato, ma riesce a raggiungere il cuore e la mente del videogiocatore fornendo qualche ora di impegnativo divertimento.

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: Avventura
  • Lingua: Inglese
  • Multiplayer: No
  • Prezzo11,49€

Ho vissuto vite altrui per circa 6 ore grazie a un codice gentilmente fornito dal publisher.

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Labyrinth City: Pierre The Maze Detective per PC – Recensione

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Gioco interessante solo per un pubblico di giovanissimi. Paga cara la ripetitività e la scarsa capacità di coinvolgere il giocatore. Buona la parte tecnica che si salva in corner per la bellissima ambientazione, completamente disegnata a mano, e le musiche interessanti. Decisamente da rivedere la parte di gameplay, che dovrebbe rappresentare un punto importante di qualunque videogame.

6


Labyrinth City: Pierre The Maze Detective è un gioco sviluppato da Pixmain. Il suo genere di appartenenza può essere identificato in un puzzle-game 2-D, rivolto ad un pubblico di minori. A primo impatto, il gioco mi è sembrato una delle tante rivelazioni indie, capaci di rappresentare vere opere d’arte (come Genesis Noir), ma purtroppo mi sono dovuto ricredere nonostante la grafica carina e l’accattivante aspetto old style, mi avevano incuriosito e non poco.

Il protagonista del gioco è Pierre, un curioso detective che deve inseguire il cattivissimo Mister X. L’appena citato cattivo ha rubato la “Maze Stone”, una pietra che ha il potere di creare labirinti complessi a piacere.

Il gioco è basato completamente, sia per la storia e sia per i livelli, sul libro omonimo. Sulla falsa riga dell’opera letteraria, il titolo si dipana in “missioni”, incentrate sull’inseguimento lungo vari labirinti.

Altro elemento rilevante è la localizzazione in italiano dei dialoghi. Questo è un elemento che sta diventando raro e che riesce ad essere un problema importante. Come sottolineato in precedenza, diventa fondamentale la localizzazione corretta ed approfondita dei giochi al giorno d’oggi, in particolare con il ritorno in auge di tanti generi basati su complesse e lunghe sessioni di dialoghi.

Disegni artistici e musiche coinvolgenti

Labirinto cittadino
Scorcio di uno dei “Labirinti” da affrontare.

Il gioco ha sicuramente dei punti di forza a livello artistico. Personalmente trovo apprezzabile la riproduzione, quasi completamente a mano, di tutte le ambientazioni principali.

Questo rende il titolo vicino ad essere un’opera d’arte, grazie un importante colpo d’occhio decisamente artistico. Il tocco d’artigianato impresso nel game-design è apprezzabilissimo, riuscendo così a stravolgere il concetto di puzzle-game. All’inizio, nonostante l’entusiasmo, temevo che il classico gioco a labirinti mi avrebbe facilmente annoiato, anche a livello visuale. Invece, per fortuna, sono stato smentito da un’ottima grafica, che rende l’opera dissimile a qualunque altra presente nel panorama videoludico.

Anche le musiche sono ben caratterizzate e sebbene non siano della stessa qualità del game-design, riescono a fare la loro bella figura, adattandosi al gioco come un sontuoso vestito.

Il connubio di musiche, ambientazioni e design grafico riesce ad essere attrattivo, soprattutto verso un pubblico di bambini. In questo modo inoltre il videogame si innalza nel diventare una vera e propria forma d’arte e metodo di espressione moderno.

Ma cosa si intende per “metodo di espressione moderno”? Beh, immaginate di prendere una qualunque fiaba per bambini, di quelle da raccontare la sera farmi addormentare. Come la scrittura e la diffusione della stampa, a suo tempo, hanno favorito l’innalzamento del livello culturale della nostra specie, un gioco capace di unire interattività a storie per bambini, potrebbe rappresentare il nuovo orizzonte pedagogico per i pre-adolescenti.

La grande scommessa vinta da “Labyrinth City: Pierre The Maze Detective” è quella della modernizzazione, senza stravolgerne il contenuto, di una storia ad illustrazioni classica, risultando, aldilà del punto di vista e gusto personale, innovativo.

Gameplay ed interazioni decisamente da rivedere

Mercato nero
Illustrazione del mercato nero.

Pur apprezzando la grafica e le musiche, c’è da dire che a parte un ristretto gruppo di appassionati, è difficile trovare piacevole alla lunga le sessioni di gioco.

Nonostante siano presenti molti interessanti riferimenti a videogiochi cult (fra tutti la saga di Assassin’s Creed), questi sono appunto solo “riferimenti”. La mancanza di azioni o interazioni conseguenti a queste scenette, tendono a renderle sterili e a malapena curiose. Le brevi interazioni presenti, in forma di mini-giochi dentro al gioco stesso. tendono ad essere carine all’inizio, ma decisamente ripetitive alla lunga.

Gli obiettivi presenti nelle missioni tendono ad essere abbastanza ripetitivi, sempre nella stessa forma. Infatti in tutti i livelli, si potrà fare solamente lo stesso set di “gruppi” d’azioni:

  • Trovare i forzieri.
  • Cercare l’oggetto “speciale”.
  • Ricercare le stelle.
  • Raccogliere gli appunti di Mister X.
  • Parlare con l’orso per i mini-giochi.
  • Dialogare con i personaggi principali o secondari.

All’apparenza sembrano tante le azioni, ma l’assenza di vere e proprie conseguenze dopo i dialoghi, di azioni aggiuntive da poter svolgere in seguito al ritrovamento degli appunti o qualsivoglia forma di interazione “attiva” e “conseguente”, rende il tutto molto statico e sterile. Ogni azione è infatti slegata dalle altre e non fornisce nessun contributo utile o conseguenze tangibili nei vari livelli.

Tutto questo rende le interazioni molto ripetitive e alla lunga noiose. Inoltre la totale assenza di legami fra le varie azioni rende di fatto inesistente il gameplay. L’intimo legame fra input del giocato ed intelligenza artificiale infatti è un fattore cruciale per qualunque gioco, come già sottolineato con forza. Altrimenti l’impressione è quella di ripetere senza sosta un determinato insieme di azioni quasi senza un nesso logico, facendo mancare il coinvolgimento emotivo del giocatore.

Conclusioni

Il gioco ha sicuramente uno spiccato lato artistico. Graficamente infatti è degno di nota ed ha un ottimo connubio grafico-musicale, che rende l’esperienza a tratti piacevole. Detto questo, si fa sicuramente sentire l’assenza totale di gameplay e la ripetitività delle sessioni di gioco, che ne precludono il coinvolgimento.

Il motivo principale di tale scelta penso sia stata dettata dalla natura del videogame, che strizza l’occhio ad un pubblico esclusivamente pre-adolescenziale, e dalla trama da cui prende spunto, Alla ricerca della pietra del labirinto. Pierre detective di Hiro Kamigaki.

Per questo motivo consiglio e credo che possa essere godibile solo per chi è già un appassionato del libro illustrato originale o ad un pubblico di giovanissimi.

Degna di nota la totale assenza di bug o problemi durante l’esperienza di gioco.

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: Puzzle-game,
  • Lingua: italiano
  • Multiplayer: no
  • Prezzo11,99€

Ho inseguito il famigerato Mister X per circa 6 ore grazie a un codice gentilmente fornito dal publisher.

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Mass Effect Legendary Edition per PC – Recensione

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Edizione, rieditata nella parte grafica, di un classico, ancora apprezzabile ed attuale. Le dinamiche di gioco non sono invecchiate male, nonostante il prezzo abbastanza elevato, l’assenza di innovazioni nel gameplay e nei contenuti giocabili, non permettono di considerarlo un must-have come un tempo.

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La saga di Mass Effect è conosciuta dai giocatori di tutto il mondo, grazie alla capacità avuta di rinnovare il genere GDR, senza snaturarlo. È stato, soprattutto per la mia generazione, uno dei giochi più influenti del genere, grazie anche alla casa che lo ha sviluppato, Bioware.

In quel periodo, grazie anche alla saga di Dragon Age, è stata una delle più importanti software house per i videogiocatori. Il suo ruolo nello sviluppo dei GDR moderni è innegabile, grazie ai dialoghi ed alle storie complesse architettate ed alla profondità delle trame offerte.

Tutto ciò dovrebbe far capire come le aspettative per questa riedizione di una pietra miliare del genere, per un appassionato dei GDR, siano altissime. Considerando le alterne fortune dei Remastered, insieme alla pesante eredità di questa saga, mi sono cimentato nella scoperta del risultato finale ottenuto.

Cercherò di spiegare dunque quello che ho provato, valutando come si raffronta la saga con i tempi ed i videogiocatori moderni.

Una grande trama non invecchia mai

Foto di un momento importante della storia
Suggestiva ambientazione in un momento importante della trilogia.

La trama è il punto forte del gioco che non ha risentito del trascorrere degli anni. In tutti i capitoli della saga, senza eccezioni, si è coinvolti dall’inizio alla fine.

Uno degli elementi di spicco è dato dalla possibilità di poter importare le partite svolte da un capitolo all’altro, con importanti conseguenze nello svolgimento della storia e nel come siamo percepiti nel mondo circostante, sia da alleati e sia dai nemici. Ad oggi non è ancora comune trovare titoli che offrono questa opportunità, data la difficoltà nel garantire una storia uniforme, completa e coerente fra i diversi capitoli.

Questo elemento può annoverarsi dunque fra i “sempreverdi” ed attuali. Inoltre non c’è dubbio sulla capacità di Bioware nel garantire storie ricche, complesse e piene di colpi di scena, capaci di coinvolgere emotivamente il giocatore con ogni singolo membro della propria squadra. Fra i capitoli infatti si nota un crescendo di importanza delle relazioni con i compagni di squadra, cruciali addirittura in alcuni momenti per lo sviluppo futuro della trama.

Non mancano infatti le scaramucce ed i diverbi all’interno del nostro team, che possono culminare in scontri con risvolti letali. A causa di una guerra interstellare dei secoli precedenti ad esempio, le razze del Consiglio ed i Krogan non vanno assolutamente d’accordo. Questo in particolare ci porrà di fronte la possibilità di dover uccidere un membro della squadra, incapace di accettare un accordo che con buona probabilità potrà portare all’estinzione della specie di provenienza!

Insomma, le scelte da prendere sono assolutamente importanti e possono avere conseguenze addirittura fra capitoli diversi, contribuendo a garantire una modernità assoluta in termini di coinvolgimento e bellezza di storia e trama. Di certo la saga in questo modo si pone ancora fra quelle più innovative e coinvolgenti di sempre nel panorama GDR, al punto da apparire quasi un romanzo.

Battaglie interessanti, gameplay un po’ ingessato

Un concitata battaglia di Mass Effect Legendry Edition.
Momento concitato in battaglia.

Il ruolo dell’Intelligenza Artificiale nel gameplay è da noi considerato cruciale in un videogame e questa saga ha tanto da offrire per entrambi questi aspetti. L’IA ed i combattimenti non sono invecchiati male, capaci di essere interessanti e creare qualche grattacapo anche a distanza di anni.

Il gameplay, allo stesso modo, non è invecchiato particolarmente male, anche se in questo caso il peso degli anni si sente di più. Può rivelarsi frustrante adottare il sistema tattico-in tempo reale adottato, dove si alternano “pause tattiche” a sparatorie frenetiche.

Si devono infatti dosare le abilità dei singoli, biotiche, tecnologiche o militari, per affrontare al meglio la battaglia. In base a tipo di nemico e disposizione degli elementi di gioco, si devono scegliere abilità e disposizione dei membri della squadra. È possibile, inoltre, impartire ordini come lo spostamento dietro una copertura o l’utilizzo di abilità per immobilizzare o lanciare il nemico in aria.

I nemici a loro volta cercheranno di circondarci e di sfruttare al meglio le loro abilità. Un cecchino nemico cercherà di tenersi a debita distanza, coperto dagli assaltatori frontali come biotici o soldati.

Le tattiche non sono gestite con un’interfaccia singola per ogni personaggio, risultando macchinose e inefficaci. Spesso ho preferito affrontare direttamente le battaglie, utilizzando i compagni come un mero supporto se non come una scocciatura. L’assenza di controllo dei singoli personaggi, impedisce lo studio di tattiche d’attacco diverse da quello frontale diretto e ciò rende il gameplay a tratti ingessato.

Finalmente una vera Remastered!

Shepard è davvero in massima forma!

Con piacevole sorpresa la rimasterizzazione del titolo e l’intervento nell’aspetto grafico è riuscito alla perfezione. Non solo le texture sono davvero belle da vedere, ma i passi avanti anche nell’interfaccia sono una piacevole sorpresa. L’uniformità introdotta nei vari capitoli è ammirevole e fa sembrare l’esperienza di gioco davvero un “continuo”.

Certo, parliamo comunque di un intervento non a livello di motore grafico vero e proprio, e si vede. Effetti di luce e grafica sono migliorati, anche se non possono minimamente essere considerati al pari o vicino a quelli offerti dai videogame più recenti.

È importante considerare questo aspetto soprattutto tenendo conto del prezzo a cui viene venduto e come esso si confronta con i mostri sacri dei giochi di ruolo. Scene epiche e interattive, grafica e panorami sbalorditivi sono lo standard per i GDR cosiddetti “tripla A” e questa edizione non arriva a tali vette.

La comprensibile scelta di non correre rischi con una saga di una tale importanza storica, presta il fianco agli inevitabili limiti tecnici dovuti dall’età della saga. Non aggiungendo contenuti o modifiche sostanziali al gameplay, ci si è limitati ad un contenuto aggiornamento tecnico, seppur davvero ben fatto.

A tal proposito, la stabilità dei titoli è assoluta, con giusto qualche limitato problema di mancata sincronia audio-video durante il gioco e nel parlato delle scene. Sottolineo la cosa visti i non indifferenti problemi tecnici avuti, recentemente, da titoli ben più moderni.

Conclusione

La saga ha vissuto sicuramente una seconda giovinezza con questa remastered. Tecnicamente il lavoro è davvero ben riuscito, con una parte di rivisitazione di texture e comparto audio ottima e di buona fattura.

La riedizione tecnica non ha inoltre intaccato la qualità di trama e storia originale, che rimangono interessanti e moderni anche a distanza di quindici anni. Il gameplay è un po’ invecchiato e si sente, seppur i combattimenti riescono a rimanere interessanti.

L’approccio prudente di rivisitazione si è rivelato dunque a doppio taglio, garantendo apprezzabilità del lavoro svolto da una parte, ma relegando la saga da rivoluzionaria a carina dall’altra. Il prezzo elevato infine non è a mio avviso giustificato, dove a cifre inferiori si trovano i titoli ora considerati come pietre miliari del genere.

In conclusione mi sento comunque di consigliare la saga a chi non l’ha mai giocata e sicuramente agli appassionati di GDR, in attesa magari dei prossimi saldi.

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: GDR, Azione
  • Lingua: italiano/inglese
  • Multiplayer: no
  • Prezzo59,99 €.

Ho esplorate le vastità dello spazio per quasi un centinaio di ore, grazie a un codice gentilmente fornito dal publisher.

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Recensioni

Genesis Noir per PC – Recensione

Recensione in un Tweet

Il gioco è una promessa dell’universo indie. Le musiche ne rappresentano il pezzo forte, accompagnate da una trama non banale, interessante, artistica. Gli manca quel tocco di gioco di massa per entrare di diritto fra i titoli top. Genesis Noir non ha bisogno di allungare il brodo per tenere incollati allo schermo, ma qualche ora in più di gioco avrebbe reso il titolo maggiormente profondo.

8


I giochi artistici sono sempre più rari al giorno d’oggi. Quei giochi che provano a stimolare l’animo umano, senza ricorrere solo a frasi di comodo e azione frenetica. Iniziando a giocare, il primo pensiero avuto è quello di avere per mano un’opera di qualità.

Sul tema del gioco non solo come sfogo, ma visto come meccanismo di riflessione, si è già parlato abbastanza (e bene) nell’interessante articolo “Videogiochi un altro modo di raccontare” di Antonino. Sono fermamente convinto che sia così, anche per questo ritengo il prodotto in esame sia una perla fra i giochi indie.

Il titolo creato dal minuscolo studio Feral Cat Den e pubblicato da Fellow Traveller, merita di essere preso in considerazione per davvero tanti motivi e sarà mia premura fare in modo di farvi provare, seppur in maniera limitata, parte delle emozioni che ho provato io.

Partirò con il trailer, che mi ha subito stregato.

Partiamo all’avventura (cosmica)!

Anche piccoli sketch del video riescono già a fornire un’idea della freschezza del titolo, che rappresenta letteralmente una boccata d’aria fresca per il suo genere, nel piccolo, e per la categoria dei videogiochi in generale.

Io stesso non sono un’amante dei puzzle game dove si rimane incastrati per buona parte del tempo, nel risolvere enigmi senza fine. Questo tipo di titoli possono portare facilmente alla noia. Allo stesso modo vengo ancora meno intrigato dalle avventure grafiche e dai videogiochi dallo stile “investigativo”. Ogni gioco in cui si devono mettere insieme gli elementi per ricostruire una sorta di “puzzle” (ovvero la trama), mi urtano.

Mi sono dovuto ricredere con Genesis Noir.

Vai con il Jazz!

Ecco un esempio di intermezzo musicale interattivo.

Il perché del titolo sopra è lampante dopo la prima mezz’ora di gioco: le musiche di “accompagnamento” (le virgolette servono) sono davvero fantastiche. Questo titolo ha il suo principale punto di forza proprio nel comparto audio, le cui tracce ci accompagnano durante l’avventura e sono forse la vera attrattiva.

Si può infatti passare da momenti in cui c’è una rilassante melodia Jazz ad altri in cui l’azione si fa frenetica e le musiche diventano più assordanti, mettendo una sorta di agitazione addosso al giocatore stesso. Rimane difficile spiegare questa sensazione in quanto è intima, personale, complessa, di certo davvero ben riuscita. Non è comune trovare nelle canzoni e melodie di un videogioco i suoi punti di forza, rappresentano in genere un semplice elemento di contorno, e in questo caso mi sento davvero di fare i complimenti agli sviluppatori.

Mi spingo oltre fino a dire che se il titolo fosse uscito qualche mese prima, se la sarebbe potuta giocare per il titolo di migliore colonna sonora dell’anno.

Interessante è la possibilità di interagire con il mondo di gioco, anche negli intermezzi musicali. In questo modo si diventa partecipi dell’azione, sentendosi in generale molto più a contatto con la trama. Questo, scandito dal ritmo fornito dalle canzoni, rende la componente gameplay di contorno (in accezione assolutamente NON negativa). Tengo molto a sottolineare che non è affatto banale mettere in secondo piano il gameplay, che considero cruciale in qualunque gioco che si rispetti.

La stessa trama è scandita, all’inizio di ogni capitolo, da frasi relative al mondo della fisica sull’origine dell’universo, che contribuiscono a definire un’atmosfera misteriosa e sorprendente, a tratti difficoltosa da cogliere. Tutto ciò contribuisce nel dare un tocco piacevolmente artistico al gioco.

Il secondo elemento azzeccato secondo me è il mix di qualità grafica e trama, di cui scriverò a breve.

Interattività e arte visuale

Altro esempio di scena interattiva musicale.

L’elemento grafico, come detto, è degno di nota e fornisce varie prospettive durante l’esplorazione dei capitoli. Spesso si viene catapultati in azioni travolgenti in cui si devono fare le cose più disparate. Per esempio si può dover suonare insieme a un musicista, componendo così una sinfonia unica e particolareggiata, che possiamo modificare a nostro piacimento.

Le componenti visive inoltre sono sempre diverse e si possono infatti notare pattern, figure e disegni mutevoli con il passaggio del cursore o lo svolgersi delle nostre azioni. Lo stile visivo noir, seguito da scene piene di colori e significato in cui l’utente interagisce come parte attiva, è davvero ben definito e curato nei particolari.

Questo miscuglio di arti visive, trattati scientifici sull’universo e musica jazz, fanno da “lente d’ingrandimento” alla trama, esaltandone qualità e pathos.

Altra cosa da non dimenticare sono gli enigmi, ben realizzati e quasi mai tediosi (solo uno nel mio caso è stato duro da risolvere). Di sicuro gli elementi grafici e l’audio aiutano molto nel renderli piacevoli, trasformandoli in un valore aggiunto per il gioco.

Dovessi passare infine a trattare delle note dolenti, ho qualche perplessità sull’accezione volutamente artistica data al gioco e alla trama. Può rimanere oscuro il significato delle frasi di introduzione ai capitoli e anche lo svolgimento della trama potrebbe apparire a tratti insensato. Se infatti non si è capaci di cogliere le sfumature, sembra a volte di muoversi quasi a caso nei vari capitoli, compiendo azioni che appaiono senza uno specifico fine. Seppur l’estetica del titolo è la sua componente meglio riuscita e originale, potrebbe rivelarsi una lama a doppio taglio: una storia particolarmente “astratta” e poco accessibile, allontana l’utenza da un prodotto di sicura qualità.

Minuscolo altro neo è rappresentato dalla durata non particolarmente estesa del titolo, anche se tale fattore è davvero un elemento marginale in questo caso.

Conclusioni

Genesis Noir è una perla, non c’è dubbio. Considerando il budget dello studio che lo ha realizzato e la sua assenza di esperienza, il gioco non delude affatto, anzi stupisce.

L’interattività e la necessità di dover usare tutti i “sensi” per venire a capo dei vari capitoli lo rendono un titolo originale e unico. Inoltre il comparto audio e video è eccellente, con la colonna sonora che rappresenta forse il vero punto cardine del titolo per la sua qualità.

Uniche pecche sono l’eccessiva artisticità del titolo e la scarsa durata, dove il primo elemento è marcatamente quello su cui si poteva cercare di fare di più. La trama a volte complessa può infatti allontanare parte del pubblico, forse incapace di carpirne gli elementi essenziali e sentirsi un po’ smarrito, abbandonando il titolo.

Resta comunque un titolo secondo me da giocare per qualità e originalità, considerando anche il prezzo appetibilissimo.

Dettagli e Modus Operandi

  • Genere: indie, puzzle-game, avventura grafica
  • Lingua: italiano
  • Multiplayer: no
  • Prezzo14,99 €.

Abbiamo combattuto il Big Bang per circa nove ore, grazie a un codice gentilmente fornito dal publisher.

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