Manca ormai meno di un mese all’uscita di Paper Mario: Il portale millenario, remake del classico RPG uscito nel 2004 per Nintendo Gamecube. Già da qualche giorno, Nintendo ha confermato che il gioco girerà a 30 fps e non a 60. Come prevedibile, la notizia ha destato qualche perplessità nei giocatori.
A spezzare una lancia a favore della scelta degli sviluppatori è intervenuto Abebe Tinari, game designer responsabile di Bayonetta Origins: Cereza and the Lost Demon. In una serie di tweet, lo sviluppatore ha spiegato come la scelta dei 60 fps spesso comporti il rischio di perdere la fedeltà visiva all’opera originale.
Tinari spiega come lui e il suo team avessero a lungo cercato di adattare il loro gioco ai 60 fps stabili, ma che questi rendevano lo scenario della foresta fin troppo diverso dalla versione originale. In pratica, la scelta dei 30 fps sarebbe una precisa scelta stilistica e non di semplice pigrizia o di limiti imposti dall’hardware. Come sintetizza bene Tinari:
La parte più difficile nello sviluppo di un gioco è scegliere a cosa dare la priorità. Tutto ha un costo, sia in termini di tempo per implementarlo, sia in termini di tempo di elaborazione quando il gioco è in esecuzione. Alla fine, semplicemente, non si può avere tutto.
Abebe Tinari
Non resta ora che attendere per sapere se la scelta effettuata da Nintendo incontrerà il favore dei fan, che potranno giocare Paper Mario: Il portale millenario a partire dal 23 maggio 2024 solo su Nintendo Switch.
L’industria videoludica vive di grandi picchi, positivi e negativi, sin dai suoi albori. Il grande entusiasmo per l’arrivo di una nuova IP o una nuova tecnologia è spesso seguito da una profonda crisi che porta aziende a fallire oppure a essere molto vicini dal farlo, indipendentemente dalla loro importanza nel settore del gaming. La ciclicità di queste eventi si è ripetuta anche in questi anni venti del 2000. Subito dopo il “pandemico” boom del 2020, l’industria dei videogiochi ha sofferto e sta affrontando un’importante contrazione, una vera e propria crisi economica, ma soprattutto d’identità, che ha già reso disoccupati migliaia di persone.
Tra il 2023 e il 2024, l’industria dei videogiochi ha diminuito il proprio personale di circa 18.000 persone, di cui ben otto mila solo nel periodo gennaio e marzo 2024. I tagli, oltre all’ovvia perdita di lavoro per migliaia di dipendenti, hanno causato anche la cancellazione di diversi giochi e la dipartita di alcuni studi di sviluppo sia nel Nord America che in Europa (emblematico i casi di Ridgeline Games e Deviation Games, falliti dopo pochissimo tempo). Secondo alcuni studi, le proiezioni di decrescita del settore variano da un ottimistico 2% fino a più temibile 10% in meno.
In questo articolo vogliamo analizzare le cause della crisi del settore dei videogiochi di questi anni, che non si limitano a un singolo evento ma sono invece un agglomerato di fattori che hanno cominciato a scatenarsi a partire dalla pandemia da COVID-19 che ha drogato un mercato immaturo e impreparato a gestire le conseguenze di ingenti e folli investimenti.
I costi spropositati dei giochi AAA
Si dice che GTA 6 abbia un budget di 2 miliardi di dollari
I videogiocatori accolgono sempre con grande entusiasmo le notizie in cui si parla di titoli con costi esorbitanti. Per esempio, ci sono rumor che sostengono che Grand Theft Auto VI abbia un budget di 2 miliardi di dollari. Se così fosse perl, le conseguenze di questa scelta potrebbero essere nefaste per tutto il settore.
La causa di maggior rilievo, in quanto vera e propria novità della crisi dell’industria dei videogiochi attuale, riguarda gli elevati costi dei giochi Tripla A. I pochi grandi publisher hanno cercato di imporsi nel mercato videoludico proponendo titoli con una grafica travolgente arricchita di cinematic, e attori hollywoodiani, che contribuiscono in maniera significativa al costo di creazione di un videogioco. Tra gli effetti negativi di queste opere è l’impossibilità, a causa della contrazione economica mondiale del 2024, di poter iniziare nuovi progetti con la facilità con cui avveniva prima. Inoltre, limitare le proprie IP rende le software house dipendenti dal successo di un singolo titolo e allo stesso tempo favorisce la riduzione del personale, che quando non lavora al titolo principale, può essere tranquillamento lasciato a casa.
Per questo motivo Embracer Group ha annunciato la cancellazione di 29 titoli, tra cui anche quelli di Eidos Montréal, che ha licenziato 97 persone e cancellato il nuovo capitolo di Deus Ex, in sviluppo da due anni. Allo stesso modo, Riot Games ha licenziato 530 persone, riducendo la sua forza lavoro dell’11%.
Esuberi e fine del lockdown
Come abbiamo già detto, la crisi dei videogiochi del 2023 e 2024 è figlia del lockdown da COVID-19. In particolare, anche se in una forma più importante, il post-pandemia ha seguito quanto avevamo già visto con l’uscita dell’ultimo Animal Crossing: nel 2020 ci ha giocato chiunque, ma nel giro di un anno tutto è tornato alla normalità. Oggi, nel 2024, le nicchie giocano ai propri videogiochi.
Secondo IDC, nel 2020 le entrate dei giochi per dispositivi mobili sono aumentate del 32,8%, raggiungendo i 99,9 miliardi di dollari. Anche la spesa per i giochi per console domestiche è aumentata in modo significativo, raggiungendo i 42,9 miliardi di dollari, con un incremento del 33,9%. Negli anni successivi, questo modello di crescita si è bruscamente interrotto. I ricavi dei videogiochi per dispositivi mobili è scesa del 15% nel 2021, per poi diminuire ulteriormente nel 2022 e nel 2023 di circa il 3% ogni anno. In altre parole dopo, l’impennata del 2020, la spesa per i giochi si è stabilizzata nel 2021, è calata del 3,4% nel 2022, ed è tornata a crescere del 5,9% solo nel fantastico 2023.
Tutto questo ha portato inizialmente a un boom delle assunzioni nel periodo del lockdown, anno in cui le grandi aziende hanno cominciato a credere di poter mantenere profitti su standard lontani dall’ordinario per poi licenziare in massa quando i costi non hanno più permesso di credere in questo enorme e ingestibile sogno.
La mortale noia dei Live Service e Mobile Game
Bungie è in crisi così come Destiny 2
Alcuni publisher come Sony e Warner Bros. Games hanno ben pensato di ridurre i costi buttandosi nei giochi con un alto tasso di monetizzazionecome i giochi per smartphone e GaaS (Game as a Service). Purtroppo, il mercato dei casual gamer non è bastato a mantenere in vita buona parte dei Live Service, tanto che alcuni GaaS lanciati nel 2023 hanno già chiuso i battenti, come ben sanno Epic Games e Bungie.
I problemi di fondo di questo genere di titoli sono due: il primo è l’esistenza di un vero e proprio monopolio nei GaaS, dove pochissimi arraffano i profitti di tutti gli altri. I Game Live Service sono un mercato giovane ma che è in realtà già saturo; infatti, i GaaS tendono ad assuefare il gamer che non è invogliato a provare tante opere, ma semplicemente sempre los tesso; il secondo problema è invece la mancanza di innovazione, cioè una vera e propria stagnazioni dell’inventiva e della novità, che porta il gamer a scegliere tra giochi fin troppo simili e, semplicemente, troppo noiosi per poter essere una forma di intrattenimento soddisfacente, soprattuta se paragonata a settori più maturi come quello del cinema, delle serie TV, dei fumetti e dei libri.
Fusioni e Acquisizioni
“È un’industria che non è cresciuta. E cosa succede quando un settore non cresce? Si finisce per eliminare alcuni posti di lavoro, come è successo a noi”. La dichiarazione di Phil Spencer, CEO di Microsoft Gaming, chiude il cerchio. Se l’industria dei videogiochi non cresce e quindi non genera nuovi profitti, l’unico modo per mantenere un bilancio positivo risiede nell’abbattere i costi. Se i Tripla A devono essere costosi e i piccoli sviluppatori indie non hanno più spazio, l’unico modo per farlo sta nel licenziare la forza lavoro. Di conseguenza, c’è chi chiude, chi cancella i propri titoli e c’è chi si fonde o acquisisce aziende per ridurre il personale due aziende coinvolte.
Non a caso sono ben 1900 i dipendenti licenziati da Microsoft a gennaio 2024, cioè subito dopo la conferma sull’acquisizione di Activision Blizzard.
Grafico di PC Gamer sulla crisi dell’industria dei videogiochi
Conclusione
Il boom del 2020 del settore videoludico è stato un magnifico sogno a cui hanno creduto investitori ed ex-dipendenti che hanno scelto il mercato dei videogiochi per continuare la propria carriera. Una volta conclusa la pandemia però si è tornato con i piedi per terra e ci si è resi conto che l’industria non sta vivendo una vera e propria crescita, tale da poter mantenere costi così elevati.
Questo sogno, figlio di scelte di business aggressive e miopi (si veda Embracer Group), è costato il lavoro a tanti professionisti, e come mostrato in un grafico da PC Gamer, ha impattato ben 16.000 persone. Un risultato che dimostra non solo le difficoltà da parte dei videogiochi di affermarsi come una forma di intrattenimento stabile al pari di cinema e libri, ma soprattutto che questa transizione, che dovrebbe essere portata avanti dai grandi dell’industria, è nelle mani di pochi attori estremamenti immaturi e incapaci di gestire e valorizzare quello che realmente è il videogioco: una forma d’arte.
Come ormai tutti saprete, Akira Toriyama, leggendario mangaka creatore di Dragon Ball, è tragicamente scomparso lo scorso primo marzo. Immagino che molti di voi sappiano anche che il famosissimo manga con protagonista Son Goku non è stata l’unica opera creata dal maestro. Forse non tutti però conoscete Sand Land, un manga di Toriyama apparso per la prima volta nell’ormai lontano 2000.
Quest’opera, ambientata in una sorta di mondo post-apocalittico a sfondo desertico, racconta le vicissitudini di Beelzebub, principe dei demoni dal carattere spavaldo ma dall’indole benevola. Scopo iniziale del nostro diavoletto e dei suoi compagni, tra cui spicca lo sceriffo umano Rao, è la ricerca dell’acqua, divenuta un bene inestimabile nel mondo di Sand Land.
La serie, che inizialmente aveva ottenuto un successo solo parziale, sta ora vivendo una seconda giovinezza. Merito di questo ritorno alla ribalta è certamente la serie animata rilasciata da poche settimane da Disney plus, a sua volta adattamento di una versione cinematografia di Sand Land uscita in Giappone nel 2023.
Proprio questa serie ha goduto anche di una trasposizione videoludica, uscita da pochissimi giorni su tutte le principali piattaforme. Il gioco ha ricevuto un’accoglienza generalmente positiva ed è stat piuttosto apprezzato dai fan.
Ebbene, lo stesso Toriyama, prima di morire, aveva avuto occasione di visionare il prodotto e ne era rimasto favorevolmente impressionato. A rivelarcelo è una lettera postuma, risalente al gennaio 2024. Ecco il testo integrale del messaggio di Toriyama, seguito dalla traduzione:
“Non ho ancora visto tutto il gameplay. Comunque sia, espande enormemente la visione del mondo del manga originale con molti nuovi elementi incredibili Come gioco autonomo è di grande qualità e posso dirvi che si tratta di un gioco di ruolo d’azione davvero soddisfacente!
Prima di tutto, la grafica mostra un equilibrio eccellente tra l’atmosfera del manga e il suo stile. La rappresentazione sembra bellissima. Il gioco vi offrirà un’esperienza emozionante con un genuino senso del design e di attenzione ai dettagli, dai nuovi veicoli, alle varie opzioni di personalizzazione, fino agli sfondi!
Nel gioco non c’è solo il mondo di Sand Land, ma anche un nuovo mondo chiamato Forest Land, con nuovi personaggi non presenti nel manga. Potrete divertirvi con una storia più corposa e una vasta mappa da esplorare nei panni del Flend Prince.
Di mio riesco a giocare solo a titoli casual, ma guardo sempre a cosa gioca la mia famiglia e credo di capirne qualcosa, anche essendo ormai vecchio. Mi sento davvero di consigliarvi il videogioco di Sand Land.”
Un giudizio dunque davvero lusinghiero e toccante, che regala davvero una bella pubblicità al nuovo titolo Bandai Namco. E voi? Avete già avuto modo di provare Sand Land? Se si, cosa ne pensate?
Final Fantasy XVI, l’acclamato gioco di ruolo d’azione ambientato nel regno di Valisthea, continua ad espandersi con l’uscita del suo ultimo DLC, “The Rising Tide”. Rilasciato pochi giorni fa in esclusiva console PlayStation 5, questo contenuto a pagamento promette di ampliare ulteriormente l’epica avventura di Clive Rosfield e compagni, offrendo un’esperienza ricca di contenuti e emozioni.
Il DLC, disponibile sia singolarmente che come parte delPass di espansione di Final Fantasy XVI, aggiunge svariati nuovi elementi al gioco base. Tra questi, una nuova parte della trama, battaglie, missioni secondarie avvincenti e una serie di armi e accessori inediti. I giocatori avranno l’opportunità di esplorare le misteriose terre di Mysidia, scoprire nuove abilità degli Eikon e affrontare il leggendario Leviatano il Perduto. Inoltre, il DLC introduce il Portale di Kairos, un nuovo contenuto end-game che mette alla prova le abilità dei giocatori attraverso 20 livelli di battaglie classificate a punti contro orde di nemici.
Un altro motivo di interesse per gli appassionati è rappresentato dai bonus speciali inclusi nell’acquisto del DLC o del Pass di espansione. Tra essi spiccano una versione reinterpretata della famigerata Curtana, l’arma iconica del Guerriero della Luce di Final Fantasy XIV, e le bobine per orchestrion “Torn from the Heavens” e “Through the Maelstrom”, che arricchiranno il rifugio con nuovi e coinvolgenti brani musicali.
Ma le novità non si fermano qui. In concomitanza con il lancio del DLC, è stato rilasciato anche un aggiornamento gratuito (ver. 1.31) che porta con sé una serie di miglioramenti e aggiunte al gioco base. Tra le novità più significative, la possibilità di viaggiare rapidamente fino alla destinazione finale delle missioni grazie alla funzione “Completamento rapido”, un’opzione per salvare fino a 5 set di abilità e talenti, miglioramenti nelle abilità e negli accessori per una maggiore facilità d’uso e la possibilità di personalizzare liberamente l’assegnazione dei tasti su un nuovo tipo di controller. Inoltre, sono state apportate correzioni alla Modalità foto e aggiunte diverse nuove bobine per orchestrion, arricchendo ulteriormente l’esperienza di gioco.
Final Fantasy XVI, che abbiamo recensito, conclude così la sua fase di vita attiva e genererà ancora introiti con The Rising Tide, dopo gli ottimi risultati del gioco base che hanno accontentato anche Square-Enix.
La serie di Fallout? Strepitosa, punto. Il prodotto ideato da Geneva Robertson-Dworet e Graham Wagner, in onda su Prime Video ha conquistato tutti, sia i fan di sempre, sia chi, del famoso titolo Bethesda, non aveva mai sentito parlare. Un lavoro ben fatto, con una storia solida, un budget importante, fotografia e regia impeccabili. Insomma, una serie che, sulla falsa riga di The Last of Us, ha ribaltato il paradigma secondo cui le trasposizioni dei videogame su piccolo e grande schermo siano solo trovate commerciali di facciata, senza contenuti.
Ovviamente, con il grande successo riscosso dalla serie, i titoli di Fallout stanno vivendo una seconda giovinezza: tutti i capitoli, in particolare Fallout 4, Fallout New Vegas e Fallout 3, hanno registrato un massiccio ritorno di vecchi giocatori, oltre che l’arrivo di nuovi. Inoltre, Bethesda ha promesso a tutti i fan un upgrade next-gen dell’ultimo capitolo, Fallout 4, in uscita il 25 aprile. Mancano ancora pochi giorni, dunque, ma a cosa si potrebbe giocare intanto, sempre rispettando il flavour di Fallout? Ecco quindi i sette migliori giochi post-apocalittici da provare se ami le atmosfere di Fallout.
7. Mad Max
Azione, combattimento tra veicoli e lande desolate in cui la legge, ormai, non esiste più. Per quei pochi amanti del genere che non l’avessero provato, Mad Max è un titolo che deve essere recuperato. Vestiremo i pani di Mad Max, un sopravvissuto e a suo malgrado eroe, alla ricerca di un po’ di pace in un mondo fatto di follia e violenze. In questo open worlddel2015 disponibile per PlayStation 4, Xbox One e PC, le auto sono la chiave della sopravvivenza, per inseguire o fuggire da bande di sciacalli che vogliono dettare le regole nelle terre deolate.
6. Atom RPG
Atom RPG, titolo indie della Atom Team, è un gioco capace di regalare molto, soprattutto per la sua grande capacità di far immergere il giocatore nel proprio avatar, che una volta creato (sia nel background che nelle statistiche e nelle abilità) dovrà esplorare un vasto mondo ispirato ai classici giochi di ruolo post-apocalittici, quali Fallout, Wasteland, Deus Ex. Un videogioco del 2018, disponibile per tutte le console e PC, con visuale isometrica e in cui le nostre scelte hanno sempre un peso specifico. Il turn combat system si alterna a momenti di esplorazione e dialoghi con più opzioni di risposta: insomma, per molti ilsuccessore spirituale dei primi Fallout. Il tutto ambientato non in America, bensì in un’Unione Sovietica post-atomica.
5. Frostpunk
Frostpunk, uno dei titoli più acclamati sia dai cultori dei giochi post-apocalittici che dai fan di strategia e city builder, è attualmente tornato alla ribalta anche per un altro motivo, ossia l’imminente uscita del secondo capitolo. Intanto, il consiglio spassionato è quello di recuperare questo gioiello, dove vestiremo i panni del leader dell’ultima città al mondo e in cui ci troveremo a dover fare scelte importanti per garantire la sopravvivenza della nostra gente alle invivibili temperature causate da una nuova era glaciale.
Frostpunk è disponibile per PC e per console su PlayStation e Xbox con una versione giocabilissima anche con un joypad.
4. Mutant Year Zero: Road to Eden
Cos’hanno in comune un facocero e un’anatra antropomorfi e un’umana mutante? Sono i protagonisti di Mutant Year Zero: Road to Eden, titolo uscito su tutte le console e PC, e sfornato dagli ex progettiti di Hitman e dal co-creatore di PayDay. Un gioco di avventura strategico, con sistema di combattimento a turni di X-COM, una modalità stealth in tempo reale e l’esplorazione di un mondo post-umano e rivendicato dai mutanti. Tra cambiamenti climatici estremi, crisi economiche e pandemie letali, il mondo ha incontrato la sua fine. La natura si riapproria delle città in rovina, gli umai sono spariti e arovistare tra i resti della civiltà restano i mutanti.
3. Encased
Ecnased non rientra solamente tra i giochi post-apocalittici, bensì in un mix tra quest’ultimo e lo sci-fi: si tratta di un videogioco di ruolo tattico e fantascientifico, ambientato in uno scenario distopico in cui il nostro personaggio e potenziali alleati, dovranno scoprire i misteri che si celano dietro la “Cupola”. Dai combattimenti (a turni) all’esplorazione, passando per un sistema di cinque fazioni, ognuna con le proprie caratteristiche, meccaniche e opzioni di gioco, a cui potremo unirci o dichiarare guerra. Oppure, più semplicemente, potremmo scegliere di avventurarci in questo difficile (e grandissimo) mondo in autonomia, senza affiliarci. Ah, ovviamente: le scelte contano.
Encased è disponibile su PC, Xbox One, PS4 e Nintendo Switch.
2. Metro Exodus
Con Metro Exodus si torna in Russia, questa volta a Mosca per la precisione, in cui il nostro personaggio sarà impegnato in una rocambolesca fuga dalle rovine della metropolitana per intraprendere un viaggio lungo l’intero continente. Inutile dirlo: la civilità è stata spazzata via e tutto ciò che ci circonda sono macerie, abitate da pochi sopravvissuti (come noi) con cui potremmo interagire, nel bene o nel male. Si tratta di uno sparatutto in prima persona che si mescola con il sandbox, dove potremmo viaggiare tra enormi mappe costruite su livelli non lineari.
1. Wasteland 3
Terzo capitolo della saga, Wasteland 3 vi catapulterà al comando di un team di Desert Ranger, in un mondo post-apocalittico, in pieno stile Fallout, dove bande di predoni si contendono ciò che resta di quello che una volta fu il Colorado, mentre i fedeli alla bandiera tentano (con modi discutibili) di ricostruire la civiltà andata perduta. Il flavour è pressoché quello vissuto nei titoli di Bethesda, con ampi spazi desolati, bestie mutate e pochi e spesso pericolosi insediamenti, officine fuori uso, laboratori scientifici abbandonati. Quello che cambia è il gameplay: Si tratta di un GDR con composizione di una squadra e combattimenti a turni in stile Baldur’s Gate 3, ma in cui la componente sociale è impattante: infatti, come ogni buon Western RPG che si rispetti, ogni scelta conta ai fini di plasmare il mondo che ci circonda.
Se c’è una serie videoludica dedicata all’opera magna di Akira Toriyama che più di ogni altra è rimasta nei cuori dei videogiocatori, questa è sicuramente la saga di Dragon Ball Z: Budokai Tenkaichi. Fin dall’uscita del primo capitolo, questi picchiaduro sono infatti riusciti ad ottenere grandi consensi da parte dei fan del manga e dell’anime.
Forse non tutti lo sanno, ma il nuovissimo Dragon Ball Z: Sparking! Zero, di prossima uscita, altro non è che il quarto capitolo di questa fortunata serie. In attesa dell’arrivo di Zero, la cui uscita è prevista per il 2024, prendiamo la nostra capsula del tempo e lanciamoci alla riscoperta di tutti i capitoli di Dragon Ball Z: Budokai Tenkaichi.
Da Budokai a Tenkaichi
Come abbiamo più volte avuto modo di ricordare, la storia tra Dragon Ball e il medium videoludico è stata tutt’altro che idilliaca. A parte poche eccezioni, era davvero raro che i giochi dedicati alla saga di Goku e compagni fossero titoli davvero validi o memorabili.
Le cose iniziarono a cambiare con l’arrivo della serie Dragon Ball Z: Budokai, da non confondere proprio con Budokai Tenkaichi, infausto nome occidentale di Dragon Ball Z: Sparking. Budokai è stata una trilogia dei picchiaduro 3D, pubblicata da Bandai e Atari e sviluppata da Dims per PlayStation 2, antecedente a Sparking/Budokai Tenkaichi, che riuscì finalmente a donare ai fan di Goku e soci dei giochi divertenti, ben realizzati e con una personalità ben definita. In particolare, il terzo capitolo della saga, uscito nel 2004 sempre su PS2, si rivelò un titolo davvero di tutto rispetto.
Molti giocatori, compreso il sottoscritto, a suo tempo rimasero sorpresi all’annuncio dell’arrivo di un nuovo titolo dedicato a Dragon Ball, Budokai Tenkaichi per l’appunto, che sarebbe uscito a meno di un anno di distanza da Budokai 3. Fin dai primi trailer, tuttavia, risultò chiaro che il nuovo gioco, stavolta sviluppato da Spike, sarebbe stato molto diverso da ciò a cui i fan erano abituati.
Un nuovo stile di lotta
Quando, nell’ottobre 2005, uscì Dragon Ball Z: Budokai Tenkaichi queste impressioni vennero confermate. Con Tenkaichi, infatti, gli sviluppatori decisero di rompere gli schemi, proponendo qualcosa di diverso da un tradizionale picchiaduro 3D. La visuale di gioco era infatti posta alle spalle del proprio lottatore, che poteva muoversi liberamente all’interno degli scenari 3D. Naturalmente, trattandosi di Dragon Ball, ogni lottatore aveva anche la capacità di volare, aspetto che andava ad aumentare ulteriormente la libertà di movimento.
Ogni personaggio disponeva di una serie di semplici attacchi. Un pulsante per gli attacchi veloci, uno per quelli potenti, uno per gli attacchi energetici ed uno per la difesa. Gli attacchi potevano essere combinati fra loro con grande facilità, permettendo anche ai neofiti di esibirsi in spettacolari combo. Anche l’esecuzione delle mosse speciali era estremamente semplice e necessitava solamente della pressione di un tasto dorsale accompagnato dal tasto triangolo e dalla croce direzionale (a patto, ovviamente, di disporre del Ki necessario).
Questa formula di gioco, denominata picchiaduro arena, avrebbe riscosso un ottimo successo tra i giocatori e sarebbe stata riproposta da numerose altre produzioni. Pur venendo molto apprezzato dai giocatori occasionali, questo stile fa tutt’oggi storcere il naso ai puristi del picchiaduro. Le critiche maggiori che normalmente vengono rivolte sono l’eccessiva somiglianza tra i lottatori e l’enorme sproporzione di potenza che esiste tra gli stessi. Sebbene ogni personaggio abbia le sue mosse speciali peculiari, le mosse base tendono ad essere molti simili tra un personaggio e l’altro. Una volta imparato ad utilizzare un lottatore, passare ad un altro è relativamente semplice. Anche gli attacchi speciali, sebbene presentino animazioni diverse, tendevano a somigliarsi molto.
Un piatto molto ricco
Oltre alla sua originalità, il grande punto di forza di Tenkaichi è senz’altro l’altissimo numero di personaggi selezionabili. Erano più di cinquanta, infatti, i lottatori selezionabili. Ad aggiungere ulteriore carne al fuoco c’erano naturalmente le mitiche trasformazioni. Queste ultime, come già accaduto in Budokai, non si concretizzavano in nuovi personaggi selezionabili, ma potevano essere sbloccate durante lo scontro, a patto di possedere il ki necessario. Fecero per la prima volta il loro esordio anche le trasformazioni in gorilla giganti (Oozaru in giapponese).
Anche per quanto riguarda gli stage, Spike fece davvero un buon lavoro, proponendo numerosi scenari che riproducevano fedelmente le ambientazioni dell’anime. Inoltre, molti degli elementi degli scenari erano distruttibili, mentre le super potevano addirittura alterare totalmente lo scenario. Tenkaichi offriva anche un buon numero di modalità di gioco, tra cui spiccavano Portale Z (ovvero la modalità storia), la battaglia suprema e il torneo mondiale.
Grazie a tutti questi elementi, Tenkaichi riuscì ad ottenere ottimi risultati di vendite. Il gioco tuttavia non riuscì ad ottenere un consenso altrettanto unanime da parte della critica, soprattutto sotto l’aspetto del gameplay, ritenuto troppo acerbo e macchinoso. I buoni risultati ottenuti da Spike aprirono tuttavia le porte ad un sequel, che si materializzò nel novembre 2006, sempre per PlayStation 2 e Nintendo Wii.
Più grande, più forte, più veloce
Dragon Ball Z: Budokai Tenkaichi 2 (titolo originale Dragon Ball Z Sparking Neo) riproponeva in tutto e per tutto gli elementi vincenti del suo predecessore, riuscendo nel contempo a migliorare ogni suo aspetto.
La grafica appariva molto più dettagliata e piacevole da vedere, soprattutto per quanto riguarda i personaggi. I Guerrieri Z e i loro avversari apparivano ora molto più somiglianti alle controparti animate, specialmente nei loro visi. Anche la giocabilità era stata aggiornata, con un sistema di lotta molto più fluido e veloce e la possibilità di effettuare combo più complesse ed articolate. Venne inserita anche la possibilità di effettuati scontri a squadre, con un massimo di cinque lottatori per team.
Naturalmente, anche il roster fu ampliato, andando ad aggiungere numerosi personaggi tratti dai film e dalle ultime saghe di Dragon BallGT, per arrivare ad un numero complessivo di ben 75 personaggi, senza contare le varie trasformazioni. Da notare l’inserimento di numerosi personaggi giganti, in grado di offrire sfide davvero impegnative, soprattutto per i neofiti.
Rimanevano piuttosto invariate le modalità di gioco, con l’Avventura del Drago che sostituiva il Portale Z. In questa nuova modalità, soddisfacendo alcune condizioni particolari durante lo scontro, il giocatore aveva la possibilità di sbloccare alcune battaglie inedite. Si trattava di veri e propri What If, che andavano a modificare la trama originale proponendo scenari originali (spesso, a dire la verità, abbastanza poco credibili). Questa nuova modalità venne in generale molto apprezzata, perché mostrava finalmente qualcosa di inedito ed originale.
Budokai Tenkaichi 2, pur non riuscendo a conquistare la critica all’unanimità, soprattutto a causa del gameplay, ancora piuttosto ridondante e ripetitivo, venne molto apprezzato dai giocatori. La serie Tenkaichi era riuscita a costruirsi un nome e si erano create le condizioni per realizzare un ulteriore episodio.
Il Tenkaichi God
L’anno successivo, tra l’ottobre e il novembre del 2007, ecco arrivare, sempre per PS2 e Nintendo Wii, Dragon BallZ: Budokai Tenkaichi 3, capitolo definitivo (almeno finora) della trilogia. Anche in questo caso, Spike decise di non apportare stravolgimenti eccessivi al gioco, limitandosi a limare e ingrandire quel che ancora poteva essere migliorato.
Il roster venne ulteriormente ampliato, al punto che, contando le trasformazioni, il giocatore aveva a disposizione ben 161 personaggi, un numero davvero impressionante. Anche la grafica venne ulteriormente rifinita, soprattutto per quanto concerne la fluidità delle animazioni. Una gradevole novità è costituita dallo scorrere del tempo durante gli scontri, che causava transizioni dal giorno alla notte all’interno degli stage. Questi cambi potevano avere persino conseguenze sui lottatori (come con le trasformazioni in scimmia dei lottatori).
A livello di gameplay, vennero inseriti una nuova serie di attacchi, che sfruttavano in modo più profondo la barra del Ki, come le Blast Combo e le Z Counter, che sfruttavano il teletrsporto come arma sia offensiva che difensiva. Oltre alle consuete modalità, fa la sua comparsa il combattimento libero con punti distruzione. In pratica, ogni lottatore del roster aveva un differente valore in base alla sua forza. Stava al giocatore saper assemblare squadre bilanciate per numero e forza dei lottatori. Su Wii fece la sua comparsa anche una modalità online, purtroppo afflitta da frequenti disconnessioni e alti livelli di latenza.
D’altro canto la Modalità Storia fu abbreviata e suddivisa solo negli episodi principali delle varie saghe. Le novità principali consistevano nella possibilità di giocare alcune missioni nei panni dei cattivi e in una serie di episodi inediti, molto simili ai what if apparsi nell’episodio differente.
Anche questa volta, nonostante le recensioni piuttosto altalenanti, il gioco ottenne un ottimo successo, con oltre 700.000 copie vendute. Pur venendo generalmente riconosciuto come l’episodio migliore della saga, diversi giocatori criticarono la modalità storia fin troppo breve e la scarsità di vere innovazioni rispetto a Budokai 2.
Il futuro della saga
Dopo Tenkaichi 3 non venne rilasciato più nessun episodio della serie. Tuttavia, l’influenza della serie Sparking è rimasta sempre molto forte. Moltissimi dei giochi successivi dedicati a Dragon Ball, infatti, presero più di un’ispirazione dalla saga di Spike, come ad esempio la serie Raging Blast e Xenoverse.
Ora non rimane che attendere Sparking! Zero. Bandai Namco ha già rilasciato numerosi trailer e video dedicati al gioco. Le prime impressioni mostrano una grafica davvero spettacolare, ormai quasi indistinguibile da un vero anime. Anche la fluidità e velocità dell’azione sembrano davvero elevate. Per la gioia dei fan, questi primi gameplay sembrano mostrare uno stile di gioco molto vicino a quello della saga originale.
Vedremo se il nuovo capitolo saprà essere degno dell’eredità legata al nome che porta. Chissà, magari Zero potrebbe addirittura rivelarsi il miglior episodio della saga!
Le microtransazioni nei videogiochi sono diventate un argomento di grande discussione all’interno della comunità dei giocatori e oltre. Mentre alcuni le accolgono come una forma di personalizzazione e supporto ai giochi, altri le considerano un esempio di pratica commerciale controversa che può compromettere l’esperienza di gioco.
In questo articolo cercheremo di analizzare il fenomeno (sempre crescente e radicato) da ogni angolazione e in maniera asettica cercando più di sviscerarlo che di giudicarlo. Ecco perché non faremo esempi concreti di microtransazioni citando questo o quel titolo. La nostra speranza è quella di fornire un quadro completo del fenomeno. Al lettore, poi, la libertà di lodarlo o criticarlo.
Le microtransazioni, come suggerisce il nome, sono piccoli acquisti effettuati all’interno di un gioco per ottenere contenuti aggiuntivi, potenziamenti o personalizzazioni per il personaggio o l’esperienza di gioco. Possono variare da semplici skin cosmetiche a oggetti in-game che influenzano direttamente il gameplay.
Da una prospettiva commerciale, le microtransazioni sono diventate una fonte di entrate significative per gli sviluppatori di giochi. I giocatori possono essere disposti a spendere denaro reale per ottenere vantaggi competitivi o per personalizzare il loro avatar. Tuttavia, questa pratica ha sollevato molte preoccupazioni, soprattutto riguardo alla sua potenziale influenza sui giochi stessi e sulla loro equità.
Uno degli aspetti più controversi delle microtransazioni è la loro presenza nei giochi gratuiti o a pagamento. Nei giochi free-to-play, le microtransazioni spesso fungono da principale fonte di reddito per gli sviluppatori, consentendo loro di offrire il gioco gratuitamente mentre ancora guadagnano dalla vendita di contenuti in-game. Tuttavia, in alcuni casi, queste microtransazioni possono portare a un modello di gioco “pay-to-win“, dove i giocatori possono ottenere un vantaggio significativo spendendo denaro reale.
Anche nei giochi a pagamento, le microtransazioni sono diventate sempre più comuni. Molti titoli offrono pacchetti di contenuti aggiuntivi o espansioni che possono essere acquistati separatamente per arricchire l’esperienza di gioco. Tuttavia, alcuni giocatori ritengono che questi contenuti aggiuntivi dovrebbero essere inclusi nel prezzo di base del gioco, portando a una sensazione di essere esclusi da parti significative del gioco a meno che non si spenda ulteriormente denaro.
L’impatto delle microtransazioni sulla qualità complessiva dei giochi è un argomento di grande rilevanza nel panorama videoludico moderno. Queste transazioni, sebbene offrano agli sviluppatori una fonte di reddito aggiuntiva e ai giocatori la possibilità di personalizzare l’esperienza di gioco, sollevano domande importanti riguardo al modo in cui influenzano il design, l’equità e la soddisfazione generale del giocatore.
Una delle principali preoccupazioni riguarda l’equilibrio del gameplay. Quando le microtransazioni offrono vantaggi competitivi agli acquirenti, possono generare uno squilibrio tra giocatori che spendono denaro reale e quelli che non lo fanno. Questo crea un ambiente in cui il successo dipende più dalla capacità di investire denaro che dalle abilità o dalla strategia di gioco. Tale modello può minare l’esperienza di gioco per coloro che preferiscono competere in base alla propria abilità, creando un ambiente frustrante e non equo.
Inoltre, le microtransazioni possono influenzare il modo in cui vengono progettati i giochi. Gli sviluppatori potrebbero essere tentati a creare meccaniche di gioco che incoraggiano gli acquisti in-game, piuttosto che concentrarsi sull’equilibrio e sull’esperienza di gioco soddisfacente per tutti i giocatori. Questo può portare a un calo della qualità complessiva del gameplay, con decisioni di design dettate più dalla redditività che dalla coerenza o dall’innovazione.
Un altro aspetto da considerare è il rapporto tra il prezzo del gioco e il valore percepito dai giocatori. Quando i giochi richiedono un costo iniziale e poi offrono microtransazioni aggiuntive, alcuni giocatori possono sentirsi scoraggiati o delusi, specialmente se i contenuti aggiuntivi sembrano essenziali per un’esperienza di gioco completa. Questo solleva domande sulla trasparenza e sull’integrità dei prezzi dei giochi, con i giocatori che si chiedono se il prezzo iniziale rifletta realmente il valore offerto.
Tuttavia, va notato che non tutte le microtransazioni sono viste negativamente. Quando offrono solo contenuti cosmetici che non influenzano il gameplay, possono essere accettate come una forma legittima di supporto allo sviluppatore. I giocatori possono apprezzare la possibilità di personalizzare il proprio personaggio o l’aspetto del gioco senza compromettere l’equità o l’esperienza di gioco per gli altri.
Un’altra prospettiva positiva sulle microtransazioni riguarda la possibilità di finanziare lo sviluppo continuo di contenuti e aggiornamenti per i giochi esistenti. Questo può contribuire a mantenere viva una comunità di giocatori a lungo termine e a prolungare la vita utile di un gioco al di là del suo lancio iniziale. Tuttavia, è importante che questi aggiornamenti siano valutati in modo equo e che non vengano utilizzati come pretesto per monetizzare ulteriormente l’esperienza di gioco.
In risposta alle preoccupazioni dei giocatori, alcune aziende hanno introdotto politiche più trasparenti riguardo alle microtransazioni e hanno cercato di limitare il loro impatto sul gameplay. Ad esempio, alcuni giochi offrono solo contenuti cosmetici che non influenzano la meccanica di gioco, garantendo che i giocatori non possano acquistare un vantaggio competitivo. Tuttavia, resta comunque la sfida di trovare un equilibrio tra la generazione di entrate per gli sviluppatori e il mantenimento dell’integrità e dell’equità del gioco.
In conclusione, le microtransazioni nei videogiochi sono un argomento complesso che continua a suscitare dibattiti appassionati. Mentre offrono agli sviluppatori una fonte di reddito supplementare e ai giocatori la possibilità di personalizzare l’esperienza di gioco, sollevano anche preoccupazioni riguardo alla loro influenza sul design del gioco e sull’equità complessiva. L’equilibrio tra profitto e esperienza di gioco soddisfacente rimane una sfida per l’industria videoludica, e il dibattito sul ruolo delle microtransazioni sembra destinato a continuare.
Nonostante siano passate più di un mese dalla morte di Akira Toriyama, sono ancora molti i fan che non riescono a capacitarsi del triste evento. É innegabile che il celebre fumettista, nel corso della sua leggendaria carriera, abbia esercitato un’enorme influenza sull’immaginario collettivoe sul successo dei manga nel mondo. Dragon Ball, in particolare, è diventato un vero e proprio fenomeno planetario. Oltre ad aver fissato i canoni del genere battle Shonen, l’epopea di Son Goku e compagni ha raggiunto livelli di successo e di diffusione davvero incredibili. É davvero difficile trovare persone che non abbiano mai visto o letto Dragon Ball o che non sappiano di cosa si tratti.
Anche il mondo dei videogiochi ha visto susseguirsi, nel corso degli anni, un numero enorme di videogiochi dedicati a Dragon Ball, sparpagliati un po’ su tutte le piattaforme, dalle ormai vetuste console a 8 bit fino ai sistemi attuali. Sebbene molti di questi giochi siano tutt’altro che memorabili, Dragon Ball ha avuto anche diverse trasposizioni di ottima qualità.
Per fornire una guida a chi volesse riscoprire questi giochi e allo stesso tempo onorare ancora una volta la memoria di Toriyama, abbiamo deciso di stillare una classifica su quelli che secondo noi sono i migliori videogiochi di Dragon Ball mai prodotti. Carichiamo la nostra aura e lanciamoci insieme in questa avventura!
10. Dragon Ball Z: The Legend
Diciamoci la verità: i videogiochi di Dragon Ball dell’era 32 bit sono stati tutt’altro che dei capolavori. In mezzo ai vari picchiaduro a incontri più o meno decenti, però, Dragonball Z: The Legend (il cui titolo originale è Dragon Ball Z: Idainaru Dragon Ball Densetsu) è il gioco che più di ogni altro è riuscito a lasciare il segno.
Sebbene The Legend presenti una qualità grafica decisamente bassa per gli standard della prima Playstation e un sistema di controllo piuttosto limitato ed ostico, il gioco riesce comunque a farsi apprezzare per l’originalità del suo gameplay. Si tratta infatti del primo gioco dedicato a Dragon Ball che ha proposto la formula delle battaglie a squadre in un campo aperto tridimensionale, una formula che darà vita in futuro al genere dei picchiaduro arena. Questa struttura, sebbene non sfruttata appieno dal titolo, avrà grande importanza per l’evoluzione dei giochi futuri, per esempio con la serie Budokai Tenkaichi.
The Legend proponeva, inoltre, un roster estremamente vasto e una modalità storia davvero curata, che riproponeva fedelmente tutti gli scontri chiave della più famosa ed apprezzata parte della saga di Toriyama. Anche la resa delle mosse speciali risultava in alcuni casi davvero ben fatta e spettacolare.
Il sistema di controllo del gioco, già limitati ai tempi, oggi risulta davvero legnoso, ma, se siete fan del retrogaming e della saga Dragon Ball Z, potete dargli una chance. Potreste restare piacevolmente sorpresi.
9. Dragon Ball Z: Hyper Dimension
Spostiamoci nel mondo dei 16 bit. Uno dei generi più popolari in assoluto per questi sistemi è stato indubbiamente il picchiaduro ad incontri. Essendo Dragon Ball incentrato prevalentemente sui combattimenti, l’opera di Toriyama si è sempre prestata bene per questo genere di trasposizioni. Purtroppo la maggior parte dei videogiochi di lotta dedicati a Dragon Ball era decisamente deludente. Anche la serie più famosa, denominata Dragon Ball Z: Super Butōden risultava davvero carente sia sul lato tecnico che su quello della giocabilità.
Nel 1996, proprio verso la fine dell’arco di vita del glorioso SNES, ha fatto la sua apparizione Dragon Ball Z: Hyper Dimension. Questo gioco prendeva tutto quanto visto di buono nella serie Butōden, riuscendo allo stesso tempo a migliorarlo. Gli sprite dei personaggi, le animazioni e gli sfondi sono davvero di buona qualità e riproducono fedelmente la grafica dell’anime. Anche il gameplay risulta divertente e coinvolgente, con un gran numero di mosse a disposizione di ogni personaggi ed un sistema di super davvero spettacolari e fedeli all’anime.
Non si tratta certamente di un capolavoro, vista anche la presenza di soli dieci personaggi giocabili. Tuttavia, se amate i picchiaduro 2D e siete fan di Dragon Ball potete tranquillamente concedere qualche partite ad Hyper Dimension.
8. Dragonball: Advanced Adventure
Per il prossimo gioco dobbiamo spostarci nel mondo delle console portatili. Dragon Ball: Advanced Adventure, uscito nel 2004 per GBA,si concentra sulla prima parte del manga di Dragon Ball, quella, per capirci, dedicata a Goku bambino.
Dimps, la casa produttrice, propone un interessante avventura action che unisce sapientemente elementi presi sia dai classici platform che dai picchiaduro a scorrimento. Il risultato è un gioco dinamico e colorato che ripropone molto fedelmente la prima serie di Dragon Ball regalando anche numerosi extra, tra cui la possibilità di giocare anche nei panni di molti dei nemici, boss compresi.
Anche per quanto concerne il comparto tecnico, Advanced Adventure non delude, grazie ad una grafica pulita e colorata e ad un set di animazioni estremamente fluido e veloce. Un gioco davvero ben fatto e divertente. Se non lo avete mai provato e ne avete l’occasione recuperatelo. Potrebbe valerne la pena anche se non siete fan di Goku e compagni.
7. Dragon Ball Z: L’attacco dei Saiyan
Oltre ai picchiaduro, Dragon Ball ha saputo ispirare, soprattutto nel mercato giapponese, un enorme numero di RPG. Anche in questo caso, purtroppo, molti dei risultati sono stati a dir poco deludenti. Tra i pochi videogiochi di ruolo davvero validi dedicati a Dragon Ball ricordiamo Dragon Ball Z: l’Attacco dei Saiyan.
Uscito nel 2009 per Nintendo DS, l’Attacco propone un classico JRPG che alterna fasi di esplorazione e dialogo a numerosi scontri gestiti da un trdiazionale sistema a turni, molto simile a quello visto, per esempio, in Final Fantasy. Questo gioco compie anche la particolare scelta di concentrarsi su un arco narrativo molto ridotto, che va dal ventitreesimo torneo Tenkaichi (con la sfida tra Goku e Piccolo) alla leggendaria battaglia tra Goku e Vegeta. I programmatori, probabilmente, hanno voluto lasciarsi aperta la porta per uno o più seguiti, purtroppo mai realizzati.
Per riempire le ore di gioco, l’Attacco propone un enorme numero di eventi extra, che spesso coinvolgono anche molti dei personaggi secondari. La trama di questi eventi filler tuttavia risulta quasi sempre gradevole e riesce a coinvolgere e non annoiare il giocatore. Anche il battle system è ben calibrato ed unisce strategia e abilità, dal momento che in varie occasioni il giocatore è chiamato d eseguire piccoli quick time event per limitare i danni subiti o accrescere quelli causati. Anche la grafica risulta piacevole e curata, soprattutto nelle fasi di combattimento.
Un gioco di ruolo davvero ben fatto, intrigante e divertente, che tutti gli amanti del genere dovrebbero sperimentare.
6. Dragon Ball Z: Extreme Butōden
Rimaniamo nel mondo delle portatili per parlare di uno dei migliori picchiaduro 2D dedicati a Dragon Ball. Extreme Butōden, realizzato dalle sapienti mani del Team Arc System e uscito nel 2015 per 3DS, riprende tutti gli elementi caratteristici della vecchia saga Butōden. Nel gioco è infatti possibile volare e sfruttare la propria barra del Ki per eseguire i numerosi attacchi speciali dei nostri protagonisti.
A proposito di protagonisti, Butōden offre più di 100 personaggi, suddivisi tra personaggi giocabili e di supporto. Questi ultimi non possono essere controllati direttamente, ma vengono richiamati dal giocatore per eseguire alcuni attacchi speciali.
Extreme Butōden presenta una veste grafica davvero accattivante e bella da vedere, limitata solo dalle piccole dimensioni dello schermo del 3ds. Cosa ancora più importante, il gioco risulta dannatamente divertente e giocabile, con uno stile veloce e frenetico che fa della maestria nelle combo il suo punto di forza.
Se siete possessori di un 3DS e avete mancato questa piccola chicca correte senza remore a recuperarla. Siamo certi che non ve ne pentirete!
5. Dragon Ball Z: Kakarot
Ed eccoci arrivati alla top five! Alla quinta posizione troviamo uno dei videogiochi di Dragon Ball più recenti in assoluto. uscito nel 2020 per praticamente tutte le piattaforme principali, Kakarot ripropone tutte le vicende principali di Dragon Ball Z, presentando anche numerosi scenari originali.
Il videogame presenta un sistema di gioco piuttosto inedito, mostrandosi come un’avventura tridimensionale open world. Kakarot, tuttavia, possiede anche numerosi elementi tipici dei giochi di ruolo, dal momento che è possibile salire di livello e scegliere tra le numerose abilità che vengono sbloccate nel corso dell’avventura.
I combattimenti in tempo reale, pur presentando praticamente tutti gli attacchi e le abilità tipiche di ogni personaggio, non risultano particolarmente frizzanti o originali. Tuttavia, l’ottima realizzazione tecnica di kakarot e la grande cura con cui è stata resa la trama hanno permesso a questo gioco di ritagliarsi un posto nel cuore di numerosi fan.
4. Dragon Ball Xenoverse
La stessa natura ibrida di Kakarot, a metà fra picchiaduro e gioco di ruolo, è presente anche nella fortunata saga Xenoverse. In questa serie targata Dimps, il cui primo episodio risale al 2015, il giocatore veste i panni di un avatar, membro onorario della pattuglia temporale. Compito del protagonista è vegliare sul regolare svolgimento degli eventi, messo in pericolo da una serie di nuovi e potenti malvagi.
Il nostro avatar sarà totalmente personalizzabile, anche per quanto riguarda la razza di appartenenza e le abilità. Questo concept, anche se non originalissimo, regala una ventata di aria fresca e permette agli sviluppatori di proporre scenari e intrecci di trama inediti. La storia è infatti il punto di forza di Xenoverse, dal momento che unisce gli scenari più famosi della saga di Dragon Ball ad una storia nuova, con diversi personaggi creati per l’occasione.
Dal punto di vista tecnico, Xenoverse risulta sicuramente godibile ed estremamente dettagliato. Non impeccabile invece il sistema di combattimento, che tende a risultare un po’ ostico e talvolta ripetitivo. Oltre al nostro avatar, il gioco mette a disposizione una miriade di personaggi e di loro varianti. Spesso tuttavia i vari protagonisti tendono a risultare piuttosto simili, fatta eccezione per colpi segreti ed abilità varie.
Nonostante queste pecche, Xenoverse resta un gioco validissimo, consigliatissimo a tutti i fan di Dragon Ball. Sebbene Xenoverse 2 risulti tecnicamente superiore all’originale, abbiamo scelto di premiare il primo capitolo in virtù delle novità che ha saputo introdurre e della sua trama, che abbiamo apprezzato leggermente di più rispetto al sequel.
3. Dragon Ball Z: Budokai 3
Ed eccoci finalmente alla saga che ha permesso ai videogiochi dedicati a Dragonball di compiere il salto di qualità. La serie Budokai riesce nell’impresa di unire le meccaniche e la profondità di un picchiaduro 3D tradizionale con gli elementi più caratteristici delle battaglie di Dragon Ball. Mentre il primo episodio risulta un esperimento riuscito solo a metà, il secondo e soprattutto il terzo capitolo sono ancora oggi due ottimi picchiaduro.
Pur mostrandosi come un gioco piuttosto accessibile, anche grazie alla facilità di esecuzione delle mosse speciali, Budokai 3 presenta un sistema di combo, basato sulla possibilità di cancellare gli attacchi, appetibile anche per gli esperti del genere vista la sua complessità. Sempre questa serie offre per la prima volta la possibilità ai nostri personaggi di trasformarsi durante lo scontro, senza limitarsi a proporre infinite varianti dello stesso lottatore.
Il videogame presenta inoltre un interessante sistema di gestione delle abilità, basato sulle capsule, che offre un buon livello di personalizzazione del proprio lottatore. Anche la varietà è garantita da un buon numero di modalità e dalla possibilità di affrontare la modalità storia con numerosi lottatori diversi. Completa il quadro un ottimo cell-shading, che conferisce alla grafica 3d poligonale un aspetto più vicino a quella di un anime.
2. Dragon Ball: Sparking! Zero
Medaglia d’argento per il più recente e chiacchierato gioco dedicato a Dragon Ball. La saga Sparking! (Budokai Tenkaichi da noi) ha inventato il genere dei picchiaduro arena per come li conosciamo oggi. In questa serie infatti i lottatori possono spostarsi liberamente all’interno di vaste ambientazioni 3D. Questo stile di gioco, pur facendo spesso storcere il naso ai puristi, presenta scontri davvero spettacolari e, in generale, molto simili a quelli ammirati negli anime.
Principale punto di forza di questa saga è certamente il numero spropositato di personaggi, tratti un po’ da tutto il mondo di Dragon Ball. Ogni personaggio dispone di tutte le trasformazioni e abilità apparse nell’anime, conferendo a Sparking! una varietà davvero enorme. Anche il sistema di controllo è estremamente semplice ed accessibile e permette anche ai non amanti del genere picchiaduro di apprezzare Tenkaichi.
Non parliamo di un gioco perfetto. I personaggi, nonostante il loro numero elevatissimo, tendono a somigliarsi tutti e la disparità di forza tra loro è più che evidente. Una volta padroneggiato uno, non risulta difficile passare ad un altro, e sono spesso le abilità ad attivazione il vero ago della bilancia che determina l’efficacia di un lottatore. Nonostante questo, però, siamo di fronte ad un gioco estremamente divertente e completo, che ha saputo ottenere enormi consensi tra gli appassionati di Dragon Ball (leggete anche la nostra recensione).
Sparking! Zero riesce a catturare tutto il meglio degli episodi passati, combinandolo ad una grafica brillante e fluidissima e ad un gran numero di modalità di gioco. Ad arricchire l’offerta, una modalità storia ricca di episodi inediti e persino un editing per creare i nostri episodi personalizzati. Un must per ogni fan di Goku che si rispetti.
1. Dragon Ball Fighterz
E vince la nostra classifica il capolavoro di Arc system! C’è davvero poco da aggiungere su questo bellissimo picchiaduro 2D, uscito nel 2018 su tutte le principali piattaforme. Non è esagerato definire Fighterz il gioco di Dragon Ball perfetto.
Una grafica 2D semplicemente splendida, davvero simile ad un anime interattivo. Un sistema di controllo pulitissimo e profondo, che regala battaglie accanitissime a base di combo forsennate. Una meccanica di lottaa squadre calibrata al millimetro, con decine di combinazioni e strategie possibili. Quelli elencati finora sono solo alcuni dei punti di forza di questo gioco.
Anche dal punto di vista delle modalità e della varietà, Fighterz propone un’offerta davvero ricca ed appetibile. Unico neo del gioco è proprio la sua natura di picchiaduro tradizionale competitivo, che può non essere apprezzata dai fan più casual. Potete approfondire ulteriormente il gioco sulla nostra recensione, scritta in occasione dell’ultimo aggiornamento di Fighterz.
Ed ora, come sempre, a voi la parola! C’è qualche gioco che non avete trovato e vorreste segnalarci? Siete in disaccordo con le nostre posizioni? Fatecelo sapere nei commenti!
Square Enix ha pubblicato un documentario in quattro parti intitolato “Inside Final Fantasy 7 Rebirth“, che offre uno sguardo approfondito alla creazione e svela il dietro le quinte di Final Fantasy 7 Rebirth. Il documentario, disponibile su YouTube, presenta interviste esclusive con membri chiave del leggendario team di sviluppo, inclusi il director Naoki Hamaguchi, il producer Yoshinori Kitase e il direttore creativo Tetsuya Nomura.
Gli spettatori avranno l’opportunità di esplorare i retroscena della realizzazione del gioco di ruolo attraverso le storie e le esperienze condivise da director, artisti, designer e doppiatori del gioco. La serie di documentari è stata creata sia per i fan di lunga data che per i nuovi arrivati, offrendo una visione dettagliata del vasto e dinamico mondo di gioco di Final Fantasy 7 Rebirth.
Oltre alle interviste con il team di sviluppo, il documentario di Final Fantasy 7 Rebirth include approfondimenti da parte dei doppiatori dei personaggi, tra cui Cody Christian (Cloud Strife), Britt Baron (Tifa Lockhart) e Briana White (Aerith Gainsborough).
Rebirth si inserisce nel continuum narrativo del precedente Final Fantasy 7 Remake, titolo che ha riscosso un grande successo tra giocatori e critici nel 2020. Final Fantasy 7 Rebirth è già disponibile in esclusiva su PlayStation 5.
L’hype generato da qualsiasi cosa che riguardi Dragon Ball è sempre esagerato così come ogni episodio di manga, anime o videogioco inerente all’opera di Akira Toriyama, ma lo è ancora di più con la serie Budokai Tenkaichi. Attesa che Bandai Namco sta cavalcando egregiamente presentando un nuovo trailer di gameplay che mostra ben undici nuovi personaggi che saranno disponibile nel roster di Dragon Ball Sparking Zero.
Il trailer, che si è focalizzato sulla tematica “Velocità contro Forza”, ha mostrato ben 11 componenti giocabili del roster provenienti sia da Dragon Ball Z che Dragon Ball Super e che vi elenchiamo con il loro nome nel manga:
Super Trunks
Master Roshi
Max Power Nappa
Burter
Jeice
Super Saiyan Broly (Full Power)
Hit
Super Saiyan Kale (Berserk)
Toppo
Dyspo
Kakunsa
Dragon Ball Sparking Zero è il quarto capitolo della serie Budokai Tenkaichi, che per la prima volta arriverà in Europa con il titolo nipponico originale: Dragon Ball Sparking, per l’appunto. Bandai Namco non ha ancora rivelato la data di uscita del picchiaduro ma Sparking Zero ha già una classificazione ESRB per la pubblicazione negli Stati Uniti, che ci fa pensare che l’opera è pronta per essere lanciata sul mercato.