Categorie
Editoriali

I 5 migliori Final Fantasy da giocare assolutamente

La serie di Final Fantasy è certamente tra le più famose ed importanti dell’intero panorama videoludico. Certo, i tempi in cui ogni nuovo episodio della saga veniva accolto come il gioco per eccellenza per la propria console sono ormai lontani. Tuttavia, Final Fantasy rimane ancora oggi un franchise di assoluta rilevanza, come dimostra il grande hype che sta accompagnando l’attesa per l’uscita di Final Fantasy VII Rebirth. Ma quali sono i 5 migliori Final Fantasy di sempre?

Rispondere a questa domanda non è per nulla facile. Parliamo infatti di una serie che sta per raggiungere i quarant’anni di longevità (il primo Final Fantasy infatti apparve nel 1987) e i cui episodi sono apparsi in periodi storici e sistemi di gioco completamente diversi.

Tuttavia, anche noi abbiamo deciso di cimentarci in questa impresa. Eccovi dunque la nostra personalissima classifica di quelli che per noi sono i 5 migliori Final Fantasy di sempre.

5. Final Fantasy IV

In quinta posizione troviamo il primo capitolo della saga di Final Fantasy ad apparire sul leggendario Super Nintendo. Abbiamo scelto di premiare Final Fantasy IV poiché si tratta dell’episodio che ha realizzato il primo vero salto di qualità della saga. I personaggi di Final Fantasy IV non sono più semplici stereotipi della classe che rappresentavano (maghi, monaci, guerrieri ecc.) o, come in Final Fantasy II, eroi dal carattere appena abbozzato. In Final Fantasy IV ogni personaggio, sia positivo che negativo, possiede un background, una personalità e vive una vera e propria evoluzione, nel bene o nel male.

La trama di Final Fantasy IV è davvero ben scritta, con un intreccio articolato e coerente, numerosi colpi di scena e diversi momenti davvero emozionanti e commoventi (come quel che accade ai piccoli Porom e Palom). Anche l’ambientazione è davvero vasta, originale e profondamente diversificata, dal momento che il nostro party dovrà esplorare, oltre alla superficie della Terra, anche un mondo sotterraneo e persino la luna!

Anche il gameplay offre un gran numero di migliorie, con l’introduzione del famoso Active Team Battle (ATB) e un insieme di abilità uniche e ben diversificate da un personaggio all’altro e a un livello di difficoltà severo ma anche giusto ed appagante.

4. Final Fantasy X

Cinque migliori Final Fantasy

Fin dalla sua uscita, avvenuta a cavallo tra 2001 e 2002, Final Fantasy X ha fatto parlare davvero molto di se. Il gioco fu un successo enorme, grazie soprattutto alla spettacolarità del suo comparto tecnico, che lo rendeva uno dei giochi più spettacolari e belli da vedere usciti fino a quel momento.

Atro punto di forza di Final Fantasy X era indubbiamente la sua trama, davvero avvincente, coinvolgente ed emozionante. Credo che nessun giocatore possa essere rimasto indifferente all’avventura di Tidus, strappato dalla sua città natale, Zanarkand e catapultato nel mondo di Spira. Qui il nostro eroe giocherà un ruolo decisivo, insieme all’invocatrice Yuna, per liberare il mondo dalla spirale di morte che lo opprime, causata dalla terribile creatura Sin.

Tuttavia, non tutti i fan accolsero con favore questo episodio. La mancanza della world map e l’esplorazione limitata fecero storcere il naso ai fan dei capitoli precedenti. Anche il ritorno del sistema a turni, ritenuto fin troppo semplice, non trovò il favore di molti giocatori.

Final Fantasy X, tuttavia, va giocato per quello che è: la storia di un cammino. Un cammino di fatica e di sacrificio, vissuto insieme da un gruppo di improbabili alleati, i cui legami andranno a rafforzarsi sempre di più, aiutandoli a svelare ogni inganno e superare tutte le difficoltà, anche quelle apparentemente insormontabili.

Il gameplay, pur con qualche limite, ha offerto ai giocatori qualcosa di profondamente diverso rispetto agli ultimi episodi della saga, con un battle system ed un sistema di potenziamento davvero profondi ed interessanti, un enorme numero di segreti e missioni secondari e una vera e propria orda di nemici nascosti, che garantiscono al titolo una longevità immensa, soprattutto per quello che oggi definiamo end-game.

Il finale, poi, raggiunge vette di coinvolgimento ed emotività davvero elevatissime. Credo che a tutti noi sia scappata qualche lacrimuccia dopo aver finito questo gioco.

3. Final Fantasy IX

Se questa classifica prendesse in considerazione solo una serie di fattori meramente oggettivi e statistici, probabilmente Final Fantasy IX si troverebbe al primo posto. Il nono capitolo della saga, frutto del lavoro di Hironobu Sakaguchi e Shinji Hashimoto è infatti quella che si può definire un’avventura perfetta.

Il comparto tecnico è semplicemente straordinario, grazie ad una colonna sonora eccezionale e con una grafica e delle animazioni in grado di spingere l’hardware della prima playstation oltre ogni limite. La trama è scritti in maniera magistrale, con un intreccio appassionante, sempre coerente e senza alcun momento di scadimento dall’inizio alla fine. I personaggi hanno tutti un background e obiettivi precisi e sono approfonditi e caratterizzati splendidamente, sempre con una buona dose di umorismo.

Anche il gameplay è davvero divertente, appagante e ben bilanciato, con abilità uniche per ogni personaggio. L’equipaggiamento è sfruttato e valorizzato in maniera perfetta e soprattutto una marea di missioni ed attività secondarie, che permetteranno di svelare un gran numero di zone extra da esplorare. Particolarmente memorabili risultano il gioco di carte collezionabili e la sottotrama legata ai tesori dei chocobo.

Unico difetto di questo capolavoro è il fatto che non ha saputo imprimersi nell’immaginario dei videogiocatori con la stessa forza di altri episodi del franchise. I personaggi, per quanto interessanti e simpatici, non hanno la forza visiva e l’iconicità di altri protagonisti.

Inoltre molti giocatori faticano ancora ad apprezzare l’atmosfera quasi completamente fiabesca e medievaleggiante, che non lascia più spazio alla tecnologia e agli elementi futuristici che avevano caratterizzato i due episodi precedenti.

2. Final Fantasy VII

Per molti giocatori sarà una sorpresa non trovare il settimo episodio al primo posto. Dopotutto, si tratta del primo episodio della saga ad aver avuto un successo strepitoso anche nel mondo occidentale. Final Fantasy VII è ormai un vero mostro sacro. Difficile scrivere qualcosa su questo titolo che non sia già stata detta e stradetta.

Un cast di personaggi carismatici, interessanti e ben diversificati; un comparto tecnico (in particolare il sonoro) di altissimo livello e una trama potente, incalzante e commovente, con scene divenute leggendarie e conosciute persino da chi non ha giocato l’avventura.

Anche il sistema di gioco è estremamente creativo e divertente grazie all’uso dei materia, pietre magiche in grado di donare numerose abilità al party. Sebbene imperfetto, questo sistema permetteva un altissimo grado di personalizzazione del party e delle strategie di gioco.

Final Fantasy VII è stato inoltre il primo gioco a traghettare la saga nel mondo dei giochi 3D ed è quasi certamente il Final Fantasy più famoso in assoluto. Come mai allora non ha raggiunto la vetta? scopriamolo insieme!

1. Final Fantasy VI

Ci rendiamo perfettamente conto che vedere al primo posto un gioco uscito nel 1994 su SNES potrà far storcere il naso a molti. Tuttavia, a nostro giudizio, Final Fantasy VI riesce ad unire tutti gli elementi che rendono grande un Final Fantasy e a spingerli ad un livello superiore.

Un party di ben 14 personaggi, quasi tutti memorabili e con un set di abilità e caratteristiche uniche. Un sistema di gioco incredibilmente bilanciato e ricchissimo di possibilità e un comparto tecnico che, ancora oggi, riesce a sorprendere per la sua qualità. Un’incredibile libertà di esplorazione e un mondo sorprendentemente vasto, soprattutto nelle fasi finali della storia. Final Fantasy VI riesce ad eccellere sotto ogni aspetto. Ma, come già detto, va oltre.

Infatti è la trama del gioco a rendere Final Fantasy VI un’esperienza davvero indimenticabile. Final Fantasy VI ci immerge in un mondo in cui tecnologia e magia cercano una difficilissima convivenza, con un intreccio ricco di rivelazioni, inganni e incredibili colpi di scena. Ma è soprattutto la grandezza dei temi trattati a rendere così incredibile questa storia.

Il progresso, lo sfruttamento delle risorse, i traumi, la morte, la difficoltà nell’accettare il diverso e persino tematiche dure come il suicidio e la perdita di fiducia nella vita. Final Fantasy VI riesce ad unire tutto questo in un’unica, straordinaria narrazione.

Come se non bastasse, il gioco propone tutta una serie di situazioni ed eventi davvero unici (come dimenticare lo scontro col treno nella foresta infestata?) e alcune delle scene più memorabili dell’intera saga, come la notte all’Opera o il cataclisma scatenato nelle fasi finali dell’avventura. Tutti questi elementi, a giudizio di chi scrive, rendono Final Fantasy VI il miglior Final Fantasy mai uscito finora.

Ed eccoci arrivati alla fine del nostro viaggio! Che dite, concordate con la nostra classifica? Voi in quale ordine avreste disposto i capitoli della nostra amata Fantasia Finale?

Categorie
Editoriali

Chi è Hideo Kojima? Biografia del genio dietro Metal Gear Solid

Vorremmo, con questo articolo, inaugurare una nuova sezione del blog, un focus sugli uomini e le donne che hanno reso la storia dei videogiochi e il videogioco come lo conosciamo tale. Oggi vi spieghiamo chi è Hideo Kojima, raccontandovi opere e aneddoti del genio nipponico.

Hideo Kojima è uno dei più famosi e influenti autori videoludici al mondo. Nato a Tokyo nel 1963, ha sviluppato fin da bambino una grande passione per il cinema e la letteratura d’avventura, che lo hanno ispirato nella creazione delle sue opere. Nel 1986, è stato assunto da Konami per la quale ha ideato e scritto Metal Gear, titolo originariamente per MSX che ha introduse il genere stealth e dato vita all’omonima serie, il suo lavoro più noto e apprezzato.

Metal Gear Solid: la consacrazione

La serie di Metal Gear si caratterizza per la sua trama intricata, degna dei migliori romanzi di spionaggio alla Ken Follett o Frederick Forsyth. Affronta temi come la guerra, la politica, la filosofia, la genetica e l’identità. I protagonisti sono spie e soldati che devono infiltrarsi in basi nemiche e affrontare i Metal Gear, dei giganteschi robot armati di armi nucleari. E anche il lato umano, che Kojima ha molto a cuore, viene preso in considerazione, coi protagonisti che si chiedono, spesse volte, se sia giusto o sbagliato ciò che fanno.

Il gameplay richiede al giocatore di usare l’astuzia e la strategia, evitando il più possibile il combattimento diretto. Non a caso il gioco è stato tra i migliori capostipiti del genere stealth. La serie è nota per il suo stile cinematografico, con lunghe sequenze animate e dialoghi tra i personaggi, per il suo umorismo e le sue numerose citazioni e riferimenti alla cultura popolare.

Altre produzioni

Oltre alla serie di Metal Gear, Kojima ha realizzato altri giochi di successo: Snatcher e Policenauts, due avventure grafiche di ambientazione cyberpunk; Zone of the Enders, una serie di giochi di azione con dei robot volanti, e il famosissimo Death Stranding, il suo primo gioco indipendente dopo aver lasciato la Konami nel 2015.

Kojima è considerato un auteur dei videogiochi, ovvero un autore che esprime la sua visione artistica e personale attraverso il medium, in questo caso a noi tanto caro come il videogioco. Il suo stile è riconoscibile e originale, e ha influenzato molti altri sviluppatori e giocatori. Hideo Kojima è un grande appassionato di cinema peraltro e ha collaborato con diversi registi e attori famosi, come Guillermo del Toro, Norman Reedus, Mads Mikkelsen e Nicolas Winding Refn.

Kojima: l’uomo

Ma cosa rende Kojima un genio dei videogiochi? Quali sono le sue caratteristiche distintive e i suoi segreti? Come fa, ci chiediamo, a rendere i suoi videogiochi maledettamente accattivanti ed interessanti? Non possiamo realmente saperlo, purtroppo o per fortuna, ma ecco alcune curiosità e aneddoti sulla sua vita e carriera che potrebbero aver influito sul suo modo di creare.

  • Cinema mon amour: Kojima ha iniziato a fare film con una Super 8 millimetri quando era a scuola e ha persino ingannato i suoi genitori per andare a girare su un’isola senza dirglielo. Il suo sogno era di diventare un regista, ma ha cambiato idea quando ha scoperto il gioco d’avventura Portopia Renzoku Satsujin Jiken, che lo ha convinto delle potenzialità narrative dei videogiochi
  • Un film al giorno: La passione sconfinata di Kojima per il cinema permea ogni singolo istante della sua vita. Quando non è impegnato a realizzare un gioco, o a trollare i suoi fan su Twitter, il buon Hideo sta fisso davanti allo schermo a vedere qualcosa da cui prendere ispirazione. Il suo mantra è: “Un film al giorno toglie i rompiballe di torno”. Tra le sue pellicole preferite troviamo vere e proprie pietre miliari, alcune delle quali non del tutto scontate: Taxi Driver, 2001 Odissea nello Spazio, La Grande Fuga, I Cannoni di Navarone, La Strada di Federico Fellini, L’Alba dei Morti Viventi e addirittura il musical Cantando sotto la Pioggia. Stranamente tra i suoi favoriti non ha mai citato 1997: Fuga da New York, capolavoro distopico (ma neanche troppo) di John Carpenter dal quale ha tratto ispirazione per il nome del suo personaggio più famoso Solid Snake.
  • Kojima ed il Natale: Pochi lo sanno ma Hideo Kojima adora follemente il Natale. Ogni anno, sin dai tempi in cui lavorava per Konami ma soprattutto da quando ha fondato la Kojima Production, inizia a bombardare il suo canale Twitter con foto di decorazioni natalizie, corna di renna infilate ovunque e pacchetti regalo che probabilmente nascondono solo un tizio vestito come Snake. Ha trasmesso questa sua passione anche ad alcuni personaggi dei suoi giochi: provate a chiedere a Big Boss per conferma. La sua “ossessione” sembra essere forte al punto che alcuni membri del suo staff sono convinti che lui creda ancora fermamente nell’esistenza di Babbo Natale.
  • Fobia dei contatti fisici: Kojima ha una vera e propria avversione per il contatto fisico con le altre persone, tanto da evitare di stringere la mano o di abbracciare chiunque, anche i suoi amici più intimi. Questa sua fobia è stata resa nota da Guillermo del Toro, che ha raccontato di averlo abbracciato una volta e di aver visto la sua faccia terrorizzata. Kojima ha poi confermato la cosa, dicendo che preferisce esprimere i suoi sentimenti con le parole o con i gesti
  • Potere ad un solo uomo: Kojima è noto per il suo perfezionismo e per il suo controllo totale sui suoi progetti, che lo portano a occuparsi di ogni aspetto della produzione, dalla sceneggiatura alla regia, dal game design al marketing. Questo lo rende spesso insofferente alle pressioni e alle interferenze delle case editrici, come dimostra il suo conflitto con la Konami, che lo ha portato a lasciare l’azienda dopo 29 anni di collaborazione. Kojima ha poi fondato la sua nuova software house, la Kojima Productions, che gli ha permesso di realizzare il suo gioco più ambizioso e personale, Death Stranding, senza alcun vincolo o compromesso.

Genialità ed emozione

Appare chiara dunque la genialità di Hideo, che ha riversato nelle sue opere portandole a nuovi livelli di immersione, narrazione e creatività. Quello che vuole Kojima è emozionare e sorprendere il fruitore finale facendolo riflettere sui vari temi che i suoi giochi trattano.

D’altronde lui stesso si emoziona nel creare e questo è uno degli aspetti più belli che i fruitori maturi del prodotto videogioco possano chiedere: l’emozionarsi nel videogiocare. Non tutti apprezzano Hideo Kojima, molti lo accusano di essere arrogante, di inserire nelle sue opere troppi dialoghi e filmati, di usare senza censura elementi come violenza e sesso, ma credo siano passi necessari affinché il pubblico comprenda appieno la sua visione.

Ti potrebbe interessare anche:

Hideo Kojima e i suoi adorabili meme

Categorie
Editoriali

Ehrgeiz: God Bless the Ring – Videogiochi dimenticati

Nei primi mesi del 2024 vedrà la luce anche Final Fantasy VII Rebirth, secondo capitolo della tanto chiacchierata trilogia remake del leggendario Final Fantasy 7 (per una retrospettiva di questo capolavoro vi rimando a questo articolo). Ma cosa ha a che fare Ehrgeiz, il gioco di cui tratta questo primo articolo della rubrica Videogiochi Dimenticati, con il remake di Final Fantasy VII? Ebbene, mi credereste se vi dicessi che Cloud, Tifa, Sephiroth e molti altri protagonisti di Final Fantasy VII sono presenti anche in questo gioco?

Dopo aver stuzzicato la vostra curiosità, siamo pronti a traghettarvi alla scoperta di Ehrgeiz, uno dei videogiochi più strani dimenticati della sconfinata libreria della prima Playstation. Pronti a salire sul ring per scambiare qualche pugno con Cloud e soci?

Un picchiaduro in vero 3D

Uscito nel marzo del 1998, prima in versione arcade e in seguito sulla prima Playstation, Ehrgeiz: God Bless the Ring fu il frutto della collaborazione tra Dreamfactory e Namco. Quest’ultima, insieme a Squaresoft, si occupò nello specifico della distribuzione del gioco.

In apparenza, Ehrgeiz poteva sembrare un semplice picchiaduro 3D, genere che a fine anni 90 era decisamente saturo. Tuttavia, appena iniziato a giocare, le particolarità del gioco diventavano subito evidenti. A differenza di giochi come Tekken o Soul Edge, in Ehrgeiz i combattenti non erano confinati su un classico piano bidimensionale, ma potevano spostarsi liberamente in ogni direzione all’interno dei vari stage.

Questa caratteristica conferiva al gameplay una grande originalità ed era una vera e propria ventata di aria fresca in un genere sovraffollato come quello dei picchiaduro 3D. Finalmente era possibile sperimentare nuove meccaniche di gioco e strategie, che si basavano più sul corretto posizionamento e sulla capacità di sfruttare gli stages che nell’abilità nell’utilizzo delle combo.

Oltre al suo gameplay originale, uno dei grandi punti di forza di Ehrgeiz era costituito proprio dagli stage. Gli scenari di Ehrgeiz erano davvero ampi, ben realizzati e con numerose zone interattive. Molti dei livelli possedevano persino diversi piani rialzati, che potevano essere sfruttati per devastanti attacchi in picchiata.

Curiosamente, negli scontri in versus erano presenti solo versioni ridotte delle arene, che riducevano di molto la strategia degli scontri a favore dei classici scambi ravvicinati tipici dei picchiaduro. Una scelta davvero strana.

Naturalmente, non è tutto oro quel che luccica. Ehrgeiz infatti pagava la sua originalità con un set di attacchi davvero risicato. Le combo dei vari personaggi erano molto basilari, dal momento che ogni lottatore disponeva solo di un attacco alto, uno basso (che potevano essere concatenati) e di un pulsante per gli attacchi speciali. Questi ultimi andavano a consumare un’apposita barra, che si svuotava ancor più velocemente qualora il personaggio disponesse di un’arma; in quest’ultimo caso, infatti, la pressione del tasto special avrebbe portato all’estrazione dell’arma, il cui utilizzo avrebbe gradualmente consumato il suddetto indicatore.

Ehrgeiz proponeva anche una serie di attacchi in corsa, parate e contromosse. Tutto però dava l’idea di un qualcosa di poco preciso, superficiale e spesso e volentieri a farla da padrone negli scontri era il buon vecchio button mashing (ovvero pigiare tasti alla rinfusa sperando in qualcosa di buono).

Uno strano roster

Il roster di Ehrgeiz appariva fin da subito decisamente stereotipato. Tra wrestler, ninja, ragazzine armate di yo-yo e cloni di Kazuya, quasi nessuno dei protagonisti riusciva davvero a svettare per carisma e originalità.

Ad eccezione, naturalmente, dei progatonisti di Final Fantasy VII. Ehrgeiz ospita infatti Cloud, Tifa e Sephirot, tre dei personaggi principali del gioco. In seguito era possibile sbloccare Yuffie, Vincent e persino Zack. Quest’ultimo in Final Fantasy VII non era nemmeno un personaggio giocabile. Tuttavia ogni fan conosce bene l’importanza di Zack nell’economia della trama.

Un esperimento particolare

Ehrgeiz

Come ulteriore elemento di originalità, la versione Playstation di Ehrgeiz proponeva anche la modalità Quest. Si trattava di una sorta di GDR in tempo reale. Alla guida di due aercheologi avventurieri, Clair e Koji (entrambi giocabili anche in modalità picchiaduro) il giocatore avrebbe dovuto farsi strada attraverso intricati dungeon e combattendo orde di mostri e boss.

Nella modalità Quest era ovviamente possibile salire di livello e potenziare il proprio equipaggiamento, per meglio adattarsi alle nuove sfide. Sebbene l’idea fosse interessante, il quest mode non raccolse particolari consensi a causa della ripetitività del gameplay e dell’eccessiva difficoltà delle battaglie.

In generale, il gioco ebbe un accoglienza mista. Se i fan giapponesi apprezzarono lo strano esperimento, anche grazie alla presenza degli outsiders di Final Fantasy, in occidente l’accoglienza fu molto più tiepida, anche a causa del ritardo con cui il gioco giunse nel vecchio continente, quasi due anni dopo l’uscita giapponese.

L’eredità di Ehrgeiz

Cosa rimane dunque di Ehrgeiz al giorno d’oggi? Non si può certamente dire che il gioco sia invecchiato particolarmente bene o che abbia lasciato un ricordo indelebile nelle menti dei videogiocatori.

Tuttavia siamo sicuri che tutti gli amanti dei picchiaduro che ai tempi hanno provato questo titolo lo ricordino ancora oggi. Ehrgeiz ebbe infatti l’indubbio merito di provare qualcosa di diverso, di staccarsi dai consolidati binari del picchiaduro 3D per proporre un’esperienza più originale.

E poi, diciamocelo, a quale fan di Final Fantasy non stuzzica l’idea di vedere Cloud e Sephiroth prendersi a pugni e calci in faccia anziché affrontarsi come al solito a colpi di spada e magie?

Categorie
Editoriali

I 10 migliori videogiochi del 2023

Siamo giunti alla fine di un anno videoludico superbo per qualità e quantità di titoli. Il 2023 sarà ricordato a lungo per aver imposto nuovi standard nell’industria dei videogiochi. E ora è arrivato il momento più arduo: stilare la classifica dei migliori videogiochi del 2023, cioè di quelle opere che meritano di essere almeno provati, ma di cui siamo certi vi innamorerete.

La particolarità dei titoli di quest’anno risiede soprattutto nella loro varietà: raramente si è visto un anno solare così fitto di opere di così alto livello e così (quasi) equamente disposti tra i vari generi.

Qualcuno rimarrà deluso nel vedere il proprio titolo mancare in questa lista; per questo vi invitiamo a leggere interamente l’articolo e poi commentare con il vostro gioco preferito, soprattutto se quest’ultimo manca nella nostra lista dei 10 migliori videogiochi del 2023.

10. Metroid Prime Remastered

Metroid Prime è uno sparatutto del 2003, uscito in esclusiva per Nintendo Gamecube. Inizialmente pensato come spin-off della celebre saga 2D di Metroid, Prime convinse pubblico e critica così tanto che oggi è consideratro parte integrante della storia del franchise.

Come potete leggere anche nella nostra recensione di Metroid Prime Remastered, Metroid Prime Remastered è molto più di un First-person shooter, poiché unisce diversi generi, tra cui anche quello che ha reso celebre la serie in due dimensioni. Inoltre, è un ponte tra il vecchio e nuovo modo di creare videogiochi con dei picchi di level design probabilmente mai raggiunti in un FPS.

Metroid Prime è un’opera d’arte che merita di essere giocata almeno una volta nella vita e la remastered è il miglior modo per farlo grazie all’eccellente qualità tecnica raggiunta e i 60 fps fissi.

9. Diablo 4

L’ultimo capitolo di Diablo si è immesso nella strada desiderata dai fan: ripercorrere lo stile del tanto amato Diablo 2, dimenticando il terzo capitolo se non in alcune scelte di gameplay utili per adattare la saga al periodo contemporaneo.

Diablo 4 diventa dunque un live service game, un mix tra Diablo 2 e World of Warcraft. Una scelta rischiosa, ma come potete leggere nella nostra recensione, alla fine è risultata vincente, perché il mondo di Lilith è tanto macabro quanto divertente.

8. Super Mario Bros. Wonder

La serie Super Mario Bros. è sinonimo di qualità. Come spiegato nella nostra recensione di Wonder, l’opera mantiene alto il nome dell’idraulico italiano in versione 2D pur senza raggiungere vette inarrivabili.

Super Mario Bros. Wonder aggiunge parecchia follia alle avventure nel Regno dei Funghi (questa volta nel Regno dei Fiori). Gli iconici potenziamenti si ampliano in un alcuni che rimarranno nella storia come il Frutto Elefante.

Nonostante non si possa urlare al miracolo come una certa controparte 3D per Nintendo Switch che porta il nome di Super Mario Odyssey, Wonder è comunque una gemma che merita di essere giocata da qualsiasi videogiocatore.

7. Cocoon

Finalmente anche gli autori videoludici occidentali riescono a generare hype. Jeppe Carlsen è uno di questi in quanto mente dietro a Limbo e Inside.

Cocoon di Geometric Interactive è un videogioco che si gioca attraverso la pressione di un solo tasto. Una scelta minimale, ma straordinaria: il gameplay è la qualità migliore del titolo, che riesce a coinvolgere sin dall’inizio. A questo, come già detto nella nostra recensione di Cocoon, si aggiungono atmosfere uniche che ricordano i migliori titoli del maestro nipponico Fumito Ueda.

6. Street Fighter 6

Sua Maestrà il Re è tornato. Le aspettative erano ovviamente alte e Capcom non ha mancato l’appuntamento con quella che è probabilmente la serie più iconica del suo portfolio, al netto della popolarità del genere negli ultimi anni.

Come abbiamo già ribadito durante la nostra recensione di Street Fighter 6, Capcom ha stabilito nuovi standard ed è senza alcun dubbio il picchiaduro da battere. Il gameplay è eccellente e le modalità sono così tante sia in single che multiplayer, che anche chi abbia voglia di menar le mani virtuali per la prima volta, può iniziare da questo capolavoro.

5. Marvel’s Spider-Man 2

Il quinto posto dei migliori videogiochi del 2023 è riservato all’unica esclusiva PlayStation 5. Marvel’s Spider-Man 2 alza l’asticella rispetto al primo capitolo di Insomniac Games. L’Uomo Ragno si presenta nel 2023 con un comparto tecnico eccellente e un gameplay vario e divertente.

Lo abbiamo già detto nella nostra recensione di Spider-Man 2: chi stava cercando un more of the same può ritenersi soddisfatto. Per tutti gli altri si tratta invece di un’ottima avventura action che non può mancare nella collezione di alcun videogiocatore di PS5.

4. Alan Wake 2

A un passo da podio, e probabilmente non senza polemiche che vi invitiamo ad alimentare nei commenti, finisce Alan Wake 2.

Con il ritorno dello scrittore dell’incubo, Remedy Entertainment ha mostrato tutte le sue capacità creando un survival horror veramente terrificante, capace di tenere incollato qualsiasi gamer grazie a una trama e un intreccio narrativo di prim’ordine.

Per gli amanti dell’estro di Sam Lake, Alan Wake 2 è ovviamente obbligatorio, ma lo stesso possiamo dire anche agli amanti del genere. Tutti gli altri potrebbero non apprezzare alcune perplessità tecniche, ma la storia dietro Alan Wake 2 merita tranquillamente il podio.

3. Resident Evil 4 Remake

migliori videogiochi del 2023: Resident Evil 4 Remake

Il terzo gradino del podio vede un’opera da sempre considerata controversa. Per Shinji Mikami è la sua migliore opera, mentre per gli amanti della saga, Resident Evil 4 è l’inizio dell’errore action di Capcom.

Come spiegato nella nostra recensione di Resident Evil 4 Remake, l’ultima fatica di Capcom mette d’accordo tutti: è un capolavoro che arriva nel momento giusto, perché porta l’esperienza di gioco originale a una nuova generazione di giocatori, con miglioramenti grafici e un sistema di controllo rivisto per adattarsi agli standard moderni.

Resident Evil 4 (Remake) è un videogioco che chiunque dovrebbe provare una volta nella vita ed è la dimostrazione che Mikami ci aveva visto giusto, anche con un pizzico d’anticipo rispetto ai fan (cosa tipica delle personalità geniali).

2. The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom

migliori videogiochi del 2023: The Legend of Zelda Tears of the Kingdom

Nonostante l’ampio ventaglio di titoli di altissimo rango usciti nel 2023, i primi due videogiochi di questa speciale classifica giocano un campionato a parte e distanziano i competitor di diverse lunghezze. Questa lotta tra titani termina con un secondo posto per The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom, sequel (stranamente) diretto di Breath of the Wild.

Nel 2017 ci chiedevamo se Breath of the Wild fosse il miglior The Legend of Zelda di tutti i tempi, creando un difficile paragone con Ocarina of Time. Tears of the Kingdom invece è senza dubbio il miglior videogioco della serie.

Il motivo non è banale: Tears of the Kingdom non è semplicemente un more of the same, ma un nuovo modo di concepire i videogame. Un gioco di ruolo dentro a una sandbox in cui non c’è un modo giusto o sbagliato di progredire. Un’eterna sperimentazione che diventa il massimo capolavoro di Eiji Aonuma.

1. Baldur’s Gate 3

migliori videogiochi del 2023: Baldur's Gate 3

Ci sono videogame che sono delle nicchie per definizione. I videogiochi di ruolo hanno sempre goduto di una solida fanbase, ma difficilmente hanno potuto competere con i numeri mostruosi dei generi più casual. Se un GDR è in grado di spezzare questo trend, allora non può che essere il miglior videogioco dell’anno 2023, e probabilmente qualcosa di più.

Baldur’s Gate 3 ha cambiato il modo di concepire il genere, ma anche i videogiochi anche se in termini diversi rispetto a The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom. BG3 è l’esperienza ruolistica definitiva: è stato capace di dare una reale libertà al videogiocatore e allo stesso tempo garantire una vera coerenza con le scelte intraprese. Ha quasi reso banale il concetto di libertà d’azione fino ad ora realizzato da qualsiasi altro videogame open world di questa generazione.

Baldur’s Gate 3 è meritatamente il Game of the Year 2023, ma è anche un punto di rottura rispetto a quanto visto fino ad oggi. Un nuovo standard che in questo momento sembra impossibile superare.

Categorie
Editoriali

ICO – Videogiochi che ho amato

Nell’ultimo decennio, creare un videogioco – in termini puramente tecnici – è relativamente più facile rispetto al passato. Il lato positivo di questa opportunità è vedere opere indipendenti che colmano le lacune lasciate dai grandi del settore, troppo spesso occupati a seguire il trend del momento piuttosto che l’arte. D’altro canto, c’è una bulimia di opere che rischia di saturare di noia un’industria che diventa ogni giorno più piatta.

In questo scenario c’è poi Fumito Ueda, che è riuscito a imporsi nell’industria videoludica grazie a solo tre videogiochi in vent’anni di carriera (più Enemy Zero in cui ha lavorato come animator). Tra queste c’è ICO: un’opera fondamentale per la carriera di Ueda, un videogioco che ho amato e che oggi voglio raccontarvi.

Chi è Fumito Ueda

Classe 1970, Ueda è noto al grande pubblico per lavori che si distinguono particolarmente per atmosfera, costruzione visiva e narrazione emotiva.

La sua carriera prende una svolta positiva nel 1997, quando inizia la sua vventura il Sony con ICO, arrivato poi su PlayStation 2 nel 2001, ma la consacrazione arriva il suo secondo titolo del 2005, sempre per PS2: Shadow of the Colossus (di cui abbiamo già parlato in un altro articolo).

Infine, dopo una lunga pausa ritorna nel 2016 per un’esclusiva Playstation 4: The Last Guardian. Anche questo gioco, così come già avvenuto tra Wander e il suo cavallo in Shadow of the Colossus, esplora i legami emotivi tra il protagonista e una creatura di nome Trico, con la quale dovremo affrontare le sfide del mondo immaginario creato da Ueda.

ICO: Fumito Ueda

Primi passi in ICO

Rilasciato su PlayStation 2 nel 2001, ICO parla di sentimenti, diversità, legami, coraggio, paura. Il protagonista, Ico per l’appunto, è un ragazzino con delle corna bianche, che ben presto viene trasportato via dalle guardie del suo paese per essere rinchiuso in sarcofago all’interno di un castello. Il motivo? Le corna indicherebbero presagio di grandi sventure per il villaggio.

Dopo esserci liberati dal sarcofago, cominciamo a vagare nel castello e troviamo imprigionata una ragazzina di nome Yorda. Una volta liberata, scopriamo di non poterla comprendere, poiché lei dialoga in una lingua sconosciuta; così cominceremo ad esplorare il castello insieme a Yorda, affrontando enigmi e creature oscure.

Le creature oscure che affronteremo avranno come primo obiettivo far del male a Yorda; questo ci fa intuire sin da subito un probabile legame tra la ragazzina, il male oscuro e probabilmente il castello stesso di cui Yorda può aprire determinate porte grazie all’uso di misteriosi poteri magici, che diventano maggiormente ignoti se pensiamo che la comunicazione tra Ico e la Yorda avviene tramite gesti, segnali, versi.

ICO: creature oscure
Le creature oscure che affronteremo.

Gameplay e narrazione

Ciò che contraddistingue il gameplay della prima opera di Fumito Ueda è che per gran parte del tempo dovremo – con la pressione di un tasto – tenere per mano Yorda, così da proteggerla dalle creature e allo stesso tempo farci aiutare nella risoluzione di enigmi ambientali. Questa scelta aumenta il coinvolgimento emotivo e il rapporto con Yorda, di cui ci sentiamo responsabili.

Ico ha le corna bianche, mentre Yorda una carnagione molto pallida. Queste differenze fisiche tra Ico e Yorda impattano su diversi aspetti dell’opera, a simboleggiare l’unicità degli individui. Per esempio: le hitbox dei due protagonisti sono diverse e la storia integra perfettamente queste particolarità, sottolineando nuovamente le tematiche di diversità e anche di collaborazione tra i due ragazzini.

ICO ha una narrazione minimalista: è privo di interfaccia e inventario. Come in opere più recenti come Limbo e Inside, l’opera di Fumito Ueda non ha un tutorial. Sarà il videogiocatore a scoprire man mano tutta la storia, senza che (quasi) nulla venga detto o scritto.

Immagine simbolica ed importante

Esplorazione ed atmosfera

ICO è un videogioco in terza persona con una visuale panoramica che segue più o meno a distanza le gesta dei protagonisti. La scelta è azzeccata perché dà l’idea di una regia ben precisa ed è molto adatta all’ambientazione, ovvero un grande castello con stanze enormi e ampi spazi esterni.

Come un dipinto in movimento, per estetica e gestione della telecamera, il gioco ci tiene per mano alternando momenti di contemplazione a situazioni con enigmi sempre più ardui. La comparsa sempre più copiosa delle creature oscure diviene opprimente, rendendo la voglia di fuggire dal castello sempre maggiore. A un certo punto, respireremo una solitudine che ha il sapore dell’abbandono che ci accompagnerà fino alla fine del titolo.

Le sezioni all’aperto sono caratterizzate da pont e cortili, ma anche negli ambienti esterni si respira forte la solitudine che può essere ammorbidita solamente un po’ dal legame che si crea fra i due ragazzini e la comparsa delle creature, indesiderate, che creano paura e fanno sorgere sempre più domande al giocatore.

I puzzle ambientali, in alcuni casi di risoluzione non intuitiva, richiedono l’ingegno del giocatore per essere superati. Spesso richiederanno una combinazione di più elementi, tra esplorazione, manipolazione di oggetti e soprattutto l’aiuto di Yorda, con o senza poteri magici.

Perché ho amato Ico

Già dall’introduzione ICO mi coinvolgeva in un’atmosfera fiabesca, sognante. Quando poi dopo le primissime fasi di gioco mi sono reso conto che per la prima volta non dovevo solamente proteggere un secondo personaggio che seguiva in automatico i miei passi, ma dovevo letteralmente dargli la mano, il senso di empatia faceva crescere in me un forte legame con Yorda ad ogni passo e situazione che si superava assieme.

In ICO, il senso di responsabilità è un peso di gran lunga maggiore rispetto ad altri videogiochi. Non si pensa solo alla vita del proprio personaggio, ma ancor di più alla vita dell’altro, di Yorda, così da fondere preoccupazioni, attenzione e senso di fragilità in una miscela che rende ogni passo emozionante e particolarmente attento alle circostanze. Tenere (quasi) sempre la mano di Yorda unita alla nostra, vuol dire crescere con lei in un viaggio condiviso, farle capire che assieme, attraversando mille ostacoli, fatti di creature oscure e non, si può uscirne, feriti dentro e fuori, ma sopravvivendo.

Questi due ragazzini, che si sono trovati imprigionati nel medesimo luogo, ma con due storie personali diverse, si incontrano su di un binario comune della loro esistenza e lo percorrono assieme. Nel corso dell’avventura, il legame tra i due si cementerà e avremo modo di capire meglio l’origine e il destino di Yorda. Allo stesso tempo, si formerà anche il percorso di Ico, in una trama che fa crescere entrambi i protagonisti e noi stessi, che abbiamo tenuto strette le loro mani per tutto il tempo.

Categorie
Editoriali

Dieci giochi con una bella trama da provare assolutamente

Non sempre i giochi di successo hanno una bella trama. Numerose serie, come ad esempio Super Mario Bros., Minecraft o Fortnite, hanno ottenuto un successo strabiliante pur senza vantare una storia particolarmente elaborata. Tuttavia, soprattutto per determinati generi videoludici, la qualità della trama resta un fattore di importanza assolutamente primaria. In questo articolo andremo a riscoprire insieme dieci perle della storia dei videogiochi che devono il loro successo soprattutto all’eccezionale bellezza della loro trama.

Non a caso, molti di questi titoli sono riusciti a sconfinare dal mondo dei videogiochi, per ispirare pellicole cinematografiche, serie TV e numerosi altri media. Come moderni aedi, prepariamoci a cantare di nuovo le imprese tramandate da questi grandi capolavori. Prepariamoci a riscoprire insieme queste gemme e magari anche a fare qualche nuova scoperta.

Monkey Island 2: Lechuck’s Revenge

Ideato dal geniale Ron Gilbert, il secondo capitolo di Monkey Island apparve su PC nell’ormai lontano 1991. La seconda avventura di Guybrush Treepwood vedeva nuovamente il nostro temibile pirata alle prese con la sua nemesi Lechuck.

Fresco fresco di risurrezione (causata indirettamente proprio da Guybrush) Lechuck minaccia di distruggere il nostro eroe grazie ai temibili poteri delle bambole Voodoo. Solo il leggendario tesoro Big Whoop sembra essere in grado di salvare Guybrush.

La ricerca del tesoro porta il videogiocatore ad esplorare numerose isole, risolvere enigmi tanto complessi quanto divertenti e conoscere un enorme numero di bizzarri e pittoreschi personaggi. Una grafica ed un sonoro di ottima qualità, tanto umorismo e soprattutto tonnellate di divertimento, condito dalla folle genialità di Gilbert, rendono la trama di Monkey Island 2 la più memorabile dell’intera saga. A completare il tutto, un finale che fa discutere ancora oggi i fan.

Il gioco è uscito anche in versione rimasterizzata ed è disponibile su Steam a prezzi davvero abbordabili. Assolutamente consigliato a chiunque ami le avventure e la risoluzione degli enigmi.

Detroit: Become Human

Giochi bella trama

Sviluppato da Quantic Dream sotto la direzione di David Cage, già famoso per titoli come Fahrenheit e Heavy Rain, Detroit: Become Human fu pubblicato nel 2018 per PC e PS4.

L’opera ci trasporta in una Detroit futuristica in cui degli avanzatissimi androidi affiancano ormai da tempo gli umani nella vita di tutti i giorni, svolgendo mansioni di ogni genere e imitando la vita umana in praticamente ogni suo aspetto.

Ma cosa accadrebbe se questi androidi acquistassero una coscienza propria? Attraverso gli occhi di tre protagonisti distinti, ognuno con i suoi scopi e obiettivi (a volte in conflitto), Detroit tenterà di rispondere a questa domanda. Il gioco propone una trama matura, coinvolgente e con numerosi colpi di scena.

Come da tradizione per i giochi di Quantic, Detroit propone numerosi finali differenti, quasi tutti davvero ben pensati. L’aspetto che più mi ha colpito di Detroit è la straordinaria capacità dei suoi protagonisti di creare empatia. Il giocatore viene ben presto letteralmente risucchiato all’interno del gioco, anche grazie alla forte tensione che la storia riesce a trasmettere in (quasi) ogni sua parte.

Se vi piacciono la fantascienza, la psicologia e le trame coinvolgenti, Detroit: Become Human è certamente il gioco che fa per voi.

The Legend Of Zelda: Majora’s Mask

Giochi bella trama

Nella serie The Legend Of Zelda la trama, pur avendo un ruolo di primo piano, non è mai stata l’elemento cardine. Nelle varie peregrinazioni di Link la parte del leone è sempre toccata all’esplorazione, alla scoperta di nuove aree e alla risoluzione degli enigmi.

Vi sono tuttavia alcuni titoli all’interno di questa leggendaria saga, come Tears Of The Kingdom o Ocarina Of Time, la cui storia è riuscita ad imprimersi con forza nei cuori dei giocatori. In questa sede abbiamo deciso di focalizzarci sull’episodio più particolare ed “oscuro” dell’intera saga, ovvero Majora’s Mask.

Il gioco uscì nel 1999 su Nintendo 64, sotto la direzione del mitico Shigeru Miyamoto (che abbiamo approfondito in un articolo), coadiuvato da Yusuke Nakano e Takaya Imamura. Pur trovandosi nella situazione di dover raccogliere la pesante eredità di Ocarina of Time, Majora Mask ottenne un successo enorme. Il successo fu tale che vennero realizzate ben 2 riedizioni, una nel 2003 per Gamecube e una seconda nel 2011 per 3DS.

In questa incredibile avventura il nostro Link viene catapultato a Termina, un mondo misterioso e inesplorato, con il compito di salvarlo dal tenebroso Skull Kid, che intende ricorrere alla maschera di Majora per far schiantare la luna su Termina.

Sono molti gli elementi della trama di Majora Mask in grado di lasciare il segno. Le atmosfere oniriche e misteriose, la continua tensione provocata dalla minaccia della luna cadente e la cura delle storie legate alle missioni secondarie sono solo alcuni di essi.

Se non lo avete ancora fatto siete obbligati a riscoprire questa gemma. Non ve ne pentirete.

The Last Of Us

Giochi bella trama

Quando si parla di survival horror, questo capolavoro targato Naughty Dog è uno dei primi titoli a venire nominati da qualsiasi giocatore. Uscita nel 2013 sotto la direzione di Neil Druckmann e Bruce Straley, l’avventura di Ellie e Joel è subito riuscita a conquistare un enorme numero di fan e ha ottenuto numerosi premi e riconoscimenti.

Certo, la trama non è l’unico pregio di The Last Of Us. Il gioco propone un gameplay molto vario, ricco, divertente e coinvolgente, che unisce elementi stealth a dinamiche tipiche degli sparatutto e delle avventure 3D. Tuttavia il punto di forza del gioco risiede sicuramente nell’incredibile storia che Naughty Dog ha saputo narrarci.

Le atmosfere cupe e disperate del mondo di TLOU, devastato da una tremenda epidemia causata dal fungo cordyceps e i continui colpi di scena che il gioco propone terranno qualsiasi videogiocatore incollato allo schermo fino ai titoli di coda, senza praticamente mai un momento di noia.

Ancor più importante, i protagonisti del gioco sono in tutto e per tutto essere umani, dotati di coraggi e determinazione ma anche di paura, disincanto e tanti altri sentimenti molto meno nobili, che spesso e volentieri determineranno le loro scelte.

Un vero must per ogni appassionato di videogiochi che si rispetti. Un’opera tanto importante e ben scritta da aver ispirato anche una serie HBO, che ha ottenuto un ottimo successo di pubblico e critica.

Final Fantasy VII

Ed eccoci a parlare di un altro mostro sacro della storia dei videogiochi. Final Fantasy VII non solo è stato il primo episodio della saga a sdoganare definitivamente il genere dei JRPG nel mondo occidentale, ma ha anche saputo dar vita ad un universo narrativo capace di durare per più di un ventennio (vedi i recenti episodi Remake).

Sono davvero tanti gli elementi di Final Fantasy VII ad aver influenzato con forza l’immaginario collettivo. Le atmosfere steampunk, la sapiente unione di scienza e tecnologia, l’incredibile carisma dei suoi protagonisti (e antagonisti) e un mondo di gioco credibile e dettagliatissimo.

Naturalmente, anche la trama di FF7 è davvero strepitosa, ricchissima di colpi di scena (chi può dimenticare cosa accade alla fine del primo disco di gioco?) e con un enorme numero di scene emozionanti e memorabili, al punto da diventare iconiche.

Certo, se guardiamo alla qualità generale dell’intreccio, altri episodi della saga, come FFVI o FFIX non hanno nulla da invidiare al settimo capitolo, ma abbiamo deciso di citare FFVII proprio per l’influenza che questo gioco ha avuto sulla storia dei videogiochi e non solo.

God of War Ragnarok

Ammettiamolo: i primi capitoli della saga di Kratos non brillavao particolarmente per la qualità e l’originalità della loro trama. Con l’episodio del 2018, però, le cose sono cambiate profondamente.

Dopo il massacro degli dei della Grecia, God of War ci presenta un Kratos più anziano e maturo, perdipiù con un figlio al seguito. Il Fantasma di Sparta non è più solo una macchina per uccidere, ma un uomo (o meglio un dio) ormai maturo, riflessivo e rude ancor più che in passato.

Anche la trama della saga cambia registro, proponendo un intreccio molto più complesso, con tradimenti, misteri, colpi di scena e scoperte in grado di sorprendere il giocatore e tenerlo letteralmente con il fiato sospeso.

Tutti questi elementi tornano ulteriormente migliorati nel gioco successivo, cioè God Of War Ragnarok. In questa grandiosa avventura, per ora l’ultima della saga, il regista Eric Williams ci regala una vicenda ancor più intricata e ricca di capovolgimenti e cambi di fronte.

Punto di forza di questa storia, oltre al grande carisma dei nuovi personaggi, è indubbiamente il modo in cui i vari misteri vengono via via svelati, spesso tramite eventi davvero drammatici ed inattesi. Da giocare assolutamente, anche senza aver provato nessuno dei capitoli precedenti.

Metal Gear Solid 3: Snake Eater

Parlando di belle trame, nella nostra rassegna non poteva assolutamente mancare la saga di Metal Gear Solid. Nata nel 1987 su MSX2, grazie al genio del visionario Hideo Kojima, la saga di Metal Gear è sbarcata con prepotenza su Playstation nel 1999 con il primo Metal Gear Solid.

Da allora la saga si è sviluppata in parallelo con le nuove console di casa Sony, fino alla burrascosa conclusione avvenuta con Metal Gear Solid V: The Phantom Pain. Durante lo sviluppo di questo gioco, infatti, è avvenuto il “divorzio” tra Kojima e la Konami, ma questa è un’altra storia.

La saga di Metal Gear Solid unisce elementi di thriller, spionaggio, filosofia e storia contemporanea, toccando temi adulti e “scomodi” come la guerra, il business delle armi, la genetica e l’abuso dei social e delle moderne tecnologie. Il tutto unito in una trama credibile, dura e ricca di colpi di scena davvero indimenticabili, resi ancor più memorabili dall’incredibile carisma dei personaggi.

Abbiamo scelto di premiare il terzo episodio, Snake Eater (uscito nel 2004 sulla mitica PS2) poiché tra tutti gli episodi della saga è quello che più di tutti può essere apprezzato anche senza conoscere il resto della saga. Snake Eater infatti propone una storia davvero forte, emozionante e commovente, in cui accompagneremo Naked Snake, lo Snake “originale”, in una missione suicida che lo vedrà contrapposto alla sua stessa mentore, la leggendaria The Boss. Questa esperienza e lo scontro finale con la sua maestra daranno inizio alla leggenda del nostro protagonista, segnandone allo stesso tempo il destino.

Un capolavoro assoluto, da recuperare a qualunque costo, che presto sarà impreziosito dall’uscita di un nuovo remake, che segnerà finalmente il ritorno sugli schermi della saga di Metal Gear Solid, ormai da troppo tempo assente dal panorama videoludico.

Batman: Arkham City

Quello che i Rocksteady Studios hanno realizzato con la saga di Arkham ha davvero dell’incredibile. Non solo infatti questa saga riesce a rendere giustizia alla grandezza del personaggio di Batman, ma presenta una versione dell’uomo pipistrello e dei suoi nemici che nulla ha da invidiare a quelle viste al cinema o nei fumetti.

Tutti gli episodi della saga infatti presentano una trama davvero ben scritta, ricca ed articolata. Ogni personaggio, sia esso un alleato di Batman o uno dei molteplici avversari trova il suo giusto spazio e la sua collocazione all’interno dell’enorme puzzle costruito da Rocksteady.

E, parlando di Batman, quella vista in questa saga è certamente una delle sue versioni più affascinanti e carismatiche, che mette in luce sia le incredibili potenzialità del personaggio sia i suoi lati più oscuri e vulnerabili.

Premiamo Arkham City per l’imprevedibilità della sua trama e per l’ottimo cast di avversari che propone, tra cui spicca, naturalmente, l’immancabile Joker. Nel caso decidiate di giocarlo, preparatevi per il finale. Vi lascerà davvero senza parole!

Persona 5

Se amate le narrazione in stile anime e i drammi adolescenziali, Persona 5 è il gioco che fa per voi. Il capolavoro di Katsura Hashino ci mette nei panni di Joker, ragazzo liceale costretto al trasferimento in seguito ad una falsa accusa di aggressione.

Durante il nuovo anno scolastico, il nostro protagonista si accorgerà ben presto di avere una forte connessione con il Metaverso, mondo spirituale creato dall’inconscio delle persone. Joker (il cui vero nome resta personalizzabile) scopre ben presto di essere in grado di controllare i misteriosi spiriti chiamati Persona. Insieme ad un gruppo di amici fidati dotati di abilità simili alle sue, Joker formerà i Phantom Thieves, un gruppo di eroi del metaverso con la missione di cambiare il cuore delle persone malvagie, costringendole a svelare spontaneamente le loro meschinità.

Questa premessa dà vita ad una trama che non sfigurerebbe in nessun anime moderno. Nell’avventura di Joker si alternano estenuanti battaglie nei palazzi del metaverso, drammi personali e sentimentali della vita reale e vicende più leggere e scanzonate legate alla vita scolastica, tra amicizie, primi amori e esami da superare.

Persona 5 è uno dei migliori rpg dell’ultima decade e si è arricchito anche di una versione Royale, che inserisce nuovi personaggi e arricchisce ulteriormente la trama del gioco. Un acquisto davvero obbligato se amate il genere.

Nier Automata

E quale gioco poteva essere più adatto a concludere la nostra carrellata se non il capolavoro assoluto nato dallo sregolato genio di Yoko Taro? Uscito nel 2017 per ogni piattaforma esistente, Nier Automata si è subito messo in mostra per il suo gameplay da hack and slash frenetico e divertente. Ma dietro alla facciata c’è molto di più.

Il titolo Square, infatti, possiede una delle trame più strane, intricate e vaste mai apparse su qualsiasi media. Non solo infatti Automata presenta un numero spropositato di finali multipli, ma il gioco è in realtà solo la punta di un gigantesco iceberg.

La storia narrata da Yoko Taro infatti si snoda attraverso un numero incredibile di opere diverse. Tra prequel videoludici (tra cui l’intera saga di Drakengard), manga, enciclopedie dedicate e persino opere teatrali, è davvero difficile orientarsi nella tela ordita dal visionario direttore.

Tuttavia, la pazienza di tutti coloro che avranno la forza di risolvere questo incredibile rebus sarà ricompensata. La storia di Nier, infatti, è davvero incredibile. Tragica, struggente ed emozionante, essa sa unire idee fantascientifiche e futuristiche con un profondo studio dell’animo umano, dei suoi desideri e dei suoi timori più reconditi.

Attraverso la storia dell’eterna lotta tra androidi e biomacchine, infatti, Yoko Taro ci mostra la sua visione della storia dell’umanità, delle sue conquiste quasi divine e dei suoi altrettanto roboanti fallimenti. Il tutto valorizzato dalla colonna sonora, una delle più belle mai ascoltate in un videogioco.

Categorie
Editoriali

Cosa sono i JRPG e cosa li contraddistingue dagli RPG occidentali

Quando il Giappone decide di creare qualcosa, non c’è dubbio che lo fa con un unico obiettivo in mente: realizzare qualcosa di innovativo, diverso ed inimitabile. È successo con i manga, che non sono proprio fumetti, e lo stesso con gli anima, che chiamarli cartoni animati è riduttivo.

Succede anche con il cinema, o con la musica: nel Paese del Sol Levante ogni prodotto dell’industria culturale deve essere qualcosa di unico, che anche se riconducibile ad una categoria più ampia, deve essere facilmente riconoscibile come proprio della cultura giapponese. E lo stesso avviene tra i singoli prodotti, che da loro devono essere distinguibili.

Ovviamente, per i videogiocatori si tratta di un concetto immediatamente applicabile ad un genere in particolare, quello dei JRPG, ossia dei giochi di ruolo per l’appunto giapponesi. Ma cosa sono i JRPG? Quella “J”, che sta proprio per Japanese, non indica soltanto la provenienza geografica del prodotto, ma nasce come un vero e proprio certificato di autenticità, un marchio con cui il giocatore può essere certo che si troverà di fronte a qualcosa di nuovo.

Nascita

Raccontare della storia dei JRPG è più un esercizio di stile, che di sostanza. Si parla di un genere che, di fatto, quasi coincide con la nascita dei videogiochi. I primissimi titoli sono comparsi nei primi anni 80, ma sarà il primo Dragon Quest, uscito per Enix nel 1986 in oriente e nel 1989 in occidente sulla piattaforma NES, a far emergere il genere. Un momento storico che ha dato vita ad un vero e proprio tsunami di titoli, tra cui il primo Final Fantasy.

Fare la lista dei titoli che poi negli anni si sono susseguiti richiederebbe un tempo infinito: da Suikoden a Shin Megami Tensei, passando per gli Xenosaga e gli Xenoblade, i Persona e così via. La lista è veramente enorme e nella maggior parte dei casi si parla quasi sempre di saghe, i cui capitoli a volte sono uno il proseguo dell’altro, altre invece sono indipendenti e condividono soltanto il nome. Perché, come si è già detto, secondo la filosofia del Jrpg, ogni titolo deve essere unico ed inimitabile, anche se condivide il nome con altri prodotti.

JRPG vs WRPG: cosa cambia rispetto ai GDR occidentali?

Quella tra JRPG e Western Role Playing Game non è soltanto una differenza dovuta allo stile, ma per anni è stata una vera e propria battaglia culturale e, ovviamente, di mercato.

Basti tornare indietro di qualche anno (ahimè, non pochi), e rievocare la storica contrapposizione tra Nintendo e Sega, dove la prima deteneva l’egemonia dei JRPG, mentre la seconda dei WRPG. Acquistare una console anziché l’altra (per i giocatori di giochi di ruolo, s’intende) significava prendere una posizione.

Le differenze tra i due generi non si sono affievolite neanche con l’arrivo della Sony, che con la prima Playstation e la conseguente egemonia del mercato tra il 1994 e il primi 2000 ha eliminato le barriere di genere, proponendo tanto i GDR occidentali quanto i JRPG. La contrapposizione tra i due generi però è rimasta e rimane tutt’ora. Il resto è storia, già trattata in infinite sedi.

Ma al netto dello storico campanilismo, cosa c’è di così diverso tra un JRPG e un WRPG? La prima differenza è sicuramente nella struttura dei generi. I JRPG nascono principalmente come titoli basati su un party di più personaggi e con combattimenti a turni, dove la cooperazione tra protagonista (o protagonisti) e altri astanti, a cui si cerca di dare sempre uno spessore, fa da padrona.

Ciò non significa che i giochi di ruolo occidentali non abbiano mai abbracciato questo stile: basti guardare gli storici Baldur’s Gate o Planescape Torment che, con tutte le differenze del caso, permettevano di scegliere i componenti del proprio party come lo si poteva fare a Final Fantasy, più o meno.

Eppure, già prendendo questi due titoli come esempio, è possibile tracciare una prima netta linea di demarcazione: nei diversi Baldur’s Gate (ma anche negli Elder Scroll o nei più recenti Divinity Original Sin) il giocatore ha la possibilità di creare il proprio personaggio, si immerge in una narrazione in cui le sue decisioni cambiano il mondo, viene catapultato all’interno di una storia che vive quasi in prima persona. Perché uno dei punti cardine di un buon gdr occidentale è proprio il choice matter: dove ciò non avviene, manca sempre qualcosa.

Con i JRPG, la distanza tra il giocatore e i personaggi è invece molto più netta. Non siamo noi a creare Cloud, Squall o Tidus (sempre facendo riferimento ai Final Fantasy): è vero, avremo il controllo dei loro movimenti nel mondo e nei combattimenti, ma non avremo diritto di interferire con le loro scelte o con il loro essere: saremo relegati ad un ruolo di spettatori di una storia che non è la nostra, ma a cui assisteremo arrivando a volte anche ad affezionarci ai personaggi che ne sono parte, cosa che accade molto più difficilmente nei titoli dei giochi di ruolo occidentali.

Ed è forse questa la più grande differenza tra i due generi: da una parte siamo attori, dall’altra spettatori. Da una parte interagiamo con il mondo al punto di sentirci parte integrante di esso, dall’altro ci godiamo una narrazione in cui non siamo inclusi, ma va bene così, è la loro storia.

Unicità

Che ogni buon titolo GDR debba raccontare una buona storia, a prescindere da dove sia stato realizzato, se in Europa, in America o Giappone, è una delle basi del genere. Ma ciò non basta: una buona storia senza un sistema di combattimento innovativo difficilmente è in grado di interessare il grande pubblico.

Quando si parla di JRPG, tutto ciò viene però portato all’estremo, dove a fianco dell’attenzione maniacale alle storie, forti anche delle influenze di manga e anime che ben si sposano con il genere videoludico, si passa alla nota ricerca della complessità dei combattimenti, che molte volte chiedono un minimo di studio affinché si possano affrontare le sfide più complesse offerte dal gioco (che spesso sono opzionali).

Partiamo dalle basi: a parte qualche “romantico” che ancora resiste, il genere JRPG negli anni è passato da uno stile di combattimenti a turni all’action.

L’esempio più lampante è la contrapposizione tra Final Fantasy VII e il suo Remake: oltre ai cambiamenti nella storia, è stato impensabile per Square-Enix proporre una sola rivisitazione grafica del gioco: c’era bisogno di renderlo attuale e, senza entrare sulla diatriba relativa anche alle differenze sulla storia, la scelta più azzeccata è stata puntare sulla dinamicità dei combattimenti, mantenendo però elementi imprescindibili del JRPG, quali mosse finali, magie e altro ancora.

Col passare del tempo, i JRPG sono diventati molto più complessi di quanto non lo fossero già e anche questo cambiamento rientra nel concetto di voler produrre titoli sempre più innovativi e differenti l’uno dall’altro.

Dalle famose Junction di Final Fantasy VIII (che oggi capirle è semplicissimo, ma ricordo quando ci giocavo ai tempi delle medie, per poi scoprire come funzionavano solo al CD 3) agli ultimi titoli come Xenoblade Chronicles 3 o Tales of Arise (di quest’ultimo, ancora oggi non ho capito bene come funzionano le combo), ogni titolo ha sempre voluto proporre uno stile unico che, come si è detto, a volte convince e altre no, ma chi produce sembra non contemplare l’opzione di pubblicare qualcosa di già visto, anche se in passato ha catturato l’attenzione di molti.

“È così che funziona il mercato”, verrebbe da dire, ma non è proprio così: si guardi per esempio a Divinity Original Sin 1 e 2, dove ovviamente il secondo capitolo propone una nuova grafica, nuove abilità e un nuovo sistema di progressione, mantenendo però alcune meccaniche del primo senza cambiarle di una virgola, come la possibilità di interagire con l’ambiente circostante durante il combattimento. Il ragionamento è semplice: ha funzionato nel primo capitolo, perciò lo si ripropone allo stesso identico modo anche nel secondo (e perché no, anche in Baldur’s Gate 3).

Oppure si guardi ai giochi Bethesda, dove Skyrim e Fallout, giochi completamente diversi per ambientazione, che però, fatte le dovute eccezioni, condividevano lo stesso menu e lo stesso stile di combattimento (e alcune analogie sono rintracciabili persino nel recente Starfield).

Ecco, tutto ciò è vietato nei JRPG. Non può esistere un Final Fantasy che sia anche lontanamente simile al precedente, per storia o meccaniche di combattimento, e lo stesso accade per gli Xenoblade Chronicles o i Dragon Quest, quest’ultimo tra gli unici titoli che ancora resistono al romanticismo del combattimento a turni ma che nonostante ciò riesce ancora a rinnovarsi.

Alla fine: che cos’è un JRPG?

Per definire cosa sia un JRPG, bisogna dunque tenere conto di due fattori: una narrazione che deve tenere incollati allo schermo e uno stile di gioco unico, che permetta a chi non vuole applicarsi di concludere la storia, ma che proponga anche una serie di sfide opzionali estremamente complesse che solo chi ha voglia di studiarsi build e combo può riuscire a concludere con successo (in perfetto stile di gioco nipponico).

I JRPG sono storie, personaggi di spessore, colpi di scena e a volte anche lacrime, ma sono anche combattimenti mozzafiato, magie, luci, laser, mostri giganti, evocazioni e a volte anche enormi robot. Possono essere semplicità e complessità allo stesso tempo, ma soprattutto devono essere unici, sia rispetto ai loro cugini occidentali, sia rispetto ai titoli della stessa categoria.

Categorie
Editoriali

Red Bull Indie Forge 2023: abbiamo provato i videogiochi finalisti

Tra i suoi tanti ospiti, Milan Games Week 2023 ha ospitato anche i cinque videogiochi finalisti della Red Bull Indie Forge, competizione che permette ai giovani sviluppatori italiani di dire la loro nel mondo videoludico e che eleggerà due vincitori, uno scelto da una giuria di esperti ed uno dal pubblico. Noi de ilVideogiocatore.it abbiamo provato tutti e cinque i titoli finalisti di Red Bull Indie Forge e scambiato due chiacchiere con gli sviluppatori.

Glasshouse

Sviluppato dai ragazzi di Flat28, Glasshouse si mostra al pubblico come un classico RPG di ambientazione neofuturista e distopica che si sviluppa all’interno di un condominio popolato da 18 persone. Un titolo molto politico, in cui il giocatore si troverà a fare da paciere tra i condomini, bloccati in una sorta di lockdown post atomico.

La demo che abbiamo provato durante l’evento presenta un videogioco con visuale isometrica e che sin da subito ci proietta nello squallore del mondo ideato dagli sviluppatori, un futuro di stampo vittoriano. Quello che ci ha colpito di più del gioco è stata un equilibrato mix tra gioco di ruolo e avventura grafica. Glasshouse si muove in un mondo tra crafting necessario e sapiente uso di dialoghi in cui il sistema di dialoghi bypassa il combattimento.

Intrigante l’idea che l’orientamento politico che si darà al proprio personaggio influirà sulla storia e sulle scelte da intraprendere.

Red Bull Indie Forge 2023: Glasshouse

While We Wait Here

Il videogioco, sviluppato da Bad Vices Games, già autori di Ravenous Devils, ci mette nei panni di un ristoratore di una piccola tavola calda dispersa nel nulla.

La demo ci ha fatto assaggaire un’opera che si sviluppa in prima persona e che sì, effettivamente dovrete preparare da mangiare per i clienti. Quello che ancora non si sa è ciò che sta accadendo attorno: quale catastrofe sta per arrivare? Cosa stiamo aspettando? Sembra di intuire che nella versione finale ci saranno numerose linee di dialogo che probabilmente porteranno il giocatore ad una visione introspettiva. Ci vorrà ancora tempo per saperlo, ma il senso di disagio dopo la demo ci stuzzica e non vediamo l’ora di mettere le mani sul prodotto finito.

Monster Chef

Forse non è un cliché dire che gli italiani sono appassionati di cucina. Del resto, tra i finali di Red Bull Indie Forge 2023 ci sono ben due titoli dedicati. Il secondo è Monster Chef di Studio Pizza, un hack & slash con elementi roguelite e gestionali.

Visivamente Monster Chef ci ha ricordato molto Cult of the Lamb (Recensione) ma gli sviluppatori dicono di essersi ispirati ad Hades. Il protagonista è Pranzo, un novizio dell’Ordine della Buona Forchetta, una congrega di cuochi guerrieri, che dovrà procacciare le prede e cucinarle sul campo di battaglia per soddisfare i palati degli avventori della sua locanda.

La locanda dovrà essere gestita nella sua interezza: dagli negli interni alle spezie che dovremmo coltivare per rendere i nostri piatti succulenti. Inoltre, non basterà andare a caccia di mostri e colpirli, bisognerà cucinarli sul campo tramite Presina, un guanto da cucina che sputa fuoco.

La parte gestionale poi è perlopiù completa; i clienti infatti saranno saranno esigenti sotto vari aspetti: dalla pulizia della locanda alla corretta consegna dei piatti. Un gioco leggero, graficamente accattivante e, personalmente molto divertente da giocare.

Red Bull Indie Forge 2023: Monster Chef

Umbral Core

A Few Round Games ha proposto un picchiaduro che ci ha davvero colpito. Benchè il personaggio giocabile nella demo sia solamente uno, abbiamo potuto saggiare la bontà del titolo grazie al game designer Simone Demontis che ci ha spiegato l’enorme lavoro dietro ogni frame.

Umbral Core è un picchiaduro pensato per il competitivo che gira fino a 60 FPS, valore volutamente bloccato per non favorire chi ha hardware migliori (ma in realtà il motore grafico Unity ha permesso al team di lavorare con un framerate sbloccato e in effetti la demo girava a più di 200 FPS. Uno spettacolo!).

Il gameplay di Umbral Core spicca grazie alla possibilità di attivare combo leggere, medie e pesanti con la pressione di un solo tasto in base alla distanza tra il giocatore ed il nemico. Questa agevolazione rende il tutto più fluido senza la necessità di ricordare complesse sequenze di tasti. Apprezzato!

TEOM -The Enemy Of Mine

TEOM -The Enemy Of Mine

Sviluppato da Voxel Studios, TEOM è un tower defense di nuova generazione che non tende a stravolgere il genere ma cerca di perfezionarlo.

A livello estetico è molto interessante ed accattivante, ma c’è molto di più; Le unità che l’utente ha a disposizione per difendere il proprio nucleo e le unità da distruggere – adorabili robot che si faranno via via sempre più potenti – rendono il gioco vario e divertente.

TEOM è un tower defense molto intuitivo: dopo una breve spiegazione da parte degli sviluppatori eravamo pronti a partire con la demo. Il videogioco si è rivelato altamente personalizzabile e modulare. Piazzare le torrette è semplice e la possibilità di inserire dei blocchi in più per determinare un particolare path alla scia dei robot rende la vita un po’ più semplice rispetto ad altre opere di questo genere.

La struttura di gioco è divisa in livelli, ciascuno dei quali è sua volta spezzato in round. Ogni livello ha una mappa diversa mentre ogni round vi metterà contro più nemici del precedente. Se nel corso di uno qualunque dei round, il vostro nucleo verrà distrutto dovrete ricominciare l’intero livello e ricostruire daccapo le vostre difese. Particolarità del titolo è che oltre la normale campagna, i ragazzi di Voxel Studios hanno inserito una modalità roguelite, rendendo di fatto, la longevità praticamente infinita.

Categorie
Editoriali

Simon the Sorcerer Origins: intervista a Smallthing Studios

Milan Games Week 2023 è stata un’edizione ricca di contenuti e ospiti in cui abbiamo avuto modo di incontrare, tra gli altri, i ragazzi di Smallthing Studios, studio italiano nato dalla visione di Massimiliano Calamai, appassionato e videogiocatore come tanti di noi, passione che ha trasmesso a tutti i suoi collaboratori e che si percepisce sia nei lori pensieri che nelle loro creazioni.

Durante la fiera meneghina, oltre a provare in anteprima una demo del gioco, siamo riusciti a intervistare Fabrizio Rizzo, lead designer di Simon the Sorcerer Origins, prequel di quel Simon the Sorcerer del 1993, avventura grafica che, scommetto, avrà “regalato” tanti notti in bianco a quei fortunati che hanno avuto l’occasione di giocarci.Ma bando ai convenevoli e partiamo con le domande sul titolo.

IlVideogiocatore.it: Ciao Fabrizio, come mai avete scelto proprio il titolo di Adventure Software per proporre un vostro “seguito” o meglio, una visione di esso?

Fabrizio Rizzo: Beh, tutto nasce dalla enorme passione del nostro CEO Massimiliano Calamai e dal suo debole per le avventure grafiche: ricordiamo che in quegli anni, il titolo Adventure Software se la giocò ad armi pari con titoli del calibro di Monkey Island e Broken Sword. Mettiamoci anche che dopo un “ritorno” degli altri titoli di riferimento, era tempo anche per Simon di avere un capitolo in questo secolo. Dopo aver quindi proposto il  nostro concept e la nostra idea agli autori originali, abbiamo avuto tutto il supporto possibile, ci sentiamo sempre e ci scambiamo consigli e idee.

IlVideogiocatore.it: è stato complicato ottenere supporto ma soprattutto l’approvazione dei fratelli Woodroffe?

Fabrizio Rizzo: È stato complicato sì, inizialmente erano scettici. Giustamente consideravano Simon the Sorcerer il loro “bambino”. Ci sono voluti infiniti incontri e riunioni per far accettare loro che l’idea era quella giusta. Alla fine posso dire, che dopo aver ascoltato tutte le nostre idee e le nostre visioni, anche loro si sono arresi alla loro bontà.

Simon the Sorcerer Origins

IlVideogiocatore.it: Dopo anni di buio sembra quindi che le avventure grafiche siano ritornate di moda, qual è il vostro pensiero in merito?

Fabrizio Rizzo: Ti dirò, come afferma il nostro CEO Calamai, il mondo dei videogames oltre che variegato è anche molto “democratico”. Fortunatamente chiunque può giocare oltre che produrre ciò che più lo appassiona. L’importante è che alla fine della giornata, ripensando a ciò che si è fatto, con un foglio bianco avanti, si possa affermare di aver creato qualcosa di narrativamente coinvolgente e di emozionante. Ed è questo ciò che conta. Vedrete che anche in Simon the Sorcerer Origins avrete delle belle sorprese e delle chicche di cui però ancora non posso parlare.

IlVideogiocatore.it: Ad inizio anni 90 Simon the Sorcerer fu, insieme a Monkey Island e Broken Sword una vera e propria pietra miliare. Questo nuovo capitolo, questo vostro lavoro, cosa vuole essere al giorno d’oggi?

Fabrizio Rizzo: Vuole essere innanzitutto una storia, una storia che emoziona, che cattura, che commuove, che fa vivere il giocatore insieme al personaggio, nonostante il personaggio stesso si riveli cinico, cattivello, satirico, sfondando spesse volte anche la quarta parete, senza mai, però, scadere nel volgare. Perché alla fine, bisogna investire sui fruitori finali, il prodotto deve valere il prezzo del biglietto. Perché i giocatori pagano per investire in modo piacevole il loro tempo, e noi abbiamo il dovere morale di lavorare al meglio per ripagarli. E tutte le sorprese che abbiamo in mente, a partire da quelle musicali, passando da quelle di gameplay, sono indirizzate in questo senso.

IlVideogiocatore.it: Simon the Sorcerer Origins è quindi un prequel del primissimo titolo del 1993: avete creato una storia stand alone con protagonista il solo personaggio di Simon o ci sono dei rimandi ai successivi capitoli?

Fabrizio Rizzo: Il lavoro più duro e delicato è stato proprio quello di creare un collegamento perfetto con gli altri capitoli e ritengo che ci siamo riusciti. Mettiamola comunque in questo modo, sia se si è un fan di vecchia data sia un nuovo adepto, il gioco riuscirà a coinvolgere senza troppi problemi. I giocatori che conoscono già il titolo troveranno i giusti rimandi, ma i nuovi non avranno bisogno di altro se non di Origins per godersi l’esperienza.

Simon the Sorcerer Origins: Monkey Island 3

IlVideogiocatore.it: Essendo Origins un’avventura grafica ci si aspetta, come è costume, una spiccata ironia. Simon come sarà in questo senso? È stato difficile mantenere l’humor inglese tipico dei primi episodi considerando il nostro contesto italiano?

Fabrizio Rizzo: Ci è voluto tanto tanto lavoro, abbiamo giocato decine e decine di volte i primi titoli per entrare nella mentalità giusta e vi posso assicurare che siamo arrivati ad una comicità e ironia davvero pazzesca, Simon è acido, ironico, cattivo il giusto ma ha un motivo per esserlo che scoprirete. E anche a livello visivo, il gioco, spesso vi strapperà più di una volta una risata.

IlVideogiocatore.it: Gli enigmi? Saranno “folli” come si dice in gergo o abbastanza lineari? Avete pensato ad un sistema di aiuti tipo Return to Monkey Island o il giocatore sarà lasciato completamente solo?

Fabrizio Rizzo: Allora, partiamo da quest’ultima parte, come lead designer poco mi ispirava ad avere una specie di diario degli aiuti, preferivo un approccio diegetico alla risoluzione degli enigmi, quindi tutto nel gioco, dagli scenari ai personaggi possono concorrere ad aiutare il giocatore a proseguire. Personalmente inoltre, preferisco che si crei una comunità intorno al gioco, dove ci si confronta, si chiacchiera e ci si da consigli su come andare avanti, piuttosto che fornire al giocatore un freddo diario che lo porti alla risoluzione degli enigmi. Cosi come, il confrontarsi, può aiutare a guardare un problema a 360 gradi o comunque da un diverso punto di vista; infine, un’avventura grafica va assaporata, lentamente. Gli enigmi infine, saranno strettamente legati alla narrativa del gioco, saranno in definitiva un mix tra logica e pensiero laterale.

IlVideogiocatore.it: Da appassionato del genere, ti chiedo: co dobbiamo aspettare altre avventure grafiche da Smallthing Studios? Magari qualcosa di inedito?

Da Smallthing Studios possiamo aspettarci davvero davvero tanto. Siamo lo studio, forse, in Italia che sta facendo l’investimento più grande nel mondo videoludico e questo ci permette una certa autonomia. Abbiamo in cantiere già sei titoli. Alcuni della stessa fascia di Simon, altri più piccoli e altri più grandi. In prospettiva stiamo chiudendo accordi per avere importanti licenze per titoli doppia e tripla A. E stiamo lavorando anche a progetti proprietari inediti di cui siamo particolarmente soddisfatti e sicuri e che non vediamo l’ora di raccontare al nostro pubblico.

Categorie
Editoriali

Perché Super Mario RPG ha meritato un remake

Super Mario RPG è certamente uno dei giochi più importanti tra quelli usciti a novembre. Questa avventura infatti propone un incredibile mix tra i personaggi e le atmosfere della serie Super Mario Bros. (di cui abbioamo raccolto tutti i platform 2D) e la profondità e complessità delle meccaniche tipiche dei giochi di ruolo giapponesi.

Nel 1996, un’incredibile collaborazione tra Nintendo e Squaresoft (oggi Square Enix) diede vita all’ultimo gioco dedicato a Super Mario ad apparire sul glorioso Super Nintendo, ovvero Super Mario RPG: Legend of The Seven Stars. Mentre già stiamo provando la nuova fiammante avventura di Mario, lanciamoci alla riscoperta del gioco originale, per riportare alla luce una vera e propria gemma della storia dei videogiochi.

Un gioco per pochi

Super Mario RPG

Per chi, come me, ha vissuto in pieno i mitici anni 90, Super Mario RPG ha rappresentato un vero e proprio miraggio. Gli sviluppatori, infatti, vista la bassa popolarità del genere degli RPG in Europa, presero la (discutibile) decisione di non pubblicare il gioco in nessun mercato PAL.

Tuttavia, tutte le principali testate giornalistiche parlarono abbondantemente del gioco, attraverso anteprime e recensioni ricche di particolari e di immagini. Quelle semplici, piccole fotografie bastarono a portare me e tutti gli altri infelici possessori di uno SNES PAL a mangiarsi letteralmente le mani. I voti roboanti e i pareri entusiastici dei recensori non migliorarono la situazione.

Anche con l’ausilio di un adattatore, infatti, non era assolutamente possibile godere di questa fantasmagorica avventura, a causa della tecnologia obsoleta di questi dispositivi. Di conseguenza, come tanti altri, dovetti rassegnarmi a perdermi questo gioiellino. Diversi anni dopo, grazie all’emulazione, ebbi finalmente la possibilità di recuperare Super Mario RPG. Dopo averlo giocato e finito, dovetti riconoscere che la fama di quest’avventura era pienamente meritata.

Degno della sua fama

Il primo aspetto di Mario RPG a lasciare di stucco era indubbiamente il suo comparto grafico. Grazie ad un uso sapiente dell’ Advanced Computer Modeling, Squaresoft riuscì a dotare il gioco di una grafica assolutamente avveniristica, che nulla aveva da invidiare a giochi come Killer Istinct o alla serie Donkey Kong Country.

La grafica del gioco presentava infatti un simil 3D che, unito alla visuale isometrica, riusciva a creare una falsa idea di profondità. Grazie poi all’utilizzo di una macchina SGI (Silicon Graphics Incorporated), sia i modelli dei personaggi che i paesaggi risultavano per l’epoca davvero solidi e dettagliatissimi.

Anche il gameplay si rivelò assolutamente all’altezza della situazione. Il gioco di ruolo di Super Mario infatti proponeva il classico sistema dei combattimenti a turni, mutuato da serie come Final Fantasy o Chrono Trigger, di cui Square era un’assoluta maestra. Le fasi di esplorazione invece presentavano vari elementi mutuati dalla serie di Super Mario. Era ad esempio possibile saltare su varie piattaforme per raggiungere zone sopraelevate o interagire con alcuni particolari elementi dello scenario.

Per eliminare il problema degli scontri casuali, Square decise di rendere visibile ogni nemico presente nell’area. In questo modo era il giocatore stesso a decidere se impegnarsi in uno scontro o evitare semplicemente l’avversario. Per aumentare l’interattività nel corso delle battaglie, Super Mario RPG permetteva di compiere una serie di azioni, come premere ripetutamente il pulsante o schiacciare col giusto tempismo, per aumentare il danno inflitto da attacchi e incantesimi.

Tutti questi elementi contribuirono a fare di Mario RPG un gioco di ruolo solidissimo, bello da vedere, divertente da giocare ma anche molto ben strutturato. Ad aumentare ulteriormente la varietà contribuivano i numerosi mini giochi presenti, tra cui spicca la corsa in spalla al mitico Yoshi.

Alla ricerca delle sette stelle

Super Mario RPG

Anche la trama, pur senza essere eccessivamente originale, era assolutamente all’altezza. Nel prologo Mario penetra nel castello di Bowser per salvare la Principessa, vittima dell’ennesimo rapimento. Subito dopo la battaglia col tartarugone, però, fa la sua comparsa il malvagio Smithy, il quale getta nel caos il regno dei funghi.

Mario scopre ben presto che per sigillare il malvagio monarca nella sua dimensione è necessario recuperare i sette frammenti della Star Road. Per realizzare l’impresa Mario deve esplorare l’intero regno dei funghi. Nel corso del viaggi il baffuto idraulico visiterà un gran numero di location, tutte perfettamente caratterizzate. Il villaggio delle talpe, il mondo delle nuvole (raggiungibile tramite un’enorme pianta), il relitto affondato… ogni ambientazione risulta sempre originale, accattivante e interessante.

Un party sopra le righe

Anche il cast dei personaggi di Mario RPG era davvero vario e pittoresco. Oltre a Mario e alla Principessa, il giocatore avrebbe infatti potuto controllare per la prima volta Bowser. Inoltre, per l’occasione, Nintendo aggiunse due personaggi originali. Si tratta di Mallow, sorta di nuvoletta vivente armata di cembali e di Geno. Quest’ultimo altri non è che lo spirito della Star Road, che per l’occasione si è incarnato in una piccola bambola di legno.

Anche gli antagonisti risultano molto originali e ben diversificati tra loro. Oltre ai classici Koopa e Goomba, infatti, Mario dovrà vedersela con orde di strani mostri, orologi e spade giganti e persino una parodia dei Power Rangers. Tutti questi elementi fecero di Super Mario RPG un grandissimo successo e lo resero a tutti gli effetti il canto del cigno del mitico Super Nintendo.

Voi che ne dite? Avete già acquistato il nuovo Mario RPG? Vi sta piacendo? Commentate pure qui sotto per raccontare la vostra esperienza o, se preferite, i vostri ricordi della bellissima avventura originale.