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New World, l’ultima speranza per gli MMORPG

Sin da bambini, una delle più grandi fantasie dell’essere umano è immergersi in un mondo fantastico in cui l’avventura e la sfida gli permetta di innalzare il proprio prestigio. Se non ti sei mai stupito per il successo che hanno avuto tutti quei videogiochi che ci permettono di essere un incredibile mago o un possente guerriero, ancor più facile è ipotizzare il successo dei giochi di ruolo online, più comunemente noti come MMORPG.

Nel 1997, in un settore ancora impreparato per gestire un mondo virtuale, nasceva Ultima Online, il precursore della volontà di tutti quei bambini di piegare la magia per i propri scopi. Sette anni dopo, quando l’evoluzione informatica ci ha dato l’opportunità di collegarci contemporaneamente in un universo fantastico è nato World Of Warcraft, un colosso da 113 milioni di iscritti e un picco di utenti attivi pari a 10 milioni nel 2010.

I numeri sono sempre brutalmente onesti. Negli ultimi venti anni, chiunque avrebbe detto che l’MMORPG è il genere a cui ambisce qualsiasi videogiocatore, perché permette di vivere un videogioco, invece che limitarsi a giocarlo. Nel 2021, sono già stati prodotti tanti MMO (Massive[ly] Multiplayer Online), ma per ottenere dieci milioni di utenti attivi bisogna sommare i giocatori dei cinque principali esponenti. Del resto, tutte le mode hanno un punto di massimo e di minimo. Per adesso il gaming online è basato su sfide più immediate, con titoli velocemente accessibili come Fortnite, FIFA o Call Of Duty, ma teoricamente niente ci vieta di pensare a un ritorno in pompa magna dei giochi di ruolo online. In termini pratici però le cose sono decisamente diverse.

Ideare, progettare, realizzare e soprattutto mantenere un MMORPG costa e una scarsa utenza può significare la morte di un titolo e addirittura di un genere. Se le stime pessimistiche troveranno riscontro nella realtà, gli MMO saranno relegati soltanto al pubblico asiatico, e in particolare coreano, storicamente noto per il suo amore per il genere e per i gacha (le controverse microtransazioni alla base di giochi come Geshin Impact). In Occidente invece serve un’importante scossa che solo meccaniche innovative possono dare. La prima software house che lo ha compreso sembra essere Amazon Games che sta tentando di rinvigorire un genere sull’orlo del baratro con il suo nuovo titolo, New World.

Un nuovo mondo

Ho avuto una lunga chiacchierata con il fondatore della community italiana di New World, Capitolino, e un attivo giocatore del PvP di New World, Berenike, che stanno provando l’alpha dell’MMORPG di Amazon Games. Dopo questa intervista, il mio interesse nei confronti di New World è di gran lunga aumentato e voglio raccontarvi i motivi.

Dopo l’ultimo rinvio di pochi giorni fa, New World arriverà sul mercato il 31 agosto 2021 solo su PC. Sono abbastanza certo che il gioco approderà in futuro anche sul cloud proprietario, Amazon Luna, che permetterà di giocare in mobilità, probabilmente con controller e quindi magari in futuro anche su console. Però, fino ad allora, dobbiamo tenere traccia dell’importante scelta della casa di Seattle di voler limitare il titolo soltanto al mondo PC, puntando alla nicchia più appassionata del genere.

Nonostante New World abbia cambiato faccia più volte nel corso degli anni, il titolo ha mantenuto intatta la volontà di soddisfare un pubblico esigente formato da veri cultori del genere. Il punto di partenza è la base PC, ma la conseguenza è un gameplay che sfrutta il progresso tecnologico e i nuovi standard degli action game.

Lo stato dell’arte

New World ha subìto diversi rework che hanno generato una naturale confusione nella community videoludica. Chiariamo dunque a cosa stanno giocando gli amici di New World Italia in questi giorni.

A differenza di quanto progettato inizialmente, attualmente New World è un MMORPG diviso in server, in cui la parte PvP è ancora di vitale importanza tanto da invogliare molti giocatori a pensare di intraprendere la scena competitiva. In particolare, la sfida tra giocatori sembra essere più sofisticata della controparte PvE, ancora priva di un vero endgame e che probabilmente sarà incompleta all’uscita prevista per questa estate.

Per quanto concerne il PvE, la forma scelta è quella dei classici dungeon, dei party da cinque giocatori e di alcuni boss “open” (in stile Azuregos di WoW). In altre parole, niente di particolarmente innovativo, ma gli sviluppatori sono coscienti della necessità di aggiungere altri aspetti, tanto da aver appena annunciato che il loro obiettivo è concentrarsi proprio sull’aggiungere contenuti endgame PvE nei prossimi mesi.

Ricordiamo che l’idea originale degli sviluppatori era concentrarsi sulla sfida tra giocatori. Non stupisce quindi che New World abbia maggiore varietà sotto questo aspetto. Premettiamo che non è più presente il Full Loot, quindi non perderete tutti i vostri averi in caso di morte e la feature caratterizzante è la presenza di tre fazioni (anche se si parla di una quarta neutrale) con una forte diplomazia di gilda basata sulla conquista.

Se l’idea che una fazione può insediare i territori di gioco risulta estremamente interessante, poiché si tratta di una caratteristica sviluppata con estremo insuccesso su altri giochi come World of Warcraft, la realizzazione può essere soggetta a varie problematiche. Una tra tutte la presenza di più server che può comportare un’eterogeneità nella quantità di giocatori di ogni fazione. Per questo Amazon Games sta studiando, oltre al miglioramento dell’attuale sistema di ranking, un bilanciamento che fornisca dei bonus a chi ha meno territori al fine di non rendere frustrante la sfida.

Tra le formule di combattimento, oltre alle arene che saranno introdotte a breve, ci sono i duelli e le “guerre tra fazioni”:

Le guerre tra Fazioni sono un semplice siege 50 vs 50, dietro però a qualcosa di così semplice si nascondono molte strategie di difesa o di attacco, con build dedicate e posizionamenti strategici nonché l’uso stesso delle armi di assedio. Noi dello Staff di New World Italia ne abbiamo provate diverse in Preview, arrivando persino a reclamare una città a nome della community vincendo il siege. Le guerre sono risultate molto divertenti, ti ritrovi in mezzo al caos della guerra con 50 nemici che sono pronti a prendere il tuo territorio. Una sola voce che parla nel tuo team, quella dello shotcaller che chiama gli obiettivi e le strategie di gioco, d’altronde da un buon shotcaller deriva la vittoria della guerra, tirare spell a caso o posizionarsi dove capita non è mai una buona strategia.

La vittoria del siege si ottiene conquistando 3 punti esterni al forte, solo dopo si può entrare sfondando le porte e catturare l’ultimo punto per reclamare il territorio. Una cosa inoltre che abbiamo trovato utile è la scelta dell’orario della war, quindi la gilda che difende sceglie l’ora in cui iniziare la guerra. Questo è un ottimo modo per avere un momento comune con tutti i gildani di giocare senza escludere nessuno che magari ha impegni lavorativi o altro

Capitolino, founder di New World Italia

Un mondo old style

New World presenta delle meccaniche tipiche dei giochi di ruolo più classici. Infatti, sarà necessario scegliere i punti caratteristiche da aumentare a ogni livello e sono presenti degli alberi delle skill per l’utilizzo delle armi. La novità principale sotto questo aspetto è la mancanza di una classe di riferimento. Infatti, i giocatori possono intraprendere qualsiasi classe e adattare le proprie caratteristiche a essa. Questa scelta è agevolata dalla presenza di un reset dei punti facilmente accessibile in termini economici e, soprattutto lato PvE, dalla non totale necessità di avere un party “standard”, cioè nessuna fondamentale presenza di tank e healer, per affrontare le sfide di gioco.

Di recente è stato aggiunto il crafting che, secondo la visione degli sviluppatori, dovrebbe essere una parte cruciale di New World, con una scarsa presenza di NPC a favore di giocatori-mercanti.

Innovativo per definizione

Gli MMORPG sono dei titoli longevi, che mutano forma con il tempo, ma che per motivi tecnici non possono allontanarsi dal pattern che è stato deciso all’uscita, che magari risale anche a più di una decade fa. Questo ciclo di vita così lungo, non permette alla stragrande maggioranza dei GDR online più seguiti di rimanere al passo con tempi e tecnologia. Il vantaggio del titolo di Amazon Games parte proprio da questo.

New World basa il suo combat system sul genere soulslike. Questa scelta comporta due importanti considerazioni. La prima è la volontà della casa di sviluppo di puntare a una tipologia di videogiocatori più preparati ad affrontare le difficoltà che il gioco può porre. La seconda è scegliere un sistema di combattimento che non era immaginabile 15 anni fa. Gli sviluppatori di un gioco di ruolo online devono tenere conto di vari fattori quando progettano il proprio titolo e tra questi c’è sicuramente la banda media e la latenza di ogni utente.

In altre parole, solo un MMORPG in uscita nel 2021 come New World può avere un combat system in stile Dark Souls, perché la tecnologia di rete lo permette solamente oggi. Magari ci sono stati altri giochi online che hanno voluto proporre una tale scelta, ma si contano sulle dita di una mano le aziende che possono permettersi dei server in grado di ospitare un titolo che contenga migliaia di videogiocatori con la necessità di colpire, parare e schivare con tempismo e precisione. Infatti, anche i mostri manovrati dalla CPU offrono una sfida impegnativa (quasi da survival) che richiede attenzione da parte del giocatore e un’importante risposta agli input da parte dei server.

Il fattore Amazon

Le strutture proprietarie (come il cloud computing di AWS) garantiscono ad Amazon Games la possibilità di osare con idee difficilmente realizzabili a causa dei limiti tecnologici. Gli MMORPG abbracciano le difficoltà di sviluppare un videogame con quelle di gestire un’applicazione sempre online, e l’esperienza ci insegna che buone idee possono crollare facilmente sotto il peso di un’architettura informatica non adeguata. Sotto questo punto di vista, Amazon ha un’infrastruttura che sarebbe un vero peccato sprecare e la scelta di un genere così complicato può esaltare questi enormi vantaggi strutturali.

A quanto appena detto, dobbiamo aggiungere l’importanza che ha la piattaforma streaming di Amazon nella campagna marketing della software house. In un contesto pieno di spettacolarizzazione, Twitch con i suoi record di contenuti e visualizzazioni, permette una campagna pubblicitaria coinvolgente e che farà sicuramente parlare di sé.

Dubbi e speranze

Gli MMORPG richiedono un’attenzione maniacale nel gameplay e nel bilanciamento. Una sfida che ha messo in difficoltà tantissimi veterani, che hanno imbracciato il mondo online solo dopo molti anni di esperienza. Come confermato anche dai ragazzi di New World Italia (con cui potete interagire su Discord e seguire su Facebook), il titolo uscirà probabilmente incompleto in termini di endgame e con tante feature che dovranno essere aggiunte o migliorate in corso d’opera. Questo costringerà Amazon Games a seguire al 110% il gioco per un lungo periodo, ma la recente storia della software house è fonte di perplessità. Breakaway e Crucible sono stati un profondo insuccesso e New World è l’ultima spiaggia di una casa di sviluppo, che se non riuscisse a sfondare con il suo titolo di punta, in 5 anni, non sarebbe riuscita a portare a casa nemmeno un gioco di medio successo.

In conclusione, ho grandi speranze nei confronti di New World, che vuole portare delle idee innovative in un contesto molto complesso e potrebbe realmente essere in grado di farmi innamorare nuovamente degli MMORPG, nonostante a trent’anni sia difficile trovare il tempo per fiondarsi nuovamente su questo genere.

New World un progetto molto ambizioso, ma è così facile farlo diventare “troppo” ambizioso che non voglio affezionarmi sin da subito, perché la probabilità di una profonda delusione è dietro l’angolo. Di certo, attualmente nessun altro MMORPG mi può convincere a riprendere il genere se non proprio il gioco di Amazon Games. Questo significa che l’idea c’è ed interessante, ma sarà vera gloria?

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Cyberpunk 2077 ci ha confermato che i voti dei videogiochi sono troppo alti

A un mese dall’uscita del vociferato Cyberpunk 2077 e dopo lunghe discussioni, abbiamo capito, in redazione, che le nostre posizioni divergenti hanno in comune un’unica certezza: la media dei voti dei videogiochi è troppo alta.

Rispetto a tutti gli altri media come i film e le serie TV, i voti dei videogiochi tendono decisamente verso l’alto, tanto da far pensare, a chi ha meno tempo per giocare, di abbondonare i titoli con votazione inferiore a 9, perché l’attuale panorama videoludico è pieno di giochi che sono ritenuti capolavori.

Questa tendenza ha generato mostri quando la stampa di settore ha dovuto scegliere il voto da dare al controverso Cyberpunk 2077. Tralasciando le pessime conversioni per PlayStation 4 e Xbox One, molti gamer sono rimasti insoddisfatti anche dai voti attribuiti alla versione PC. Le maggiori testate italiane hanno dato una votazione tra 9 e 9,5. Le testate internazionali, invece si sono sbizzarrite dal massimo voto di VG247 e GamesRadar fino a un risicato 78/100 di PC Gamer.

Chi ha ragione? Probabilmente tutti e nessuno.

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Cyberpunk 2077 ha avuto voti decisamente variegati.

I capolavori del genere

Per poter dire che Cyberpunk 2077 meriti un voto da capolavoro, dobbiamo confrontarlo con i suoi diretti avversari che hanno stabilito uno standard sul genere. L’ibrido di CD Projekt Red non è facile da collocare in uno specifico genere, quindi ho preso in considerazione gli open world più simili. La concorrenza d’élite è spietata: Red Dead Redemption II e The Legend of Zelda: Breath of the Wild.

Su YouTube sono disponibili decine di video confronti, ma basta un po’ di memoria per affermare che, su alcuni aspetti, Cyberpunk 2077 è abbastanza lontano da questi due giochi. L’intelligenza artificiale di Red Dead Redemption II, il combat system di The Legend of Zelda: Breath of the Wild e, in generale, la qualità delle animazioni di entrambi i titoli sono decisamente più avanti rispetto al lavoro fatto da CD Projekt.

Quindi Cyberpunk 2077 non merita più di nove? Personalmente, dico di no, ma ci sono comunque alcune cose in cui Cyberpunk 2077 è un capolavoro: narrazione e statistiche come gioco di ruolo.

Red Dead Redemption II, un capolavoro open world.

Narrazione perfetta

Se chiedessimo a un appassionato del genere se Cyberpunk 2077 è un capolavoro del genere dei GDR, probabilmente avrebbe difficoltà a rispondere, o dovrebbe omettere alcune considerazioni. Molti puristi dei giochi di ruolo hanno lamentato la forte incoerenza che si può avere durante la gestione di V. Possiamo decidere di essere spiegati corporativi e l’esatto contrario come e quando vogliamo, senza che il mondo si faccia un’opinione su di noi. Allo stesso tempo, le scelte durante il dialogo molto spesso non portano delle conseguenze letali come avviene in altri titoli più vetusti come Baldur’s Gate o con voti decisamente più bassi come The Outer Worlds, Tyranny o Pillars of Eternity.

The Outer Worlds, un ottimo gdr in prima persona.

D’altro canto, Cyberpunk 2077 ha le migliori quest secondarie che io abbia mai giocato, con molti personaggi, anche quelli completamente irrilevanti, che possono straziare il videogiocatore.

Ovviamente è facile dire che i principali personaggi come Judy, Panam e River meriterebbero un DLC personale. Questi NPG sono semplicemente fantastici e le loro quest lasciano veramente con il magone e un senso di vuoto che raramente si prova nei videogiochi, troppo spesso occupati a far uccidere al giocatore qualsiasi cosa si muova.

Il nuovo standard impostato da CD Projekt Red risiede nei personaggi secondari di cui non si ricorda nemmeno il nome. Durante una quest secondaria, vi potrete imbattere in un ex-militare che vuole assassinare un politico. Lo potrete convincere a desistere. I risultati? Lui si suiciderà davanti ai vostri occhi e sarà terribile.

Trame, narrativa e linee di dialogo sono fondamentali in qualsiasi gioco. Di conseguenza, sotto questo punto di vista, Cyberpunk 2077 ha stabilito un nuovo standard difficile da superare, anche per la durezza con cui vengono affrontati argomenti delicati come il suicidio, la politica, il sesso e la religione.

La quest di Judy fa davvero soffrire.

Bilanciamento di qualità

Nonostante il gioco non ci faccia mai arrivare in una situazione in cui pensiamo di non uscirne vivi, Cyberpunk 2077 ha un ottimo bilanciamento di statistiche in termini puramente matematici, che ci costringe a tenere gli occhi aperti anche dopo decine e decine di ore. In particolare, ho apprezzato la necessità di dover pianificare ogni singolo punto attributo che viene speso sul proprio personaggio. Il folle prezzo per resettare i talenti, unito al bilanciamento punitivo, mi hanno impedito alcune specializzazioni che volevo per il mio personaggio durante la prima run.

Non significa che non sono riuscito a finire il gioco, ma l’insoddisfazione per una mancata pianificazione ricorda i titoli del passato più difficili e maggiormente basati sulle regole di D&D come il già citato Baldur’s Gate oppure i vari Planescape: Torment e Neverwinter Nights.

Creare un personaggio in Baldur’s Gate.

Cyberpunk 2077 merita meno di nove?

Cyberpunk 2077 ha alcuni punti molto forti e altri più deboli. Non sembra essere un capolavoro, quindi dobbiamo trovare un voto inferiore a 9,5.

Cyberpunk 2077 merita 9? Abbiamo detto che non è un capolavoro per troppi aspetti e anche i bug fanno precipitare il titolo. Facile dire che il voto deve essere più basso di 9.

Esattamente come già fatto con i pilastri del genere prima elencati, cerchiamo di capire quali sono gli altri titoli molto simili all’open world polacco con una votazione inferiore. E capiamo se Cyberpunk 2077 vale quanto loro.

  • Fallout 4 ha, in media, un voto molto vicino al 9. Molti lo hanno definito come un titolo con dialoghi troppo ridotti all’osso e un combat system lontano da quanto sapevano offrire i capitoli precedenti. Personalmente, penso che il gioco di CD Projekt Red sia migliore.
  • Assassin’s Creed Valhalla ha un voto che oscilla intorno all’8,5. Lo abbiamo recensito anche noi e parliamo di un gioco solido, divertente, ma lontano dalla perfezione. E sicuramente il suo open world non è dettagliato e bello come quello di Cyberpunk 2077.
  • The Outer Worlds oscilla tra l’8,9 e il 7 tra i voti italiani e possiamo definire il voto di PC Gamer pari a 7,9 (un punto decimale sopra Cyberpunk 2077) come la giusta media. Ho recensito questo titolo per Nintendo Switch, e tralasciando il downgrade grafico, il gioco è esattamente uguale alle altre versioni. In poche parole, si tratta di un gioco eccessivamente snello per impensierire la creatura polacca.
  • Watch Dogs Legion è altalenante esattamente come The Outer Worlds, con un voto che si assesta intorno all’8. Dobbiamo veramente parlarne? Nonostante alcuni momenti da next-gen, la vita da hacker targata Ubisoft è decisamente troppo lontana dall’esperienza distopica di Cyberpunk 2077.

Quattro titoli che sono delle solide realtà e che hanno ricevuto voti appena sotto il capolavoro. Titoli di livello, che però non sono neanche lontanamente paragonabili a un Cyberpunk 2077 pieno di bug e di tagli più o meno forzati.

Fallout 4, un buon titolo con un nome ingombrante.

Una scala di valori errata

Dare un voto a Cyberpunk 2077 è impossibile, perché la scala di valutazione che stiamo utilizzando è sbagliata. I giochi attuali, oltre ad avere voti così diversi tra le testate giornalistiche da rasentare la schizofrenia, sono semplicemente troppo alti. Questo non permette di collocare giochi importanti come Cyberpunk 2077, cioè titoli di altissimo livello, ma con delle lacune importanti, perché un 8,5 è un voto condiviso tra troppi giochi di diverso valore.

In un ambiente comune, come quello scolastico, Cyberpunk 2077 è un progetto ambizioso che ha puntato al sole, si è scottato, ma non è precipitato. Un solido “distinto” che si può premiare o punire in base alla tendenza della maestra di premiare la creatività. Nei videogiochi, il “distinto” è un fallimento per i tripla A e un 6, sufficienza che ti permette di andare avanti nonostante le difficoltà, può far chiudere uno studio.

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Le varie versioni di Cyberpunk 2077 necessitano di voti diversi.

Evoluzione non rivoluzione

Una valutazione generale troppo alta crea diversi problemi. Prima di tutto, solo una parte dei voti è realmente usata. Per esempio, i voti sotto la sufficienza sono stranamente più rari dei voti molto alti. In questo modo, è estremamente complesso poter valutare quei titoli a cavallo tra il distinto e l’ottimo, perché la coperta è diventata così stretta che tanto vale usare la classica scala da 1 a 5 di Amazon, che dice tutto e nulla.

Premetto che ci sono delle testate che assegnano voti decisamente più bassi, ma parliamo soprattutto di storiche riviste a cui poca importa del problematico giornalismo online. Un esempio è chiaramente EDGE, che ha dato 7 a Cyberpunk e che non ha interesse a omologarsi con le testate digitali.

EDGE ha valutato Cyberpunk 2077 come un “sette”.

Per il mondo online, la rivoluzione non può partire dalle piccole realtà, perché se le grandi testate digitali decidono che Fallout 4 vale 9, il piccolo blog che gli riserva un 7 viene visto negativamente dal publisher, che purtroppo potrebbe decidere che non sei degno di recensire i suoi giochi. Volevi apparire, ma hai solo commesso un inutile sacrificio. E così, potrebbe capitare che il blog non riceva più il gioco oppure che questo arrivi solo il giorno del lancio. Il risultato è fornire una recensione con estremo ritardo rispetto a una concorrenza maggiormente omologata.

Per poter dare un voto vero a Cyberpunk 2077, bisogna cominciare a rivalutare un intero sistema di recensioni che non può essere più basato su un scala di valutazione irreale, dove la maggior parte degli studenti è un genio e devi fare proprio del gran casino per essere scadente. Per farlo però non è sufficiente una rivoluzione di pochi piccoli temerari, ma un’evoluzione del giornalismo videoludico che con standard ferrei e una rigidità tipica di realtà consolidate possa stabilire quanto un gioco è meritevole del denaro dei videogiocatori.

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I peggiori ritorni del 2020: Warcraft III e Pikmin

Il 2020 dei videogiochi è stato un anno ricco di eventi. La pandemia di Covid-19 ha acceso i riflettori su un mercato in enorme espansione, che ha dovuto anticipare i propri tempi di maturazione, spesso non riuscendoci. Casi come le versioni old-gen di Cyberpunk 2077 rimarranno nei libri di storia, ma ci sono stati anche danni più subdoli e pericolosi.

Warcraft III Reforged e Pikmin 3 Deluxe sono rispettivamente un remake e una remastered. Questi due titoli portano nomi pesanti come Blizzard e Shigeru Miyamoto, ma il loro fallimento non si limita all’imbarazzo dei creatori. Stiamo parlando di due giochi diversi, con problemi differenti, ma che rischiano di convidere un unico destino, quello di non vedere mai più un proseguo della serie.

Warcraft III Reforged

Warcraft III: Reign of Chaos arrivò sul mercato nel 2002 e fu letteralmente una bomba atomica. Definito oggi come uno dei più grandi capolavori di tutti i tempi, confermò il periodo d’oro di Blizzard che con StarCraft, Diablo II e Warcraft III dimostrò di saper trasformare in oro qualsiasi cosa toccasse. Da lì cominciò un lungo viaggio che portò a quella che è probabilmente l’espansione più famosa di tutti i tempi, Warcraft III: The Frozen Throne, e l’MMORPG più giocato in assoluto, World of Warcraft.

Per questi motivi, quando fu annunciato Warcraft III Reforged, la fanbase rimasta delusa dai tanti svarioni della nuova Activision Blizzard, pensò che era ritornato il momento di veder risplendere la luce di Blizzard. Il 28 gennaio 2020 esce Warcraft III Reforged ed fu un incredibile flop.

Warcraft III ha fatto del suo comparto online, e del suo settore competitivo, un gioiello così prezioso che Battle.net riuscì a sopravvivere anche a distanza di quasi vent’anni. Blizzard ne era cosciente e annunciò che il titolo avrebbe solamente aggiunto, senza modificare nemmeno le hitbox dei personaggi per mantenere intatta l’esperienza online. In altre parole, Warcraft III Reforged doveva portare nuove persone a giocare il capolavoro Blizzard e ravvivare la scena e-sport del titolo.

Paragona tra demo e versione finale di Warcraft III Reforged.
La demo di Warcraft III Reforged aveva migliori ombre e migliori texture su erba e alberi della versione finale.

Purtroppo, il gioco fu una terribile delusione per tre motivi. Il primo è il downgrade rispetto a quanto mostrato nei trailer degli anni precedenti. Semplicemente il gioco non era così bello come si era visto nelle demo. Il secondo è la mancanza di feature online importanti per la community. Per farla breve, il vetusto Battle.net aveva più opzioni rispetto al nuovo sistema competitivo. Infine, la terza goccia che fece traboccare il vaso fu la scelta di Blizzard di applicare una policy per cui le mappe create con l’editor di gioco sarebbero per sempre appartenute all’azienda stessa.

I motivi di quest’ultima scelta sono abbastanza semplici da capire. Da una mappa personalizzata nacque DotA, ma Activision Blizzard ha dimenticato che senza quell’opportunità, il primo vero MOBA non sarebbe mai esistito e forse nemmeno un intero genere.

La risposta degli utenti non si è fatta attendere. Blizzard è stata costretta ad aprire ai rimborsi e ad oggi il rinominato Warcraft III “Refunded” ha un votazione su Metacritic pari a 0.6.

Pikmin 3 Deluxe

La strategia di Nintendo sui giochi usciti in esclusiva su Wii U è stata abbastanza chiara. Secondo Nintendo, anche se Wii U non ha avuto un notevole successo, la console ha avuto tantissimi capolavori che probabilmente non avete mai giocato. Di conseguenza, l’azienda di Kyoto ha deciso di riproporli praticamente tutti su Nintendo Switch e nell’anno 2020 mancava all’appello una delle ultime creature di Shigeru Miyamoto, Pikmin 3.

Premetto che Pikmin 3 Deluxe non è un brutto gioco. Anzi, è il miglior capitolo del franchise. Semplicemente, non ha nulla di veramente “Deluxe” e lo scotto pagato è altissimo.

Pikmin è un franchise nato su un’altra console poco fortunata, il Nintendo Gamecube. Il primo capitolo vide la luce nel 2002 da un’idea del maestro Miyamoto. Lo scopo del titolo è sopravvivere in un pianeta avverso con l’aiuto dei Pikmin, piccole creature che possono svolgere delle azioni in base al proprio colore. L’utente, nonché sopravvissuto a uno schianto, dovrà gestire i Pikmin per riuscire a ripartire verso la sua vera casa.

Trova le differenze, difficoltà: God.

Il brand è universalmente riconosciuto come innovativo, ma non ha mai fatto impazzire i videogiocatori come comprovato dalle vendite. Per un titolo Nintendo, le 1,6 milioni di copie di Pikmin sono poche. Ancora peggio le 1,27 milioni di copie di Pikmin 3 per Wii U dopo un’attesa lunga 9 anni rispetto al secondo capitolo.

Fino ad oggi, le colpe delle scarse vendite di Pikmin sono sempre ricadute sull’hardware e Pikmin 3 Deluxe doveva essere la consacrazione di una serie che finalmente proponeva il suo miglior titolo su una delle console più vendute di sempre, Nintendo Switch. Purtroppo per i fan e per Miyamoto, Pikmin 3 Deluxe ha venduto meno rispetto alla versione per Wii U causando quella che io credo sia la morte del brand.

Spero di sbagliarmi e mi auguro che il maestro Miyamoto annunci nel 2021 Pikmin 4, ma le colpe di Nintendo sono tante. L’azienda ha dimostrato di non credere in questo progetto realizzando un porting svogliato per una serie che non ha avuto né la giusta dose di fortuna né soprattutto di fiducia da parte di Nintendo.

Conclusione

Tra Warcraft III Reforged e i “danni” nella trama causata da World of Warcraft, è difficile oggi pensare che arriverà Warcraft IV. Sicuramente non in tempi brevi visto che Blizzard sta lavorando totalmente a Diablo IV di cui dovremmo avere notizie al BlizzCon 2021. Di certo, è che Warcraft III Reforged sarebbe dovuto servire come collante tra le generazione per creare l’umore adatto per chiedere a gran voce un nuovo capitolo di uno dei migliori RTS di sempre.

Activision Blizzard ha le spalle larghe, ma non sono certo che gli sviluppatori Blizzard siano ancora in grado di fornirci un titolo migliore di Warcraft III. Se avessi fatto quest’affermazione dieci anni fa, molti l’avrebbero presa per eresia, ma oggi non sembra più così sciocca.

Per quanto riguarda la serie Pikmin, rimane solo una fievole speranza. Negli anni si è parlato della serie e molti hanno affermato che Pikmin 4 fosse realmente sotto sviluppo. A differenza di Warcraft, è necessario sperare che Pikmin 3 Deluxe sia stato solamente un passo falso dovuto dal Covid-19 e che con il 2021, oltre al virus, ci dimenticheremo anche dell’ingrato ruolo di tappabuchi affidato all’opera di Shigeru Miyamoto. Se così non fosse, probabilmente Nintendo prenderà la decisione più ragionevole per un’azienda, che è quella di abbandonare il brand per sempre.

Questi sono stati i ritorni nel 2020 che più mi hanno deluso. I vostri invece quali sono?

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Le evoluzioni digitali dei giochi da tavolo

In questo articolo esamineremo la superficie di un fenomeno che da qualche anno sta prendendo sempre più piede e che l’emergenza pandemia sta accelerando, per certi aspetti in maniera inattesa…

GDT… non GDR!

Attenzione all’ultima lettera: T e non R.

Oggi non parleremo di GDR (gioco di ruolo). Questo concetto, seppur in ambito videoludico possieda dei connotati abbastanza precisi tanto da costituirne un genere, nel mondo classico del carta-e-matita vive da anni uno scontro epocale fra giocatori, esperti, designer e utenti in generale… giusto per riuscire a darne la sola definizione!

Per fortuna, per i GDT le cose sono più semplici: la sigla indica i Giochi Da Tavolo, quelli che prevedono per l’appunto un tavolo e l’immancabile tabellone da poggiarci sopra.
Dai più classici (Risiko, Monopoli, Cluedo, …) ai più recenti (Terraforming Mars, Root, Scythe…), tutti hanno una plancia comune, ma possono presentare anche altri componenti fisici, realizzati in materiali differenti come cartone, legno e plastica.

Come ultima nota introduttiva, e come ulteriore distinguo, i giochi che prevedono molte miniature, interi eserciti e che impiegano righelli, sagome di effetto, elementi scenici e simili, sono meglio noti come wargames.

Gioco da Tavolo
Carte, dadi, segnalini, miniature… e sopratutto: il tabellone!

Il fenomeno dei Giochi da Tavolo

Da circa quindici anni a questa parte, dapprima timidamente, ma poi con un impulso sempre maggiore, il mondo dei GDT (fisici) si è evoluto e si è espanso a dismisura. Le fiere del gioco quali Lucca C&G e Modena Play sono cresciute e hanno dedicato molto più spazio a questi passatempo; nello stesso momento sono nati blog, forum, pagine internet con recensioni, video di unboxing, demo, spiegazioni delle regole e migliaia di progetti crowdfounding sulle più note piattaforme online.

La forbice dell’età degli appassionati si è allargata ed esistono a oggi numerose categorie che coprono prodotti molto diversi: titoli dedicati alla famiglia, ai giocatori occasionali, agli hardcore gamers e così via… ce n’è per tutti i gusti. Inoltre, di recente, molti giochi moderni prevedono in modo nativo la modalità “solo” ovvero possono essere giocati anche se non ci sono amici o parenti disponibili a intavolare una partita.

Provate a dare un occhio a BGG: Board Game Geek, giusto per farvi un’idea…

Il connubio GDT e digitale

Il salto dai giochi da tavolo in modalità solitaria alla loro implementazione digitale è breve, un passo quasi naturale, ma il fenomeno “digitale” è molto più variegato e complesso di quello che si potrebbe immaginare…

Uno degli approcci al GDT digitale è quello “simulativo”, ovvero ricreare in un ambiente virtuale tutti i suoi componenti fisici: plancia, segnalini, miniature, schede, carte e a volte anche il tavolo (Tabletop Simulator, Vassal, Tabletopia). Una sorta di piattaforma che funge da framework per intavolare i giochi di questo tipo.

Un altro modo è quello di prendere un gioco da tavolo e farne il porting, ovvero implementarlo in un programma per PC, tablet o dispositivi simili. Ecco, questo è ciò che si avvicina di più a un tipico videogioco per come lo conosciamo (che nasce però da un GDT).

Poi ci sono i giochi da tavolo (fisici) più moderni che includono elementi digitali, da “semplici” link raggiungibili via qrcode o simili, che rivelano contenuti segreti o altre informazioni, a vere e proprie app. Alcune di queste si limitano a semplificare dei passaggi e a randomizzare e preparare il setup, altre consentono di aggiungere effetti sonori, dialoghi ed elementi capaci di coinvolgere maggiormente i giocatori, altre ancora implementano una precisa meccanica e dunque sono esse stesse parte integrante del gioco.

E non finisce qui. In epoca di pandemia, alcuni GDT hanno tentato la via di ristrutturare un po’ le proprie regole per poter essere giocati anche da remoto, sfruttando qualsiasi programma di videochiamata o di videoconferenza…

Tabletop Simulator
Tabletop Simulator: pedine, carte, dadi, fiches, segnalini, miniature, pezzi degli scacchi… e ovviamente anche un tavolo. Tutto virtuale.

Giochi da Tavolo online: hanno senso?

Ecco, questa è la classica domanda da un milione di dollari. E come sempre, esistono le varie fazioni di pensiero contrapposte.

C’è chi sostiene che un GDT ha poco senso se non lo si gioca con i propri amici al tavolo, mentre si ungono le carte con le patatine, mentre si inveisce contro tutti i presenti o, viceversa, ci si scervella insieme per risolvere le sfide in modo cooperativo.

Poi ci sono altri che vedono in questo nuovo approccio un modo di superare le distanze (imposte dalla pandemia, per esempio) o di poter giocare spendendo un po’ meno e non invadendo casa con chili di materiale e scatole…

Paragonare il mondo fisico a quello digitale o a una loro ibridazione non è semplice, e probabilmente neanche troppo significativo, dato che è evidente che le esperienze di gioco offerte sono profondamente diverse, pure se si sta giocando allo stesso titolo. Il fatto di poter vedere, manipolare i componenti e toccarli con mano e vivere la partita in presenza o, viceversa, gestire il tutto a schermo, tipicamente da remoto, sono cose completamente diverse.

Terraforming Mars: gioco fisico
Terraforming Mars: dal gioco da tavolo fisico…

Fisico vs digitale

Limitandomi a considerare i soli GDT digitali intesi come quelli portati sul PC (e piattaforme simili), ecco di seguito alcune osservazioni, spunti di riflessioni o indicazioni scaturite dal giocare alcuni titoli in versione digitale… dopo aver provato per diverso tempo le loro controparti fisiche.

Prezzo. Solitamente un gioco digitale costa meno della metà di uno fisico e spesso ci sono offerte o “bundle” interessanti a livello economico; tuttavia, se un gruppo di amici vuole giocarci insieme, ciascuno dovrà comprare la sua copia.

Spazio. Ovviamente un gioco digitale non occupa alcuno spazio fisico in casa, ma anche considerando l’occupazione su HD o altre periferiche di memorizzazione, lo spazio necessario è irrisorio (tipicamente una manciata di centinaia di megabyte), nulla in confronto ai “videogiochi classici”.

Regolamento. Ovviamente il regolamento del gioco fisico è identico a quello digitale, ma in quest’ultimo caso è più semplice organizzarlo in sezioni collegate e strutturate, eseguire ricerche per argomento o meccaniche di gioco, e trovarvi note supplementari o esempi utili a costo zero, non dovendo stampare su carta.

Demo. Questo è un plus delle edizioni digitali ed è eredità dei videogiochi. È possibile avere demo per spiegare efficacemente le regole e le meccaniche del gioco e imparare a giocare con pochi sforzi. Questa prassi è comune anche nel gioco fisico, dove solitamente è il possessore del titolo a svolgere il ruolo di facilitatore, spiegando regole, casi specifici ed eccezioni… fattibile ma oneroso in tempo.

Terraforming Mars: gioco digitale

… alla versione digitale.

Interfacce. Sono curate e rese identiche a quelle del gioco fisico, ma potenziate con animazioni, effetti sonori e altri elementi che possono aiutare a seguire meglio il turno di gioco e il suo flusso. Viceversa, alcuni elementi di minor conto o anche informazioni molto utili ma relative agli altri giocatori potrebbero essere più difficili da scovare, penalizzando un po’ la tattica e la strategia. Infine, la riorganizzazione di certi elementi può provocare un iniziale disorientamento per chi migra dalla versione fisica a quella digitale, ma di solito ci si abitua in breve tempo.

Grafica. Come sopra riportato, i giochi da tavolo digitali di per sé non necessitano di grandi risorse per essere installati e giocati. La grafica riprodotta a video è quella delle arti, dei disegni, dei font e dello stile del gioco fisico. Vari elementi possono essere ricostruiti in 3D e texturizzati, come pure è quasi sempre previsto un motore di gioco capace di zoomare o cambiare la visuale del tavolo e degli elementi: per un GDT, nulla in più di questo è necessario.

Suono. L’impianto sonoro è altalenante: mi sono imbattuto in giochi che hanno una vera e propria colonna sonora, un plus rispetto all’edizione fisica, e altri che seppur utilizzano temi gradevoli e di ambientazione, si sono ben presto rivelati noiosi e ripetitivi. Ciononostante, è da notare che per questa tipologia di giochi, la musica e gli effetti devono rimanere di contorno, aiutare a pensare piuttosto che rendersi protagonisti e distrarre il giocatore mentre pianifica le proprie mosse.

Bug e problemi. In alcuni casi sono usciti dei giochi in versione digitale ancora troppo acerbi e con numerosi problemi e bug, anche gravi. A meno di non incorrere in casi più unici che rari, questo non avviene per i prodotti fisici. È impensabile ristampare e rispedire un gioco errato a tutti coloro che l’hanno acquistato. Certo, possono esserci alcuni errori o la necessità di disporre di alcune faq, ma distribuire un prodotto fisico incompleto, non testato o non giocabile è abbastanza raro. Per contro, per un prodotto digitale è più semplice intervenire a posteriori, correggere gli sbagli e migliorare le cose, dato che oggi è naturale per chiunque scaricare patch o nuove versioni aggiornate.

Terraforming Mars: IA
Meglio mettere un po’ di IA difficili, così da allenarsi meglio e divertirsi un po’.

Intelligenza artificiale e dintorni. Sostituire uno o più giocatori umani non è questione da poco. Nei giochi con alea, ovvero con tiro di dado, pesca di carte, setup random, etc, si spera che la difficoltà variabile delle IA non riguardi il poter barare o meno. Non possiamo verificare infatti che una IA forte faccia tiri migliori o peschi carte ad hoc in base alla situazione. Comunque sia, personalmente ho deciso di fidarmi delle IA e non ho riscontrato particolari vizi di gioco o forzature in tal senso.

Sempre dall’esperienza maturata sul campo, ho notato che spesso la differenza nel loro grado di “bravura” è data dal gestire in maniera più o meno oculata le strategie e le tattiche intese come tipo di mossa, tempistiche e ordine delle stesse. Un giocatore umano può invece sempre sorprendere con una mossa inaspettata e inizialmente controproducente. Di fatto le IA sono mediamente curate e offrono sfide adeguate, ma tipicamente non sono capaci di rimpiazzare un giocatore in carne e ossa.

Modalità di gioco. Le partite in locale di solito sono quelle che danno meno problemi tecnici ma anche meno soddisfazioni. Il giocatore umano è tipicamente uno e può sfidare quindi il gioco in modalità “solo” (quando prevista), oppure impostare una partita con più giocatori gestiti dalle IA.

Le partite in multiplayer sono sicuramente più soddisfacenti, anche se i giocatori umani sono sparsi per il globo e non sono seduti allo stesso tavolo. Un vantaggio è quello che pure se i nostri amici storici non hanno il gioco o non possono giocare in quel momento, molti altri sono sempre presenti online, e una partita si può organizzare facilmente. Per contro, giocare online prevede quasi sempre appoggiarsi a dei server dedicati e in più di un’occasione mi è capitato di venire disconnesso o di non riuscire a giocare per la troppa gente presente o per alcuni problemi tecnici. Anche altre seccature e bug non riscontrati durante le partite in locale paiono invece spuntar fuori sul più bello mentre si sta per chiudere la partita con successo e soddisfazione… nonostante ciò, spesso è possibile ricollegarsi al gioco senza dover subire l’eliminazione a tavolino.

Scythe: gioco digitale
Ecco Scythe, un altro bel “cinghiale” da giocare intorno a un tavolo o dietro lo schermo di un PC. In ogni caso rischierete di perdere degli amici, reali o virtuali che siano.

Conclusioni

Il mercato del GDT digitale è in crescita e pescando dall’oceano della sua controparte fisica, sta recuperando e proponendo numerosi giochi. In tal senso, negli ultimi anni vengono pubblicati in forma digitale moltissimi titoli validi, puntando su un target di giocatori molto ampio (per età, generi e modalità di gioco). Seppur il gioco da tavolo tradizionale è uscito fuori dalla nicchia con le sue forze, disporre delle versioni digitali permetterà di essere conosciuto a un’utenza ben maggiore, favorendone anche la fruibilità grazie a un medium molto più accessibile e diretto, il videogioco.

In ultimo, tre cose:

  • I titoli digitali sono un buon modo per valutare l’acquisto della controparte fisica: costano significativamente meno e, giocandoci, possiamo farci un’ottima idea a riguardo.
  • I GDT digitali possono essere impiegati anche per allenarsi e per provare strategie diverse… da sfoderare quando si è al tavolo con gli amici.
  • La maggior parte delle piattaforme di gioco possono essere sfruttate per lavoro da autori, progettisti ed editori per simulare il GDT che stanno sviluppando prima ancora di realizzarne un prototipo fisico. Quest’ultimo è un passo imprescindibile dell’intero processo creativo, ma si può avviare questa fase in tempi minori, con problemi già risolti in fase “virtuale” e contenendo i costi di produzione.

Se avete letto fin qui e l’argomento vi interessa, scrivetelo nei commenti, così magari recensiremo per voi qualche GDT digitale…

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Editoriali

Il disastro di Cyberpunk 2077 farà bene ai videogiochi

La decisione di Sony di rimuovere Cyberpunk 2077 dal PlayStation Store è un terremoto che scuote il settore dei videogiochi ancor prima che CD Projekt. La società polacca non sarà particolarmente contenta di questo disastro, perché non sarà possibile acquistare il gioco in versione digitale nemmeno per chi avrebbe voluto giocarlo a Natale su PlayStation 5.

Tuttavia, ricordiamo che è stata CD Projekt per prima a chiedere che il gioco fosse rimborsato da chiunque ne facesse richiesta, anche perché forti delle otto milioni di copie vendute grazie ai preordini.

Questa volta è l’intero settore videoludico che ha subito le conseguenze di questa scelta, perché ha preso coscienza che l’industria non è ancora abbastanza matura. Paradossalmente, la rimozione di Cyberpunk 2077 dal PlayStation Store è una vittoria dei videogiocatori che hanno fatto sentire la propria voce e hanno dato inizio a una rivoluzione che dovrà necessariamente portare a una migliore gestione dei progetti videoludici.

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Cyberpunk 2077 è un disastro totale su PlayStation 4 e Xbox One.

I precedenti

Gli utenti PlayStation non hanno mai conosciuto questa sensazione, mentre i giocatori PC, che oggi sorridono per le ottime prestazioni che Cyberpunk 2077 sa fornire sui computer più potenti, hanno già provato questa delusione.

Batman: Arkham Knight è oggi ricordato come un capolavoro grazie alle versioni per PlayStation 4 e Xbox One, ma ci furono non pochi problemi su PC. Siamo nell’estate del 2015 e finalmente il nuovo capitolo di Batman arriva su console sotto gli scroscianti applausi di videogiocatori e critica. Purtroppo, arriva anche su personal computer, ma non con gli stessi risultati. Anche con le migliori configurazioni, il titolo cala fino a dieci frame per secondo e i driver pubblicati da Nvidia e AMD non risolvono i problemi di ottimizzazione. Di conseguenza, Steam apre ai rimborsi e rimuove il gioco dalla store digitale, così come fa subito dopo la catena inglese GAME per le versioni fisiche.

Il valore che oggi è attribuito a Batman: Arkham Knight anche su PC, fa ben sperare il team di sviluppo di Cyberpunk 2077 e ci auguriamo che gli sviluppatori di CD Projekt non provino mai il disastro dell’Atari nella crisi del 1983. In quel caso, il leader del mercato, Atari, aveva deciso di puntare forte sulle licenze cinematografiche senza tener conto della qualità dei giochi con sviluppi in tempi troppo stretti per poter tirar fuori qualcosa di buono. I risultati furono una quantità spaventosa di richieste di rimborso che portò al fallimento dell’azienda, che già aveva il fiato sul collo degli home computer e di una nuova realtà nipponica chiamata Nintendo.

Batman: Arkham Knight oggi è un capolavoro su tutte le piattaforme.

Da recensore, basta patch day one!

Ormai è prassi comune dei team di sviluppo pubblicare una patch al lancio di un nuovo gioco. Questa scelta ha due enormi problemi che mi auguro i danni che CD Projekt pagherà per il disastro di Cyberpunk 2077 possano finalmente risolvere.

Se guardo al mio essere recensore di videogiochi, le patch al day one non mi permettono di valutare il gioco per quello che effettivamente vedo. La maggior parte delle volte, bisogna decidere se dare fiducia agli sviluppatori, che ancor prima dell’arrivo sul mercato del titolo, hanno già promesso che fixeranno i problemi con una patch disponibile il giorno dell’uscita.

Visti i gravi danni arrecati da questa fiducia che Sony, Microsoft e tutto il settore videoludico hanno dato a CD Projekt, non posso permettere che voi possiate leggere qualcosa di falso tra queste righe. Se è capitato a Cyberpunk 2077, può succedere letteralmente a chiunque. Per questo, valuterò i giochi sempre per quello che sto vedendo, così come sempre fatto da me e da tutti gli altri ragazzi della redazione.

Da videogiocatore, basta patch day one!

Prendendo le parti dell’appassionato di videogame, invece mi dispiace per coloro che hanno preordinato il gioco su PlayStation 4 e Xbox One. Mi ritengo fortunato nell’aver deciso di preordinare il gioco su Google Stadia, ma comprendo come una cosa del genere possa capitare a tutti ed è totalmente ingiustificabile. Gli sviluppatori polacchi hanno espressamente detto che credevano di poter risolvere i problemi delle versioni old-gen prima del lancio ufficiale del gioco grazie alla correzioni al day one. Questa volta non è successo e tutti gli scheletri nell’armadio sono finalmente venuti fuori.

Così come i corporativi di Cyberpunk 2077, troppo spesso i publisher videoludici vivono di una supponenza che li rende non curanti dei danni arrecati agli utenti. Come già abbiamo visto con l’irrispettoso sconto a Immortal Fenyx Rising dopo pochi giorni dall’uscita, la gratitudine che le aziende danno a chi preordina i giochi è praticamente nulla. Di fatto, non sembrano esserci più reali motivi per non aspettare. Nell’era del digitale, basta cliccare su un pulsante per acquistare un gioco e poterlo addirittura giocare istantaneamente su una piattaforma in cloud.

Fallout 76 ha avuto un patch day one che pesava più dell’intero gioco.

Conclusione

Queste due motivazioni sono più che sufficienti per giustificare una presa di posizione da parte degli utenti. In quanto videogiocatori paganti, abbiamo il diritto di chiedere che i titoli che arrivano sul mercato siano adeguatamente testati su tutte le versioni in uscita. Non pretendiamo che i videogame siano perfetti, ma non è concepibile dover assistere ad aberrazioni come Fallout 76, con una patch all’uscita più grande del gioco stesso, o vedere un Keanu Reeves sotto acidi nella versione PlayStation 4 di Cyberpunk 2077.

Non sono il primo a dirlo, ma mi auguro di essere l’ultimo. I preordini e gli acquisti al lancio non hanno alcun senso e le prove stanno nella delusione che provo ogni volta che decido di dare fiducia a un team di sviluppo. Però, non dobbiamo continuare ad autoflagellarci come se dovessimo espiare il peccato di voler giocare subito a un titolo. Facciamo pace con noi stessi e ammettiamo che il problema non siamo noi, ma un mercato drogato da promesse e strafottenza, che deve essere rimesso in riga. Con il disastro di Cyberpunk 2077, abbiamo capito che la nostra voce può rivoluzionare il settore e abbiamo urlato che non vogliamo vivere in un mondo distopico.

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Immortals Fenyx Rising in offerta: perché è ingiusto

Immortals Fenyx Rising è in offerta: 40 euro, a più o meno una settimana dal lancio. Ottimo per chi vuole comprarlo, devastante per chi lo ha già acquistato. Non si tratta di rivenditori inaffidabili che operano in una zona “grigia” della legge, ma di buona parte delle catene di elettronica/videogiochi, segno che non è una trovata aggressiva da parte di un singolo dettagliante per prevalere sui competitor. Al di là di ogni logica di marketing, questo taglio così netto oggi non ha senso di esistere. Non parlo a livello di convenienza, perché Ubisoft e tutti i rivenditori avranno dati a supporto di ciò, anche se ne dubito, ma proprio di correttezza.

Chi si è fidato e ha voluto dare credito al gioco pagandolo in anticipo probabilmente non lo ha ancora nemmeno finito, eppure è già disponibile a metà prezzo. E fosse un episodio isolato un utente se ne può anche fare una ragione: è stato sfortunato. Ma quando succede due volte nel giro di poche settimane, come già visto con Watch Dogs Legion, possiamo parlare di caso? Comprereste il prossimo Watch Dogs al day one sapendo che nel giro di poche settimane (o giorni) lo potreste trovare a metà prezzo? Probabilmente no.

La fine dell’anno è il periodo delle grandi offerte

Con il black friday e il Natale è inevitabile andare incontro a grandi offerte, ma nella maggior parte dei casi ci sono poche copie disponibili e, soprattutto, per un periodo limitatissimo. E succede lo stesso con i titoli nuovi, che però difficilmente scendono di prezzo così tanto, anche se si possono risparmiare mediamente quei 10-20 euro, in base alla versione. Quando si deve decidere la finestra d’uscita si valuta anche questo, e si tiene conto che qualche competitor uscito settimane prima può permettersi sconti tra fine novembre e inizio dicembre, visto che ha venduto presumibilmente già un buon numero di copie.

Anthem
Anthem: uno dei giochi più venduti del 2019, e probabilmente anche il prodotto più criticato dell’anno.

Facciamo finta che abbiate speso 70 euro per Watch Dogs Legion e 70 per Immortals Fenyx Rising: 140 euro in tutto. Ora potete prenderli insieme a circa 80 euro. Un bel risparmio, perché aggiungendo pochi euro avreste potuto averli entrambi. Ma c’è gente che ha assistito a tutto questo anche con Anthem, che secondo Forbes è il 15° gioco più venduto del 2019: avete sentito parlare di questo prodotto in maniera positiva? Avete mai letto qualche notizia che non parlasse di risultati al di sotto delle aspettative e di gamer delusi? No, eppure è nella top 20, davanti a Pokémon Spada, Resident Evil 2, Luigi’s Mansion, Days Gone e New Super Mario Bros. U Deluxe, segno che tanti lo hanno preordinato. Anche in questo caso EA è corsa ai ripari abbassando drasticamente il prezzo, indispettendo ancora di più chi si è fidato fin dai primi trailer.

L’abbassamento del prezzo è un procedimento lento e graduale

Quando viene messo sul mercato un videogioco bisogna tenere a mente che l’azienda ha la necessità di rientrare dei costi, milionari, per la sua produzione. Devono guadagnarci quindi gli sviluppatori che quotidianamente lavorano sul prodotto, il publisher, gli store e i distributori, a grandi linee. Più si vende, più si può ottimizzare il processo, e vale un po’ in tutte le industrie. Questo ciclo fa sì che un gioco che costa 70 euro al day one, nel corso del tempo possa scendere gradualmente di prezzo, fino ad attestarsi anche sui 10-20 euro: arrivati qui, tutti i costi sono presumibilmente rientrati e ci si può permettere un taglio del genere.

Questo procedimento però dura mesi o anni, non giorni. Il mio professore di marketing diceva che una volta che un prezzo scende (non per offerte flash) poi è difficile farlo risalire, perché la gente a quel punto istintivamente percepisce quel prodotto meritevole di una cifra più bassa. Se sappiamo che Ubisoft stessa è disposta a darcelo a 40 euro, perché dovremmo convincerci che debba essere pagato 70 euro?

Sapendo che in pochi giorni è sceso a 40 euro, Immortals Fenyx Rising è ancora un prodotto da 70 euro?

Conclusione

Un taglio del prezzo così drastico rompe inevitabilmente quel patto non scritto che c’è fra chi vende e chi compra. Io pago mesi prima un gioco che mi sembra ottimo, ma che ha ancora tutto da dimostrare, e merito rispetto per questo. Se la compagnia abbassa subito il prezzo non solo non vengo valorizzato, ma anche un po’ preso in giro perché chi arriva una settimana dopo ha anche la possibilità di trovarsi Immortals Fenyx Rising in offerta e averlo nella mia stessa finestra temporale. Di conseguenza perderò la fiducia in quel publisher, perché so che con un po’ di pazienza ho buone chance di trovarlo in offerta.

Se nel breve periodo questa strategia può essere efficace, perché più persone comprano il prodotto, nel medio termine la compagnia perde la credibilità: per chi ogni anno rilascia tanti videogiochi e può contare su franchise milionari, questo diventa un problema. Quello che sembrerebbe un torto all’utente è in realtà un torto che l’azienda fa a se stessa, perché potrebbe trovarsi i preordini diminuiti in maniera sensibile o peggio ancora, scoprire che tutti quei potenziali acquirenti sono in attesa di uno sconto che, a questo punto, credono inevitabile e doveroso.

Alla luce di quanto detto in questo articolo, a gennaio esce il remake di Prince of Persia, che già in estate non sembrava troppo entusiasmante a livello di grafica: vi sentireste tranquilli a comprarlo al day one? O questa volta aspetterete l’offerta come successo con Immortals Fenyx Rising?

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Cyberpunk 2077 in cloud: Stadia vs GeForce NOW

Cyberpunk 2077 è finalmente disponibile sul mercato dopo ben otto anni di attesa. Se su PC abbiamo potuto apprezzare la qualità grafica del nuovo open world di CD PROJECT, le versioni PlayStation 4 e Xbox One sono state tenute segrete fino al lancio, e adesso ne capiamo il motivo.

Le ormai old-gen stanno mostrando il fianco a tanti problemi di natura tecnica culminanti in drop di framerate, crash del gioco e l’impressione di essere completamente da soli in quella che sarebbe dovuta essere un’affollata Night City, a causa di una scarsissima presenza di personaggi non giocanti rispetto alle altre versioni dell’RPG.

Considerando la penuria di console next-gen e la popolarità di PlayStation 4, possiamo pensare che la maggior parte dei videogiocatori dovranno decidere se giocare un titolo in condizioni penose o aspettare delle patch che risolvano gli importanti problemi di ottimizzazione. Fortunatamente, in questo scenario desolante le piattaforme in cloud brillano.

Google Stadia ha ottenuto l’attenzione dei giornalisti grazie a una versione con una qualità molto vicina alle console next-gen, o comunque anche superiore alle cross-gen come PlayStation 4 Pro. Di conseguenza, sento l’esigenza di fare questo articolo per tutti i possessori di PlayStation 4 e Xbox One, che vogliono giocare subito a Cyberpunk 2077, ma non vogliono ovviamente comprare nessun’altra console che non sia PlayStation 5 o Xbox Series X, attualmente non disponibili.

Chi conosce il mondo del cloud gaming è cosciente che in Italia ci sono due principali competitor, in attesa di Amazon Luna. Stiamo parlando di Google Stadia e GeForce NOW. Se il primo è ormai un nome noto, la scelta Nvidia può non essere così conosciuta. Di conseguenza, vi spiegherò nel dettaglio la differenza tra le due piattaforme, così potrete scegliere al meglio dove giocare in cloud Cyberpunk 2077.

Requisiti minimi

Google Stadia e Nvidia GeForce NOW sono entrambi due servizi di cloud gaming. In poche parole, il vostro computer si collegherà a un server remoto e sfrutterà la vostra connessione internet per inviare i segnali di input prodotti dal vostro controller, o mouse + tastiera, mentre riceverà come output le immagini sullo schermo. Grazie alla tecnologia attuale, l’unico requisito necessario è una discreta connessione internet che, secondo i fornitori, deve avere:

Google StadiaNVIDIA GeForce NOW
Velocità download minima10 Mbps15 Mbps 
Velocità download minima per 4K (Stadia) 1080p (GFN)35 Mbps25 Mbps
Requisiti di connessione a paragone.

Purtroppo, la velocità di download non è sufficiente per garantire un ottimo servizio di cloud gaming, che necessita anche di una connessione stabile, che non perda pacchetti durante il trasporto. Infatti, la perdita di pacchetti significa perdere dei frame con conseguente scatti in-game, soprattutto nelle situazioni più concitate.

Test della connessione

Per capire se la vostra connessione è in grado di gestire una partita in cloud gaming, basterà collegarvi al sito Speedtest di Ookla e verificare la vostra velocità in download e il vostro ping. L’upload non è di nostro interesse. Se volete essere ancora più scrupolosi, vi consiglio di scaricare la versione “software” di SpeedTest, che vi mostra anche il jitter, che fornisce il ritardo di ricezione dei pacchetti.

A mio avviso, una connessione accettabile dovrebbe avere almeno 20 Mbps di velocità di download effettivi e un ping non superiore a 20 ms. Considerate, che mi sto tenendo abbastanza largo, perché personalmente ho avuto brutte esperienze di gioco con una connessione con 50 Mbps e ping inferiore a 15 millisecondi.

Inoltre, vi consiglio di dotarvi di cavo ethernet. Le connessione via cavo sono di gran lunga più stabili, ed essendo ancora agli albori del cloud gaming di massa, usare un cavo fa realmente la differenza. Per esperienza personale, ho riscontrato problemi di lag via Wi-Fi anche con una connessione da 400 Mbps con un ping pari a 8 millisecondi.

Infine, secondo uno studio che trova conferma nella mia esperienza personale, se siete vicini ai requisiti minimi, Google Stadia garantisce una maggiore stabilità rispetto a GeForce NOW. Come è ovvio pensare, Google possiede una quantità di nodi di gran lunga maggiore rispetto a Nvidia, che permettono prestazioni in condizioni pessime maggiori rispetto chiunque, o almeno fino a quando non vedremo all’azione la tecnologia Amazon anche in Italia.

Libreria

La differenza nella gestione della libreria è il principale motivo di differenza tra i due servizi.

Google Stadia è un vero e proprio “market” come Steam, Epic Games Store o GOG in cui comprate il gioco e potete giocarlo solamente in cloud. Questo significa che se domani, per un qualsiasi motivo, avrete una pessima connessione internet e un ottimo computer, non potrete giocare ai vostri titoli, perché il servizio funziona solo online.

D’altro canto, GeForce NOW usa i titoli che risiedono sulla vostra libreria Steam o Epic Games Store (e GOG solo per Cyberpunk 2077). Di conseguenza, GeForce NOW è un extra a un gioco che avete già acquistato e che, se volete, potrete giocare anche su un PC. Per esempio, se avete un PC di fascia alta nella vostra residenza, ma vi state per spostare in un’altra abitazione per le vacanze, e se avete una connessione dignitosa, potrete giocare il titolo in streaming e godervi Night City anche lontano dal vostro amato PC, che sfrutterete al vostro ritorno.

Qualità Video

La qualità video dei due servizi dipende dall’architettura che ci sta dietro.

GeForce NOW installa Cyberpunk 2077 su un PC remoto, lo avvia, recupera i dati dalla vostra libreria online come Steam e vi fa godere il gioco in un PC di fascia alta. Questo significa che giocherete a Cyberpunk 2077 su un PC in cui potrete modificare le impostazioni grafiche e attivare la famosa tecnologia Nvidia, il Ray-Tracing (RTX).

Data la clamorosa differenza qualitativa di Cyberpunk 2077 tra PC e console, l’opzione proposta da GFN è molto allettante, ma bisogna tener conto che la risoluzione massima proposta da Nvidia è 1080p. In altre parole, niente 4K.

L’architettura di Stadia, invece vi fa giocare a un vero e proprio porting del gioco ottimizzato per delle macchine linux adibite ad hoc. Questa scelta implica che la versione che state giocando non è né PC, né console, ma una versione stand-alone che nel caso di Cyberpunk 2077 è molto vicina alle console next-gen in termini di qualità grafica.

Il pregio è che Google ha previsto il supporto per il 4K, mentre non è ancora disponibile il Ray-Tracing, che comunque ha promesso in futuro per Cyberpunk 2077. Inoltre, gli aggiornamenti del titolo potrebbero arrivare un po’ in ritardo rispetto alla versione PC. Fortunatamente, il gioco è stato reso disponibile nella versione 1.02 così come le altre versioni, ma siamo sempre nelle mani del publisher che deve comunque preparare delle patch specifiche per la piattaforma Google.

In sintesi, GeForce NOW è consigliato per chi ha un schermo Full HD, perché potrete attivare il Ray-Tracing e godere di tutta la qualità della versione PC, mentre chi ha una TV in 4K potrebbe pensare di sfruttare questa feature con Google Stadia.

Da tenere in mente che l’RTX su GeForce Now e il 4K su Stadia sono disponibili solo nei rispettivi abbonamenti a pagamento. Inoltre, se Stadia permette di giocare a Cyberpunk 2077 gratuitamente in 1080p senza RTX, GFN nella sua versione gratuita permette un 1080p senza RTX con sessioni dalla durata di un’ora. Scaduto il tempo, dovrete uscire e rientrare.

Google Stadia Premiere Edition

Sono un grande estimatore di GeForce NOW di cui ho l’abbonamento Founders, ma ho scelto di giocare Cyberpunk 2077 su Google Stadia per sfruttare un’importante offerta speciale. Chiunque acquisti Cyberpunk 2077 entro il 18 dicembre riceverà gratuitamente Google Stadia Premiere Edition, dal valore di 99 euro. Il kit è composto da Chromecast Ultra e Joypad Stadia per giocare sulla TV con performance maggiori rispetto alla versione browser.

Conclusione

Le due offerte sono abbastanza variegate da giustificare dei dubbi non banali su quale piattaforma scegliere. Di conseguenza, dipende molto dalle vostre esigenze da videogiocatore. Personalmente, vi invito a riflettere sulle seguenti domande e classificarle per priorità:

  • La mia connessione arriva appena ai requisiti minimi? Se sì, Google Stadia è la scelta principale.
  • Voglio la massima qualità grafica e la libertà di personalizzazione tipica dei PC? GeForce NOW è la vostra scelta.
  • Ho una TV 4K? Google Stadia.
  • Utilizzerò ancora i servizi in streaming dopo Cyberpunk 2077? Se sì, Google Stadia Premiere Edition è un’opportunità da non perdere.
  • Vorrei recuperare tanti giochi spendendo poco (ad esempio, The Witcher 3 in sconto su Steam o i giochi gratuiti di Epic Steam Games), ma non ho una piattaforma all’altezza. GeForce NOW vi permette di farlo su tanti giochi (ma non tutti).

E voi, dove state giocando Cyberpunk 2077?

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Editoriali

Tra PlayStation 5 e Xbox Series X, ho scelto di aspettare

Dopo sette anni dall’uscita di PlayStation 4 e Xbox One, l’ottava generazione di console sta per lasciarci e mai come ora c’è grande incertezza nel mondo delle piattaforme da gioco. Fino ad oggi, la parola d’ordine è stata, impropriamente, console war. Dopo aver provato per quasi un ventennio a raggiungere il successo di PlayStation, Microsoft ha deciso di cambiare strategia proponendo agli utenti l’Xbox Game Pass in contrapposizione alle esclusive Sony. La nona generazione non è più un mix tra hardware e fede, ma si tratta di decidere che tipi di giocatori si vuole essere. Per questo motivo, mi prenderò un po’ di tempo per scegliere.

Tra le esclusive di PlayStation 4 ci sono capolavori.

Cerchiamo di essere sinceri con noi stessi. Abbiamo passato mesi e mesi ad ascoltare frasi fatte come i “12 teraflop della GPU di Xbox Series X” e “l’SSD di PlayStation 5”. Attualmente non possiamo sapere se queste scelte tecniche possano rendere una delle due console più potente dell’altra in termini assoluti, e fortunatamente la community odierna ha maggiore consapevolezza che si tratta solo di propaganda aziendale e baitclick della stampa specializzata. Chi ha deciso di preordinare una console next-gen lo ha fatto probabilmente con il cuore, perché chi ha amato PlayStation 4 non ha motivo di cambiare, mentre qualcun altro vorrà dare un’altra possibilità a Microsoft.

Mai come ora, chi ne ha possibilità, dovrebbe acquistare entrambe le console. Purtroppo, io ne devo scegliere una.

PlayStation 5 vs Xbox Series X

Sony PlayStation 5 ha argomenti che si chiamano God of War, Marvel’s Spider-Man Miles Morales, Gran Turismo, Horizon, Demon’s Souls, Ratchet & Clank, ed esclusive temporali come Final Fantasy XVI. D’altro canto, Microsot Xbox Series X|S offre un Game Pass semplicemente spaventoso. Infatti, come molti di voi si sono resi conto, acquistare una console è solo il punto di partenza, poi i giochi bisogna comprarli. Però, se il nostro modus operandi non prevede il day one a ogni costo, ma si limita a giocare il meglio tra le offerte della generazione, anche aspettando, allora l’Xbox Game Pass fornisce un enorme risparmio e un catalogo che ci può permettere di scoprire tantissimi nuovi giochi di altissimo profilo.

Sony continuerà con il suo marchio di fabbrica, le esclusive.

Perdonatemi se mi soffermo ancora un attimo sull’offerta Xbox, ma PlayStation non ha bisogno di presentazioni. Come direbbero gli americani, il prodotto Sony corrisponde ai New York Yankees delle console e mai come adesso il brand PlayStation ha bisogno di un competitor che possa permettergli di spingere sull’acceleratore per fornirci il meglio che può offrire.

Quando parliamo di Xbox Game Pass, ci stiamo riferendo alla possibilità di ricevere, e forse non vedere mai su PlayStation 5, titoli come The Elder Scrolls VI, Fallout, Doom, e non dimentichiamo una serie capolavoro come Ori.

Microsoft punta all’ecosistema Xbox.

Perché aspettare

Come forse avete già intuito, se dovessi scegliere adesso comprerei una Xbox Series X e solitamente consiglio a tutti quelli che non hanno la necessità di giocare in 4K la vantaggiosa offerta chiamata Xbox Series S. Però, per fortuna, ci sono tre ragioni per non prendere ora questa decisione.

Il primo punto da tenere in considerazione sono i titoli in arrivo al lancio. Microsoft non sta offrendo nulla di interessante. Personalmente non mi piacciono né i soulslike (Demon’s Soul) né le mirabolanti avventure di Spiderman. Il mio gioco di fine anno sarà Cyberpunk 2077 e non ho necessità di una console di nuova generazione per giocarlo. Il secondo punto sono i problemi hardware che storicamente si sono verificati nelle passate generazioni. Tra ring of death e pessime esperienze personali con il Nintendo Gamecube, il day one non più una mia prerogativa né per i videogiochi né soprattutto per le console. Il terzo e più importante punto è semplicemente aspettare per vedere come vanno le cose.

I “quattro” di Capcom Five

Per tornare al Gamecube, i Capcom Five, i cinque grandi titoli in esclusiva Nintendo, avevano infervorato i fan, ma poi gli scarsi risultati costrinsero molte terze parti a non poter collaborare con l’azienda di Kyoto. Dubito che questo caso limite possa capitare oggi a Sony e Microsoft, ma se effettivamente il famoso SSD di PlayStation 5 o la potenza di fuoco di Xbox Series X|S possono fare la differenza, conviene saperlo prima di acquistare la console, non dopo.

Conclusione

Ora che ha poco senso parlare di console war, ho deciso di valutare l’acquisto di una console next-gen intorno a marzo 2021 quando probabilmente il rodaggio della console sarà terminato e, se necessario, le case produttrici dovrebbero mettere in vendite nuove versioni esenti da difetti. Chi ha voglia di attendere un po’ di più, potrebbe aspettare il primo inevitabile calo di prezzo, ma in questo caso il mio interesse non è economico ma razionale, perché le console ci accompagnano per più di un lustro ammortizzando largamente i costi. Infine, ci sono buone possibilità che quella che sta arrivando sarà l’ultima generazione di console su cui metteremo le mani e voglio limitare al minimo la perdita delle emozioni e sensazioni che ci porterà.

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Amazon Game Studios, una breve storia di insuccessi

La cancellazione di Crucible continua la serie di batoste che il mercato videoludico sta infliggendo alla breve storia di Amazon Game Studios. Il colosso di Jeff Bezos sta diversificando i suoi investimenti anche grazie al mercato dei videogiochi, ma i risultati sono molto deludenti.

L’inizio

Amazon Game Studios nasce il 7 agosto 2012, come casa di sviluppo di giochi casual per Amazon Appstore e Facebook. L’idea del gigante delle vendite online è investire gradualmente sul mercato dei videogiochi che stava cominciando a portar dentro tanti soldi.

Rispetto a quanto succede con gli altri media, quando una grande corporazione entra nel mondo dei videogame, c’è curiosità, ma anche molto scetticismo. Come già dimostrato dalla scarsa appetibilità di Google Stadia, il mondo videoludico si forma attorno una spietata concorrenza e un pubblico che è in grado di valutare la qualità del prodotto. In altre parole, non basta chiamarsi Amazon o Google per avere successo.

Airport Mania: First Flight (Amazon Game Studios), ho amato questo gioco.

Nel 2014, Amazon decide di fare sul serio: acquista Twitch per 970 milioni di dollari e assume per la sua casa di sviluppo nomi di un certo spessore.

La prima sviluppatrice è Kim Swift, che si è fatta una certa fama come game designer in Valve grazie a Portal e Left 4 Dead. Swift è stata inserita da Fortune nella speciale classifica delle “30 persone più influenti dell’industria dei videogiochi (under 30)”. Il secondo è Clint Hocking, creative director di Far Cry 2 e game designer per Tom Clancy’s Splinter Cell.

Kim Swift e Clint Hocking
Kim Swift (a sinistra) e Clint Hocking (a destra).

La politica di Amazon Game Studios segue la filosofia aziendale. A capo dei progetti ci sono persone giovani, talentuose e soprattutto ambiziose, come gli annunci fatti dalla casa di sviluppo due anni dopo. Durante il TwitchCon del 2016, lo studio rivela tre titoli che avrebbero dovuto trainare la compagnia all’interno del settore dei giochi Tripla A. Si tratta di tre giochi pensati per il multiplayer online: Breakaway, Crucible e New World.

La scelta più logica dopo l’acquisto di Twitch è ovviamente sviluppare giochi per la community online. Purtroppo, l’intrattenimento videoludico multiplayer è un mondo difficile e pieno di concorrenza. Lo sanno bene i competitor di World of Warcraft, Counter-Strike e League of Legends. Una volta stabilito un monopolio, questo può continuare per decine di anni.

Breakaway

Non sappiamo quanto i piani alti di Amazon conoscessero queste regole di mercato, ma sicuramente se ne sono resi conto durante l’E3 2019. Durante l’estate 2019, Jason Schreier anticipò il dramma in casa Amazon Game Studios. Decine di sviluppatori sono stati licenziati e tre giochi sono stati cancellati. Ad oggi, conosciamo solo uno dei tre giochi cancellati, probabilmente perché gli altri due non erano stati ancora annunciati. Si trattava di Breakaway.

Breakaway, sviluppato fino al 2017 dai veterani di Double Helix (Killer Instinct), doveva essere un brawler competitivo 4vs4 con visuale in terza persona. Chi ha avuto modo di provare la versione Alpha del gioco, lo ha definito come un MOBA con meccaniche profonde, a metà tra Rocket League e League of Legends.

Evidentemente i feedback positivi da parte della critica non sono stati sufficienti per salvare Breakaway, che fu messo prima in pausa nel 2017 e poi, come già detto, cancellato nell’estate 2019.

Crucible

A distanza di un anno dalla debacle di Breakaway, Amazon Game Studios ha ancora in progetto due ulteriori titoli di punta: Crucible e New World.

Crucible, ormai possiamo usare i verbi al passato, è stato uno sparatutto online free-to-play che ha vissuto una storia tanto strana quanto veloce nella sua esecuzione. Gli eventi narrati sono avvenuti nell’arco di sei mesi e hanno decretato la nascita e la morte del titolo.

Crucible esce ufficialmente il 20 maggio 2020, ma i risultati sono ben lontani da quelli sperati. Il titolo, a pochi giorni dal lancio, raggiunge un massimo di diecimila utenti collegati contemporaneamente. Un risultato molto scarno per un gioco gratuito, sviluppato in quattro anni e con un budget di centinaia di milioni di dollari.

Amazon non può che accettare la sconfitta e Crucible torna in closed beta il 1 luglio con un brutto presentimento. Infatti, non ci sono notizie del gioco fino al 9 ottobre 2020, quando Crucible viene ufficialmente cancellato.

A differenza dei numerosi licenziamenti dopo la cancellazione di Breakaway, questa volta il team di Crucible entra a far parte di quello di New World, l’ultimo tentativo che ha Amazon Game Studios per risorgere dalle sue ceneri. Si tratta probabilmente del titolo più ambizioso di Amazon Game Studios che vuole cimentarsi in un mercato saturo e con meno appeal rispetto a dieci anni fa, quello degli MMORPG, monopolizzati attualmente da uno stanco World of Warcraft.

Conclusione

Dopo l’acquisizione di ZeniMax (Bethesda) da parte di Microsoft, le parole di Satya Nadella, CEO della stessa Microsoft, vengono lette come una scelta aziendale:

Non puoi svegliarti un giorno e dire: “Fammi costruire uno studio”.

Satya Nadella

Rispetto a Microsoft, Amazon non la pensa così, ma non ne sta raccogliendo i frutti. Anzi, possiamo dire che la sua migliore scelta nel mercato dell’intrattenimento videoludico è l’acquisizione di Twitch.

Bisogna sottolineare che le sconfitte fanno parte del percorso di crescita e Amazon Luna, il servizio di cloud gaming appena lanciato dal colosso americano, dimostra che Jeff Bezos ha un forte interesse verso i videogiochi.

Personalmente ritengo che Amazon ha tutta la forza necessaria per imporsi sul mercato con le sue infrastrutture hardware (Amazon Luna) e software (Twitch), ma creare un videogioco è tutta un’altra cosa e Amazon Game Studios ora lo sa.

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La localizzazione di videogiochi è una cosa seria

Tradurre o non tradurre? O meglio, quali sono gli elementi che bisogna tenere in considerazione per prevedere la localizzazione di videogiochi o un qualsiasi altro prodotto multimediale? È una questione annosa e, ciclicamente, torna sotto i riflettori. Come nel recente caso di Baldur’s Gate III.

Questa volta il problema torna alla ribalta con un titolo attesissimo, Baldur’s Gate III, per il quale più generazioni di fan e videogiocatori aspettano impazientemente di metterci mano. Purtroppo però, per gli utenti italiani non è prevista la localizzazione al rilascio in Accesso Anticipato, previsto per il 6 ottobre dopo l’ennesimo posticipo.

Ad aggravare la situazione, un errore di comunicazione commesso dalla Larian Studios, che in precedenza aveva fornito indicazioni diverse riguardo la traduzione del gioco. Questa ammissione di responsabilità, di per sé lodevole, è stata da molti interpretata come una “ritrattazione” e ha fomentato gli animi in generale e le malelingue in particolare. Di fatto, “giocare” con una lingua significa in questo caso occuparsi di quasi 46.000 righe di dialogo e, fidatevi, non è affatto uno scherzo.

Larian Studios ha capito che era il caso di cambiare nome su Twitter

War never changes: lotte intestine… da sempre

Facendo un passo indietro, l’eterna guerra dei “puristi” è sempre esistita, in tutti gli ambiti e piattaforme e sulle questioni più disparate: Windows o Linux? Internet Explorer o Netscape? PC o Console? Xbox o Playstation? Hulk o La Cosa? E infine, si fa per dire: videogiochi in italiano, sempre e comunque, o meglio giocarli in lingua originale?

In questo ambito, le due tipiche posizioni estreme, spesso espresse con toni di piccata sufficienza se non addirittura di offesa, sono le seguenti:

  • “do dei soldi per comprare un gioco e lo voglio in italiano, senza dover impazzire con l’inglese”.
  • “Io l’inglese lo so e non ho problemi nel giocare in lingua, sono gli altri a doversi adattare”.

Poi esistono altri punti di vista, ben argomentati, più tolleranti e dai toni neutri; ma solitamente passano in secondo piano.

Prima di esprimersi sulla questione, può valere la pena riflettere su alcuni elementi che ruotano attorno alla localizzazione di videogiochi…

Browser War: Internet Explorer vs Netscape

Dipendenza dalla lingua

Semplificando molto, potremmo dire che la quantità di testo e dialoghi definisce quella che è la dipendenza dalla lingua. Più testo c’è, più la dipendenza dalla lingua è elevata, maggiormente sentita sarà l’esigenza di una localizzazione per fruire al meglio del prodotto.

Più o meno direttamente, anche il genere del videogioco e il target di riferimento contribuiscono (o meno) alla dipendenza della lingua. Per intenderci, uno sparatutto dove spesso occorre blastare qualsiasi cosa ci si pari di fronte, potrebbe necessitare di due righe di ambientazione e trama per convincerci a imbracciare un’arma contro i cattivi di turno.

Unreal (1998), alcuni videogiochi non hanno bisogno di localizzazione
Unreal (1998), alcuni videogiochi non hanno bisogno di localizzazione

Completamente diverso è il caso di un videogioco di ruolo con ambientazione, storia, popoli, miriadi di missioni, personaggi e dialoghi. A titolo di esempio (storico), Unreal del 1998 è perfettamente giocabile anche senza localizzazione; non proprio la stessa cosa si può dire per Fallout del 1997, che peraltro ricorre largamente allo slang e utilizza particolari stili espressivi nei dialoghi con i supermutanti e i ghoul.

È lecito però osservare che oggi le cose sono un po’ cambiate: la dipendenza dalla lingua ha iniziato a prescindere dal genere, visto che, per ottenere dei prodotti coinvolgenti e che “sappiano di cinema” (elementi che ripagano in termini di mercato), quasi tutti puntano su una buona storia su cui ancorare il videogioco. E la storia va raccontata in qualche modo… e in qualche lingua!

Fallout (1997)
Fallout (1997), alcuni videogiochi hanno bisogno di una localizzazione.

Mercato

Un altro elemento imprescindibile è il mercato. Il videogioco è un prodotto d’intrattenimento che ha i suoi clienti (giocatori), dipendenti (progettisti, sviluppatori, designer, artisti a vario titolo, gestori del marketing), aziende di settore nel loro complesso, più tutto un universo di professionisti che vi ruota intorno, dai legali ai recensori. In tutto ciò, le aziende non sono sempre disposte o non hanno sempre interesse a spendere parte del budget destinato a realizzare un videogioco per localizzarlo in un paese dove non prevedono un adeguato ritorno di utili.

Naughty Dog, i videogiochi sono fatte da tante persone.
Naughty Dog, i videogiochi sono fatti da tante persone

Altre volte l’intenzione ci sarebbe (a prescindere “dai soldi”), ma non sempre si trovano gli accordi commerciali e legali per localizzare il prodotto. Tralasciando il doppiaggio, prevedere delle localizzazioni relative alla “sola” parte testuale, richiede l’impiego di ulteriori figure professionali, e quindi aumentano le spese, i tempi, e si introducono svariati fattori di rischio. L’importante è capire che abbattere la barriera linguistica ha sempre e comunque un costo. Tipicamente non trascurabile.

Prima di presentare ulteriori elementi di riflessione, vale la pena riprendere in mano il report di LocalizeDirect. L’italiano risulta essere sempre meno richiesto da parte degli sviluppatori nella localizzazione di videogiochi in quanto vedono il nostro mercato poco allettante. Di fatto, le richieste per le traduzioni in italiano (8%) sono minori di quelle per il tedesco (10,3%), il francese (9,8%), il giapponese (9,7%), il russo (9%), il coreano (8,9%) e lo spagnolo (8,7%). Di per sé l’8% non è un brutto numero, ma per un’azienda che decide di localizzare il suo prodotto in quattro lingue, l’italiano non è di sicuro la prima scelta.

Report di LocalizeDirect sulla localizzazione di videogiochi.
Report di LocalizeDirect sulla localizzazione di videogiochi

Lingua originale non significa lingua Inglese

Molti videogiocatori identificano il giocare in lingua originale col videogiocare in lingua inglese. In diversi casi ciò potrebbe corrispondere al vero, di fatto, le due espressioni non sono la stessa cosa. La si pensasse così, equivarrebbe più o meno a sostenere che la cover di un brano musicale sia di fatto il brano originale stesso.

Per capire meglio come stanno le cose, senza alcuna pretesa di completezza, è sufficiente portare un esempio. Molti di voi avranno giocato a Wiedźmin e si saranno sicuramente divertiti. Se non avete capito di cosa stia parlando, forse potrebbe aiutarvi sapere che mi sto riferendo a The Witcher. In verità, l’autore polacco della saga letteraria gli ha preferito la traduzione inglese “hexer” (mantenuta in altre opere), ma di fatto, il nome del videogioco di CD Project Red è diventato “The Witcher” (incorporando l’articolo “the”). Per chi non lo sapesse, nelle opere letterarie italiane il termine ufficiale per indicare Geralt di Rivia e i suoi colleghi è “strigo”.

Le copertine dei libri di Wiedźmin, il nome polacco di The Witcher.
Le copertine dei libri di Wiedźmin, il nome polacco di The Witcher

Giocare (o leggere) in lingua originale significherebbe pertanto giocare in polacco, non in inglese. In conclusione, giocare in inglese prevede l’uso di una localizzazione completa a tutti gli effetti, con i suoi pregi e difetti, scelte di adattamento, termini, modi di dire, espressioni e, sicuramente, errori. Sfatiamo dunque il mito che giocare in inglese significa giocare in lingua originale o che è sempre e comunque “meglio”.

Coloro che giocano in lingua inglese, includendo tutti i giocatori di altre lingue che sono disposti a farlo, rappresentano sicuramente il bacino di utenza maggiore e pertanto sarà sempre prevista una localizzazione in tale lingua. Come però già osservato, diverso è il caso per l’idioma italiano.

Fonte e qualità della localizzazione

Qualora venga prevista una localizzazione, per esempio in italiano, quale fonte verrà utilizzata? Si considera l’opera originale, magari scritta in una lingua per cui è difficile e costoso reperire traduttori competenti e preparati, oppure si ricorre a una fonte secondaria, già localizzata in altra lingua (inglese), più semplice ed economica da gestire?

Va da sé che derivare una localizzazione da un’altra (o da altre, in cascata) comporta inevitabilmente un elevato rischio di degrado e di errore: un testo inglese adattato da altra lingua potrebbe avere poco senso (o peggio venir travisato) quando portato in italiano, pur avendo una traduzione ineccepibile. Pertanto, la scelta della fonte, come pure il tatto, la tecnica, l’esperienza e la professionalità di chi ci lavora, sono tutti elementi che determineranno sia la qualità che il costo del processo di localizzazione. Infine, ci sono i gusti personali che possono avallare o compromettere qualsiasi scelta di traduzione o adattamento: ognuno ha la sua testa e la sua sensibilità e ci mancherebbe altro.

Personalmente, nel cinema non ho mai capito come si siano potuti concepire titoli quali “Unbreakable – Il predestinato” o “Eternal sunshine of the spotless mind – Se mi lasci ti cancello”, ma così è.

Unbreakable – Il predestinato
Unbreakable – Il predestinato

Conclusioni

Come osservato, portare un videogioco o un qualsiasi altro prodotto multimediale da una lingua a un’altra comporta sempre dei costi, dispendio di tempo (e probabili ritardi) e inevitabili compromessi su stili, proverbi, modi di dire, giochi di parole e termini di glossario. Nonostante tutto però, l’intera operazione costituisce indubbiamente un valore aggiunto che, oltre ad allargare il bacino di potenziali giocatori e la diffusione del titolo, aumenta l’immersività, l’immedesimazione, la verosimiglianza e la profondità dell’atmosfera.

In un videogioco, la lingua è un fattore che, insieme alla grafica, al comparto sonoro e al gameplay, ne influenza sicuramente l’esperienza di gioco.

A mio avviso è quindi sempre auspicabile disporre di videogiochi multilingua (che comprendano la propria lingua madre, ovviamente); sarà poi l’utente finale a SCEGLIERE come impostare la propria esperienza: in inglese, in lingua originale, o nella propria.