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Doom: storia della saga

Non sono certamente molti i giochi la cui uscita ha segnato uno spartiacque nella storia del medium. Ma Doom è certamente uno di quelli. Il primo capitolo di questa saga ormai leggendaria, uscito nel 1993, ha avuto un’influenza gigantesca sull’intera storia dei videogiochi.

La serie di Doom, nella sua storia ormai trentennale, ha vissuto lunghi periodi di anonimato. Tuttavia, l’affetto che i fan hanno dimostrato per la saga è sempre rimasto inscalfibile. L’enorme successo ottenuto dall’episodio del 2016, vero e proprio punto di svolta nella storia di Doom, ne è la prova.

A poche settimane dall’uscita di Doom Dark Ages, ripercorriamo insieme l’epopea del Doom slayer, in modo che anche i neofiti possano ben comprendere la fondamentale importanza di Doom nella storia del genere degli sparatutto. Recuperiamo motosega e doppietta e prepariamoci al massacro!

Le origini

Doom

Le origini del franchise di Doom risalgono all’ormai lontanissimo 1993. Non si trattò, tuttavia, del primo FPS della storia. Questo primato spetta a Wolfenstein 3d, sviluppato da Id Software l’anno precedente. L’ incredibile successo di questo gioco spinse John Romero ad insistere per realizzare un altro titolo che seguisse le orme di Wolfenstein.

Il gioco sperimentò per la prima volta un uovo motore grafico, chiamato proprio Doom Engine. Inizialmente, Doom avrebbe dovuto contenere anche diversi elementi gestionali provenienti dal mondo dei giochi di ruolo. Fu proprio Romero a voler eliminare queste caratteristiche a favore di un gameplay più improntato sulla frenesia e sull’azione. Il risultato finale fu strepitoso. Doom infatti ottenne un successo dirompente fin dal suo rilascio preliminare in forma shareware. Dopo l’uscita ufficiale, per poi vendere più di 200000 copie in pochi mesi dopo il rilascio ufficiale.

Un gioco rivoluzionario

I punti di forza di Doom erano davvero innumerevoli. Oltre al motore grafico fluidissimo e che faceva un uso magistrale degli effetti di luce, il gioco vantava una gameplay davvero veloce, divertente ed appassionante. I nemici erano numerosi e con caratteristiche sempre differenti, i livelli erano estremamente complessi e ricchissimi di segreti e strade alternative.

Anche le armi a disposizione erano numerose e diversificate. Il nostro protagonista (ai tempi identificato solo come Doomguy) poteva disporre di un arsenale che spaziava dalle classiche pistole, mitragliatrici fino ad armi futuristiche come il mitico BFG 9000, in grado di fare strage di nemici con un singolo colpo.

Doom presentava anche una trama ed un ambientazione molto originali. Basandosi su un’idea del programmatore John Carmack, il gioco narrava l’invasione di Marte, ormai colonizzato quasi totalmente dall’umanità da parte di orde di demoni infernali fuoriusciti da misteriosi portali.

Il giocatore, come già detto, veste i panni del Doomguy, un marine al servizio dell’organizzazione UAC, appena trasferito su Marte per insubordinazione. Per salvarsi e bloccare l’avanzata dei demoni, il nostro eroe dovrà esplorare i due satelliti di Marte, Phobos e Deimos e persino l’inferno, in qualche modo collegato ai portali da cui i demoni hanno avuto origine.

Successo e sequel

Come già scritto in precedenza, Doom ottenne un successo davvero straordinario sia in termini di vendite che per quanto riguarda l’apprezzamento dei fan. Era dunque più che naturale che Id decidesse di realizzare un sequel della sua gallina dalle uova d’oro. Ecco dunque arrivare, nel 1994, Doom 2: Hell on Heart.

Questo sequel riprende la trama da dove si era interrotta, con il nostro Doomguy che riesce finalmente a tornare sulla Terra, solo per trovarla totalmente invasa dai demoni con cui si era scontrato nel gioco precedente. Il nostro marine vivrà dunque una lunga epopea per evacuare gli abitanti del pianeta e debellare definitivamente l’invasione.

Nonostante il gioco abbia ottenuto vendite stratosferiche, Doom 2 non presentava reali innovazioni rispetto al gioco originale. Le poche reali novità includevano la presenza di alcune nuovi armi, tra cui spicca la mitica doppietta e l’aggiunta di alcuni nuovi nemici, tra cui gli iconici Revenant. Un’innovazione davvero importante fu l’inserimento di una modalità multiplayer, fruibile in rete LAN. Questa modalità segnerà il punto di partenza per il genere degli sparatutto arena competitivi.

Voglia di Doom

Nel 1996 vennero rilasciate due espansioni ufficiali per Doom, ovvero Final Doom e Master Levels for Doom II. Entrambi questi giochi, sviluppati da Id in collaborazione con il team TNT, ripercorrono il percorso intrapreso da Doom 2, proponendo decine di nuovi livelli e texture più rifinite senza andare ad alterare la struttura del gioco.

A partire dal 1994 uscirono varie conversioni di Doom per le prime console a CD, come il Jaguar o il 3DO. In seguito il gioco apparve anche su Sega Saturn e Sony Playstation. Venne addirittura realizzata una versione SNES. Ognuna di queste edizioni, tuttavia, risultava molto penalizzata rispetto al gioco originale. Anche la versione Playstation, forse la migliore di tutte, riusciva solo ad avvicinarsi allo splendore di Doom su PC.

A fine anni 90 il successo di Doom sembrava essere davvero sulla bocca di tutti. Il gioco era considerato una sorta di capolavoro inarrivabile e la piena dimostrazione delle capacità del PC in ambito gaming. Ma, come spesso accade, tutto questo successo fu solo l’anticamera di un rapido ed inatteso declino.

Doom 64: il passo falso

Negli anni seguenti, ID Software decise di lasciare momentaneamente da parte la sua serie più iconica per concentrarsi su nuovi progetti, come ad esempio lo sviluppo del primo Quake. Tuttavia, nel 1997 uscì un altro gioco della serie Doom. Si trattava di una speciale versione realizzata appositamente per il Nintendo 64 e realizzata in collaborazione con Midway, che venne intitolata (ovviamente) Doom 64.

Il gioco riprendeva la trama esattamente dove si era interrotto Doom II e narrava un nuovo assalto delle orde dei demoni infernali, guidati stavolta dalla terribile Madre Demone. La storia culmina con il Doomguy che decide di sacrificarsi confinandosi nel mondo dei demoni per impedire nuove invasioni.

Nonostante presentasse un motore grafico totalmente ridisegnato e adattato alla console Nintendo, un’ottima trama e un set di controlli che, pur non raggiungendo la versatilità della versione PC, ben si adattava al particolare pad del N64, Doom 64 non riuscì a sfondare in termini di vendite. Questo insuccesso convinse ancora di più Id a prendere le distanze da Doom.

Il terzo capitolo

Nel 2004 fece la sua comparsa Doom 3, il nuovo capitolo della saga. Inizialmente il progetto doveva essere una sorta di remake del primo gioco. In seguito, tuttavia, gli sviluppatori optarono per un gioco totalmente nuovo. Tuttavia, Doom 3 racconta una storia completamente nuova, ponendosi come una sorta di reboot della saga.

La vicenda narrata in Doom 3 non è poi così differente da quella del gioco originale. Anche in questo caso, il gioco è ambientato su Marte, all’interno di una stazione spaziale. Qui una serie di esperimenti legati a tecnologie avveniristiche causano l’apertura di un portale collegato all’inferno, con la conseguente fuoriuscita di mostri e demoni di ogni genere. Toccherà al nostro protagonista, un comune marine senza nessuna particolare abilità, cercare di risolvere la situazione esalvarsi la vita.

Principale caratteristica di Doom 3 è l’utilizzo del motore Id Tech 4, che consentì la creazione di ambienti tridimensionali estremamente realistici e particolareggiati, oltre ad una gestione della luce e dei vari effetti visivi assolutamente all’avanguardia, almeno per i tempi. Il team creativo pensò di sfruttare a dovere le caratteristiche dell’id Tech 4 per modificare profondamente anche il gameplay. Se i giochi originali erano improntati sull’azione, sulla velocità e su continui scontri a muso duro coi nemici, Doom 3 proponeva un’atmosfera molto più vicina ai survival horror.

L’oscurità era uno degli elementi cardine del gioco, anche per il fatto che il giocatore, pur disponendo di una torcia, era impossibilitato ad usarla insieme alle armi. Questo creava un’ atmosfera di tensione suspense, sfruttata abilmente dagli sviluppatori per realizzare continui momenti di sorpresa e paura, anche grazie alla massiccia presenza di sangue e gore.

Ancora una volta, nonostante le grandi differenze rispetto ad altri giochi della saga, anche Doom 3 ottenne un enorme successo di critica e pubblico. Sebbene molte delle innovazioni non saranno riproposte dai successivi capitoli della saga, il gioco ebbe una forte influenza su altri medium legati a Doom. Ad esempio, ispirò una serie di romanzi dello scrittore Costello ed ebbe forte influenza sul film del 2005 dedicato a Doom, interpretato dal mitico Dwayne “The Rock” Johnson.

Infine sempre nel 2005, Doom 3 ricevette un’espansione, chiamata Resurrection of Evil. La serie rimase poi ferma per un lunghissimo periodo di tempo. Pare che il progetto per un quarto episodio fosse effettivamente stato avviato, ma nel 2013 l’idea venne accantonata.

La Rinascita: semplicemente Doom

Doom

Nel 2016, in maniera piuttosto inaspettata, arrivò finalmente un nuovo Doom. Sviluppato da Id Software e pubblicato da Bethesda Softworks, il nuovo episodio uscì per ogni piattaforma disponibile, comprese Google Stadia e Nintendo Switch e venne intitolato semplicemente Doom, con il preciso intendo di indicare un nuovo inizio per la serie.

Il gioco riprende esattamente dove terminava Doom 64, e mostra il risveglio del nostro amato Doomguy (da ora in avanti Doom Slayer), sigillato dai demoni in una sorta di sarcofago. Il nostro eroe dovrà vedersela con la dottoressa Pierce, ex impiegata dell’UAC e segretamente membro di una sorta di setta alleata dei demoni. Obiettivo della dottoressa è sfruttare l’energia del dispositivo di trasporto creato dall’UAC per aprire nuovamente i portali per l’inferno. Sotto la guida del misterioso Hayden, uno dei capi dell’UAC, il Doom Slayer avrà il compito di fermare la folle dottoressa e bloccare la nuova invasione.

A livello di gampeplay, il nuovo Doom spostava decisamente le lancette verso l’azione dura e cruda, prendendo decisamente le distanze dalla strada intrapresa da Doom 3. Doom del 2016 era velocissimo, frenetico e ricchissimo di scontri. Il gameplay premiava molto di più la bravura e la velocità nell’uccidere piuttosto che la tattica e le scelte difensive. Colpendo i nemici nei punti deboli, se ne accelerava l’uccisione. In questo caso, infatti, il demone ferito avrebbe iniziato a lampeggiare, permettendo al Doom Slayer di avventarsi su di lui e finirlo con quella che viene denominata “uccisione epica”. Si trattava di alcuni speciali kills particolarmente spettacolari (e truculente) che avrebbero donato al giocatore un piccolo bonus, in termini di munizioni, energia o corazza.

Doom presentava anche un’ottima varietà di demoni ed armi, con il ritorno di praticamente tutte le armi storiche e di tutti gli avversari incontrati nei giochi originali. Erano presenti anche la mitica motosega ed il BFG, in forma di armi speciali. Sebbene il loro uso fosse molto limitato, queste armi permettevano l’uccisione immediata di un nemico o addirittura di orde di nemici, nel caso del BFG.

Il gioco presentava anche diversi livelli di difficoltà di cui l’ultimo, denominato Ultra Incubo, doveva essere necessariamente completato senza mai morire. Una sfida, questa davvero titanica per qualunque giocatore. Completava l’offerta una discreta modalità multiplayer, con diverse modalità di gioco e la possibilità di trasformarsi momentaneamente in uno dei demoni del gioco.

Doom del 2016 ottenne un ottimo successo e riuscì nel difficile complito di rilanciare e svecchiare il brand. La saga di Doom era rinata e tutti i giocatori si aspettavano che il nuovo gioco avrebbe presto ricevuto uno o più seguiti.

Un Doom… eterno!

Ed eccoci arrivati al 2020 e al termine (momentaneo) del nostro viaggio. In quell’anno infatti uscì per tutte le piattaforme Doom Eternal, sequel diretto del gioco del 2016, nuovamente sotto il marchio Bethesda.

Il gioco ricalca grossomodo la trama di Doom 2, presentando una nuova invasione della terra da parte dei demoni infernali in seguito agli eventi del Doom del 2016. Tocca di nuovo al Doom Slayer (che viene qui confermato essere proprio il Doomguy dei primi giochi) sconfiggere ancora una volta l’Icona del Peccato e bloccare nuovamente l’avanzata dell’Inferno.

Il gameplay di Doom Eternal ricalcava fedelmente quello del suo predecessore. Anche Eternal propone un’azione forsennata, decine di uccisioni epiche e tonnellate di sangue e violenza. Rispetto al predecessore, il gioco propone un’esplorazione più elaborata, anche grazie alle nuove abilità del protagonista, che comprendono la possibilità di scalare le pareti. Anche il set di armi è stato potenziato, soprattutto grazie all’uso di un’enorme spada magica, forse la risorsa migliore del nostro soldato.

Inoltre, il gioco introduce l’enorme astronave VEGA, che funge da quartier generale per il Doomslayer. Qui, oltre a spostarsi da un livello all’altro, il nostro Marine ha la possibilità di accedere a numerose sfide e modalità secondarie, tra cui anche la possibilità di giocare in ogni momento al Doom originale.

Doom Eternal ottenne un ottimo successo di pubblico e critica, ricevendo anche diversi riconoscimenti tra cui il Golden Joystick. Proprio questo successo ha spinto gli sviluppatori a realizzare un nuovo capitolo. Si tratta, naturalmente, di Doom Dark Ages, in uscita proprio nei prossimi giorni.

Da quanto mostrato finora, anche il nuovo episodio di Doom sembra essere violento, tosto e “tamarro” quanto i suoi predecessori. Tra i contenuti più interessanti rivelati dai trailer spiccano la presenza di un enorme scudo medievale e persino di un drago! Vedremo se Dark Ages sarà all’altezza della pesantissima eredità del nome che porta. Speriamo davvero che lo Slayer riesca a stupirci ancora!

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Mario Kart: un felice percorso lungo 33 anni

Sono passati solo pochi giorni dalla presentazione di Nintendo Switch 2, eppure la nuova console ibrida della grande N continua a far parlare di sé. Tra polemiche per i prezzi di lancio, curiosità per le nuove funzionalità e dubbi sull’effettiva resa dell’hardware, è indubbio che l’annuncio sul lancio di Nintendo Switch 2 abbia lasciato diverse perplessità. Tra i titoli presentati, quello su cui Nintendo sembra scommettere di più è certamente l’ultimo nato della saga di Super Mario Kart, ovvero Mario Kart World.

Toccherà di nuovo alle folli corse con protagonista il baffuto idraulico e la sua allegra banda fare letteralmente da apripista per il nuovo gioiellino targato Nintendo. In attesa di mettere le mani sul nuovo episodio della serie, vi proponiamo una retrospettiva sull’intera saga di Mario Kart, per meglio prepararci ad accogliere Mario World. Mettiamoci alla guida dei nostri kart e lanciamoci nella corsa più pazza del mondo!

Le origini di Mario Kart

Super Mario Kart

Il primo capitolo della saga di Mario Kart apparve nell’agosto del 1992 in Giappone per il glorioso Super Nintendo, col titolo Super Mario Kart. Curiosamente, il gioco avrebbe dovuto essere un sequel di F-Zero, gioco di corse futuristico apparso sempre su SNES. Per rendere più semplice la diffusione, si decise di includere nel gioco i personaggi della saga di Super Mario.

Questo primo episodio presentava già tutti i tratti fondamentali della serie. Dopo aver scelto uno tra gli otto protagonisti, presi un po’ da tutti i titoli dedicati a Mario apparsi fino a quel momento. Il giocatore avrebbe dovuto affrontare una serie di corse a bordo del proprio Kart contro gli altri sette personaggi.

Le corse erano rese ancora più imprevedibili grazie alla presenza di numerosi power up, che permettevano di accellerare improvvisamente, saltare parti del tracciato, attaccare gli avversari tramite gusci volanti o banane e persino diventare momentaneamente invulnerabili o rimpicciolire temporaneamente tutti i nemici.

Oltre alle gare singole e alle prove a tempo, i giocatori potevano competere nella modalità Gran Prix. Questa modalità presentava 4 diverse coppe da quattro gare ciascuna, oltre a tre livelli di difficoltà differenti (le famose classi 50, 100 o 150). Per avanzare nel torneo era necessario arrivare almeno quarti, pena la perdita di una vita. Una volta esaurite le vite sarebbe stato Game over.

Principale punto di forza del gioco era naturalmente la modalità multigiocatore, che permetteva a due amici di sfidarsi a schermo diviso in corse singole o di competere in un Gran Prix. Era presente anche una simpatica modalità battaglia, in cui lo scopo sarebbe stato colpire l’avversario sfruttando i bonus fino ad esaurire le sue vite, rappresentate da palloncini colorati. In questa modalità le gare si svolgevano in specifiche arene chiuse.

Il gioco ottenne un successo esplosivo, soprattutto grazie alla sua incredibile giocabilità. Sebbene padroneggiare il sistema di guida non fosse semplice, esso sapeva donare enormi soddisfazioni. Degna di nota era soprattutto la meccanica del drift. Premendo uno dei tasti dorsali, era infatti possibile dare inizio ad una sorta di derapata, che donava una piccola accelerazione in uscita dalla curva. Dominare questa meccanica risultava essenziale per riuscire a vincere i Gran Prix a difficoltà elevate.

Anche dal punto di vista grafico, il gioco dava sfoggio delle potenzialità dello SNES, riuscendo a creare una sensazione di profondità e tridimensionalità. Il comparto sonoro faceva anch’esso il suo lavoro, con vari motivetti orecchiabili che divennero un marchio di fabbrica della serie.

Mario Kart 64

Per avere un nuovo episodio della serie Mario Kart, i giocatori dovettero attendere ben 4 anni. Il secondo capitolo, Mario Kart 64, vide infatti la luce nel 1996, naturalmente, su Nintendo 64. Causa di questo ritardo furono le tempistiche lunghissime che accompagnarono lancio e distribuzione del 64 bit della casa di Kyoto.

Mario Kart 64 ripropone la formula vincente del capitolo precedente, trasportando le folli corse di Mario in un mondo realmente in tre dimensioni. Mario Kart 64 infatti sfruttava il potente hardware del Nintendo 64 per creare delle piste completamente in grafica 3d poligonale, aumentando di molto il senso di realismo e profondità. Curiosamente, i personaggi vennero invece rappresentati in due dimensioni, sfruttando una tecnica chiamata billboarding.

Dal punto di vista del gameplay, il gioco rimaneva pressoché invariato, salvo per la fisica dei kart, leggermente ritoccata. L’unica reale novità rispetto al passato, oltre alla già citata grafica in 3d, era la possibilità di giocare in multiplayer fino ad un massimo di 4 giocatori tramite schermo diviso.

Nel complesso, il gioco fu bene accolto, anche se dovette subire diverse critiche. Molti giocatori ritennero Mario Kart 64 troppo simile al predecessore. Inoltre, il gioco era accusato di non sfruttare appieno le potenzialità del Nintendo 64. Queste perplessità non impedirono al gioco di raggiungere i 10 milioni di copie vendute.

Mario Kart formato tascabile

Dopo altri cinque anni di attesa, fece la sua apparizione il terzo capitolo della saga. Questa volta, però, Nintendo decise di realizzare, per la prima volta, un episodio di Mario Kart per la sua console portatile di punta, ovvero il Game Boy Advance.

Il gioco riproponeva le medesime modalità dei suoi predecessori e un gameplay con pochissime reali innovazioni. Tuttavia, Super Circuit poteva vantare ben 40 piste differenti. Oltre ai circuiti nuovi, vennero recuperate anche tutte le piste del Mario Kart originale. Oltre a questo, il gioco sfruttava il cavo di collegamento del GBA per permettere a più giocatori di sfidarsi tra loro in modalità multiplayer.

Era anche possibile condividere i propri “fantasmi”, ovvero i giri migliori realizzati nelle prove a tempo, per permettere ai giocatori di migliorarsi costantemente. Purtroppo, la modalità multiplayer soffriva di vari rallentamenti ed imperfezioni di gameplay, che andavano a penalizzare l’esperienza. Nel complesso, anche Super Circuit ottenne un ottimo successo ed è tutt’oggi considerato uno dei migliori giochi per GBA.

Doppio scatto

Nel 2003 fu la volta di Mario Kart: Double Dash, uscito per Game Cube, la nuova console casalinga della grande N. Oltre all’ovvio aggiornamento grafico e al maggior numero di personaggi, questo nuovo Mario Kart portò con sé una serie di novità di Gameplay.

Anzitutto, ora le gare si svolgevano a coppie. Mentre il primo dei sue personaggi si occupa della guida, il secondo gestisce l’uso degli oggetti. Questa scelta faceva sentire il suo peso soprattutto in multiplayer, dove i giocatori potevano cooperare correndo sullo stesso veicolo e scambiandosi i ruoli all’occorrenza. A proposito di multiplayer, Double Dash, oltre all’ormai canonica modalità a quattro giocatori, permetteva a ben otto partecipanti di sfidarsi insieme in modalità LAN.

Il gioco inoltre potenziava il sistema delle derapate, permettendo l’uso di una sorta di mini turbo. Quest’ultimo si attivava muovendo lo stick a destra o a sinistra durante una derapata ed era contrassegnato da uno scintillio giallo. Era addirittura possibile, per i giocatori più esperti, sfruttare questo mini turbo anche nei rettilinei, utilizzando in modo sapiente il drift. Infine, i personaggi erano divisi in base alle categorie di peso. Ad ogni categoria erano assegnati determinati Kart, le cui prestazioni variavano notevolmente, proprio per rispettare le caratteristiche delle varie categorie.

Anche questo gioco venne accolto favorevolmente ed ottenne un ottimo successo di vendite. Ancora una volta, però, non mancarono alcune critiche. A far storcere il naso era la mancanza di reali novità, che rendeva il gioco ancora troppo simile a Mario Kart 64, sebbene fossero trascorsi 7 anni tra un gioco e l’altro.

Ritorno al portatile

Nel novembre 2005 uscì su Nintendo DS, la fortunata console portatile a due schermi, il quinto capitolo della serie Mario Kart, ovvero Mario Kart DS. Stavolta si trattò di un successo veramente epocale, visto che il gioco venne acclamato all’unanimità dalla critica e riuscì a vendere quasi 24 milioni di copie, divenendo il terzo gioco più redditizio della saga.

I fattori di questo successo furono molteplici. Anzitutto, il comparto tecnico. Mario Kart DS presentava una grafica solidissima, con modelli poligonali ben definiti, sfondi molto ampli e dettagliati e un’ottima fisica di gioco, in grado di rendere in maniera ottimale la frenesia e dinamicità delle corse.

Inoltre, il gioco proponeva diverse migliorie di gameplay. In Mario Kart DS le prestazioni vengono determinate dalla selezione del veicolo. Ognuno dei dodici personaggi infatti dispone di tre kart tra cui scegliere, ognuno con il suo bilanciamento. Questo rendeva essenziale per il giocatore conoscere i vari mezzi, per comprendere quale meglio si adattava al suo stile di guida. Inoltre Mario Kart DS potenzia la meccanica del Drift, rendendola ancora più essenziale per ottenere buoni piazzamenti.

Infine, questo quinto episodio rinnovava anche le modalità di gioco, introducendo la modalità missione, in cui il giocatore non deve solo vincere una corsa, bensì realizzare i vari obiettivi via via proposti. Infine, il gioco supportava anche una modalità online, attraverso la quale potevano sfidarsi tra loro giocatori da ogni parte del mondo tramite il servizio Nintendo Wi-Fi Connection, i cui server sono ora archiviati.

Mario Kart sbarca su Wii

Tre anni più tardi, nel 2008, la serie Mario Kart sbarcò su Nintendo Wii, una delle console di maggior successo della storia di Nintendo. Come prevedibile, il gioco presentava come principale innovazione l’utilizzo del sensore di movimento dei wiimote, che simulava l’utilizzo di un vero volante (il gioco era anche venduto insieme ad un gadget a forma di volante in cui poteva essere inserito il wiimote).

Questa caratteristica rendeva il gioco ancora più accessibile, anche grazia alla possibilità di scegliere una tipologia di controlli semplificati, che tuttavia non garantivano tutte le funzionalità legate al drift e ai mini turbo. In Mario Kart wii, infatti, la meccanica dei turbo tornava ulteriormente ampliata, grazie alla presenza di ben tre differenti livelli di accellerazione, contrassegnate da tre colori diversi e sbloccabili in base all’abilità nel prolungare le derapate. Era anche possibile prendere la scia di un avversario, beneficando di una poderosa spinta turbo.

Mario Kart Wii risultava anche ben realizzato graficamente e ricco di contenuti, dal momento che presentava ben 24 personaggi, 36 veicoli, divisi tra kart e moto, e 32 circuiti. Tornavano anche tutte le modalità tipiche della serie, con l’eccezione della modalità Missioni, mai più riproposta. Anche il comparto online, sebbene non perfetto, era presente e permetteva a ben 12 giocatori da ogni parte del mondo di sfidarsi.

Pur raggiungendo l’incredibile cifra di 37 milioni di copie vendute e sebbene avesse collezionato consensi quasi ovunque, Mario Kart Wii fu pesantemente criticato dai puristi per il cattivo bilanciamento degli oggetti, molti dei quali risultavano troppo forti e soprattutto, venivano assegnati con criteri non sempre coerenti. Inoltre, il gioco presentava un sistema di difficoltà in grado di adeguarsi in tempo reale all’abilità del giocatore. Tuttavia, questa funzionalità non sempre funzionava a dovere, creando frustrazione e nervosismo nei giocatori, che vedevano i loro sforzi e la loro abilità frustrate da un’assegnazione “sleale” degli oggetti.

Mario Kart passa al 3D

Era inevitabile che anche il Nintendo 3DS, la console portatile erede spirituale del DS, ospitasse un episodio della serie Mario Kart. ecco dunque arrivare, nel corso del 2011, Mario Kart 7. La principale innovazione di questa nuova versione di Mario Kart era la possibilità di guidare in prima persona, sfruttando il giroscopio del Nintendo 3DS. Questa scelta sfruttava bene l’effetto di tridimensionalità della console e rendeva le corse ancora più immersive e visivamente coinvolgenti.

Oltre a questo, Mario Kart 7 presentava alcuni tratti di corsa in cui il nostro veicolo avrebbe dovuto volare o immergersi in acqua per alcuni tratti, sempre per valorizzare l’esperienza della visuale in prima persona. Viene introdotta anche la possibilità di personalizzare i propri kart, selezionando il corpo principale, le ruote e l’attrezzo usato per planare. Tutte queste modifiche vanno naturalmente ad impattare la guidabilità del veicolo.

Per il resto, il gioco riproponeva in maniera fedele il gameplay e le modalità dei giochi precedenti, con la sola aggiunta di una modalità il cui scopo era raccogliere più monete degli avversari, chiamata coin runner. Il gioco ricevette una buona accoglienza, anche se venne criticata la sostanziale mancanza di reali novità.

Il capolavoro

Nel 2014 uscì per Nintendo Wii U quello che è universalmente considerato il miglior Mario Kart in assoluto, ovvero Mario Kart 8. Il gioco presentava una splendida grafica in alta definizione, che regalava alle corse una pulizia ed una fluidità mai raggiunte fino a quel momento.

Tra le principali innovazioni, Mario Kart 8 introduce l’antigravità. In alcune sezioni della pista, il Kart poteva trasformarsi in una sorta di hovercraft, acquisendo la possibilità di aderire ad alcune pareti, permettendo di guidare letteralmente sottosopra. In queste fasi è anche possibile ottenere delle spinte turbo entrando in contatto coi kart avversari.

Oltre a questo, Mario Kart 8 presentava un numero altissimo di personaggi, tracciati e veicoli, suddivisi tra kart, moto e quad. Le modalità, invece, non presentavano particolari innovazioni. Furono aggiunte diverse piste alla modalità battaglia, per renderla più varia ed interessante. Inoltre la modalità online venne ampliata e perfezionata.

Tutte queste caratteristiche resero Mario Kart 8 un successo assoluto, rendendolo il gioco più venduto per Wii U. Questo enorme successo spinse Nintendo a realizzare una versione remake del gioco per Nintendo Switch. Nel 2017 venne dunque realizzato Mario Kart 8 Deluxe. Questa nuova versione migliorava la risoluzione del gioco, portandola a 60 fps al secondo stabili.

Il gioco inoltre migliora ulteriormente la modalità battaglia e consente ad ogni personaggio di trasportare due oggetti contemporaneamente. Inoltre vennero ulteriormente ampliati il numero dei personaggi e dei tracciati. In seguito al rilascio dei vari DLC, Deluxe arriva a contare ben 96 tracciati, suddivisi tra nuove piste e riedizioni di vecchi tracciati presi un po’ da tutta la saga.

Il successo di Mario Kart 8 Deluxe fu letteralmente esplosivo, al punto da diventare il gioco più venduto per Switch. Nintendo comunica che, sommando le vendite di entrambe le versioni, il gioco supera i 60 milioni di copie (se fosse vero si tratterebbe del quarto videogioco più venduto di sempre).

Gli Spin-off

Mario Kart

Oltre ai titoli della serie originale, Mario Kart ha generato anche una serie di spin-off. Citiamo anzitutto la serie Mario Kart Arcade Gp. Si tratta di tre giochi, usciti tra il 2005 e il 2013 nelle sale giochi in collaborazione con Namco.

I primi due episodi, usciti nel 2005 e nel 2007 presentano un gameplay molto simile a quello dei giochi della saga principale. Le uniche novità consistono nella possibilità di selezionare ad inizio gara tre oggetti. Ogni volta che durante la corsa si attiva un bonus, esso sarà selezionato tra i tre oggetti scelti a inizio corsa.

Il terzo episodio, Mario Kart Arcade GP DX, del 2013, aggiunge tutte le novità viste in Mario Kart 7, tra cui l’utilizzo delle planate e le sezioni subacquee. Nel 2017 arrivò Mario Kart Arcade GP VR. Come suggerisce il titolo, questa versione venne realizzata appositamente per le sale giochi che avevano a disposizione la tecnologie VR e poteva essere giocato solo con l’ausilio di un visore.

Parliamo ora di Mario Kart Tour, versione mobile di Mario Kart distribuita nel 2019 per tutti i dispositivi Android e IOS. Il gioco tenta di riproporre le meccaniche tipiche della serie adattandole ai controlli tipici dei sistemi mobile. Tour presenta una grafica molto pulita ed un gameplay piuttosto profondo. Inoltre propone regolarmente una serie di tour, sorta di eventi in grado di proporre sfide sempre nuove ed aggiornate.

Tuttavia, il gioco, pur venendo scaricato da un numero altissimo di utenti, non ha ottenuto consensi unanimi. A finire nel mirino è stato soprattutto il sistema di microtransazioni presente in Mario Tour, che penalizza in maniera importante tutti gli utenti che non usufruiscono dell’abbonamento premium.

Chiudiamo la nostra rassegna con Mario Kart Live: Home Circuit. Uscito nel 2020, questo interessante esperimento consiste in un piccolo kart radiocomandato con alla guida Mario o Luigi. Sfruttando la propria Nintendo Switch e le funzionalità della telecamera posizionata all’interno del kart, Home Circuit consente di trasformare le stanze della propria casa in veri e propri tracciati, che possono essere organizzati a piacimento grazie all’ausilio di una serie di bandierine colorate, che fungono da checkpoints e da punto di arrivo. Pur senza far gridare al miracolo, Home Circuit ha ottenuto una buona accoglienza e rappresenta una ventata di aria fresca nella serie e nel panorama dei giochi di guida in generale.

In conclusione, la saga di Mario Kart è certamente una delle più longeve e di maggior successo nel panorama videoludico, soprattutto per quanto riguarda Nintendo. Il compito che attende Mario Kart world non è certamente tra i più semplici. Vedremo se Nintendo e la sua intramontabile mascotte riusciranno a stupirci di nuovo.

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Fatal Fury: la storia della saga

Parlando del genere picchiaduro, i primi titoli a balzare alla mente dei videogiocatori sono certamente Tekken e Street Fighter. Tuttavia, per tutto il corso degli anni 90 e per parte del decennio successivo, la giapponese SNK è stata senz’altro una delle eccellenze assolute nell’ambito dei giochi di lotta. Fatal Fury, assieme a The King of Fighters, è stata certamente la saga di maggior successo della casa di Osaka.

Col passare degli anni, la saga ha purtroppo perso gran parte della sua popolarità. Nel corso della sua storia, tuttavia, Fatal Fury ha raggiunto livelli di successo notevoli, soprattutto in Giappone. Qui alla saga vennero dedicati manga, numerosissimi gadget e persino dei film di animazione.

Recentemente, dopo una lunghissima attesa, Fatal Fury è tornato a far parlare di se. A fine mese infatti è prevista l’uscita di City of Wolves, ultima incarnazione del franchise. In attesa di scoprire se il gioco avrà le carte in regola per riportare in auge la saga, ripercorriamo insieme le tappe più importanti della nascita e dell’evoluzione di Fatal Fury. Pronti al ritorno dei lupi?

Le origini di Fatal Fury

Fatal Fury

Il primo Fatal Fury apparve nelle sale giochi giapponesi il 21 novembre 1991, col titolo completo di Garō densetsu – Shukumei no tatakai, ovvero “La leggenda del lupo affamato – La battaglia del destino”, che giunse in occidente col titolo Fatal Fury: The King of Fighters.

La trama del gioco vede i due fratelli Terry ed Andy Bogard, spalleggiati dall’amico Joe Higashi, intraprendere un lungo viaggio per vendicarsi del signore del crimine esperto di arti marziali Geese Howard, colpevole dell’omicidio del padre dei due fratelli.

Dal punto di vista del Gameplay, il gioco ripropone lo schema visto in Street Fighter 2, coi due lottatori posti uno di fronte all’altro e intenti a suonarsele a suon di attacchi leggeri, potenti e mosse speciali. Nel corso della modalità single player, erano presenti una serie di livelli bonus. Questi ultimi, una volta superati, rivelavano le combinazioni per eseguire le varie mosse speciali dei personaggi.

La novità introdotta da Fatal Fury consisteva nella presenza di due piani di gioco differenti. Durante la lotta, tramite la pressione di un tasto, era infatti possibile spostare il proprio lottatore da un piano all’altro. Questa meccanica, sebbene solo abbozzata, donava agli scontri un pizzico di varietà in più e permetteva a Fatal Fury di distinguersi dalla concorrenza. Inoltre il titolo SNK poteva vantare una grafica molto curata e ben definita ed una grande attenzione alla trama e alla caratterizzazione dei personaggi.

Queste caratteristiche permisero a Fatal Fury di ottenere un buon successo, sebbene, diverse critiche colpirono il basso numero di personaggi giocabili (solo tre nella modalità ad un giocatore) e l’eccessiva difficoltà di gioco. Il titolo venne anche convertito per varie console casalinghe, con la versione Neo Geo che risultava facilmente la migliore.

Tra sequel e special

Visto il buon successo raggiunto, SNK decise di realizzare un sequel per la saga dei Bogard. Nel dicembre del 1992 ecco dunque arrivare Fatal Fury 2 (titolo originale Garō Densetsu 2: Arata-naru Tatakai, cioè La leggenda dei lupi famelici 2: la nuova battaglia).

La trama vede Wolfgang Krause, fratellastro di Geese, organizzare un nuovo torneo per fidare colui che aveva sconfitto Howard. Inutile dire che Terry riuscirà nuovamente ad abbattere il rivale, confermandosi campione. Rispetto al predecessore, Fatal Fury 2 presentava un roster molto più vasto, tra cui spiccavano Mai Shiranui, provocante lottatrice esperta di ninjutsu e Kim Kaphwan, lottatore koreano destinato a diventare una delle colonne della saga.

Fatal Fury 2 presentava anche varie migliorie al gameplay, col ritorno dei due piani di gioco e la possibilità di spostarsi da uno all’altro in qualsiasi momento. compaiono anche una super mossa particolarmente distruttiva e l’evasion attack, una sorta di contromossa eseguibile parando gli attacchi avversari col tempismo giusto.

Il successo di Fatal Fury 2 fu enorme, soprattutto nelle sue versioni casalinghe, tra cui brillavano quelle per SNES e Mega Drive. L’anno successivo vide la luce una versione migliorata di Fatal Fury 2, ovvero Fatal Fury Special. Questo gioco, considerato uno dei migliori della saga, poteva vantare un roster ulteriormente ampliato, una maggiore velocità e l’inserimento di un rudimentale sistema di combo. Terminando il gioco senza perdere neppure un round era possibile affrontare Kyo Kusanagi, il protagonista di The King of Fighters.

Non c’è due senza tre

Fatal Fury

Dopo l’edizione Special, la serie si prese una piccola pausa. Nel marzo 1995, però, ecco arrivare il terzo capitolo, ovvero Fatal Fury 3: Road to the Final Victory ( Garō Densetsu 3 Harukanaru Tatakai in originale). Questo terzo episodio apportò numerosi cambiamenti al gameplay.

Anzitutto il sistema del combattimento a più piani venne implementato, con l’aggiunta di un terzo piano di gioco e la possibilità di eseguire numerosi attacchi che potevano colpire l’avversario anche se si trovava su un piano differente. Inoltre il giocatore ebbe la possibilità di eseguire salti di differente intensità ed altezza. Anche il sistema di combo venne perfezionato.

La modifica più impattante però fu l’inserimento delle super mosse, attacchi particolarmente devastanti eseguibili nel momento in cui la barra dell’energia iniziava a scarseggiare. Ogni personaggio disponeva anche di una seconda super nascosta, la cui esecuzione risultava però difficilissima, in quanto l’attivazione avveniva solamente con una percentuale molto limitata di successo. Il gioco, oltre che in versione arcade, apparve anche su Neo Geo, Neo Geo CD e Sega Saturn, ottenendo un ottimo successo sia dalla critica che tra i fan.

La serie Real Bout

Sempre nel 1995, a dicembre, SNK pubblicò anche Real Bout Fatal Fury (Real Bout Garō Densetsu), primo capitolo della sottosaga Real Bout. Caratteristica principale di questo gioco e dei suoi succesori era un motore grafico particolarmente curato e spettacolare, che rendeva il gioco molto più simile ad un anime giapponese.

Anche il Gameplay presentava numerose migliorie, grazie all’introduzione di una barra dell’energia spirituale, che poteva essere sfruttata per eseguire vari contrattacchi e mosse speciali. Anche le famigerate abilità nascoste, attivabili solo nel momento in cui la barra dell’energia raggiungeva livelli critici, fecero il loro ritorno. Questa volta però la loro esecuzione risultava più semplice, anche se condizionata dalla barra dell’energia spirituale. vennero anche introdotte alcune arene in cui era possibile vincere per ring out, scaraventando l’avversario fuori dallo stage.

Anche il roster venne ulteriormente ampliato, con volti vecchi e nuovi, mentre la trama si incentrava sull’ascesa di Geese Howard, che al termine del gioco precedente era riuscito ad impossessarsi di alcune potentissime pergamene.

Una saga nella saga

Negli anni seguenti, SNK pubblicò altri due episodi della saga Real Bout. Il primo, Real Bout Fatal Fury Special, uscì nel 1997, sempre in versione arcade e Neo Geo. Il gioco era un semplice perfezionamento dell’episodio precedente, impreziosito da un maggior numero di personaggi e da un comparto tecnico perfezionato.

Di questo gioco venne realizzata anche una versione aggiornata per Playstation, denominata Real Bout Special: Dominated Mind. Questa edizione era impreziosita dalla presenza di numerose sequenze animate realizzate dalla Sunrise, oltre che da un nuovo potenziamento del roster.

Nel marzo 1998 fu la volta di Real Bout fatal Fury 2: The newcomers ( in originale Real Bout Garō Densetsu 2: The Newcomers, Real Bout Legend of the Hungry Wolf 2). RB2 ridimensionava il ruolo dei piani di gioco, ora utilizzati solo per effettuare schivate e particolari attacchi. Inoltre, il gioco potenziava in modo importante tutto l’assetto tecnico, presentando una grafica davvero spettacolare, colorata e ricca di dettagli. Particolare impressione destavano le mosse speciali, che scatenavano un uragano di luci ed effetti visivi molto appariscenti.

Sebbene tutti questi giochi fossero di qualità davvero elevata, il genere dei picchiaduro 2d stava attraversando un periodo di grande affanno, soprattutto a causa del successo dei giochi in tre dimensioni. Il pubblico tendeva ormai a preferire giochi come Tekken o Virtua Fighter ai classici giochi in 2d. Di conseguenza, la saga di Fatal Fury iniziò ad avere un ruolo sempre più marginale nel mercato.

Esperimenti e spin off

Vista la situazione, SNK decise di spostare anche la sua saga più famosa al mondo delle tre dimensioni. Nel gennaio 1999 apparve nelle sale giochi Fatal Fury: Wild Ambition, poi convertito anche per la prima Playstation. Il gioco riproponeva la trama e l’ambientazione del primo Fatal Fury, aggiungendo numerosi personaggi al cast originale.

Pur presentando una grafica tridimensionale e lottatori realizzati tramite modelli poligonali, il gameplay di Wild Ambition non si discostava in maniera pesante dagli altri titoli della saga. I movimenti, le mosse speciali e le dinamiche degli scontri seguivano infatti i ritmi settati dalla saga Real Bout. I lottatori avevano la possibilità di muoversi in profondità, ma queste schivate andavano semplicemente a sostituire l’utilizzo dei due piani di gioco visto nei titoli precedenti.

Questa natura ibrida del gioco non seppe conquistare né la critica né i fan, che riservarono a Wild Ambition un’accoglienza molto tiepida. Questo risultato convinse SNK del fatto che Fatal Fury fosse una saga ormai legata a doppio taglio alle caratteristiche dei picchiaduro 2d.

Dedichiamo una menzione anche a Fatal Fury: First Contact, unico episodio della serie ad essere uscito in formato portatile. Il gioco uscì sempre nel 1999 su Neo Geo Pocket

L’ultimo ululato

Nel novembre del 1999 uscì quello che è stato a lungo l’ultimo episodio della saga, ovvero Garou: Mark of the Wolves, conosciuto anche come Fatal Fury: Mark of the Wolves nella versione Dreamcast. Con questo gioco, SNK decise di provare a dare una sterzata decisiva alla serie. Mark of the Wolves è infatti ambientato ben dieci anni dopo l’ultimo episodio della saga e sostituisce praticamente tutti i vecchi lottatori, con la sola eccezione di Terry. Il ruolo del protagonista passò a Rock Howard, figlio adottivo di Terry.

Dal punto di vista del gameplay, il gioco presentava, in generale, un approccio più semplice rispetto al passato, per incoraggiare i neofiti. Vennero introdotti la Tactiacal Offense Position, con la quale il giocatore poteva selezionare una zona della sua barra dell’energia, una volta raggiunta la quale il personaggio avrebbe sbloccato tutta una serie di potenziamenti. Venne inoltre introdotto il sistema “just defend”, che donava una serie di vantaggi in base alla precisione con cui venivano eseguite parate e schivate.

Tecnicamente parlando, il gioco era di qualità elevatissima, con sfondi dettagliatissimi e personaggi realizzati ed animati in maniera superba. Anche il sonoro svolgeva il suo compito in maniera egregia, con musiche molto azzeccate e d’atmosfera.

Il gioco fu accolto molto calorosamente e ricevette generalmente recensioni molto positive, al punto da essere spesso accostato a Street Fighter 3. Nonostante questo, il declino della saga (e del genere dei picchiaduro 2d in generale) sembrava ormai inarrestabile. Dopo Mark of Wolves, infatti, non fu realizzato nessun nuovo Fatal Fury. Almeno, fino ad ora.

La città dei lupi

Fin dal 2005 SNK aveva rivelato di avere in serbo un progetto sul sequel di Mark of Wolves. Tuttavia, col tempo, l’idea venne accantonata e, nel 2016, gli sviluppatori rivelarono che la versione Neo Geo del gioco era stata cancellata. Tuttavia, nel 2020 il direttore Kuroki rivelò che la volontà di realizzare questo nuovo episodio della saga era ancora ben salda.

Durante l’EVO del 2022 fu per la prima effettuato l’annuncio ufficiale del gioco. Negli anni successivi sono state diffuse sempre maggiori informazioni, oltre, naturalmente, ai primi trailer. Da quel che traspare, il gioco sembra allinearsi alle ultime produzioni SNK, come Samurai Shodown e The King of Fighters XV. Tra poche settimane sapremo se City of Wolves sarà all’altezza della sua eredità e se i lupi famelici torneranno a lottare per il dominio del territorio dei picchiaduro!

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Recensioni

WWE 2K25 – Recensione

Ed anche quest’anno, puntuale come la primavera, ecco arrivare il nuovo episodio dell’ormai celeberrima saga di simulazioni di wrestling a cura di 2K Sports, ovvero WWE 2k25. Come spesso accade, soprattutto con le simulazioni sportive, la necessità di pubblicare un nuovo episodio ogni hanno porta con sé vari dubbi ed incertezze.

Capita spesso, infatti, che il nuovo gioco sia semplicemente una minestra riscaldata con alcune novità nel roster e piccoli ritocchi grafici e di gameplay. Sarà andata così anche stavolta? Oppure 2K Sports è riuscita a stupirci con novità ed aggiornamenti davvero di spessore? Scopriamolo insieme!

Storia di un’eredità

Come ampiamente anticipato dalle campagne pubblicitarie, la modalità Showcase di WWE 2K25 è incentrata sulla storia della Bloodline. Per chi non conoscesse questa modalità, si tratta di una serie di incontri, a stile cinematografico, in cui il giocatore, oltre a vincere, deve anche soddisfare numerosi obiettivi che vengono via via sbloccati col procedere dell’incontro.

Per l’edizione di quest’anno 2k Sports si è affidata alla sapiente guida di Paul Heyman. Il leggendario Manager accompagna il giocatore alla riscoperta della storia della leggendaria famiglia Anoa’i, che ha dato i natali a moltissime stelle di prima grandezza della storia del wrestling, tra cui Yokozuna, The Rock e, più recentemente, Roman Reigns.

Abbiamo trovato questa modalità, nel complesso, piacevole. I vari incontri sono presentati con grande cura e prongonono quasi sempre obiettivi sensati e non eccessivamente frustranti, che permettono anche di familiarizzare con i comandi del gioco. Unica eccezione sono gli obiettivi a tempo, che necessitano di essere completati entro lo scadere di un timer, pena il fallimento. Sinceramente abbiamo apprezzato anche questa aggiunta, che dona agli scontri un pizzico di sfida in più.

Scelte di regia discutibili

Meno convincente invece è apparsa la scelta dei match. Invece di concentrarsi sulle due stelle principali della fazione, ovvero Reigns e The Rock, 2K Sports ha scelto di esplorare a 360 gradi la famiglia samoana, dedicando spazio anche ad atleti molto meno noti ed importanti, come gli Headshrinkers e Nia Jax. Se da un lato questa scelta aumenta la varietà degli incontri, dall’altro esclude dalla modalità molti dei match più iconici del Capotribù (di cui ammetto di non essere un gran fan) e del Final Boss (che invece adoro).

Da segnalare anche la presenza di alcuni episodi “What if?“. In sostanza, molti dei match che vivremo sono battaglie mai realmente avvenute, oppure incontri con un finale differente da quanto accaduto realmente. Se questa scelta dona un pizzico di sorpresa, dall’altro viene solo abbozzata. Questi finali, infatti, non incidono minimamente sulla storia generale, ma sono semplici episodi autoconclusivi.

Nel complesso, dunque, lo Showcase di WWE2K25, a nostro giudizio, è riuscito solo a metà. Se da un lato propone un’idea di fondo interessante, non sfrutta appieno il potenziale che la storyline della Bloodline porta con se. In più, soprattutto a causa dei problemi legati allo sfruttamento delle license, i filmati di ripertorio sono molto ridotti e sono spesso sostituiti da filmati realizzati col motore grafico del gioco, che, per quanto ben fatti non riescono a ricreare la magia ed il coinvolgimento del materiale originale.

L’isola di WWE 2k25

WWE 2K25

La principale novità di 2K25 è sicuramente la modalità The Island. Una volta avviata, il giocatore riceve l’invito di Roman Reigns a recarsi sulla sua isola. Qui è in corso una competizione aperta a tutti con in premio la possibilità di diventare superstars della WWE. Dopo aver creato il nostro Avatar, questa modalità ci permette di esplorare l’intera isola, suddivisa in numerose aree specifiche.

Ogni area è dedicata ad una particolare tipologia di incontri e ci permette di gareggiare contro altri utenti da tutto il mondo. Nelle prime fasi, questa modalità propone anche una storia principale da seguire, per familiarizzare con le varie zone e con le dinamiche offerte dall’isola. Vincendo gli incontri e superando le numerose missioni e sfide che l’isola propone, il giocatore ha la possibilità di sbloccare punti da investire per il potenziamento e la personalizzazione dell’Avatar. In buona sostanza, The Island propone le stesse meccaniche viste nelle varie città presenti nella serie NBA 2K.

Anche questa modalità non ci ha convinti del tutto. Da un lato propone una sfida online più ricca ed articolata rispetto al passato. Tuttavia, l’idea sembra sfruttata solo a metà e non offre spunti di trama particolarmente intriganti o reali innovazioni di gameplay. Anche le varie storie che ci vengono proposte sanno molto di già visto e riprendono a piene mani da quanto mostrato dalle modalità My Rise delle scorse edizioni.

The Island sarà sicuramente apprezzata dagli amanti del gioco online ma difficilmente saprà conquistare chi era in cerca di reali innovazioni. A peggiorare ulteriormente la situazione, ci si mettono le microtransazioni. Questo elemento è infatti molto presente, soprattutto per quanto riguarda gli oggetti per la personalizzazione. Viene davvero da pensare che l’intera modalità sia stata pensata come specchietto per le allodole per attaccare i portafogli dei giocatori.

Ascendere…ancora una volta.

Parlando di My Rise, eccola fare ritorno anche quest’anno. Si tratta di una sorta di modalità storia in cui, dopo aver creato il nostro avatar, lo seguiremo nella sua scalata ai vertici della federazione. Sebbene sia un concetto già visto molte volte, My rise propone diversi spunti interessanti.

Anzitutto, questa volta le vicende della superstar maschile e di quella femminile saranno intrecciate. Dunque, nella stessa Run il giocatore deve per forza impersonare entrambi. Sebbene questo limiti la longevità, visto che la trama sarà praticamente la stessa per entrambi, dal nostro punto di vista rende la storia più interessante e scorrevole.

Per vedere tutti gli snodi e i vari finali è comunque necessario giocare la storia più volte, dal momento che alcune strade si sbloccheranno solo nelle run successive alla prima. Nel complesso abbiamo trovato questa modalità abbastanza ispirata, anche in virtù della storia che narra, incentrata su un ammutinamento da parte delle star di NXT ai danni dei roster “maggiori”. Unico neo della modalità, la presenza di fastidiosi bugs che causano il reset del gioco. Speriamo che gli sviluppatori risolvano presto il problema.

Un’offerta molto ricca

WWE 2K 25

Per quanto riguarda le rimanenti modalità, WWE 2K25 segue molto da vicino il predecessore. Ritorna la modalità My Faction, nella quale il giocatore costruisce la sua squadra di wrestler collezionando una serie di carte collezionabili diverse per rarità e potenza.

Sebbene quasi identica a quella della passata edizione, quest’anno My Faction include anche una sezione World Tour, ideale per approcciarsi per la prima volta a questa modalità. Anche My Faction propone un numero enorme di sfide, missioni da completare, ed eventi che si aggiornano costantemente nel tempo. Ogni sfida può essere affrontata sia in single player che in modalità online.

Praticamente invariata risulta anche la modalità My Gm, in cui, nelle veste di uno degli storici General Manager WWE, siamo chiamati ad organizzare ed allestire i vari show settimanali, nel tentativo di conquistare la vittoria contro i Brand rivali. L’unica novità rilevante qui è il maggior numero di manager tra cui scegliere e la presenza di nuove carte e abilità che possono influenzare il nostro percorso.

Anche la modalità Universe, che ci permette di accompagnare una superstar, sia essa creata od originale, nel corso di tutta l’annata wwe, con la possibilità di modificare ogni show dell’anno e di giocare in prima persona i match proposti, appare sostanzialmente invariata. L’unica novità proposta da WWE 2k25 è il ritorno dei promo, che tuttavia risulatano spesso fiacchi e macchinosi da organizzare.

Di nuovo sul ring

WWE 2K25

Uno dei maggiori punti di forza di WWE 2K25 è certamente la sua varietà. Il roster è semplicemente sconfinato, con più di 300 superstar a disposizione tra atleti attuali e leggende del passato. Non mancano nemmeno le versioni “alternative” dello stesso atleta, basate su vari momenti della sua carriera. Completano il quadro alcuni personaggi “meme”, come Supercena o la versione giocattolo di Cody Rhodes.

Anche la selezione dei match è estremamente ricca. Oltre a tutte le tipologie di incontri viste in precedenza, fanno la loro comparsa il Bloodline match e l’underground match. Il primo è un incontro nel quale, tramite la pressione di un apposito comando, ogni lottatore ha la possibilità di chiamare un alleato in sua difesa. Le superstar coinvolte dipendono dalle amicizie e dalle affinità di ogni superstar, visibili nella sezione roster.

L’underground match è invece una sfida in cui vengono eliminate le corde del ring. La vittoria è possibile solo per KO, sottomissione o squalifica. Questi incontri si rifanno ad una serie di episodi di Raw in cui la categoria underground era una sorta di lega indipendente in cui si disputavano risse clandestine. Anche in questo caso, l’aggiunta risulta azzeccatta e propone incontri divertenti e dinamici, in cui scagliare gli avversari fuori dal quadrato è ancora più semplice e devastante.

Il gameplay di WWE 2K25

Per quanto riguarda i controlli, questa edizione ripropone la formula dei capitoli precedenti. I movimenti, le prese, gli attacchi e le reversal sono piuttosto semplici da eseguire e l’azione scorre quasi sempre in modo fluido e veloce.

Rispetto all’episodio precedente, 2K 25 reintroduce un minigioco legato al clinch, che aggiunge un ulteriore tocco di varietà agli incontri, pur senza stravolgere le meccaniche. Inoltre, sono state migliorate le interazioni, in particolare col bordo ring e con alcuni elementi ambientali.

WWE 2K25

Permangono purtroppo alcune sbavature. In alcune situazioni, ad esempio, il nostro personaggio sembra incapace di aggirare l’avversario a terra, rendendo ostico raggiungere il paletto. Negli scontri a squadre, poi, il sistema di puntamento risulta a volte poco funzionale e rende ostico selezionare il bersaglio giusto.

Meritano infine una menzione le battaglie nel backstage, che sono state rese ancora più varie e divertenti grazie all’inserimento di nuove ambientazioni. In particolare, ci ha colpiti favorevolmente l’archivio WWE, che contiene numerose citazioni alla decennale storia della federazione.

Grafica e comparto tecnico

Dal punto di vista tecnico, WWE 2K25 fa bene il suo lavoro, senza far gridare al miracolo. Il motore grafico del gioco ricorda molto quello dell’edizione 2K24, ma riesce a svecchiarlo e migliorarlo. In generale, le fattezze e la corporatura delle varie superstars appare più curata e verosimile, soprattutto per quanto concerne i visi e le espressioni facciali.

Permane purtroppo un certo gap tra le superstar più famose e i midcarder, i cui modelli risultano, in generale, meno realistici e non sempre fedeli alle controparti reali. Si nota una certa discrepanza anche tra le superstar machili e quelle femminili, sebbene la resa di queste ultime sia molto migliorata rispetto al passato. Da questo punto di vista, il gioco soffre la scelta di essere stato fatto uscire anche per le console di vecchia generazione. Un reale salto di qualità non potrà essere possibile finché non verranno realizzati episodi specifici per Series X/S e PS5.

Due parole anche sul sonoro che, ancora un volta non convince. Se da un lato sono presenti tutte le musiche degli ingressi delle superstars, dall’altro le tracce realizzate appositamente per il gioco risultano piuttosto anonime e poco varie, con l’alternanza tra brani rock e rap davvero poco ispirati.

Tirando le somme

In conclusione, WWE 2k 25 prosegue la striscia positiva della serie, iniziata con WWE 2k22. Pur senza portare innovazioni sostanziali o modalità particolarmente ispirate, WWE 2K25 propone un gioco di wrestling ricchissimo di contenuti, con un comparto tecnico nel complesso convincente e un gameplay divertente e rodato.

Purtroppo, il gioco resta davvero troppo simile al suo predecessore e non sembra offrire reali motivazioni che giustifichino l’acquisto, soprattutto per coloro che hanno già comprato WWE 2K24. Con WWE 2K25 gli sviluppatori hanno sicuramente svolto un buon lavoro, ma ogni aspetto del gioco sembra dare l’idea di un qualcosa di riuscito solo in parte, senza quasi mai toccare livelli di eccellenza.

WWE 2K25 ripropone la formula vincente dei suoi predecessori, senza stravolgerla. Il comparto tecnico, pur mostrando alcune migliorie, sembra ancora troppo ancorato al passato. Il gameplay, risulta divertente ed efficacie, ma non porta con sé novità davvero importanti. Le nuove modalità, infine, non riescono a convincere del tutto. Se siete fan del wrestling probabilmente adorerete questo gioco. Per tutti gli altri occorrerà valutare attentamente un eventuale acquisto.

Dettagli e Modus Operandi
  • Piattaforme: PS5, PS5 PRO, Xbox Series X/S, Microsoft Windows, PS4, Xbox One
  • Data uscita: 14/03/2025
  • Prezzo: 74,99 €

Ho giocato e completato il gioco su PlayStation 5.

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News

Sega è stato eletto miglior sviluppatore del 2024

Da pochi giorni Metacritic, popolare sito aggregatore di recensioni, ha stillato la sua classifica dei migliori sviluppatori del 2024. La classifica si basa sulla somma delle valutazioni di tutti i giochi pubblicati nel corso dell’anno.

A trionfare è stata Sega, che ha racimolato un punteggio di ben 325,5 punti. A breve distanza si è piazzata Capcom, già vincitrice della classifica lo scorso anno, con 323,1 punti. Chiude il podio Aksys Games, con 318,1 punti.

Davvero un ottimo risultato per Sega, che ha vissuto un annata eccellente dal punto di vista dei giochi realizzati. Oltre all’ottimo Metaphor: ReFantazio Sega ha infatti prodotto diversi ottimi prodotti tra cui Unicorn: Overlord, Shin Megami Tensei V, Persona 3: Reloaded e Sonic X Shadow Generation.

Da grande fan di Sega fin da bambino, non posso che essere felice del traguardo raggiunto dalla casa di Tokyo e mi auguro davvero che anche il prossimo anno sia ricco di successi e soddisfazioni per Sega!

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Società

Divertimento o fotorealismo?

Osservando l’attuale mercato dei videogiochi, è innegabile che l’aspetto grafico abbia raggiunto un’importanza sempre più preponderante. Anche nei videogiochi in cui la storia svolge un ruolo di primo piano, il fotorealismo e la resa grafica risultano essenziali per la fruizione delle vicende, ancor più del divertimento.

Giochi come The Last of Us, God of War, Horizon Zero Dawn, Marvel Spider-Man o Final Fantasy VII Rebirth fanno indubbiamente della grafica e del fotorealismo il loro punto di forza maggiore. Anche nelle simulazioni sportive e nei giochi di guida, il comparto tecnico svolge da sempre un ruolo preponderante.

Tuttavia, anche in questa situazione, alcune serie di giochi, pur proponendo un modello in totale controtendenza con quanto descritto finora, riescono ad ottenere importanti successi. Come si spiega questo fenomeno? In questo articolo cercheremo di rispondere a questo interrogativo.

Classici intramontabili

Divertimento

Uscito sul finire del 2023, Super Mario Bros. Wonder si è rivelato un enorme successo, in grado di superare i 12 milioni di copie vendute. Si tratta dell’ultimo episodio della saga di Super Mario Bros, che ha visto la luce su NES nell’ormai lontano 1985.

Fin dagli albori questa serie, pur avendo mostrato una costante evoluzione negli anni anche dal punto di vista tecnico, non ha mai fatto di grafica e fotorealismo il suo punto di forza maggiore. Il segreto del successo di Super Mario sta nell’incredibile qualità dei controlli, che offrono una giocabilità ed una sfida sempre appaganti e coinvolgenti. In pratica, il successo della saga di Mario Bros. risiede proprio nell’enorme quantità di divertimento che sa regalare ai suoi fan.

Non a caso, anche dopo che la saga di Mario, a partire da Mario 64, effettuò la transizione alla terza dimensione, Nintendo ha continuato a proporre episodi a due dimensioni attraverso la saga New Super Mario Bros., di cui Wonder è l’ultimo esponente.

Velocità, riflessi e divertimento

Una situazione analoga a quella del baffuto idraulico coinvolge il suo rivale di sempre, ovvero Sonic the Hedgeog. Il porcospino blu, dopo essere stato uno dei dominatori dell’epoca dei 16 bit, nella successiva generazione di console sembrava essersi un po’ perso per strada. Con il successo di Sonic Adventure, uscito nel 1998 su Dreamcast, sembrava che la saga di Sonic avesse definitivamente imbracciato la terza dimensione.

Eppure, sono stati gli stessi fan di Sonic a continuare a chiedere a gran voce nuovi episodi della saga che fossero più in linea con la saga originale uscita su Mega Drive. Sega ha quindi intrapreso una doppia strada. Da un lato ha creato diversi episodi in forma mista. In questi giochi, come ad esempio Sonic Colours o Sonic Generations, i livelli a tre dimensioni venivano alternati a stages a scorrimento 2d.

Oltre a questo, Sega ha iniziato a pubblicare alcuni giochi in 2d che riprendevano sia nella grafica che nelle meccaniche gli episodi più classici della serie, ovvero Sonic The Hedgeog 4 (diviso in due parti), Sonic Mania ed il recente Sonic Superstars. Questi giochi hanno quasi sempre ottenuto un buon riscontro da parte dei giocatori.

Anche il recente Sonic X Shadow Generations, che ripropone la formula mista di cui abbiamo parlato, sta ottenendo ottimi consensi. Rispetto a Mario, la serie di Sonic ha sempre puntato più sulla velocità ed il tempismo rispetto all’esplorazione e al controllo del personaggio. Tuttavia, ancora una volta, è il divertimento ad essere l’elemento centrale di questi giochi, unito ad un livello di difficoltà spesso tarato verso l’alto. Fattore che contribuisce ad aumentare il senso di sfida e la soddisfazione che devisa dal superamento degli ostacoli più ostici (ogni riferimento ai boss finali di Superstars è puramente voluto).

Avventure senza tempo

Fin dall’uscita di Ocarina of Time, nel 1998, la serie Legend of Zelda ha regalato molte splendide avventure a tre dimensioni. Questo filone è culminato nei due meravigliosi giochi per Switch, ovvero Breath of The Wild e Tears of The Kingdom. Titoli davvero superbi, in grado di unire un’esplorazione open world pressoché perfetta ad un comparto tecnico che non sfigura nemmeno se confrontato coi prodotti PS5 o XBox Serie X/S.

Eppure, nella lunga vita della saga, non sono mai venuti a mancare gli episodi a due dimensioni. Se nei primi anni 2000 questi giochi sono stati riservati alle console portatili (vedi ad esempio The Minish Cap e Link Between Worlds), con Switch abbiamo avuto dapprima il Remake di Link’s Awakening e, recentissimamente, il nuovo Echoes of Wisdom.

Entrambi questi giochi fanno del loro gameplay e del divertimento derivato dalla risoluzione degli enigmi il loro punto di forza. Echoes of Wisdom, in particolare, grazie al suo innovativo sistema di gestione degli oggetti, ha saputo regalare un’avventura fresca, coinvolgente e divertentissima, che, personalmente, ho apprezzato persino più di Tears of The Kingdom. In generale, questi giochi sono stati recepiti molto favorevolmente, mostrando che l’amore dei fan per le avventure con quest’impostazione è tutt’altro che esaurito.

Divertimento e Indies

Se esiste un ambito in cui da sempre divertimento e originalità hanno prevalso su grafica e spettacolarità, quello è certamente il mondo dei giochi Indy. Gli appassionati di questo genere, infatti, sono quasi sempre alla ricerca di idee nuove, scelte artistiche originali e, soprattutto, un gameplay divertente e innovativo.

Giochi come Hollow Knight, Undertale o il recente Balatro non devono certamente il loro successo al fotorealismo. A far innamorare i giocatori di questi titoli è stata proprio la passione di cui sono permeati, che ha permesso la creazione di giochi dalla fortissima personalità e in grado, ancora una volta, di offrire tonnellate di divertimento e coinvolgimento.

Un trionfo inatteso

Concludiamo la nostra riflessione con il fresco vincitore degli Awards, ovvero Astro Bot. Il gioiellino di Team Asobi presenta indubbiamente una grafica di altissima qualità e una realizzazione tecnica ineccepibile. Tuttavia, non è questo ciò che gli ha permesso di conquistare i cuori dei giocatori e di riuscire a superare giochi come Black Myth: Wukong o Final Fantasy VII Rebirth.

A sancire il successo del piccolo Astro sono stati anzitutto il meraviglioso sistema di controllo e l’incredibile varietà di ambientazioni e situazioni che il nostro robottino si trova via via ad affrontare. Anche l’amore mostrato dagli sviluppatori per la storia della Playstation e dei suoi franchise più famosi ha certamente contribuito. Di nuovo, dunque, la passione e il divertimento hanno avuto un peso maggiore rispetto a alla perizia tecnica.

Conclusione

Per concludere, con questo articolo non vogliamo assolutamente negare l’importanza della qualità della grafica. Essa è parte integrante dell’evoluzione tecnologica che da sempre caratterizza il mondo dei videogiochi. Giochi come Stellar Blade, ad esempio, non avrebbero lo stesso impatto senza una grafica spettacolare ed effetti visivi mozzafiato. Ci sono anche giochi, come ad esempio Detroit: Become Human che sono letteralmente costruiti intorno al fotorealismo, pur avendo nella trama il loro elemento centrale.

Tuttavia, non bisogna mai dimenticare che i videogiochi sono nati soprattutto per creare emozioni e divertimento. E questi non possono essere forniti solo grazie ad una bella grafica, ma sono il frutto della passione degli sviluppatori e della loro capacità di creare gameplay in grado di appagare i giocatori. Oltre ai giochi di cui abbiamo parlato, potremmo anche citare i tanti remake che sono stati prodotti negli ultimi anni, come ad esempio quella dedicata alla trilogia di Crash Bandicoot, o al terzo episodio di Wonder Boy.

In definitiva, divertimento e fotorealismo devono giocoforza essere entrambi coltivati e curati con attenzione, perché è soprattutto la qualità di questi due elementi a sancire il successo o il fallimento della maggior parte dei giochi.

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Editoriali

Live service: ascesa e declino dei videogiochi infiniti

Negli ultimi anni numerosi videogiochi live service hanno pesantemente deluso le aspettative. L’esempio più recente è la chiusura dei server di Multiversus, dopo solo un anno dalla sua uscita ufficiale. Ma ci sono diversi esempi eclatanti: basti pensare all’insuccesso di Suicide Squad: Kill the Justice League di Rocksteady o al tremendo flop di Concord, costato a Sony quasi 400 milioni.

Ma che cosa sono i giochi live service? E perché sembrano essersi trasformati da potenziali miniere d’oro a trappole mortali in grado di causare perdite ingenti ad ogni cassa videoludica? In questo articolo approfondiremo il genere e chiariremo le cause che hanno portato al fallimento di tanti progetti potenzialmente vincenti.

Definizione e origini

Per live-service, o games as a service, si intendono tutti quei giochi che ricevono in maniera costante aggiornamenti e contenuti aggiuntivi. Si tratta, di norma, di giochi che possono essere scaricati gratuitamente, ma che offrono tutta una serie di ulteriori servizi a pagamento.

Le origini di questo modello vengono individuate nei famosi MMOs (massively multiplayer online games). Giochi come World of Warcraft, infatti, mettevano a disposizione del giocatore un ampliamento costante della trama e delle missioni di gioco, ma necessitavano di un abbonamento mensile per essere fruiti.

Un altro esempio di questo tipo di gestione è il famosissimo Team Fortress 2. Lo sparatutto di Valve, uscito nel 2007, per tenere alto l’interesse dei giocatori, nel 2011 divenne free to play. Tuttavia, Valve decise di puntare a monetizzare sui pacchetti aggiuntivi che venivano via via inseriti con gli aggiornamenti. Questi contenuti erano tutti a pagamento e riguardavano di solito armi o equipaggiamenti vari.

Come si può intuire, il punto di forza del modello Live service riguarda la longevità dei giochi. Grazie al costante rinnovamento dei contenuti, l’attenzione dei giocatori viene sempre mantenuta costante, donando al gioco una durata potenzialmente infinita. Le fonti principali di guadagno per gli sviluppatori consistono nelle microtransazioni presenti all’interno del gioco e nei famosi season pass.

Questi ultimi consistono in una serie di contenuti extra, come nuove mappe, nuove armi o parte della trama, che diventano fruibili solo in seguito al pagamento da parte del videogiocatore. Molti live service permettono anche di acquistare vari crediti spendibili in seguito a piacimento. Si tratta, come si può intuire, di metodi di guadagno non proprio trasparenti. Soprattutto quando gli oggetti ottenibili non possono essere scelti ma vanno trovati in scrigni, pacchetti o particolari slot. In maniera analoga ai gacha games, queste forme di monetizzazione sono spesso state associate al gioco d’azzardo.

Un (apparente) grande successo

Nel corso del tempo, sono stati numerosi i titoli che hanno inserito al loro interno dinamiche live service. Il motivo è più che evidente: i guadagni. Grazie alle microtransazioni e ai pass, infatti, questo genere di giochi ha guadagnato cifre davvero importanti, spesso anche superiori alle vendite dei titoli più blasonati.

Un primo esempio è la serie FIFA (oggi EA Sports FC), che, a partire dall’edizione 09, ha introdotto la famosissima modalità Ultimate Team. Per la cronaca, si tratta di una modalità in cui il videogiocatore può creare la sua squadra dei sogni tramite l’acquisto di una serie di pacchetti che possono dare accesso ai giocatori più forti.

Inutile dire che, per poter mettere le mani sui giocatori migliori prima degli altri, è necessario spendere grandi cifre nell’acquisto dei suddetti pacchetti. La modalità FUT ha finito col diventare un vero gioco all’interno del gioco, monopolizzando sia l’attenzione dei giocatori sia il ciclo di denaro, visto che EA guadagnava molto più dal flusso delle transazioni nel FUT che dalla vendita del gioco.

Anche Konami si è adattata al modello imposto da EA, trasformando la sua simulazione calcistica, Efootball, in un free to play, anch’esso incentrato su una modalità che consente al giocatore di costruire la sua squadra dei sogni tramite una serie nutritissima di pacchetti ed espansioni.

I due titani

Se si parla di giochi Live service, sono certamente due i giochi che più di ogni altro hanno fatto parlare di se. Mi sto naturalmente riferendo a Fortnite di Epic Games e a Genshin Impact di MiHoyo.

Il primo è uno sparatutto free to play, reso famoso soprattutto dalla modalità battle royale. In essa ben 100 giocatori si sfidano in una lotta tutti contro tutti fino alla vittoria dell’ultimo superstite. Fortnite deve la sua popolarità soprattutto alla sua accessibilità e al suo essere fruibile su praticamente ogni piattaforma esistente.

All’interno del gioco le microtransazioni riguardano soprattutto elementi di estetica, personalizzazione e, soprattutto, aggiornamenti. Fortnite ha infatti presentato numerosi season pass, che riguardano principalmente la modalità “Salva il mondo” (una sorta di modalità cooperativa che funge da storia principale).

Genshin Impact è invece un JRPG open world, in cui il giocatore deve allestire un team di 4 personaggi per affrontare le numerose quest presenti nel mondo. Il gioco è anch’esso disponibile su numerose piattaforme e riceve costanti aggiornamenti.

In questo caso, la maggior fonte di spesa per i giocatori riguarda l’ottenimento dei personaggi, che vengono rilasciati in appositi eventi ma che quasi sempre vengono sbloccati in maniera casuale e solo in seguito all’utilizzo dei denaro reale.

Il successo di questi due titoli e di altri con meccaniche affini, come ad esempio Call of Duty Warzone ha spinto gli sviluppatori a puntare moltissimo su questa tipologia di gioco, convinti che essa rappresentasse la nuova frontiera per quanto concerne i giochi di successo. Come vedremo, le cose non sono andate proprio così.

Dalle stelle alle stalle

Nel corso degli ultimi anni il mondo dei videogiochi ha visto una vera e propria ecatombe di giochi live service. Sono davvero molte le case videoludiche che, nel tentativo di attingere a quella che credevano una miniera di diamanti, si sono trovate tra le mani un’enorme manciata di carbone.

Oltre a Warner e al suo Multiversus, di cui abbiamo già parlato in apertura, possiamo citare ad esempio Square-Enix, che ha visto la chiusura sia di Babylon Fall che di Final Fantasy VII: First Soldier nei primi mesi del 2023. Oppure il già citato Suicide Squad: Kill the Justice League, titolo su cui Rocksteady aveva investito moltissimo e che si è rivelato un flop da addirittura 200 milioni di dollari. Altri esempi sono XDefiant di Ubisoft, Marvel’s Avengers di Eidos e Apex Legends Mobile di EA.

Persino Epic Games, casa creatrice di Fortnite, non ha saputo bissare il successo del suo gioco più popolare. Il bizzarro picchiaduro live service Rumbleverse, uscito nel 2022, su cui Epic sembrava riporre molta fiducia, ha chiuso i battenti dopo appena sei mesi.

Il caso più eclatante, tuttavia, è probabilmente quello di Concord. Questo First person shooter, sviluppato da Firewalk Studios e pubblicato da Sony, ha suscitato talmente tanto astio da parte dei videogiocatori da costringere gli sviluppatori ad annunciarne la chiusura già per il prossimo settembre, a poco più di un anno dalla sua uscita. E questo nonostante si trattasse di un progetto su cui Sony aveva investito moltissimo.

Le cause del fallimento

Non è certamente facile stabilire in modo oggettivo le cause di questi fallimenti. Uno dei principali è certamente da individuare nella saturazione del mercato. Fino a quando i titoli con un servizio live service erano pochi, per un giocatore risultava semplice trovare il tempo per dedicarsi ad essi con costanza. Questi giochi, infatti, costituivano un piacevole intermezzo e un divertente passatempo da portare avanti tra un gioco tripla A e l’altro.

Tuttavia, questo tipo di giochi finisce col portare via moltissimo tempo a coloro che scelgono di dedicarsi ad essi con costanza ed impegno. Per progredire in modo costante, occorre infatti giocare in maniera continuativa, vista l’uscita continua di aggiornamenti e nuovi season pass. Di conseguenza è difficilissimo riuscire a portare avanti più di un gioco live service alla volta. In questa situazione è chiaro che il giocatore darà sempre la precedenza a giochi che ormai conosce bene. Anche perché cambiare gioco significa rinunciare ad ore ed ore di esperienza di gioco e, spesso, a centinaia di euro investiti nel titolo e negli oggetti collezionabili.

Esiste poi, a nostro giudizio, anche un altro aspetto, ovvero la qualità intrinseca di questi titoli. Parliamo chiaro: giochi come Fortnite devono il loro successo alla loro accessibilità e all’aver saputo creare un mondo accattivante ed accogliente anche per i più piccoli. Il fatto di essere free to play, poi, li ha molto aiutati.

Se però si parla della qualità oggettiva di questi giochi, nessuno di loro può nemmeno lontanamente competere con la maggior parte dei giochi “tradizionali”, soprattutto con i cosiddetti tripla A. Il successo di un gioco come Astro Bot, dovuto interamente all’incredibile divertimento che ha saputo regalare, ha dimostrato che i videogiocatori ancora oggi sono più che disposti a premiare la qualità, anche per giochi dalla longevità limitata e dalla trama estremamente semplice.

Con questo non vogliamo assolutamente dire che tutti i giochi live service siano di qualità scadente. Marvel Rivals, per esempio, pur proponendo pochissime innovazioni rispetto al genere degli hero shooter, resta un gioco assolutamente ben realizzato e godibile. Tuttavia, resta il sospetto che il successo iniziale del modello live service abbia spinto molti produttori a sedersi sugli allori. Si è infatti creata l’erronea convinzione che progetti poco originali e dalla realizzazione frettolosa potessero portare facili guadagni solo in virtù della loro gratuità ed accessibilità.

In conclusione, l’evoluzione del mercato dei live service è la dimostrazione che, anche nel mercato dei videogames, la qualità batte la quantità. Questo genere di giochi può certamente rappresentare un divertente passatempo e attirare molti giocatori in cerca di svago. Tuttavia, questo tipo di giochi non potrà mai generare lo stesso coinvolgimento, le stesse emozioni e divertimento offerto da giochi a cui gli sviluppatori hanno dedicato anni e anni di lavoro e che possono sfruttare pienamente le tecnologie di ultima generazione.

Speriamo che quel che è accaduto al mercato negli ultimi anni serva di lezione alle case produttrici. Perché il successo, quello vero, è qualcosa che va sempre ottenuto col duro lavoro e soprattutto grazie alla passione, e alla volontà di stupire. Certo, i colpi di fortuna esistono. Ma un fulmine raramente cade due volte nello stesso punto.

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Editoriali

I Migliori Party Game da videogiocare nel 2025

Le festività sono terminate. Chi prima e chi dopo, tutti siamo dovuti tornare alla nostra quotidianità, fatta di studio, lavoro e impegni vari. Tuttavia, vogliamo riportarvi per un po’ con la mente alla spensieratezza delle vacanze. Per farlo abbiamo stilato una lista con i migliori party game già presenti (per ora), nel 2025, sul mercato. Siete tutti invitati alla festa: mi raccomando, non mancate!

Just Dance 2025

Party Game 2025: Just Dance

E partiamo dall’immancabile episodio annuale della saga musicale targata Ubisoft. Sebbene l’edizione 2025 non si differenzi in modo significativo dai predecessori, Just Dance presenta diverse frecce al suo arco e continua a essere uno dei migliori Party Game. Anzitutto una selezione di ben 40 brani diversi, che comprendono i successi di artisti come Dua Lipa, Miley Cyrus e Lady Gaga.

Inoltre, Just Dance 2025 propone un rinnovato aspetto grafico, con spettacolari sfondi 3d che rendono le coreografie ancora più coinvolgenti. Impreziosisce l’offerta una selezione di brani esclusivi, composti da Ariana Grande. Un appuntamento imperdibile per ogni amante della musica, nonché uno dei party games più accessibili ed in grado di coinvolgere un pubblico davvero eterogeneo.

Let’s sing 2025

Party Games

E restando in tema musicale, ecco il gioco karaoke targato Voxler e Plaion. Sebbene non sia popolare quanto in Giappone, è innegabile che il karaoke sia sempre stato un passatempo decisamente coinvolgente, anche grazie al successo dei talent show.

Let’s sing propone un enorme numero di canzoni (ben 150 contando quelle del pass), che includono brani di stelle quali Ed Sheeran, Jung Cook e Benson Boone. Le sfide sono disposte in base al livello di difficoltà, in modo da non umiliare troppo i principianti e allo stesso tempo mettere alla prova i più abili nel canto. Molto interessante la possibilità di utilizzare il nostro smart phone come microfono. Se in famiglia amate cantare, questo è il party game che fa per voi!

Super Mario Party Jamboree

Party Game 2025: Super Mario Party Jamboree

Quando si parla di Party Game, è innegabile che Nintendo e la sua Switch dominino quasi incontrastati. Da 1,2,3 Switch, passando per Switch Sport fino all’intramontabile Super Mario Kart, sono davvero tantissimi i giochi Nintendo a prestarsi perfettamente a fare da animatori delle nostre feste.

Tuttavia, nessun gioco è più adatto a fungere da rappresentante Nintendo in questa classifica dell’ultimo esponente della saga di party games per eccellenza, ovvero Super Mario Party. ecco quindi a voi l’ultimo episodio della saga, denominato Jamboree. Il termine, originario del mondo degli scout, significa letteralmente marmellata di ragazzi. E il nuovo Mario Party è proprio questo, ovvero un abbuffata di giochi in compagnia!

Jamboree presenta ben 7 tabelloni, la bellezza di 112 minigiochi e una modalità online in grado di far competere ben 20 giocatori alla volta. Il tutto condito da un comparto tecnico aggiornato, davvero piacevole sia da vedere che da ascoltare e dall’enorme giocabilità e divertimento che da sempre contraddistinguono i giochi dedicati a Mario. Stanchi di tombolate e noiose sfide a Monopoli? Jamboree è proprio quel che fa per voi!

The Jackbox Megapicker

Sempre parlando di serie longeve, la saga di Jackbox Party non ha davvero nulla da invidiare a Mario Party. Nata nel 2014 e giunta alla sua decima incarnazione, questa serie di party games targata Jackbox Games è ormai divenuta un appuntamento annuale fisso per gli amanti del genere.

Forte di un’estetica originale e colorata, di un’enorme varietà di sfide e soprattutto di un’estrema semplicità, Jackbox party ha saputo coinvolgere e divertire un numero enorme di giocatori, grazie soprattutto al fatto che la serie è disponibile su praticamente ogni tipo di device, dai dispositivi Android a tutte le maggiori console.

Abbiamo inserito qui la versione Megapicker, che consente di scegliere liberamente qualunque dei minigiochi presenti nei vari pack. Basta davvero poco per iniziare una partita. Sono infatti sufficienti un telefono e una connessione internet. Ma una volta incominciato, smettere è dannatamente difficile!

Nintendo Switch Sports

Sebbene Switch Sport sia uscito nel 2022, Nintendo ha saputo aggiornare ed ampliare costantemente il suo party game sportivo rendendolo interessante e divertente anche nel 2025. Proprio quest’anno il gioco ha ricevuto un sostanzioso bonus gratuito con l’inserimento del basket, che affianca tennis, golf, bowling, chanbara, volley, calcio e badminton.

Fin dai tempi della WII, la serie sportiva di Nintendo ha sempre saputo coinvolgere ed intrattenere giocatori di ogni genere ed età, grazie alla sua accessibilità e al suo gameplay semplice ma anche dannatamente competitivo, in grado di accendere l’animo agonistico di praticamente chiunque.

Ognuna delle specialità del gioco risulta ben pensata, semplice da imparare e coinvolgente, oltre a risultare fedele, anche se alla lontana, allo sport da cui è tratto. Se avete una Switch, switch Sports è un acquisto quasi obbligato se amate giocare in compagnia.

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News

Multiversus chiude: i giocatori non la prendono bene

Poche ore fa Warner Bros. Games, tramite il sito ufficiale di Player First Games, ha annunciato l’imminente chiusura dei server dedicati a Multiversus. La quinta stagione, la cui chiusura è prevista per la fine di maggio, sarà dunque l’ultima. I giocatori potranno continuare a giocare, ma solamente in modalità offline.

Per chi non lo sapesse, Multiversus è un picchiaduro molto simile alla saga di Smash Bros. Ospita all’interno personaggi presi dall’intero universo delle licenze Warner, dai Looney Tunes fino agli eroi della DC passando per Game of Thrones.

La notizia, ufficializzata anche su X, ha destato forte stupore e anche parecchie perplessità. Multiversus è stato dapprima rilasciato come beta nel giugno 2023. In seguito è stato ritirato e solo successivamente rilanciato nel maggio 2024. A solamente un anno dalla sua uscita “ufficiale”, il picchiaduro platform della casa dei Looney Tunes sembra già essere giunto alla fine della sua corsa.

Come da immaginare, i giocatori hanno reagito molto male alla notizia. A suscitare le ire di molti è il fatto che, sebbene non esista più la possibilità di acquistare i materiali del gioco con denaro reale, Warner non ha previsto alcun rimborso per tutti coloro che avevano investito nel gioco.

La rabbia di molti utenti si è fatta sentire soprattutto sui social, dove sono comparse persino diverse minacce di morte rivolte agli sviluppatori. Il responsabile del gioco, Tony Huynh, ha tentato di rispondere alle critiche. Huynh ha sottolineato come la decisione presa sia stata dolorosa per il team di sviluppo e mettendo in luce tutte le difficoltà che un gioco come Multiversus portava con se.

Una notizia davvero triste, dunque, sotto molti fronti. Anzitutto per Warner Bros. Games, che si trova ad affrontare un periodo economico non proprio florido. Inoltre, questo flop mostra il poco appeal che il genere picchiaduro continua ad avere, almeno per gran parte del pubblico casual. Infine, l’insuccesso di Multiversus è l’ennesima prova che la scelta di puntare su progetti live service, percorsa da molti sviluppatori in seguito al successo di Fortnite, spesso non sia una soluzione così semplice e redditizia come appare.

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Recensioni

Final Fantasy VII Rebirth – Recensione

Siamo ormai a gennaio e da poche settimane si è concluso il 2025. Come sempre questo periodo, per la comunità videoludica, è caratterizzato soprattutto dai Game Awards. Tra i giochi ad aver ricevuto il maggior numero di candidature troviamo, forse un po’ a sorpresa, Final Fantasy VII Rebirth. L’avventura Square ha anche saputo conquistare uno degli ambiti premi, quello relativo alla colonna sonora.

Cogliamo l’occasione per regalarvi la nostra recensione, frutto di un esame lungo ed approfondito del gioco. Sebbene Final Fantasy VII Rebirth sia uscito da diversi mesi, si è infatti trattato di uno dei giochi più importanti dell’anno e l’uscita ormai prossima del gioco in versione PC è un’ottima occasione per tornare a discuterne. Recuperiamo la nostra fida Spada Potens e immergiamoci nell’avventura!

La storia continua… e si evolve

La trama di Final Fantasy VII Rebirth riprende subito dopo la fine di Remake, con il famosissimo flashback narrato da Cloud ai suoi compagni alla città di Kalm. Da qui in poi, la trama si dirama riproponendo tutti gli eventi che in Final Fantasy 7 occupavano il primo CD. Sebbene la storia resti fedele al gioco originale, Square Enix ha deciso, come prevedibile, di inserire diversi elementi aggiuntivi e anche di effettuare alcuni cambiamenti.

Purtroppo, non sempre le scelte degli sceneggiatori hanno incontrato il nostro favore. Un plauso meritano sicuramente gli approfondimenti delle vicende legate a molti dei personaggi meno importanti, come ad esempio Dio e Don Corneo. Anche le trame legate alle missioni secondarie sono nel complesso ben pensate e contribuiscono a caratterizzare meglio l’universo di gioco.

Sfortunatamente, i cambiamenti inseriti nella trama generale non sono stati, a nostro giudizio, all’altezza del progetto. Soprattutto la parte finale inserisce tutta una serie di nuovi elementi che, oltre a risultare piuttosto confusionari, se mal gestiti nel prossimo capitolo, rischiano di stravolgere eccessivamente la storia originale. Senza fare troppi spoiler, basti sapere che Rebirth introduce l’ormai abusatissima idea di un multiverso costituito da tante realtà parallele.

A peggiorare le cose vi sono anche una serie di scene davvero troppo sopra le righe, come ad esempio quelle che coinvolgono le gigantesche Weapon. Intendiamoci, non siamo di fronte ad un disastro. La trama di Rebirth resta nel complesso bella ed appassionante e riesce a tenere viva l’attenzione anche dei veterani di Final Fantasy VII. I problemi di cui abbiamo discusso, tuttavia, impediscono alla storia di raggiungere le vette di eccellenza a l’ originale ci aveva abituati.

Una gioia per occhi e orecchie

Final Fantasy VII Rebirth

Partiamo da quello che è forse il maggior punto di forza del gioco, ovvero il suo comparto tecnico. Final Fantasy VII, sia dal punto di vista grafico che per quanto concerne il sonoro, è un’autentica meraviglia.

Square Enix è riuscita a regalare ai fan un mondo stupendo da guardare, realistico, coerente e più vivo che mai. Ogni elemento dell’enorme mappa di gioco di Final Fantasy VII Rebirth risulta infatti assolutamente credibile ed azzeccato e va a comporre uno degli open world più belli e divertenti da esplorare che abbiamo mai visto.

Ognuno dei continenti del gioco ha un aspetto e un paesaggio caratteristico e presenta dinamiche esplorative peculiari, quasi sempre legate ai simpatici chocobo. Tutti però risultano ugualmente magnifici da osservare. Anche i personaggi sono realizzati con grande cura e persino i vari abitanti delle città che andremo a visitare appaiono credibili e perfettamente inseriti nel mondo di gioco.

Come ci si poteva aspettare, Final Fantasy VII Rebirth mostra il meglio di sé durante le battaglie, che spesso si risolvono in uno spettacolare turbinio di luci ed effetti visivi mozzafiato, soprattutto durante l’uso delle invocazioni e delle abilità limite.

La colonna sonora, poi è un autentica meraviglia. Final Fantasy VII Rebirth presenta una serie di brani che, pur citando in maniera chiara il gioco originale, mantengono una loro forte originalità e caratterizzazione. Non mancano naturalmente anche alcune nuove tracce, che accompagnano i momenti più incalzanti della storia. Anch’ esse sono realizzate divinamente e si inseriscono perfettamente nell’atmosfera del gioco.

Particolarmente degna di nota è la musica che accompagna le nostre esplorazioni in quella che nell’episodio originale era la world map. Ognuna delle macro aree del gioco presenta infatti una diversa versione del tema originale di Final Fantasy VII, privilegiando un particolare passaggio del lungo brano.

C’è solo una piccola osservazione da fare. Se su PS5 Pro la grafica di Rebirth è un vero e proprio portento e mostra appieno il potenziale della macchina, le cose non vanno altrettanto bene su PS5. Qui infatti il motore grafico mostra il fianco più volte. Non solo gli sfondi talvolta perdono frame o risultano poco definiti, ma persino le espressioni e i visi dei personaggi in diverse occasioni perdono di definizione.

L’esplorazione in Final Fantasy VII Rebirth

Il gameplay di Final Fantasy VII Rebirth si svolge, fondamentalmente, in due fasi distinte: i momenti legati alla storia principale e l’esplorazione libera. Sebbene in queste due fasi la grafica e l’interfaccia di gioco restino identiche, l’esperienza del giocatore cambia completamente.

Le fasi legate alla storia sono molto simili a quanto visto in Final Fantasy VII Remake. Controllando uno dei personaggi del nostro party (di solito Cloud) dovremo recarci nei punti evidenziati sulla mappa, interagire con gli altri personaggi e seguire via via gli avvenimenti della trama del gioco. Queste fasi, sebbene più “guidate”, sono senza dubbio le più emozionanti e coinvolgenti del gioco.

Come già detto, gli eventi seguono in modo coerente quanto visto nell’originale FFVII, ma la storia viene enormemente espansa, approfondita ed attualizzata. Tutte le città che esploreremo hanno la loro particolare situazione, cha va ad intersecarsi con la politica delle due principali potenze del mondo, ovvero Midgar e Wutai.

Un mondo da esplorare

Oltre al comparto tecnico, l’aspetto più riuscito di Rebirth è indubbiamente l’esplorazione. Ognuna delle macro aree del gioco è estremamente vasta, caratteristica e divertente da esplorare. Le ambientazioni si sviluppano spesso anche in altezza ed in profondità, dunque sarà necessario visitare ogni angolo della mappa per essere sicuri di non aver tralasciato nulla.

Un grosso aiuto viene fornito, come anticipato, dai simpatici Chocobo. In ogni area è infatti presente una missione secondaria legata proprio ai mitici pennuti. Una volta completata, essa garantisce la possibilità di richiamare il nostro chocobo in ogni momento. A seconda dell’area, avremo a che fare con chocobo di colori differenti, dotati di abilità uniche. Ad esempio, il chocobo nero può scalare le pareti mentre quello azzurro è in grado di volare per brevi tratti. Inutile dire che vi sono numerose aree della mappa raggiungibili solo grazie ai nostri polli giganti.

Oltre ai chocobo, Cloud e soci possono contare anche su alcuni veicoli, nella fattispecie un fuoristrada, utile per esplorare il deserto di Corel e il Tiny Bronco, che fungerà da vera e propria nave per esplorare l’oceano. Anche le città risultano davvero ben realizzate e riescono ad essere fedeli alle ambientazioni originali e a risultare assolutamente moderne e al passo coi tempi. Proprio nelle città potremo accedere alla maggioranza delle missioni secondarie del gioco.

Tantissimo da fare

Oltre alla bellezza dell’ambientazione, un grande punto di forza di Final Fantasy VII Rebirth sta certamente nella qualità delle sue side quest. Nonostante la quantità di missioni presenti nel gioco sia elevatissima, Square Enix è riuscita nella difficile impresa di rendere questi compiti estremamente diversificati fra loro, evitando quella sensazione di ridondanza e noia che spesso affligge altri titoli open world.

Ogni area presenta una serie di missioni “standard”, legate al personaggio di Chadley, che prevedono l’attivazione delle torri, utili a sbloccare le porzioni di mappa nascoste, le cacce, la scoperta delle fonti Mako e gli altari degli Esper. Queste missioni sono legate al completamento dei dossier di Chadley, una sorta di enorme enciclopedia del mondo di Final Fantasy. Il completamento del dossier va a sbloccare anche una serie di scontri nella sezione battaglie simulate, tra le quali spiccano gli scontri coi giganteschi Esper. Ai fini dell’ottenimento della materia ad essi legata, gli Esper andranno sconfitti. Fortunatamente, sbloccando tutti gli altari è possibile accedere a scontri semplificati contro le nostre leggendarie invocazioni.

Un’altra categoria di missione molto interessante è costituita dai vestigi. Si tratta di compiti speciali, utili per sbloccare i resti di una misteriosa armatura. La cosa interessante è che ognuna di queste missioni è legata ad un particolare minigioco. Ad esempio, nell’area di Junon il nostro party deve cimentarsi in una versione moderna della battaglia di fort Condor, con tanto di personaggi super deformed quasi identici a quelli di FFVII!

Anche le varie missioni sbloccabili nelle città, denominate missioni tuttofare, sono nella maggior parte dei casi molto piacevoli e divertenti. Merita una missione anche Queen’s Blood, il gioco di carte collezionabili. Come avveniva in FF VIII e FFIX, Rebirth permette al giocatore di collezionare una serie di carte presenti in ogni città del mondo. Queste carte possono essere usate per sfidare altri giocatori. In questo modo otterremo nuove carte e potremo portare avanti la missione principale dedicata a questo minigioco.

Impossibile poi non citare il mitico Gold Saucer. Come i più già sapranno, si tratta di un gigantesco Casinò, nel quale i nostri eroi possono intrattenersi con tutta una serie di giochi a premi, tra cui spicca la corsa dei Chocobo, un vero e proprio gioco di corse in stile Mario Kart con campionati, corse e possibilità di scelta e personalizzazione dei Chocobo.

Tantissima carne al fuoco dunque e tutta di ottima qualità. Ci sentiamo di muovere una sola critica, legata proprio alle sovracitate missioni di Chadley. Il completamento del Dossier risulta infatti davvero eccessivamente lungo e macchinoso. Non sarà infatti sufficiente completare le varie cacce. Per sbloccare i combattimenti avanzati del simulatore il giocatore è costretto a riaffrontare numerose volte gli stessi mostri e in alcuni casi persino a soddisfare determinate condizioni. In un gioco tanto lungo e complesso, ci è sembrata una scelta eccessiva.

I combattimenti in Final Fantasy VII Rebirth

Final Fantasy non sarebbe Final Fantasy senza i suoi spettacolari combattimenti. Anche Rebirth, da questo punto di vista, non delude. Il gioco ripropone i combattimenti “ibridi” visti in remake. Una volta incontrato un nemico, i nostri personaggi si armano e la battaglia inizia immediatamente. Le sfide avvengono in tempo reale, con il giocatore che può sferrare attacchi, ricorrere all’abilità specifica del suo personaggio oppure mettersi in difesa per bloccare parte degli attacchi nemici.

Nel corso dello scontro la barra ATB va progressivamente riempiendosi. Una volta che una o più tacche sono piene, il giocatore, tramite apposito menù, può rinunciare alle frazioni di barra riempite per lanciare un incantesimo o ricorrere alle abilità ATB dei personaggi. Solo un personaggio alla volta viene controllato dal giocatore mentre gli altri sono utilizzati dalla CPU, ma è possibile passare in ogni momento da un personaggio all’altro.

Sebbene il Battle System risulti nel complesso efficace e divertente, abbiamo trovato i personaggi controllati dalla CPU fin troppo passivi. Raramente le loro azioni portavano al riempimento della barra ATB e spesso e volentieri siamo stati costretti a cambiare personaggio anche in momenti in cui ne avremmo fatto a meno. Non è nemmeno possibile fornire in maniera dettagliata istruzioni da seguire ai personaggi passivi. L’unica possibilità in questo senso è fornita dalla materia “automatizzante”, che fa in modo che i personaggi controllati dalla CPU attivino in automatico l’incantesimo associato una volta carico l’ATB.

Sono naturalmente presenti anche i comandi limiti e le invocazioni. I primi (due per personaggio) sono controllati da un’apposita barra, che va riempiendosi in base ai danni subiti. Le invocazioni invece possono essere evocate dopo il riempimento di un altro indicatore, legato al danno inflitto ai nemici. Una volta sul campo, come nel gioco precedente, è possibile controllarle passivamente utilizzando la nostra barra atb per attivare le loro abilità. Allo scadere del tempo, prima di congedarsi, il nostro esper scatena la sua tecnica speciale in un tripudio di luci esplosioni e danni.

Torna anche la meccanica della tensione. Infliggendo danni ai nemici e colpendo le loro debolezze, è possibile mandare il nemico in stato di tensione. Una volta che l’apposita barra sarà stata riempita, il nemico verrà stremato. In questa condizione il danno subito dai nemici verrà esponenzialmente aumentato.

Rispetto a Remake, Rebirth introduce gli attacchi sinergici. Sono particolari tecniche che possono essere eseguite da due personaggi in coppia. Alcune di queste abilità possono essere attivate in ogni momento della battaglia e consistono in semplici azioni combinate. Ad esempio Tifa è in grado di farsi lanciare in alto dai compagni in modo da poter attaccare anche i nemici volanti. Gli attacchi sinergici veri e propri invece necessitano dell’uso di alcune barre ATB e del soddisfacimento di alcune condizioni.

In definitiva, il combat systema di Final Fantasy VII Rebirth è davvero ricco, bilanciato e spettacolare. Unico neo è la sopracitata passività dei personaggi secondari. Tuttavia, si tratta più di un’impressione soggettiva che di un reale difetto del gioco, che non rovina minimamente il divertimento e la frenesia delle battaglie. Gli scontri coi boss, in particolare, come accadeva anche in Remake, raggiungono spesso vette di epicità notevoli, anche grazie al meraviglioso accompagnamento musicale.

Strategia e gestione dei personaggi

Come nel precedente gioco, la gestione delle abilità e dei potenziamenti dei nostri personaggi è ancora principalmente in mano al sistema delle materie. Per chi non lo sapesse si tratta di pietre magiche dai diversi colori. Ognuna di esse fornisce al nostro personaggio un potenziamento, sia esso una nuova abilità, l’accrescimento di una statistica, un incantesimo o un’abilità passiva.

Le armi e le armature che andremo ad assegnare ai personaggi dispongono di vari alloggiamenti per le materie. Dunque, in base alle nostre scelte, i nostri personaggi possono votarsi all’attacco e alla velocità piuttosto che alla cura dei compagni o all’uso degli incantesimi. Anche la scelta delle armi naturalmente, ancor più che delle loro statistiche, deve tener conto di quante materia possono alloggiare. Rebirth aggiunge comunque alcune novità.

Anzitutto, ogni arma dona al personaggio una nuova abilità, che si sblocca tramite il suo utilizzo ripetuto. Una volta padroneggiata, l’abilità potrà essere usata dal personaggio anche dopo che l’arma è stata sostituita. Inoltre, le armi donano anche alcune abilità passive. Sta al giocatore selezionare quelle che desidera attivare (la scelta di solito è tra due o tre abilità).

L’altra novità è la presenza dei manuali di guerra, che possono essere acquistati in alcuni negozi o sbloccati tramite il completamento di alcune missioni. Questi manuali sbloccano dei punti abilità che possono essere spesi all’interno di una sorta di diagramma per sbloccare varie abilità del personaggio. Questo sistema ricorda molto la sferografia di Final Fantasy X e dona un ulteriore tocco strategico al gioco, sebbene le scelte da operare spesso non siano così decisive nella definizione delle caratteristiche del nostro eroe.

La forza dei legami

Final Fantasy VII Rebirth

Ultimo elemento interessante del gioco è il livello di affinità che va a crearsi tra i personaggi. Parlando coi nostri compagni in determinate situazioni e svolgendo alcune missioni legate in modo particolare ad uno di loro, il giocatore ha la possibilità di accrescere il legame tra Cloud e i suoi compagni.

Come ricorderete, questo elemento era presente anche in Final Fantasy VII ed andava ad influenzare una famosa scena del gioco. Ebbene, la cosa si ripete anche qui. In base alle nostre scelte, Cloud rivivrà QUEL momento con un personaggio diverso (e credeteci, in un paio di casi la scena è davvero molto ben realizzata).

Oltre a questo, accrescere le affinità andrà anche a modificare vari dialoghi, permettendo un maggior approfondimento dei legami tra Cloud e gli altri personaggi. Sarà possibile accrescere l’affinità anche ricorrendo alle abilità sinergiche, ma si tratta di un processo davvero lungo e macchinoso.

Final Fantasy VII Rebirth in breve

In conclusione, Square Enix ha fatto davvero un ottimo lavoro. Questo secondo capitolo offre una versione moderna ed aggiornata della storia di Final Fantasy VII, che può essere apprezzata sia dai fan del gioco originale sia da chi non ha mai giocato un Final Fantasy.

Intendiamoci, non si tratta di un gioco perfetto. L’enorme quantità di cose da fare è sia un punto di forza che un difetto, poiché rende il completamento del gioco eccessivamente complesso. Per ottenere l’agognato platino sarà obbligatori o giocare il gioco più di una volta, oltre a completare per intero le missioni del dossier, davvero lunghe e macchinose.

Anche i cambiamenti effettuati sulla trama, come già detto, non ci hanno convinto. Sebbene sia comprensibile la decisione di modificare alcuni aspetti della storia, le modifiche inserite sono davvero caotiche e il ricorso a realtà parallele è sembrato fin troppo banale e scontato e rischia di creare un finale caotico e deludente.

Nel complesso comunque Rebirth è un’avventura davvero bella, tecnicamente all’avanguardia e divertente. Consigliamo assolutamente l’acquisto, soprattutto se disponete di una PS5 pro o di un PC sufficientemente potente.

Conclusione

Final Fantasy VII Rebirth è un’avventura enorme, stupenda da vedere, coinvolgente e divertente. Il tutto impreziosita da una colonna sonora eccezionale. Il battle system unisce in modo funzionale strategia e frenesia e la trama, nonostante alcune scelte discutibili, resta godibile e coinvolgente. Il mondo di gioco è vastissimo, ben caratterizzato e ricchissimo di cose da fare. Forse fin troppe cose, se si è amanti del completismo. Consigliamo sicuramente l’acquisto, soprattutto per quanto riguarda la versione PS5 Pro, tecnicamente ineccepibile.

Dettagli e Modus Operandi
  • Piattaforme: PlayStation 5, PS5 Pro, PC
  • Data uscita: 29/02/2024
  • Prezzo: 55,70 €

Ho giocato e completato il gioco su PlayStation 5.

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