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Il disastro di Cyberpunk 2077 farà bene ai videogiochi

La decisione di Sony di rimuovere Cyberpunk 2077 dal PlayStation Store è un terremoto che scuote il settore dei videogiochi ancor prima che CD Projekt. La società polacca non sarà particolarmente contenta di questo disastro, perché non sarà possibile acquistare il gioco in versione digitale nemmeno per chi avrebbe voluto giocarlo a Natale su PlayStation 5.

Tuttavia, ricordiamo che è stata CD Projekt per prima a chiedere che il gioco fosse rimborsato da chiunque ne facesse richiesta, anche perché forti delle otto milioni di copie vendute grazie ai preordini.

Questa volta è l’intero settore videoludico che ha subito le conseguenze di questa scelta, perché ha preso coscienza che l’industria non è ancora abbastanza matura. Paradossalmente, la rimozione di Cyberpunk 2077 dal PlayStation Store è una vittoria dei videogiocatori che hanno fatto sentire la propria voce e hanno dato inizio a una rivoluzione che dovrà necessariamente portare a una migliore gestione dei progetti videoludici.

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Cyberpunk 2077 è un disastro totale su PlayStation 4 e Xbox One.

I precedenti

Gli utenti PlayStation non hanno mai conosciuto questa sensazione, mentre i giocatori PC, che oggi sorridono per le ottime prestazioni che Cyberpunk 2077 sa fornire sui computer più potenti, hanno già provato questa delusione.

Batman: Arkham Knight è oggi ricordato come un capolavoro grazie alle versioni per PlayStation 4 e Xbox One, ma ci furono non pochi problemi su PC. Siamo nell’estate del 2015 e finalmente il nuovo capitolo di Batman arriva su console sotto gli scroscianti applausi di videogiocatori e critica. Purtroppo, arriva anche su personal computer, ma non con gli stessi risultati. Anche con le migliori configurazioni, il titolo cala fino a dieci frame per secondo e i driver pubblicati da Nvidia e AMD non risolvono i problemi di ottimizzazione. Di conseguenza, Steam apre ai rimborsi e rimuove il gioco dalla store digitale, così come fa subito dopo la catena inglese GAME per le versioni fisiche.

Il valore che oggi è attribuito a Batman: Arkham Knight anche su PC, fa ben sperare il team di sviluppo di Cyberpunk 2077 e ci auguriamo che gli sviluppatori di CD Projekt non provino mai il disastro dell’Atari nella crisi del 1983. In quel caso, il leader del mercato, Atari, aveva deciso di puntare forte sulle licenze cinematografiche senza tener conto della qualità dei giochi con sviluppi in tempi troppo stretti per poter tirar fuori qualcosa di buono. I risultati furono una quantità spaventosa di richieste di rimborso che portò al fallimento dell’azienda, che già aveva il fiato sul collo degli home computer e di una nuova realtà nipponica chiamata Nintendo.

Batman: Arkham Knight oggi è un capolavoro su tutte le piattaforme.

Da recensore, basta patch day one!

Ormai è prassi comune dei team di sviluppo pubblicare una patch al lancio di un nuovo gioco. Questa scelta ha due enormi problemi che mi auguro i danni che CD Projekt pagherà per il disastro di Cyberpunk 2077 possano finalmente risolvere.

Se guardo al mio essere recensore di videogiochi, le patch al day one non mi permettono di valutare il gioco per quello che effettivamente vedo. La maggior parte delle volte, bisogna decidere se dare fiducia agli sviluppatori, che ancor prima dell’arrivo sul mercato del titolo, hanno già promesso che fixeranno i problemi con una patch disponibile il giorno dell’uscita.

Visti i gravi danni arrecati da questa fiducia che Sony, Microsoft e tutto il settore videoludico hanno dato a CD Projekt, non posso permettere che voi possiate leggere qualcosa di falso tra queste righe. Se è capitato a Cyberpunk 2077, può succedere letteralmente a chiunque. Per questo, valuterò i giochi sempre per quello che sto vedendo, così come sempre fatto da me e da tutti gli altri ragazzi della redazione.

Da videogiocatore, basta patch day one!

Prendendo le parti dell’appassionato di videogame, invece mi dispiace per coloro che hanno preordinato il gioco su PlayStation 4 e Xbox One. Mi ritengo fortunato nell’aver deciso di preordinare il gioco su Google Stadia, ma comprendo come una cosa del genere possa capitare a tutti ed è totalmente ingiustificabile. Gli sviluppatori polacchi hanno espressamente detto che credevano di poter risolvere i problemi delle versioni old-gen prima del lancio ufficiale del gioco grazie alla correzioni al day one. Questa volta non è successo e tutti gli scheletri nell’armadio sono finalmente venuti fuori.

Così come i corporativi di Cyberpunk 2077, troppo spesso i publisher videoludici vivono di una supponenza che li rende non curanti dei danni arrecati agli utenti. Come già abbiamo visto con l’irrispettoso sconto a Immortal Fenyx Rising dopo pochi giorni dall’uscita, la gratitudine che le aziende danno a chi preordina i giochi è praticamente nulla. Di fatto, non sembrano esserci più reali motivi per non aspettare. Nell’era del digitale, basta cliccare su un pulsante per acquistare un gioco e poterlo addirittura giocare istantaneamente su una piattaforma in cloud.

Fallout 76 ha avuto un patch day one che pesava più dell’intero gioco.

Conclusione

Queste due motivazioni sono più che sufficienti per giustificare una presa di posizione da parte degli utenti. In quanto videogiocatori paganti, abbiamo il diritto di chiedere che i titoli che arrivano sul mercato siano adeguatamente testati su tutte le versioni in uscita. Non pretendiamo che i videogame siano perfetti, ma non è concepibile dover assistere ad aberrazioni come Fallout 76, con una patch all’uscita più grande del gioco stesso, o vedere un Keanu Reeves sotto acidi nella versione PlayStation 4 di Cyberpunk 2077.

Non sono il primo a dirlo, ma mi auguro di essere l’ultimo. I preordini e gli acquisti al lancio non hanno alcun senso e le prove stanno nella delusione che provo ogni volta che decido di dare fiducia a un team di sviluppo. Però, non dobbiamo continuare ad autoflagellarci come se dovessimo espiare il peccato di voler giocare subito a un titolo. Facciamo pace con noi stessi e ammettiamo che il problema non siamo noi, ma un mercato drogato da promesse e strafottenza, che deve essere rimesso in riga. Con il disastro di Cyberpunk 2077, abbiamo capito che la nostra voce può rivoluzionare il settore e abbiamo urlato che non vogliamo vivere in un mondo distopico.

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Immortals Fenyx Rising in offerta: perché è ingiusto

Immortals Fenyx Rising è in offerta: 40 euro, a più o meno una settimana dal lancio. Ottimo per chi vuole comprarlo, devastante per chi lo ha già acquistato. Non si tratta di rivenditori inaffidabili che operano in una zona “grigia” della legge, ma di buona parte delle catene di elettronica/videogiochi, segno che non è una trovata aggressiva da parte di un singolo dettagliante per prevalere sui competitor. Al di là di ogni logica di marketing, questo taglio così netto oggi non ha senso di esistere. Non parlo a livello di convenienza, perché Ubisoft e tutti i rivenditori avranno dati a supporto di ciò, anche se ne dubito, ma proprio di correttezza.

Chi si è fidato e ha voluto dare credito al gioco pagandolo in anticipo probabilmente non lo ha ancora nemmeno finito, eppure è già disponibile a metà prezzo. E fosse un episodio isolato un utente se ne può anche fare una ragione: è stato sfortunato. Ma quando succede due volte nel giro di poche settimane, come già visto con Watch Dogs Legion, possiamo parlare di caso? Comprereste il prossimo Watch Dogs al day one sapendo che nel giro di poche settimane (o giorni) lo potreste trovare a metà prezzo? Probabilmente no.

La fine dell’anno è il periodo delle grandi offerte

Con il black friday e il Natale è inevitabile andare incontro a grandi offerte, ma nella maggior parte dei casi ci sono poche copie disponibili e, soprattutto, per un periodo limitatissimo. E succede lo stesso con i titoli nuovi, che però difficilmente scendono di prezzo così tanto, anche se si possono risparmiare mediamente quei 10-20 euro, in base alla versione. Quando si deve decidere la finestra d’uscita si valuta anche questo, e si tiene conto che qualche competitor uscito settimane prima può permettersi sconti tra fine novembre e inizio dicembre, visto che ha venduto presumibilmente già un buon numero di copie.

Anthem
Anthem: uno dei giochi più venduti del 2019, e probabilmente anche il prodotto più criticato dell’anno.

Facciamo finta che abbiate speso 70 euro per Watch Dogs Legion e 70 per Immortals Fenyx Rising: 140 euro in tutto. Ora potete prenderli insieme a circa 80 euro. Un bel risparmio, perché aggiungendo pochi euro avreste potuto averli entrambi. Ma c’è gente che ha assistito a tutto questo anche con Anthem, che secondo Forbes è il 15° gioco più venduto del 2019: avete sentito parlare di questo prodotto in maniera positiva? Avete mai letto qualche notizia che non parlasse di risultati al di sotto delle aspettative e di gamer delusi? No, eppure è nella top 20, davanti a Pokémon Spada, Resident Evil 2, Luigi’s Mansion, Days Gone e New Super Mario Bros. U Deluxe, segno che tanti lo hanno preordinato. Anche in questo caso EA è corsa ai ripari abbassando drasticamente il prezzo, indispettendo ancora di più chi si è fidato fin dai primi trailer.

L’abbassamento del prezzo è un procedimento lento e graduale

Quando viene messo sul mercato un videogioco bisogna tenere a mente che l’azienda ha la necessità di rientrare dei costi, milionari, per la sua produzione. Devono guadagnarci quindi gli sviluppatori che quotidianamente lavorano sul prodotto, il publisher, gli store e i distributori, a grandi linee. Più si vende, più si può ottimizzare il processo, e vale un po’ in tutte le industrie. Questo ciclo fa sì che un gioco che costa 70 euro al day one, nel corso del tempo possa scendere gradualmente di prezzo, fino ad attestarsi anche sui 10-20 euro: arrivati qui, tutti i costi sono presumibilmente rientrati e ci si può permettere un taglio del genere.

Questo procedimento però dura mesi o anni, non giorni. Il mio professore di marketing diceva che una volta che un prezzo scende (non per offerte flash) poi è difficile farlo risalire, perché la gente a quel punto istintivamente percepisce quel prodotto meritevole di una cifra più bassa. Se sappiamo che Ubisoft stessa è disposta a darcelo a 40 euro, perché dovremmo convincerci che debba essere pagato 70 euro?

Sapendo che in pochi giorni è sceso a 40 euro, Immortals Fenyx Rising è ancora un prodotto da 70 euro?

Conclusione

Un taglio del prezzo così drastico rompe inevitabilmente quel patto non scritto che c’è fra chi vende e chi compra. Io pago mesi prima un gioco che mi sembra ottimo, ma che ha ancora tutto da dimostrare, e merito rispetto per questo. Se la compagnia abbassa subito il prezzo non solo non vengo valorizzato, ma anche un po’ preso in giro perché chi arriva una settimana dopo ha anche la possibilità di trovarsi Immortals Fenyx Rising in offerta e averlo nella mia stessa finestra temporale. Di conseguenza perderò la fiducia in quel publisher, perché so che con un po’ di pazienza ho buone chance di trovarlo in offerta.

Se nel breve periodo questa strategia può essere efficace, perché più persone comprano il prodotto, nel medio termine la compagnia perde la credibilità: per chi ogni anno rilascia tanti videogiochi e può contare su franchise milionari, questo diventa un problema. Quello che sembrerebbe un torto all’utente è in realtà un torto che l’azienda fa a se stessa, perché potrebbe trovarsi i preordini diminuiti in maniera sensibile o peggio ancora, scoprire che tutti quei potenziali acquirenti sono in attesa di uno sconto che, a questo punto, credono inevitabile e doveroso.

Alla luce di quanto detto in questo articolo, a gennaio esce il remake di Prince of Persia, che già in estate non sembrava troppo entusiasmante a livello di grafica: vi sentireste tranquilli a comprarlo al day one? O questa volta aspetterete l’offerta come successo con Immortals Fenyx Rising?

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Cyberpunk 2077 in cloud: Stadia vs GeForce NOW

Cyberpunk 2077 è finalmente disponibile sul mercato dopo ben otto anni di attesa. Se su PC abbiamo potuto apprezzare la qualità grafica del nuovo open world di CD PROJECT, le versioni PlayStation 4 e Xbox One sono state tenute segrete fino al lancio, e adesso ne capiamo il motivo.

Le ormai old-gen stanno mostrando il fianco a tanti problemi di natura tecnica culminanti in drop di framerate, crash del gioco e l’impressione di essere completamente da soli in quella che sarebbe dovuta essere un’affollata Night City, a causa di una scarsissima presenza di personaggi non giocanti rispetto alle altre versioni dell’RPG.

Considerando la penuria di console next-gen e la popolarità di PlayStation 4, possiamo pensare che la maggior parte dei videogiocatori dovranno decidere se giocare un titolo in condizioni penose o aspettare delle patch che risolvano gli importanti problemi di ottimizzazione. Fortunatamente, in questo scenario desolante le piattaforme in cloud brillano.

Google Stadia ha ottenuto l’attenzione dei giornalisti grazie a una versione con una qualità molto vicina alle console next-gen, o comunque anche superiore alle cross-gen come PlayStation 4 Pro. Di conseguenza, sento l’esigenza di fare questo articolo per tutti i possessori di PlayStation 4 e Xbox One, che vogliono giocare subito a Cyberpunk 2077, ma non vogliono ovviamente comprare nessun’altra console che non sia PlayStation 5 o Xbox Series X, attualmente non disponibili.

Chi conosce il mondo del cloud gaming è cosciente che in Italia ci sono due principali competitor, in attesa di Amazon Luna. Stiamo parlando di Google Stadia e GeForce NOW. Se il primo è ormai un nome noto, la scelta Nvidia può non essere così conosciuta. Di conseguenza, vi spiegherò nel dettaglio la differenza tra le due piattaforme, così potrete scegliere al meglio dove giocare in cloud Cyberpunk 2077.

Requisiti minimi

Google Stadia e Nvidia GeForce NOW sono entrambi due servizi di cloud gaming. In poche parole, il vostro computer si collegherà a un server remoto e sfrutterà la vostra connessione internet per inviare i segnali di input prodotti dal vostro controller, o mouse + tastiera, mentre riceverà come output le immagini sullo schermo. Grazie alla tecnologia attuale, l’unico requisito necessario è una discreta connessione internet che, secondo i fornitori, deve avere:

Google StadiaNVIDIA GeForce NOW
Velocità download minima10 Mbps15 Mbps 
Velocità download minima per 4K (Stadia) 1080p (GFN)35 Mbps25 Mbps
Requisiti di connessione a paragone.

Purtroppo, la velocità di download non è sufficiente per garantire un ottimo servizio di cloud gaming, che necessita anche di una connessione stabile, che non perda pacchetti durante il trasporto. Infatti, la perdita di pacchetti significa perdere dei frame con conseguente scatti in-game, soprattutto nelle situazioni più concitate.

Test della connessione

Per capire se la vostra connessione è in grado di gestire una partita in cloud gaming, basterà collegarvi al sito Speedtest di Ookla e verificare la vostra velocità in download e il vostro ping. L’upload non è di nostro interesse. Se volete essere ancora più scrupolosi, vi consiglio di scaricare la versione “software” di SpeedTest, che vi mostra anche il jitter, che fornisce il ritardo di ricezione dei pacchetti.

A mio avviso, una connessione accettabile dovrebbe avere almeno 20 Mbps di velocità di download effettivi e un ping non superiore a 20 ms. Considerate, che mi sto tenendo abbastanza largo, perché personalmente ho avuto brutte esperienze di gioco con una connessione con 50 Mbps e ping inferiore a 15 millisecondi.

Inoltre, vi consiglio di dotarvi di cavo ethernet. Le connessione via cavo sono di gran lunga più stabili, ed essendo ancora agli albori del cloud gaming di massa, usare un cavo fa realmente la differenza. Per esperienza personale, ho riscontrato problemi di lag via Wi-Fi anche con una connessione da 400 Mbps con un ping pari a 8 millisecondi.

Infine, secondo uno studio che trova conferma nella mia esperienza personale, se siete vicini ai requisiti minimi, Google Stadia garantisce una maggiore stabilità rispetto a GeForce NOW. Come è ovvio pensare, Google possiede una quantità di nodi di gran lunga maggiore rispetto a Nvidia, che permettono prestazioni in condizioni pessime maggiori rispetto chiunque, o almeno fino a quando non vedremo all’azione la tecnologia Amazon anche in Italia.

Libreria

La differenza nella gestione della libreria è il principale motivo di differenza tra i due servizi.

Google Stadia è un vero e proprio “market” come Steam, Epic Games Store o GOG in cui comprate il gioco e potete giocarlo solamente in cloud. Questo significa che se domani, per un qualsiasi motivo, avrete una pessima connessione internet e un ottimo computer, non potrete giocare ai vostri titoli, perché il servizio funziona solo online.

D’altro canto, GeForce NOW usa i titoli che risiedono sulla vostra libreria Steam o Epic Games Store (e GOG solo per Cyberpunk 2077). Di conseguenza, GeForce NOW è un extra a un gioco che avete già acquistato e che, se volete, potrete giocare anche su un PC. Per esempio, se avete un PC di fascia alta nella vostra residenza, ma vi state per spostare in un’altra abitazione per le vacanze, e se avete una connessione dignitosa, potrete giocare il titolo in streaming e godervi Night City anche lontano dal vostro amato PC, che sfrutterete al vostro ritorno.

Qualità Video

La qualità video dei due servizi dipende dall’architettura che ci sta dietro.

GeForce NOW installa Cyberpunk 2077 su un PC remoto, lo avvia, recupera i dati dalla vostra libreria online come Steam e vi fa godere il gioco in un PC di fascia alta. Questo significa che giocherete a Cyberpunk 2077 su un PC in cui potrete modificare le impostazioni grafiche e attivare la famosa tecnologia Nvidia, il Ray-Tracing (RTX).

Data la clamorosa differenza qualitativa di Cyberpunk 2077 tra PC e console, l’opzione proposta da GFN è molto allettante, ma bisogna tener conto che la risoluzione massima proposta da Nvidia è 1080p. In altre parole, niente 4K.

L’architettura di Stadia, invece vi fa giocare a un vero e proprio porting del gioco ottimizzato per delle macchine linux adibite ad hoc. Questa scelta implica che la versione che state giocando non è né PC, né console, ma una versione stand-alone che nel caso di Cyberpunk 2077 è molto vicina alle console next-gen in termini di qualità grafica.

Il pregio è che Google ha previsto il supporto per il 4K, mentre non è ancora disponibile il Ray-Tracing, che comunque ha promesso in futuro per Cyberpunk 2077. Inoltre, gli aggiornamenti del titolo potrebbero arrivare un po’ in ritardo rispetto alla versione PC. Fortunatamente, il gioco è stato reso disponibile nella versione 1.02 così come le altre versioni, ma siamo sempre nelle mani del publisher che deve comunque preparare delle patch specifiche per la piattaforma Google.

In sintesi, GeForce NOW è consigliato per chi ha un schermo Full HD, perché potrete attivare il Ray-Tracing e godere di tutta la qualità della versione PC, mentre chi ha una TV in 4K potrebbe pensare di sfruttare questa feature con Google Stadia.

Da tenere in mente che l’RTX su GeForce Now e il 4K su Stadia sono disponibili solo nei rispettivi abbonamenti a pagamento. Inoltre, se Stadia permette di giocare a Cyberpunk 2077 gratuitamente in 1080p senza RTX, GFN nella sua versione gratuita permette un 1080p senza RTX con sessioni dalla durata di un’ora. Scaduto il tempo, dovrete uscire e rientrare.

Google Stadia Premiere Edition

Sono un grande estimatore di GeForce NOW di cui ho l’abbonamento Founders, ma ho scelto di giocare Cyberpunk 2077 su Google Stadia per sfruttare un’importante offerta speciale. Chiunque acquisti Cyberpunk 2077 entro il 18 dicembre riceverà gratuitamente Google Stadia Premiere Edition, dal valore di 99 euro. Il kit è composto da Chromecast Ultra e Joypad Stadia per giocare sulla TV con performance maggiori rispetto alla versione browser.

Conclusione

Le due offerte sono abbastanza variegate da giustificare dei dubbi non banali su quale piattaforma scegliere. Di conseguenza, dipende molto dalle vostre esigenze da videogiocatore. Personalmente, vi invito a riflettere sulle seguenti domande e classificarle per priorità:

  • La mia connessione arriva appena ai requisiti minimi? Se sì, Google Stadia è la scelta principale.
  • Voglio la massima qualità grafica e la libertà di personalizzazione tipica dei PC? GeForce NOW è la vostra scelta.
  • Ho una TV 4K? Google Stadia.
  • Utilizzerò ancora i servizi in streaming dopo Cyberpunk 2077? Se sì, Google Stadia Premiere Edition è un’opportunità da non perdere.
  • Vorrei recuperare tanti giochi spendendo poco (ad esempio, The Witcher 3 in sconto su Steam o i giochi gratuiti di Epic Steam Games), ma non ho una piattaforma all’altezza. GeForce NOW vi permette di farlo su tanti giochi (ma non tutti).

E voi, dove state giocando Cyberpunk 2077?

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Tra PlayStation 5 e Xbox Series X, ho scelto di aspettare

Dopo sette anni dall’uscita di PlayStation 4 e Xbox One, l’ottava generazione di console sta per lasciarci e mai come ora c’è grande incertezza nel mondo delle piattaforme da gioco. Fino ad oggi, la parola d’ordine è stata, impropriamente, console war. Dopo aver provato per quasi un ventennio a raggiungere il successo di PlayStation, Microsoft ha deciso di cambiare strategia proponendo agli utenti l’Xbox Game Pass in contrapposizione alle esclusive Sony. La nona generazione non è più un mix tra hardware e fede, ma si tratta di decidere che tipi di giocatori si vuole essere. Per questo motivo, mi prenderò un po’ di tempo per scegliere.

Tra le esclusive di PlayStation 4 ci sono capolavori.

Cerchiamo di essere sinceri con noi stessi. Abbiamo passato mesi e mesi ad ascoltare frasi fatte come i “12 teraflop della GPU di Xbox Series X” e “l’SSD di PlayStation 5”. Attualmente non possiamo sapere se queste scelte tecniche possano rendere una delle due console più potente dell’altra in termini assoluti, e fortunatamente la community odierna ha maggiore consapevolezza che si tratta solo di propaganda aziendale e baitclick della stampa specializzata. Chi ha deciso di preordinare una console next-gen lo ha fatto probabilmente con il cuore, perché chi ha amato PlayStation 4 non ha motivo di cambiare, mentre qualcun altro vorrà dare un’altra possibilità a Microsoft.

Mai come ora, chi ne ha possibilità, dovrebbe acquistare entrambe le console. Purtroppo, io ne devo scegliere una.

PlayStation 5 vs Xbox Series X

Sony PlayStation 5 ha argomenti che si chiamano God of War, Marvel’s Spider-Man Miles Morales, Gran Turismo, Horizon, Demon’s Souls, Ratchet & Clank, ed esclusive temporali come Final Fantasy XVI. D’altro canto, Microsot Xbox Series X|S offre un Game Pass semplicemente spaventoso. Infatti, come molti di voi si sono resi conto, acquistare una console è solo il punto di partenza, poi i giochi bisogna comprarli. Però, se il nostro modus operandi non prevede il day one a ogni costo, ma si limita a giocare il meglio tra le offerte della generazione, anche aspettando, allora l’Xbox Game Pass fornisce un enorme risparmio e un catalogo che ci può permettere di scoprire tantissimi nuovi giochi di altissimo profilo.

Sony continuerà con il suo marchio di fabbrica, le esclusive.

Perdonatemi se mi soffermo ancora un attimo sull’offerta Xbox, ma PlayStation non ha bisogno di presentazioni. Come direbbero gli americani, il prodotto Sony corrisponde ai New York Yankees delle console e mai come adesso il brand PlayStation ha bisogno di un competitor che possa permettergli di spingere sull’acceleratore per fornirci il meglio che può offrire.

Quando parliamo di Xbox Game Pass, ci stiamo riferendo alla possibilità di ricevere, e forse non vedere mai su PlayStation 5, titoli come The Elder Scrolls VI, Fallout, Doom, e non dimentichiamo una serie capolavoro come Ori.

Microsoft punta all’ecosistema Xbox.

Perché aspettare

Come forse avete già intuito, se dovessi scegliere adesso comprerei una Xbox Series X e solitamente consiglio a tutti quelli che non hanno la necessità di giocare in 4K la vantaggiosa offerta chiamata Xbox Series S. Però, per fortuna, ci sono tre ragioni per non prendere ora questa decisione.

Il primo punto da tenere in considerazione sono i titoli in arrivo al lancio. Microsoft non sta offrendo nulla di interessante. Personalmente non mi piacciono né i soulslike (Demon’s Soul) né le mirabolanti avventure di Spiderman. Il mio gioco di fine anno sarà Cyberpunk 2077 e non ho necessità di una console di nuova generazione per giocarlo. Il secondo punto sono i problemi hardware che storicamente si sono verificati nelle passate generazioni. Tra ring of death e pessime esperienze personali con il Nintendo Gamecube, il day one non più una mia prerogativa né per i videogiochi né soprattutto per le console. Il terzo e più importante punto è semplicemente aspettare per vedere come vanno le cose.

I “quattro” di Capcom Five

Per tornare al Gamecube, i Capcom Five, i cinque grandi titoli in esclusiva Nintendo, avevano infervorato i fan, ma poi gli scarsi risultati costrinsero molte terze parti a non poter collaborare con l’azienda di Kyoto. Dubito che questo caso limite possa capitare oggi a Sony e Microsoft, ma se effettivamente il famoso SSD di PlayStation 5 o la potenza di fuoco di Xbox Series X|S possono fare la differenza, conviene saperlo prima di acquistare la console, non dopo.

Conclusione

Ora che ha poco senso parlare di console war, ho deciso di valutare l’acquisto di una console next-gen intorno a marzo 2021 quando probabilmente il rodaggio della console sarà terminato e, se necessario, le case produttrici dovrebbero mettere in vendite nuove versioni esenti da difetti. Chi ha voglia di attendere un po’ di più, potrebbe aspettare il primo inevitabile calo di prezzo, ma in questo caso il mio interesse non è economico ma razionale, perché le console ci accompagnano per più di un lustro ammortizzando largamente i costi. Infine, ci sono buone possibilità che quella che sta arrivando sarà l’ultima generazione di console su cui metteremo le mani e voglio limitare al minimo la perdita delle emozioni e sensazioni che ci porterà.

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Amazon Game Studios, una breve storia di insuccessi

La cancellazione di Crucible continua la serie di batoste che il mercato videoludico sta infliggendo alla breve storia di Amazon Game Studios. Il colosso di Jeff Bezos sta diversificando i suoi investimenti anche grazie al mercato dei videogiochi, ma i risultati sono molto deludenti.

L’inizio

Amazon Game Studios nasce il 7 agosto 2012, come casa di sviluppo di giochi casual per Amazon Appstore e Facebook. L’idea del gigante delle vendite online è investire gradualmente sul mercato dei videogiochi che stava cominciando a portar dentro tanti soldi.

Rispetto a quanto succede con gli altri media, quando una grande corporazione entra nel mondo dei videogame, c’è curiosità, ma anche molto scetticismo. Come già dimostrato dalla scarsa appetibilità di Google Stadia, il mondo videoludico si forma attorno una spietata concorrenza e un pubblico che è in grado di valutare la qualità del prodotto. In altre parole, non basta chiamarsi Amazon o Google per avere successo.

Airport Mania: First Flight (Amazon Game Studios), ho amato questo gioco.

Nel 2014, Amazon decide di fare sul serio: acquista Twitch per 970 milioni di dollari e assume per la sua casa di sviluppo nomi di un certo spessore.

La prima sviluppatrice è Kim Swift, che si è fatta una certa fama come game designer in Valve grazie a Portal e Left 4 Dead. Swift è stata inserita da Fortune nella speciale classifica delle “30 persone più influenti dell’industria dei videogiochi (under 30)”. Il secondo è Clint Hocking, creative director di Far Cry 2 e game designer per Tom Clancy’s Splinter Cell.

Kim Swift e Clint Hocking
Kim Swift (a sinistra) e Clint Hocking (a destra).

La politica di Amazon Game Studios segue la filosofia aziendale. A capo dei progetti ci sono persone giovani, talentuose e soprattutto ambiziose, come gli annunci fatti dalla casa di sviluppo due anni dopo. Durante il TwitchCon del 2016, lo studio rivela tre titoli che avrebbero dovuto trainare la compagnia all’interno del settore dei giochi Tripla A. Si tratta di tre giochi pensati per il multiplayer online: Breakaway, Crucible e New World.

La scelta più logica dopo l’acquisto di Twitch è ovviamente sviluppare giochi per la community online. Purtroppo, l’intrattenimento videoludico multiplayer è un mondo difficile e pieno di concorrenza. Lo sanno bene i competitor di World of Warcraft, Counter-Strike e League of Legends. Una volta stabilito un monopolio, questo può continuare per decine di anni.

Breakaway

Non sappiamo quanto i piani alti di Amazon conoscessero queste regole di mercato, ma sicuramente se ne sono resi conto durante l’E3 2019. Durante l’estate 2019, Jason Schreier anticipò il dramma in casa Amazon Game Studios. Decine di sviluppatori sono stati licenziati e tre giochi sono stati cancellati. Ad oggi, conosciamo solo uno dei tre giochi cancellati, probabilmente perché gli altri due non erano stati ancora annunciati. Si trattava di Breakaway.

Breakaway, sviluppato fino al 2017 dai veterani di Double Helix (Killer Instinct), doveva essere un brawler competitivo 4vs4 con visuale in terza persona. Chi ha avuto modo di provare la versione Alpha del gioco, lo ha definito come un MOBA con meccaniche profonde, a metà tra Rocket League e League of Legends.

Evidentemente i feedback positivi da parte della critica non sono stati sufficienti per salvare Breakaway, che fu messo prima in pausa nel 2017 e poi, come già detto, cancellato nell’estate 2019.

Crucible

A distanza di un anno dalla debacle di Breakaway, Amazon Game Studios ha ancora in progetto due ulteriori titoli di punta: Crucible e New World.

Crucible, ormai possiamo usare i verbi al passato, è stato uno sparatutto online free-to-play che ha vissuto una storia tanto strana quanto veloce nella sua esecuzione. Gli eventi narrati sono avvenuti nell’arco di sei mesi e hanno decretato la nascita e la morte del titolo.

Crucible esce ufficialmente il 20 maggio 2020, ma i risultati sono ben lontani da quelli sperati. Il titolo, a pochi giorni dal lancio, raggiunge un massimo di diecimila utenti collegati contemporaneamente. Un risultato molto scarno per un gioco gratuito, sviluppato in quattro anni e con un budget di centinaia di milioni di dollari.

Amazon non può che accettare la sconfitta e Crucible torna in closed beta il 1 luglio con un brutto presentimento. Infatti, non ci sono notizie del gioco fino al 9 ottobre 2020, quando Crucible viene ufficialmente cancellato.

https://twitter.com/YangCLiu/status/1265410746831290370

A differenza dei numerosi licenziamenti dopo la cancellazione di Breakaway, questa volta il team di Crucible entra a far parte di quello di New World, l’ultimo tentativo che ha Amazon Game Studios per risorgere dalle sue ceneri. Si tratta probabilmente del titolo più ambizioso di Amazon Game Studios che vuole cimentarsi in un mercato saturo e con meno appeal rispetto a dieci anni fa, quello degli MMORPG, monopolizzati attualmente da uno stanco World of Warcraft.

Conclusione

Dopo l’acquisizione di ZeniMax (Bethesda) da parte di Microsoft, le parole di Satya Nadella, CEO della stessa Microsoft, vengono lette come una scelta aziendale:

Non puoi svegliarti un giorno e dire: “Fammi costruire uno studio”.

Satya Nadella

Rispetto a Microsoft, Amazon non la pensa così, ma non ne sta raccogliendo i frutti. Anzi, possiamo dire che la sua migliore scelta nel mercato dell’intrattenimento videoludico è l’acquisizione di Twitch.

Bisogna sottolineare che le sconfitte fanno parte del percorso di crescita e Amazon Luna, il servizio di cloud gaming appena lanciato dal colosso americano, dimostra che Jeff Bezos ha un forte interesse verso i videogiochi.

Personalmente ritengo che Amazon ha tutta la forza necessaria per imporsi sul mercato con le sue infrastrutture hardware (Amazon Luna) e software (Twitch), ma creare un videogioco è tutta un’altra cosa e Amazon Game Studios ora lo sa.

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La localizzazione di videogiochi è una cosa seria

Tradurre o non tradurre? O meglio, quali sono gli elementi che bisogna tenere in considerazione per prevedere la localizzazione di videogiochi o un qualsiasi altro prodotto multimediale? È una questione annosa e, ciclicamente, torna sotto i riflettori. Come nel recente caso di Baldur’s Gate III.

Questa volta il problema torna alla ribalta con un titolo attesissimo, Baldur’s Gate III, per il quale più generazioni di fan e videogiocatori aspettano impazientemente di metterci mano. Purtroppo però, per gli utenti italiani non è prevista la localizzazione al rilascio in Accesso Anticipato, previsto per il 6 ottobre dopo l’ennesimo posticipo.

Ad aggravare la situazione, un errore di comunicazione commesso dalla Larian Studios, che in precedenza aveva fornito indicazioni diverse riguardo la traduzione del gioco. Questa ammissione di responsabilità, di per sé lodevole, è stata da molti interpretata come una “ritrattazione” e ha fomentato gli animi in generale e le malelingue in particolare. Di fatto, “giocare” con una lingua significa in questo caso occuparsi di quasi 46.000 righe di dialogo e, fidatevi, non è affatto uno scherzo.

Larian Studios ha capito che era il caso di cambiare nome su Twitter

War never changes: lotte intestine… da sempre

Facendo un passo indietro, l’eterna guerra dei “puristi” è sempre esistita, in tutti gli ambiti e piattaforme e sulle questioni più disparate: Windows o Linux? Internet Explorer o Netscape? PC o Console? Xbox o Playstation? Hulk o La Cosa? E infine, si fa per dire: videogiochi in italiano, sempre e comunque, o meglio giocarli in lingua originale?

In questo ambito, le due tipiche posizioni estreme, spesso espresse con toni di piccata sufficienza se non addirittura di offesa, sono le seguenti:

  • “do dei soldi per comprare un gioco e lo voglio in italiano, senza dover impazzire con l’inglese”.
  • “Io l’inglese lo so e non ho problemi nel giocare in lingua, sono gli altri a doversi adattare”.

Poi esistono altri punti di vista, ben argomentati, più tolleranti e dai toni neutri; ma solitamente passano in secondo piano.

Prima di esprimersi sulla questione, può valere la pena riflettere su alcuni elementi che ruotano attorno alla localizzazione di videogiochi…

Browser War: Internet Explorer vs Netscape

Dipendenza dalla lingua

Semplificando molto, potremmo dire che la quantità di testo e dialoghi definisce quella che è la dipendenza dalla lingua. Più testo c’è, più la dipendenza dalla lingua è elevata, maggiormente sentita sarà l’esigenza di una localizzazione per fruire al meglio del prodotto.

Più o meno direttamente, anche il genere del videogioco e il target di riferimento contribuiscono (o meno) alla dipendenza della lingua. Per intenderci, uno sparatutto dove spesso occorre blastare qualsiasi cosa ci si pari di fronte, potrebbe necessitare di due righe di ambientazione e trama per convincerci a imbracciare un’arma contro i cattivi di turno.

Unreal (1998), alcuni videogiochi non hanno bisogno di localizzazione
Unreal (1998), alcuni videogiochi non hanno bisogno di localizzazione

Completamente diverso è il caso di un videogioco di ruolo con ambientazione, storia, popoli, miriadi di missioni, personaggi e dialoghi. A titolo di esempio (storico), Unreal del 1998 è perfettamente giocabile anche senza localizzazione; non proprio la stessa cosa si può dire per Fallout del 1997, che peraltro ricorre largamente allo slang e utilizza particolari stili espressivi nei dialoghi con i supermutanti e i ghoul.

È lecito però osservare che oggi le cose sono un po’ cambiate: la dipendenza dalla lingua ha iniziato a prescindere dal genere, visto che, per ottenere dei prodotti coinvolgenti e che “sappiano di cinema” (elementi che ripagano in termini di mercato), quasi tutti puntano su una buona storia su cui ancorare il videogioco. E la storia va raccontata in qualche modo… e in qualche lingua!

Fallout (1997)
Fallout (1997), alcuni videogiochi hanno bisogno di una localizzazione.

Mercato

Un altro elemento imprescindibile è il mercato. Il videogioco è un prodotto d’intrattenimento che ha i suoi clienti (giocatori), dipendenti (progettisti, sviluppatori, designer, artisti a vario titolo, gestori del marketing), aziende di settore nel loro complesso, più tutto un universo di professionisti che vi ruota intorno, dai legali ai recensori. In tutto ciò, le aziende non sono sempre disposte o non hanno sempre interesse a spendere parte del budget destinato a realizzare un videogioco per localizzarlo in un paese dove non prevedono un adeguato ritorno di utili.

Naughty Dog, i videogiochi sono fatte da tante persone.
Naughty Dog, i videogiochi sono fatti da tante persone

Altre volte l’intenzione ci sarebbe (a prescindere “dai soldi”), ma non sempre si trovano gli accordi commerciali e legali per localizzare il prodotto. Tralasciando il doppiaggio, prevedere delle localizzazioni relative alla “sola” parte testuale, richiede l’impiego di ulteriori figure professionali, e quindi aumentano le spese, i tempi, e si introducono svariati fattori di rischio. L’importante è capire che abbattere la barriera linguistica ha sempre e comunque un costo. Tipicamente non trascurabile.

Prima di presentare ulteriori elementi di riflessione, vale la pena riprendere in mano il report di LocalizeDirect. L’italiano risulta essere sempre meno richiesto da parte degli sviluppatori nella localizzazione di videogiochi in quanto vedono il nostro mercato poco allettante. Di fatto, le richieste per le traduzioni in italiano (8%) sono minori di quelle per il tedesco (10,3%), il francese (9,8%), il giapponese (9,7%), il russo (9%), il coreano (8,9%) e lo spagnolo (8,7%). Di per sé l’8% non è un brutto numero, ma per un’azienda che decide di localizzare il suo prodotto in quattro lingue, l’italiano non è di sicuro la prima scelta.

Report di LocalizeDirect sulla localizzazione di videogiochi.
Report di LocalizeDirect sulla localizzazione di videogiochi

Lingua originale non significa lingua Inglese

Molti videogiocatori identificano il giocare in lingua originale col videogiocare in lingua inglese. In diversi casi ciò potrebbe corrispondere al vero, di fatto, le due espressioni non sono la stessa cosa. La si pensasse così, equivarrebbe più o meno a sostenere che la cover di un brano musicale sia di fatto il brano originale stesso.

Per capire meglio come stanno le cose, senza alcuna pretesa di completezza, è sufficiente portare un esempio. Molti di voi avranno giocato a Wiedźmin e si saranno sicuramente divertiti. Se non avete capito di cosa stia parlando, forse potrebbe aiutarvi sapere che mi sto riferendo a The Witcher. In verità, l’autore polacco della saga letteraria gli ha preferito la traduzione inglese “hexer” (mantenuta in altre opere), ma di fatto, il nome del videogioco di CD Project Red è diventato “The Witcher” (incorporando l’articolo “the”). Per chi non lo sapesse, nelle opere letterarie italiane il termine ufficiale per indicare Geralt di Rivia e i suoi colleghi è “strigo”.

Le copertine dei libri di Wiedźmin, il nome polacco di The Witcher.
Le copertine dei libri di Wiedźmin, il nome polacco di The Witcher

Giocare (o leggere) in lingua originale significherebbe pertanto giocare in polacco, non in inglese. In conclusione, giocare in inglese prevede l’uso di una localizzazione completa a tutti gli effetti, con i suoi pregi e difetti, scelte di adattamento, termini, modi di dire, espressioni e, sicuramente, errori. Sfatiamo dunque il mito che giocare in inglese significa giocare in lingua originale o che è sempre e comunque “meglio”.

Coloro che giocano in lingua inglese, includendo tutti i giocatori di altre lingue che sono disposti a farlo, rappresentano sicuramente il bacino di utenza maggiore e pertanto sarà sempre prevista una localizzazione in tale lingua. Come però già osservato, diverso è il caso per l’idioma italiano.

Fonte e qualità della localizzazione

Qualora venga prevista una localizzazione, per esempio in italiano, quale fonte verrà utilizzata? Si considera l’opera originale, magari scritta in una lingua per cui è difficile e costoso reperire traduttori competenti e preparati, oppure si ricorre a una fonte secondaria, già localizzata in altra lingua (inglese), più semplice ed economica da gestire?

Va da sé che derivare una localizzazione da un’altra (o da altre, in cascata) comporta inevitabilmente un elevato rischio di degrado e di errore: un testo inglese adattato da altra lingua potrebbe avere poco senso (o peggio venir travisato) quando portato in italiano, pur avendo una traduzione ineccepibile. Pertanto, la scelta della fonte, come pure il tatto, la tecnica, l’esperienza e la professionalità di chi ci lavora, sono tutti elementi che determineranno sia la qualità che il costo del processo di localizzazione. Infine, ci sono i gusti personali che possono avallare o compromettere qualsiasi scelta di traduzione o adattamento: ognuno ha la sua testa e la sua sensibilità e ci mancherebbe altro.

Personalmente, nel cinema non ho mai capito come si siano potuti concepire titoli quali “Unbreakable – Il predestinato” o “Eternal sunshine of the spotless mind – Se mi lasci ti cancello”, ma così è.

Unbreakable – Il predestinato
Unbreakable – Il predestinato

Conclusioni

Come osservato, portare un videogioco o un qualsiasi altro prodotto multimediale da una lingua a un’altra comporta sempre dei costi, dispendio di tempo (e probabili ritardi) e inevitabili compromessi su stili, proverbi, modi di dire, giochi di parole e termini di glossario. Nonostante tutto però, l’intera operazione costituisce indubbiamente un valore aggiunto che, oltre ad allargare il bacino di potenziali giocatori e la diffusione del titolo, aumenta l’immersività, l’immedesimazione, la verosimiglianza e la profondità dell’atmosfera.

In un videogioco, la lingua è un fattore che, insieme alla grafica, al comparto sonoro e al gameplay, ne influenza sicuramente l’esperienza di gioco.

A mio avviso è quindi sempre auspicabile disporre di videogiochi multilingua (che comprendano la propria lingua madre, ovviamente); sarà poi l’utente finale a SCEGLIERE come impostare la propria esperienza: in inglese, in lingua originale, o nella propria.

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Editoriali

Playstation 5 Preorder ha senso solo per gamer dormienti

I preorder di PlayStation 5 sono iniziati e, su Amazon, sono terminati dopo circa cinque minuti per esaurimento scorte. Sembra che tutti vogliono una PS5, ma solo in pochi hanno vere ragioni per effettuare il preorder.

Bisogna premettere che l’esaurimento dei preorder di PlayStation 5 non significa necessariamente un successo. Infatti, sicuramente il numero di pezzi disponibili era molto basso. Inoltre, il preorder su Amazon può essere cancellato fino a pochissimi giorni prima dall’uscita fissata per il 19 novembre, senza spendere neanche un euro.

Di conseguenza, è presto per dire se PS5 sarà un boom di vendite al day one. L’unica certezza è che in molti sono stati presi dalla febbre della next-gen e dovrebbero riflettere sui pro e i contro di questa scelta.

Prezzi PlayStation 5

Effetto WOW

Rispetto alla generazione precedente, la next-gen 2020 non porterà un salto tecnologico così evidente, quantomeno in termini prettamente grafici. Sicuramente i caricamenti saranno molto più brevi e, forse, sarà possibile sfruttare nuove feature per avere veri open world senza tempi di attesa. Però, siamo ben distanti dall’effetto WOW di PlayStation 4.

Questo rende PS4, e soprattutto PS4 Pro, un hardware ancora molto valido che può trainare le vendite per almeno un altro anno. Infatti, tutti i giochi più attesi del 2020 saranno cross-gen e titoli come God of War 2 saranno probabilmente disponibili solo alla fine del 2021.

God Of War 2
God Of War 2

Difetti di fabbrica

Un altro dettaglio da tenere in mente è che, storicamente, le prime versioni delle console di nuova generazione hanno sempre presentato difetti, corretti solo successivamente. Alcune PlayStation 3 avevano un guasto che le rendevano inutilizzabili, noto come yellow ring of death. Playstation 4, invece aveva problemi sulla porta HDMI.

In altre parole, gli svantaggi possono essere pesanti per una spesa di 500 euro. Di conseguenza, chi ha già una console di ottava generazione, o soprattutto una mid-generation a scelta tra PlayStation 4 Pro o Xbox One X, dovrebbe riflettere se ne vale veramente la pena.

Ho comprato un Nintendo Gamecube al day one e soffriva di un problema hardware serio, che lo portava al crash una decina di minuti dopo l’accensione. L’assistenza Nintendo mi ha sostituito la console, ma sono rimasto quasi due mesi senza poter giocare a causa dei lunghi tempi di attesa dell’assistenza e di Poste Italiane.

PlayStation 3 yellow ring of death
PlayStation 3 yellow ring of death

Ciao, nuovo abbonato!

Quindi, chi dovrebbe pensare seriamente all’acquisto di PlayStation 5, o Xbox Series X? Semplicemente, chi non ha una console di ottava generazione Sony o Microsoft.

Prima di parlare di esclusive, è importante premettere che un PC gamer, se può permetterselo, dovrebbe continuare a esserlo, perché è una fascia di gaming estremamente più flessibile. Detto questo, le line-up al lancio della nona generazione sono state definite e i titoli in esclusiva per PlayStation 5 sono (escludendo PC):

  • Destruction AllStars (PS5)
  • Demon’s Souls (PS5)
  • Godfall (PS5)

Un parco titoli che colpisce i sentimenti, ma abbastanza scarno per in lancio di una next-gen.

Giochi al lancio della next-gen

Per questo motivo, gli unici che possono veramente beneficiare di un acquisto immediato sono i gamer che non hanno avuto modo di provare i titoli di punta dell’attuale generazione. E possono farlo grazie a PS Plus Collection.

Il PlayStation Plus Collection è un’aggiunta all’abbonamento di PlayStation Plus (8,99 €) annunciato durante l’ultimo showcase di Sony, che permette di giocare, su PlayStation 5 a tantissimi titoli:

  • God of War
  • The Last of Us Remastered
  • Uncharted 4: A Thief’s End
  • InFamous: Second Son
  • The Last Guardian
  • Ratchet & Clank
  • Persona 5
  • Detroit: Become Human
  • Bloodborne
  • Until Dawn
  • Batman: Arkham Knight
  • Fallout 4
  • Battlefield 1
  • Until Dawn
  • Monster Hunter World
  • Final Fantasy XV
  • Mortal Kombat X
  • RESIDENT EVIL 7

Sicuramente il PS Plus Collection si evolverà, ma attualmente la sua unica utilità è quella di permettere a chi non ha vissuto questa generazione di recuperare dei grandissimi capolavori, magari (leggermente) migliorati per sfruttare la potenza di PlayStation 5.

PlayStation Plus Collection

Conclusione

È ovvio che se siete stati dei gamer attivi, questi titoli li avrete già giocati, oppure non aspettavate la PS5 per farlo. Se invece avete saltato questa generazione per concentravi su altro, come Nintendo Switch nel mio caso, il PS Plus Collection vi permette di recuperare l’attuale generazione a un prezzo praticamente regalato.

Il PlayStation Plus Collection strizza l’occhio ai gamer dormienti e prova a fare concorrenza all’Xbox Game Pass durante i primi mesi di vita di PlayStation 5. Per Sony non è una soluzione definitiva, ma per chi ha saltato questa generazione o vuole buttarsi sul mondo delle console solo adesso, è una grande occasione. Per tutti gli altri, meglio aspettare per il preorder di PlayStation 5.

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Editoriali

Pokémon GCC, perché è stupendo dal vivo e noioso online

Giocare dal vivo a Pokémon GCC, il gioco di carte dei Pokémon, è stupendo e la passione per i mostriciattoli giapponesi sembra lontana dall’esaurirsi. Purtroppo, l’idillio termina con Pokémon TGCO, la versione online che meriterebbe molta più attenzione da parte di The Pokémon Company.

Penso che chiunque al mondo conosca il franchise Pokémon, e chi, come me, lo segue sin dagli albori, ha probabilmente giocato al suo card game. Nel mio caso, ho giocato a Pokémon GCC dal Set Base fino alla seconda generazione con l’espansione Neo Destiny. Dopo aver abbandonato il gioco per un po’ di tempo, ho deciso di ricominciare online con Pokémon TCGO lo scorso anno.

Pokémon GCC Spada e Scudo – Fiamme Oscure

Purtroppo, la versione online di Pokémon GCC non è affascinante come la sua controparte fisica. Tanto da spingermi ad abbandonarlo, e riprenderlo, più volte. Almeno fino a quando non ho preso in mano le carte di Pokémon GCC Spada e Scudo – Fiamme Oscure. L’espansione è uscita lo scorso mese e mi ha invogliato a tornare a giocare assiduamente, ma dal vivo.

Proprio mentre scorrevo le carte fisiche, mi sono reso conto che il motivo della mia noia non è causato dal gioco di carte, ma dalla sua pessima versione online. Vi spiego le differenze.

Pokémon GCC “fisico”

Pokémon GCC ha dimostrato di sapersi evolvere divenendo estremamente dinamico e con una propria identità. Mi ricordo che quando il gioco arrivò in Italia, tra il 1998 e il 1999, il card game era orientato a un pubblico molto giovane. Infatti, i partecipanti dei campionati ufficiali potevano essere al massimo adolescenti. Per me è stata un’esperienza unica.

Appena arrivato in fumetteria, ho ricevuto un libretto dell’allenatore che mi consentiva di raccogliere punti tramite sfide ufficiali. E addirittura, vere medaglie, esattamente come nel videogioco. Oggi, Pokémon GCC è giocato da tantissimi giocatori di tutte le età e i gadget di chi partecipa ai tornei più importanti dimostrano che la cura dei dettagli della Pokémon Company per gli eventi reali è ancora vivida.

Chiunque voglia cominciare a giocarci inizia solitamente dai mazzi tematici, che posseggono un buono bilanciamento delle tre tipologie di carte. Infatti, le carte possono essere Pokémon, Allenatore, divise in Strumenti, Stadio e Aiuto, ed Energia. I mazzi tematici sono volutamente lenti, in quanto pensati per chi ha appena cominciato, ma il gioco competitivo è tutta un’altra cosa.

Pokémon di tutti i tipi, di tutte le generazioni

Esattamente come in Magic: L’Adunanza, o il digitale Hearthstone, anche in Pokémon GCC vi è una rotazione del set di espansione. In Pokémon, la rotazione avviene ogni anno. Nel caso delle partite in Standard, formato che contiene anche l’ultima espansione Spada e Scudo – Fiamme Oscure, il gioco è molto dinamico. Infatti, i mazzi sono ideati su uno sbilanciamento che rende il gioco più veloce.

Su 60 carte, quelle allenatore sono solitamente più delle metà, una decina sono le energie, mentre il resto sono i nostri Pokémon. Il motivo nasce dall’enorme forza delle carte Allenatore, che permettono di ciclare continuamente, cioè guardare il mazzo alla ricerca delle carte utili per quella determinata situazione.

Le carte Allenatore sono fondamentali

Pokémon TCG Online

Per questi motivi, ritengo Pokémon GCC molto divertente in competitivo, con un grande potenziale tanto dal vivo quanto online. Pokémon TCG Online è basato sulle stesse regole della versione fisica, ma l’user-friendly tipica del franchise è inesistente. Infatti, l’interfaccia grafica ricorda i primi software di inizio 2000 forniti insieme ai bundle delle carte fisiche, ben lontani dalla cura dei dettagli dell’ultimo Pokémon Spada e Scudo.

Pokémon TCG Online esce su PC nel 2011, come supporto ai giocatori che si scontrano dal vivo. Infatti, ogni bustina fisica contiene una carta con un codice che permette di avere anche una bustina digitale. Stranamente, The Pokémon Company non ha mai mostrato interesse nel trasformare la versione online da mero aiuto per i giocatori in-real a una piattaforma che possa competere con i migliori giochi di carte digitali come fatto, ad esempio, da Magic con il suo Magic: The Gathering Arena (MTGA).

Pokémon Spada e Scudo

Ritengo già questa decisione incredibile, perché la notizia di Pokémon GCC Online aveva fatto il giro del web in poche ore. Però, The Pokémon Company non ha colto la palla al balzo. Anzi, ha deciso di rendere disponibile il gioco su iOS e Android solo dopo molti anni, rispettivamente nel 2014 e nel 2016.

Non mi aspetto che la versione digitale del gioco di carte dei Pokémon sia sviluppata da Game Freak, ma esattamente come già succede per gli altri franchise Nintendo come Super Mario, pensavo che l’azienda di Kyoto ponesse dei vincoli alla qualità artistica, che in Pokémon TCG Online è veramente bassa.

Pokémon TCG Online e la sua scarna interfaccia

L’economia di Pokémon TCG Online

Inoltre, il videogioco ha un’economia molto conveniente per chi gioca in-real, ma totalmente inopportuna per un gioco di carte digitale. Hearthstone e Magic Arena sono costosi, ma il primo con la polvere arcana e il secondo con le wildcard, mostrano un minimo di vicinanza al giocatore. Ovviamente, non possiamo proprio fare il paragone con Legends of Runeterra, che è un vero e proprio free-to-play.

Pokémon TCG Online permette di scambiare carte con altre carte o pacchetti. In altre parole, i pacchetti sono la moneta ufficiale del videogioco, ma c’è un grosso vincolo. I pacchetti scambiabili sono quelli provenienti dai token presenti dentro le bustine fisiche o quelli vinti con i tornei in-game, che si possono giocare con dei ticket speciali. In estrema sintesi, il gioco scoraggia il free-to-play e il gioco online in generale.

Conclusione

Ritengo questa scelta insensata perché Pokémon nasce proprio come videogame per diventare solo successivamente un franchise. Di conseguenza, mi sarei aspettato un porting del gioco anche per Nintendo Switch, ma la casa giapponese si guarda bene dal rilasciare una versione così approssimativa per la sua console di punta.

Tra l’altro, mi chiedo cosa spinga Pokémon Company a puntare su esperimenti molto criticati come Pokémon Unite, il nuovo MOBA del franchise, o il fallimentare Pokémon Rumble Rush, il gioco mobile che ha chiuso i battenti dopo un anno, ma non pensi ai giocatori di Pokémon TCG Online, che continuano a supportare un software ben lontano dagli standard Nintendo.

Pokémon GCC è un gioco divertente, competitivo ed estremamente vicino a quei mostriciattoli colorati che hanno accompagnato la nostra infanzia. Un gioco di carte solido, che merita un’occasione anche da chi pensa che l’unico gioco di carte al mondo sia Magic: l’Adunanza. Purtroppo, in un momento storico colpito dalla pandemia, giocare dal vivo non è facile, mentre la versione online è ben lontana dal regalare il piacere che può fornire lo strepitoso brand Pokémon.

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Editoriali

Jason Schreier è il giusto esempio di giornalismo videoludico

L’industria dei videogiochi sta crescendo molto rapidamente, così tanto da non sembrare preparata a gestire le responsabilità portate dalla fama. Jason Schreier è un giornalista che ha scoperchiato più volte le lacune del mondo dei videogiochi, evidenziando le condizioni di lavoro disumane di alcuni dipendenti delle più grandi case di sviluppo. Schreier è la dimostrazione che si può, e si deve fare, vero giornalismo anche in un settore giovane come quello dei videogame.

Chi è Jason Schreier

Jason Schreier nasce il 10 maggio 1987. Si è laureto presso l’Università di New York e ha collaborato per i primi anni della sua carriera con molte testate americane di videogame come freelancer. Successivamente, nel 2011, Jason entra nella redazione di Kotaku, diventando famoso con le sue inchieste sul crunch time, cioè i turni di lavoro disumani, nell’industria videoludica.

Nel 2020, Jason Schreier lascia Kotaku per Bloomberg News, dimostrando che il giornalismo videoludico non è semplicemente un contenitore di recensioni, ma può migliorare un settore che abusa della passione dei suoi lavoratori per far arricchire aziende e manager senza scrupoli.

Jason Schreier
Jason Schreier

In Italia, dove il settore non è sviluppato come in altri Paesi, questo ragionamento è ancora più importante. L’editoria videoludica italiana non si è mai veramente posta il problema di cosa significa essere un lavoratore del settore dei videogiochi nel Bel Paese e nessuno ci ha mai ricordato che ci sono persone che praticamente non guadagnano nulla dalle proprie fatiche, se non la gloria di finire in qualche pagina di giornale, più virtuale che cartacea.

Jason Schreier è il giusto esempio di giornalismo videoludico, perché ha affrontato l’industria esattamente come fanno i suoi colleghi, che si occupano di cinema o libri. Questo giornalista di New York sta spiegando l’abuso delle grandi aziende e ha già narrato di come alcuni grandi dei videogiochi devono crescere ancora tanto dal punto di vista umano.

Lo scandalo dei licenziamenti

Nonostante i primi scandali in merito alla vita dei dipendenti videoludici risalgono al 2004, con il caso di Eletronic Arts, Jason Schreier è diventato famoso perché ne parla con costanza dal 2014, tanto da diventare l’investigatore degli abusi sui lavoratori del mondo dei videogame.

Il primo articolo di Schreier che ha scosso il mondo dei videogiochi si intitola “Why Game Developers Keep Getting Laid Off” (2014, Kotaku,”Perché gli sviluppatori di videogiochi continuano a farsi licenziare”). Il giornalista chiarisce perché in un’industria in estrema crescita come quella dei videogame, le aziende continuino a fallire e sviluppatori e creativi siano licenziati con noncuranza.

Per la prima volta, il fenomeno di incertezza del posto di lavoro nell’industria videoludica diventa noto anche al grande pubblico e le parole raccolte fanno scalpore, perché in pochi sapevano che dopo l’uscita di un videogioco, anche di successo, qualcuno potesse dire ai suoi dipendenti che era ora di cambiare aria:

Un giorno, ti chiamano per una riunione. L’azienda deve tagliare dei costi e dice che licenzierà. Tu, insieme ad altre venti persone, non fate più parte di questa azienda. Non è per incompetenza, negligenza o qualsiasi altra cosa che tu possa controllare. Non hai fatto nulla di male. Il tuo nome è appena finito sulla lista sbagliata nel momento sbagliato.

Jason Schreier, Why Game Developers Keep Getting Laid Off

Il crunch nell’industria dei videogiochi

Dopo il clamore per “Why Game Developers Keep Getting Laid Off”, Schreier raccontò che molti grandi player sono soliti usare la pessima tecnica del crunch time sui propri dipendenti. Se Ubisoft può essere un vero e proprio limbo per gli sviluppatori, Rockstar può essere un vero inferno. Grazie all’inchiesta “Dentro la cultura del crunch di Rockstar Games” (2018, Kotaku), Jason Schreier è diventato il grande esempio di giornalismo che è oggi.

Red Dead Redemption 2 di Rockstar Games
Red Dead Redemption 2 di Rockstar Games

L’indagine su Rockstar si basa sulle affermazioni di una quarantina di dipendenti provenienti da svariate parti del mondo e che hanno lavorato a diversi giochi di Rockstar Games. Da quanto raccolto, si evince che l’ambiente è completamente guastato dall’idea che sia l’azienda a fare un favore al dipendente, che se non ha voglia di dedicare tutta la sua vita al lavoro, puoi anche andarsene, perché ci sono tantissime persone dietro la porta disposte a farlo:

L’idea che Rockstar si preoccupi dei suoi impiegati e della loro salute è ridicola. Ho lavorato così tanto da essere finito in depressione e con problemi di ansia, che non ho mai avuto fino a quando non ho lavorato per loro. Il mio corpo era esausto, non pensavo di poter avere amici al di fuori del lavoro, mi sentivo come se stessi impazzendo per gran parte del mio tempo passato lì, e ho iniziato a bere pesantemente.

Ex-dipendente Rockstar, Inside Rockstar Games’ Culture Of Crunch

Gli stipendi bassi

In poco tempo, il giornalismo investigativo di Schreier ha scovato punti di attenzione sul trattamento dei dipendenti in tante altre realtà come Naughty Dog e Activion Blizzard. In quest’ultimo caso, la scoperta riguarda l’importante differenza di stipendi all’interno dell’azienda americana. Infatti, se Bobby Kotick, CEO di Activion Blizzard, ha dichiarato 40 milioni di dollari di compensi nel 2019, i comuni dipendenti ricevono spesso il minimo salariale:

Un veterano di Blizzard ha dichiarato a Bloomberg News di aver ricevuto un aumento di meno di 50 centesimi l’ora. Stanno guadagnando meno ora di quanto facessero quasi dieci anni fa, perché stanno facendo meno ore di straordinario rispetto a prima. Diversi ex dipendenti Blizzard hanno affermato di aver ricevuto aumenti salariali significativi solo dopo essere passati in altre società, come la rivale Riot Games Inc. di Los Angeles.

Jason Schreier, Blizzard Workers Share Salaries in Revolt Over Pay
Robert ‘Bobby’ Kotick

Conclusione

Durante un Milan Games Week di qualche anno fa, chiesi a un professore universitario che fece un seminario di game design per l’evento, perché mai dovrei decidere di diventare uno sviluppatore di videogiochi se il crunch time è una pratica ormai accettata dall’industria. Mi rispose che non c’era nessuna ragione logica. Ci deve essere passione, che ti fa turare il naso e ti fa andare avanti in un mondo che è una palude difficile e ingiusta.

Ritengo che per migliorare la condizione dei lavoratori del mondo dei videogame, sia necessario l’intervento del giornalismo d’inchiesta che può far smuovere l’opinione pubblica al fine di rendere migliore un mondo che è troppo spesso gestito nell’ombra. E penso che Jason Schreier ha avuto il merito di essere l’apripista di cui avevamo bisogno.

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Editoriali

Xbox Series X annuncia la fine della console war

Il 23 Luglio 2020, durante l’Xbox Games Showcase, Microsoft ha presentato la line-up che ci condurrà verso la prossima generazione di console. Mentre la stampa italiana fa le prove generali per istigare lo scontro tra PlayStation 5 e Xbox Series X, Microsoft mantiene la sua promessa, si allontana dalla console war e porta tutti i suoi titoli su più piattaforme, rafforzando il fulcro della strategia, il Game Pass.

Alla fine vince sempre il PC. A primo acchito, questo è stato il mio primo pensiero. Del resto, sembra che tutti, o quasi, i giochi per Xbox Series X presentati, saranno disponibili anche per PC. Però, pensandoci meglio, la vittoria non è solo dei PC gamer. Il tema è più profondo, perché con questa presentazione si è voluto porre fine alla console war.

Le strategie

Le tre piattaforme principali hanno tre idee diverse su come condurre la propria strategia. Il fulcro è non entrare in conflitto.

PlayStation 5 continuerà la sua marcia verso le esclusive che le hanno fornito il monopolio del mercato delle console casalinghe. Titoli come Horizon Forbidden West, Gran Turismo 7 e Marvel’s Spider-Man: Miles Morales tuonano nelle orecchie dei casual gamer. Sony cavalcherà l’onda dei titoli esclusivi, anche con il rischio che domani qualcosa possa arrivare anche su altri device. Come ha sempre fatto.

Nintendo Switch combatte in un terreno differente. In questo momento, fa uscire Paper Mario: The Origami King e conta il denaro incassato con Animal Crossing: New Horizons. A breve, sgancerà un paio di bombe per affrontare al meglio il lancio delle console della prossima generazione, magari con titoli di cui si è già parlato all’E3 2019 come The Legend of Zelda: Breath of the Wild 2. Una strategia trasversale che non affronta il nemico faccia a faccia, ma colpisce un mercato che la rende necessaria ma non sufficiente.

Chi si rinnova è il marchio Xbox. Microsoft non è interessata a fare il record di vendite con Xbox Series X. Il suo obiettivo è avere quanti più iscritti al Game Pass. Per farlo ha ben tre piattaforme diverse che permettono a tutti di giocare.

L’ecosistema Microsoft

La prima è chiaramente Xbox Series X, una console per chi va al sodo, per chi vuole soltanto premere un tasto per cominciare a giocare. La seconda è il PC, perché tutti, o quasi, i giochi presenti sulla nuova Xbox saranno presenti anche per computer. I PC gamer non possono essere più contenti. La terza è Project xCloud, per chi è sempre in movimento e per chi non può spendere una fortuna sul del nuovo hardware, ma vuole provare i principali titoli della line-up Microsoft. Un’ecosistema fatto da tre realtà diverse che sono unite da un unico concetto, l’Xbox Game Pass.

Definito anche come il “Netflix per i videogiochi”, il Game Pass è un abbonamento mensile che permette di giocare scegliendo da un catalogo aggiornato periodicamente. A fine Aprile 2020, Microsoft ha dichiarato che il servizio conta dieci milioni di abbonati.

I piani di abbonamento del servizio Microsoft sono tre: PC, Console e Ultimate. Quest’ultima opzione fornisce la possibilità di giocare sia su PC che sulle piattaforme Xbox, ma la vera bomba è l’inclusione di Project xCloud al lancio sul mercato.

Questa scelta implica che, nelle sue strategie future, Microsoft terrà conto di chi comprerà Xbox Series X, dei PC gamer e di chi non ha una piattaforma da gioco, ma possiede una buona connessione internet che gli permette di giocare in cloud senza acquistare alcun hardware. Di conseguenza, con un unico abbonamento si avrà un catalogo di videogame e una piattaforma su cui poterli giocare.

Le esclusive temporali

Su una noto sito italiano del settore, la dicitura “Console Launch Exclusive” è stata definita becera. Io invece sono felice che l’esclusività sia solo temporale.

Finalmente, i riflettori si sono allontanati dalla console war e l’epicentro diventa il videogiocatore. Per anni, la community videoludica è stata intossicata da confronti tra videogiochi non paragonabili per il solo gusto di dire, parafrasando Phil Spencer, vicedirettore di Microsoft Gaming, che “il mio pezzo di plastica è migliore del tuo pezzo di plastica”.

Pazienza se il nuovo Fable è stato presentato solo con un teaser, se Halo Infinite delude perché subisce la cross-generation o se Avowed, il nuovo RPG di Obsidian, è ancora tutto da sviluppare. Come dice Luca Tremolada de ilSole24Ore:

Per gli osservatori del mondo videoludico quella operata è una piccola rivoluzione copernicana che va ancora compresa ma potrebbe cambiare gli equilibri di questo settore.

Luca Tremolada

L’industria

L’industria dei videogiochi sposta tanto denaro. Ci lavorano artisti, sviluppatori, localizzatori, ingegneri, senza contare aree marketing e risorse umane. Nel 2018, il mercato dei videogiochi valeva 130 miliardi e le stime ipotizzano che raggiungerà i 300 miliardi nel 2025. In un’industria del genere, servono idee innovative e Microsoft ha fatto un passo avanti verso la rivoluzione.

Non ho la certezza che questa strategia funzionerà, ma la prova di forza della casa di Redmond è evidente. Microsoft ci sta dicendo che Xbox Series X è solo una delle tre piattaforme che compone il suo ecosistema. Il suo obbiettivo principale non è vendere console, perché anche il PC è casa sua. Non ha la necessità di Sony di sbancare nel mercato delle console casalinghe.

La Community

Microsoft vuole creare una community fatta da giocatori provenienti da tante piattaforme diverse, per rivoluzionare un mercato che ormai da troppo tempo si avvelena il sangue in una stupida guerra che ha reso invivibile l’industria dei videogiochi.

La nuova generazione ci porterà un’esperienza ben diversa da quella dell’ultimo decennio e, finalmente, il merito non è dovuto a una nuova veste grafica da urlo, ma a una competizione diversa tra i maggiori player.

Non ho ancora scelto con quale piattaforma abbraccerò l’idea Microsoft, ma so che voglio fare parte di questa community, che vuole scardinare le catene di conversazioni basate solo su chi ha il pezzo di plastica migliore. E voi?

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