Microsoft ha dato il via al nuovo anno videoludico con il proprio evento dedicato ai videogiochi first-party dei team di sviluppo interni. I giochi dell’Xbox Developer Direct (che potete vedere integralmente sul canale YouTube di Xbox) si sono mostrati con lunghi gameplay accompagnati dalla voce dei propri creatori; nello specifico, sono cinque i titoli mostrati, tutti disponibili sul Game Pass dal day one: Minecraft Legends; Forza Motorsport; Hi-Fi Rush; The Elder Scrolls Online: Necrom; Red Fall. Vediamoli nel dettaglio.
Minecraft Legends
Mojang Studios ha presentato la versione PvP strategica del suo franchise di punta.
Minecraft Legendsè un videogioco multiplayer online in cui due squadre da 4 videogiocatori si scontrano con l’obiettivo di distruggere la base nemica. Durante lo show, gli sviluppatori ci hanno incuriosito con due feature in particolare: il buiding, cioè la possibilità di costruire ed espandere la propria base e la fase di combattimento in cui è anche possibile reclutare preziosi alleati non giocanti.
Mojang Studios ha garantito che la comunicazione sarà importante e la strategia fondamentale. Minecraft Legends sarà disponibile dal 18 aprile 2023 sulle console Xbox, PlayStation, Nintendo Switch e PC.
Forza Motorsport
Il creative directorChris Esaki è stato il portavoce di Turn 10 Studios per presentare le novità di Forza Motorsport.
Il videogioco automobilistico vuole essere il simulatore più realistico sul mercato. Durante la presentazione sono state mostrate immagini e tracce audio che ci mostrano finalmente veramente la next-gen.
Gli sviluppatori hanno specificato che Xbox Series S e X hanno permesso di ottenere un livello di dettaglio dieci volte superiore rispetto al passato. Inoltre, il team ha lavoro su diversi aspetti di realismo: per esempio, la luce e il tempo influiscono giro dopo giro con relativo impatto su vari aspetti delle vetture come le gomme.
Forza Motorsport è l’unico gioco dei cinque che non ha una data d’uscita ufficiale: l’arrivo è previsto per il 2023 solo su next-gen, cioè Xbox Series S|X e PC.
Hi-Fi Rush
La sorpresa dell’Xbox Developer Direct è la nuova opera di Shinji Mikami e Tango Gameworks.
Hi-Fi Rush è ben lontano dai precedenti titoli horror del team (The Evil Within e Ghostwire: Tokyo). Il suo stile molto colorato ricorda i fumetti americani – tra i videogiochi ci ricorda tantissimo Code Name: S.T.E.A.M. per Nintendo 3DS. Il genere è stato definito come Rhythm Action con una forte componente Stylish. che si posiziona a metà tra Crypt of the NecroDancer e Bayonetta.
Il clamore non è solo per il reveal del titolo, ma soprattutto perché Hi-Fi è disponibile su PC, Xbox Series S|X e Game Pass a partire da oggi stesso.
The Elder Scrolls Online
Necrom è il nuovo capitolo – l’aggiornamento annuale che introduce nuove zone di Tamriel – di The Elder Scrolls Online di Zenimax Online Studios.
Il nuovo chapter ci porta nella zona orientale di Morrowind, un’area che ci porta agli albori della saga: The Elder Scrolls Arena. Necrom aggiunge anche una nuova class: l’Arcanist.
Il nuovo capitolo di ESO sarà disponibile dal 5 giugno 2023su PC mentre dal 20 giugno su console Xbox e PlayStation, mentre per un tempo limitato sarà possibile giocare tutti i capitoli gratuitamente.
Inoltre, è stata presentato anche il DLC dungeon Scribes of Fate che darà il via, a marzo, all’avventura del 2023: Ombra su Morrowind; in particolare, Scribes of Fate esce il 13 marzo 2023per PC/Mac e il 28 marzo 2023 per Xbox e PlayStation.
Per ulteriori dettagli, vi lasciamo al video di Global Reveal, un evento di trenta minuti dedicato a The Elder Scrolls Online: Necrom trasmesso subito dopo l’Xbox Developer Direct.
Redfall
L’ultimo – e di solito più importante – slot è stato vinto da Redfall di Arkane Studios.
Il team di sviluppo ci ha portato in giro per la mappa open-world alla scoperta di alcune delle zone che è possibile visitare all’interno dell’FPS con elementi ruolistici.
Redfall è divisa in quartieri che dovremo liberare da diversi gruppi di vampiri. Una volta ripulita la zona, potremmo affrontare il generale del quartiere, dei vampiri particolamente coriacei con abilità uniche. Ogni quartiere liberato ci avvicinerà verso la fine del gioco dove affronteremo i Vampire Gods.
Tra le zone più interessanti, citiamo i Vampire Nest: spazi psichici che possono essere spazzati via distruggendo il cuore (letteralmente) che li mantiene in vita.
Redfall uscirà il 2 maggio 2023 su Xbox Series S|X e PC.
Ana Amari, ex comandante di Overwatch, è considerata da molti la migliore cecchino di tutto il mondo. Reduce dei combattimenti della crisi Omnic nella sua terra natale, l’Egitto, Ana si finge morta per anni, per poi, mossa dal forte sentimento di proteggere i propri cari, riprendere le armi, e diventare una delle migliori healer in tutto Overwatch 2.
In questa guida troverai degli utili consigli per chi vuole iniziare a cimentarsi con questo straordinario eroe. Armatevi di una buona mira e di tanta capacità decisionale e iniziamo a capire le abilità del personaggio.
Ana Amari in Overwatch 2
Zzz…
Il dardo soporifero è l’asso nella manica di Ana, in grado di far addormentare e rendere inermi tutti i nemici (tranne Orisa in forma rinforzata). Gli usi sono molteplici, ma il filo conduttore è la possibilità di interrompere una qualsiasi azione del nemico se colpito.
Fate attenzione però: come ogni abilità potente, il dardo ci metterà molto tempo prima di ricaricarsi, quindi cercate di ponderare attentamente la situazione. Addormentare un Roadhog mentre si cura è un ottima occasione, mentre lanciare l’abilità in mezzo ad un vasto gruppo senza un piano è quasi inutile. Tenete l’abilità per le Ultra avversarie; far addormentare un Genji in fase di Ultra vi farà sicuramente guadagnare la stima di tutta la squadra.
All’inizio potrebbe essere difficile capire quando è il momento giusto per usarlo, ma con il passare delle partite svilupperete una sorta di sesto senso, e potreste persino riuscire a prevenire alcune tra le Ultra più potenti, come ad esempio l’impatto devastante di Reinhardt.
Quando avrete addormentato un nemico comunicatelo subito alla squadra, in questo modo li avvertirete della sua vulnerabilità.
Una granata è per sempre
Lagranata bioticaracchiude in sé la forza delle cure di Ana: amatela con tutto il cuore poiché salverà voi e i vostri alleati di Overwatch 2 dalle situazioni più disparate.
Se lanciata sugli alleati, oltre a curargli una piccola quantità di salute, aumenterà le cure subite da tutte le fonti. Questo significa che le vostre cure saranno raddoppiate in efficacia e i vostri alleati avranno molte più possibilità di sopravvivere.
Se lanciata sugli avversari questi saranno impossibilitati dal ricevere cure, entrando in uno stato di estrema vulnerabilità. Una buon lancio può avere un forte impatto, rallentando, o persino fermando, un intero assalto nemico.
Cercate sempre occasioni dove unire questi due effetti e riuscirete a ribaltare parecchie situazioni in vostro favore.
Scagliare la granata su un folto gruppo darà sempre grandi soddisfazioni
Biostimolatore per essere inarrestabili
L’ultra di Ana è la regina di tutte le abilità di Overwatch 2. Una risorsa preziosa, in grado di potenziare i danni e la resistenza di un singolo nostro alleato. I seguenti sono i 3 migliori modi per utilizzare questa ultra in tutta la sua potenza:
ilBiostimolatore usato in combinazione con potenti ultra (Reaper, Genji, Soldato 76, etc..) è quasi sempre una mossa vincente, vi basterà coordinarvi con i vostri compagni e usare la vostra ultra esattamente quando il vostro alleato usa la sua, dopodichè rilassatevi e godetevi lo spettacolo.
Siete nel bel mezzo di un combattimento decisivo, un vostro alleato è in fin di vita, ma data la situazione caotica non riuscite ad aiutarlo, a questo punto potete usare il boost di vita istantaneo delbiostimolatore per salvargli la vita e contrattaccare. Talvolta far rimanere un alleato in vita è molto più conveniente che aspettare una potente combo.
Infine potete usare il Biostimolatore per ingaggiare o rinforzare un vostro attacco, potenziando un tank per guadagnare spazio o un dps per qualche kill facile, ma state molto attenti a dove mirate.
Non sarà raro sbagliare mira e potenziare un alleato che non centra nulla. Se vi trovate in difficoltà potete sempre usare la doppia conferma disponibile tra le opzioni di Overwatch 2, che ridurrà gli errori di bersaglio. Semplicemente andate su Opzioni > Comandi > Generale > Cambia eroe > Ana > Biostimolatore richiede conferma bersaglio. In questo modo ridurrete gli sbagli, riuscendo persino ad usare l’Ultra attraverso i muri, ma rallenterete il tempo di attivazione.
Pur essendo un’Ultra molto potente, essa non è però in grado di funzionare da sola, la coordinazione e l’abilità dei nostri alleati sarà sempre l’ago della bilancia di ogni uso.
Il Biostimolatore è un ultra che si ricarica abbastanza velocemente, quindi non siate troppo parsimoniosi, sperimentate!
Mirino o Non Mirino?
L’iron sight (visuale da mirino) è utilissima per aumentare la precisione dei nostri colpi, ma ha un grandissimo difetto: riduce notevolmente la nostra visuale. Ciò comporterà il non curare i nostri alleati perché fuori dal nostro campo visivo, o il non vedere un nemico che ci sta prendendo di mira. Sembra una piccola inezia, ma questo problema può mandare in fumo tutti gli sforzi della squadra.
Quindi non dovreste più utilizzare il mirino?Assolutamente no. Ci vuole equilibrio: usate il mirino solo per un breve tempo, poi tornate alla visuale normale per controllare la posizione di alleati e nemici, e se ne siete sotto controllo, allora tornate a mirare per essere più precisi. Semplicemente non rimanete troppo attaccati al tasto di mira, anche perché ciò vi renderà estremamente lenti, prevedibili e vulnerabili.
Come si può ben notare, rimanere tanto tempo in posizione di mira ci precluderà informazioni importanti
Mobilità
Come forse avrete già notato, Ana non dispone di abilità di movimento. Questa sua mancanza la rende un healer che non può seguire ovunque i suoi alleati, che non può accelerare per una cura d’emergenza, ma soprattutto, è impossibilitata alla fuga rapida se attaccata. Per sopperire a questo problema dovremmo diventare dei maestri di posizionamento.
Attenzione: non si sta parlando di “riposizionamento” (materia in cui eccelle Mercy). Per posizionamento si intende l’abilità mentale di posizionarsi in un punto della mappa che abbia valenza strategica per tutta la squadra. Questo significa trovare il punto perfetto dove essere ugualmente efficace in cure, danni e fuga. Dove posso avere a schermo tutta la squadra alleata e nemica, ma anche dove posso trovare riparo in caso di pericolo.
La maggior parte delle volte questo significa trovarsi posizionati nella backline (una linea immaginaria che simboleggia la parte posteriore del team), da qui potrete coordinare le vostre azioni con maggiore efficacia, ma fate molta attenzione ai dps nemici che proveranno a fiancheggiarvi, loro saranno il vostro maggior nemico. Ricordate: in Overwatch 2 una brava Ana sarà sempre il bersaglio primario di un buon DPS.
La maschera ha da sempre avuto un ruolo di assoluto rilievo nella storia dell’umanità, in varie e numerose forme espressive. Basti pensare al suo ruolo nel teatro dell’antica Grecia, o all’importanza delle feste in maschera, presenti in quasi ogni cultura e tradizione umana. Anche nella cultura pop, la maschera ha sempre trovato terreno fertile. Basti pensare all’incredibile successo ottenuto dagli eroi mascherati nel mondo dei fumetti e, più recentemente, anche sul grande schermo.
Persino nel mondo dei videogiochi la maschera ha ottenuto spesso e volentieri ruoli di primo piano. Ricordiamo per esempio Legend of Zelda: Majora Mask, titolo in cui proprio le maschere erano la fonte dei poteri di Link. Oppure la saga di Persona (il cui titolo significa proprio maschera in lingua latina), dove le maschere sono addirittura il perno della trama e della stessa estetica dei vari giochi.
Esiste tuttavia una particolare maschera dotata addirittura di vita propria e di una caratterizzazione talmente simpatica ed originale da renderla la spalla principale del protagonista di un’intera saga di videogiochi. Stiamo naturalmente parlando di Aku Aku, la simpatica maschera voodoo che da sempre accompagna Crash Bandicoot nelle sue strampalate avventure (anche nel recente quarto capitolo che abbiamo recensito). In questo articolo andremo a ripercorrere la storia della maschera amica di Crash Bandicoot, concentrandosi sull’evoluzione che ha avuto nel tempo.
La maschera Aku Aku ha accompagnato Crash fin dal primo titolo della serie.
Gli esordi su PlayStation
La prima apparizione della maschera Aku Aku coincide con il primo Crash Bandicoot, uscito sulla prima Playstation nell’ormai lontano 1996. Crash incontra il nostro mascherone subito dopo il filmato introduttivo del gioco, quando libera Aku Aku da una cassa di legno sulla spiaggia di N. Sanity.
La maschera raffigura un grosso volto con occhi, naso, denti e labbra ed è sormontata da quattro piume colorate. Completa il quadro un piccolo ciuffo di foglie che spunta alla sua base, a mo’ di pizzetto. Aku Aku rivela a Crash di essere uno spirito guardiano e gli suggerisce di raccogliere le sue parti sparse per tutta l’isola per ottenere la sua protezione.
Nel corso della sua avventura, Crash Bandicoot può collezionare fino a tre mascheredi Aku Aku, contenute in alcune casse sparse per i vari livelli. Ogni maschera funge da scudo, permettendo al marsupiale di sopravvivere anche se colpito dai nemici. Ogni volta che una parte di Aku Aku viene liberata, risponderà col suo inconfondibile “Boo-roo-duh-gah!”, suono che diverrà iconico nel corso della serie, sebbene risulti ancora poco chiaro cosa significhi.
“Boo-roo-duh-gah!”: l’inconfondibile ingresso di Aku Aku
Nel caso il giocatore riesca a collezionare tutte e tre le maschere, Crash indosserà Aku Aku (che normalmente si limita a levitare al suo fianco) ottenendo un breve periodo di invincibilità, in modo analogo a quanto avveniva con la stella di Super Mario.
La situazione resta sostanzialmente invariata in Crash Bandicoot 2: Cortex strikes back, uscito l’anno successivo sempre sulla prima Playstation. Nella versione giapponese del gioco, tuttavia, viene utilizzato anche un secondo modello per le animazioni di Aku Aku. Tale modello appare in brevi filmati in cui la mschera fornisce a Crash alcuni consigli su come proseguire. Aku Aku qui si mostra con colori più chiari e con labbra e sopracciglia più grosse.
La simpatia e originalità di Aku Aku lo hanno reso un elemento fondamentale della serie.
La biografia della maschera di Crash Bandicoot
Una serie di informazioni aggiuntive sulla simpatica maschera sono state fornite dal manga di Crash Bandicoot, uscito in due edizioni tra 1996 e 1997. Viene qui rivelato per la prima volta che Aku Aku è in realtà lo spirito di un antico sciamano protettore dell’isola, che ha lasciato parte della sua essenza nelle varie maschere magiche. Viene anche fatto riferimento agli Antichi, i misteriosi padroni di Aku Aku, sebbene essi non siano mai comparsi nel corso della serie.
É tuttavia con il successivo capitolo della serie videoludica, ovvero Crash Bandicoot 3: Warped, che il ruolo di Aku Aku inizia a divenire più sostanzioso. In quest’avventura infatti il mascherone presenta un nuovo e più definito modello e beneficia finalmente di un doppiaggio, in virtù della grande mole di dialoghi di cui è protagonista.
In Warped i giocatori fanno anche la conoscenza di Uka Uka, fratello malvagio di Aku Aku, anch’egli segregato all’interno di una maschera Voodoo dall’aspetto tetro e minaccioso. Era stato proprio Aku Aku a sigillare il fratello malvagio quando era ancora in vita. Viene inoltre rivelato che la decisione di Aku Aku di confinare il suo spirito in una maschera era stata proprio dettata dalla volontà di continuare a proteggere la terra da un eventuale risveglio del fratello.
Nel corso dell’avventura, Aku Aku ha ancora il ruolo di power up e di occasionale consigliere dei protagonisti, ma nella battaglia finale contro Cortex e Uka Uka, la maschera scende in campo in prima persona, tenendo occupato il fratello e permettendo a Crash di sconfiggere il malvagio scienziato.
Crash Bandicoot 3 ha approfondito il personaggio ed il background di Aku Aku.
Aku Aku negli spin-off
Nel party game Crash Bash, Aku Aku è nuovamente al centro della trama. Il gioco infatti ruota attorno ad una sfida tra Aku Aku ed Uka Uka, che schierano i propri campioni all’interno di un torneo che sancirà la definitiva superiorità di una delle due maschere.
Nuovamente Uka Uka sarà il motore scatenante degli eventi di Crash Bandicoot: l’ira di Cortex, primo titolo della saga per le console a 128 bit. Questa volta la malvagia maschera libererà i terribili elementali, guidati dal malvagio Crunch Bandicoot (sotto il controllo di Uka Uka). Sarà ancora una volta Aku Aku a scoprire il piano del fratello e a permettere a Crash di sventare l’ennesima minaccia.
Nel successivo Crash Twinsanity Aku Aku si alleerà per la prima volta col fratello Uka Uka. Dopo l’ennesima sconfitta, infatti, la maschera maligna si unirà a Crash e Cortex contro gli Evil twins, nuovi villains del gioco. Le due maschere subiranno una sonora batosta, ma permetteranno a Crash e Cortex di trionfare sui nuovi nemici.
Il restyle di Aku Aku
Crash of the Titans ha davvero rivoluzionato l’estetica della serie.
É tuttavia in Crash of the Titans – titolo uscito nel 2007 su praticamente ogni piattaforma possibile – che Aku Aku subisce i maggiori cambiamenti. A livello estetico, il design della maschera viene totalmente rivoluzionato, con un Aku Aku più largo e possente, dotato di una bocca enorme e di numerose foglie che gli spuntano dai fianchi a mo’ di braccia.
Anche per quanto riguarda il gameplay, Aku Aku ha un ruolo molto più attivo. La maschera infatti per tutta la durata dell’avventura è sempre al fianco di Crash e gli fornisce la capacità di sottomettere e controllare i Titani (o Mutanti), i principali antagonisti del gioco, divenendo a tutti gli effetti l’arma principale in dotazione al protagonista.
La situazione si ripete anche inCrash: Mind over mutants (in Italia Crash: il dominio sui mutanti), seguito diretto di Crash of the Titans. Anche in questo caso Aku Aku permette a Crash di sottomettere e sfruttare le enormi creature, sfoggiando l’inedita capacità di rimpicciolirsi per entrare nelle tasche del marsupiale.
In questi titoli Aku Aku fornisce a Crash altre interessanti abilità, come la capacità di scivolare sulla sua superficie e la possibilità di deflettere gli attacchi energetici dei nemici.
Le ultime apparizioni
Aku Aku è stato al fianco di Crash anche negli ultimi titoli a lui dedicati.
Dopo l’enorme insuccesso dei due titoli a base di Titani, la serie di Crash rimase a lungo nel dimenticatoio. Crash apparve come personaggio giocabile nella serie Skylanders, dove fece capolino anche il nostro Aku Aku, tornato al semplice ruolo di voce di supporto.
Seguirono Crash N. sane Trilogy e Crash Team racing Nitro-Fueled, titoli remastered delle due vecchie glorie della prima Playstation, che però non apportarono modifiche significative ai vecchi titoli in termini di trama e gameplay.
Negli ultimi due giochi della saga, ovvero Crash Bandicoot 4: It’s about time e Crash Bandicoot: on the run!, Aku Aku recupera il suo aspetto classico, molto più simile a quello sfoggiato nei primi capitoli della serie. In entrambi i titoli, inoltre, la maschera esercita di nuovo il suo duplice ruolo di guida saggia e power up protettivo.
Overwatch 2 è un gioco di squadra, e come in ogni gioco di squadra bisogna sapere agire ed attenersi al proprio ruolo, per riuscire a vincere. In questa guida di Overwatch 2 sarà protagonista l’healer, un ruolo che potrebbe definirsi come le fondamenta di una squadra vincente, il quale avrà l’importantissimo compito di curare e supportare il proprio team.
Se credi che guardare le spalle ai propri alleati sia il tuo ruolo, o magari vuoi semplicemente provare una nuova prospettiva di gioco, allora continua a leggere per scoprire i 5 migliori healere supporter per iniziare a capire la logica dietro la mentalità del curatore in Overwatch 2.
Lucio
Lucio è considerato un “off-healer”, ovvero un healer che non possiede una grande capacità di cura, ma si concentra su un altro tipo di supporto. L’abilità “Vibrazioni” permetterà di cambiare tra cura e velocità. Molti principianti tendono ad usare per la maggiorparte del tempo solo uno di questi boost, ma un buon Lucio sa giudicare la situazione e agire di conseguenza.
La mobilità di Lucio è impareggiabile, capace di sballare la mira dei giocatori meno esperti. Il suo wall-ride sarà il movimento che userete per la maggiorparte del tempo, ma non allontanatevi troppo dalla vostra squadra!
Usare l’Ultra “Barriera Sonora” per bloccare Ultra nemiche dal grande potenziale dannifico è efficace per un veloce contrattacco.
L’efficacia di Lucio si scopre solo quando sarete vicino ai vostri alleati, insegnando fin da subito l’importanza dello stare con la squadra. Fin troppi principianti fanno l’errore di giocare come se fosse un normale deathmatch a squadre, ma con Lucio non farete questo errore.
Il suo fuoco principale è una serie ripetuta di quattro colpi, ma è il suo fuoco secondario la vera chicca. Il “Boop”, o “Onda sonora” in italiano, è un colpo dal poco raggio che respingerà con grande impeto i nemici. Potete usare questa abilità per difendere i vostri alleati o per buttare giù dai precipizi i vostri, sicuramente imprecanti, nemici.
La sua velocità, il suo knockback e la sua mobilità rendono Lucio uno degli healer più divertenti da giocaresu Overwatch 2, pur rimanendo però, un importante membro della squadra.
Moira
Moira è una scienziata che, per raggiungere la soddisfazione delle proprie tesi, non si fa certo frenare da metodi anti-etici e “controversi”. Tanto controversi quanto il suo ruolo da healer. Eh già, perché Moira è – più di tutti gli altri healer – un personaggio incentrato sul danno.
Il suo fuoco secondario è un raggio che segue e risucchia la vita dei nemici, rigenerando la nostra vita. Mentre l’abilita “Globo biotico” permetterà di scagliare un globo che, rimbalzando sulle pareti, danneggerà i nemici vicini, portando scompiglio e facili uccisioni tra le linee nemiche. Non fatevi troppo distrarre però, siete pur sempre degli healer!
L’Ultra soprannominata “Il Raggio della Morte” tiene fede al suo nome, ma un uso equilibrato tra cure e danni è quasi sempre la scelta migliore.
Il metodo di cura è altrettanto semplice; uno “spray” con cui curare lentamente gli alleati e un medesimo globo che curerà, invece di danneggiare.
Questo personaggio è consigliato a chi preferisce supportare i propri alleati in maniera attiva. Sarà probabilmente apprezzata da chi avrà precedentemente provato il ruolo di DPS, o da chi ha uno stile di gioco equilibrato. Usare Moira insegnerà proprio l’importanza dell’equilibrio tra danni e cure e, se usata saggiamente, saprà rinforzare i punti deboli della squadra.
Kiriko, pur non avendo le risorse combattive di Moira, è sicuramente la più letale tra tutti gli healer di Overwatch 2.
Il suo fuoco primario sono dei piccolissimi kunai che se colpiranno il corpo dei nemici non faranno troppi danni, ma se lanciati verso la sua testa ricompenseranno con un danno critico, dimezzando la vita della maggiorparte degli eroi.
Premete il tasto Ultra e tenetevi pronti al caos, non lasciate che la velocità vi rovini la mira!
Nonostante ciò, Kiriko è un personaggio molto difensivo. Le sue cure ci metteranno molto tempo prima di arrivare a bersaglio, ma quando arrivano lo fanno con un buon boost di cure.
Il suo potenziale difensivo è incentrato sull’abilità “Suzu di protezione”. Un talismano che se lanciato permetterà di rendere invincibile se stessa e i suoi alleati per pochi istanti. Da usare con molta parsimonia e saggezza. Il suo kit è completato dall’abilità “Passo rapido”, un’abilità di fuga che potrà teletrasportarci da un nostro alleato, per una cura d’emergenza o una fuga rapida.
Kiriko è consigliata a chi dispone già di una buona mira, i suoi critici in testa sono veramente troppo preziosi per andare sprecati, ma non scordatevi di curare!
Ana
Ana è il cecchino degli healer, ma purtroppo non condivide la letalità di Kiriko, difatti Ana non sarà in grado di fare headshot, ma questa non è assolutamente un difetto, anzi.
L’assenza di critici permette ad Ana di concentrarsi completamente sul bersaglio. La troveremo spesso nelle retrovie proprio per avere un’ottima visuale su tutti i giocatori, sia attaccanti che alleati. Le sue cure sono veramente importanti, e possono aumentare ancora a dismisura grazie alla “Granata biotica”, una granata che raddoppierà le cure subite su se stessa e gli alleati, ma non solo!
Ana possiede una delle migliori Ultra nel gioco, sfruttatela saggiamente.
La forza di Ana sta proprio nel suo effetto secondario, ovvero l’impedire le cure dei nemici.
Una buona granata potrà salvare alleati in situazioni disperate e contemporaneamente respingere un intero attacco nemico. La sua difesa invece, è contenuta nel “Dardo soporifero”, un proiettile che farà addormentare qualsiasi nemico per qualche secondo, interrompendo la maggior parte delle abilità. Ana è consigliata per chi ama stare nelle retrovie e avere l’intera situazione sotto controllo.
Una buona Ana possiede sempre l’intero controllo dei suoi alleati e dei suoi nemici.
Mercy
Mercy è l’healer per eccellenza, un personaggio in grado di compiere massicce e continue cure, muovendosi liberamente nel campo di battaglia.
Il suo supporto è straordinario, sarà infatti palese dai primi minuti di gioco che, pur essendo dotata di un’arma secondaria, il suo ruolo è fondamentalmente legato al continuo apporto di cure e boost di danni, un vero e proprio angelo custode.
Braccati? Troppo distanti? Nessun problema. Usate L’Ultra “Valchiria” per sfrecciare in aria ovunque voi vogliate.
La sua survive ability è proprio incentrata sull’abilità “Angelo custode”, che le permetterà di fuggire dalle situazioni più spinose, mentre la sua abilità più importante è sicuramente “Resurrezione”; usatela con saggezza, poiché consentirà di ribaltare la situazione in più di un combattimento, rianimando un alleato precedentemente sconfitto.
Mercy è sicuramente consigliata a quei giocatori che vogliono concentrarsi completamente sul supporto ai propri alleati. Preferendo un approccio meno bellico e più di squadra.
Benvenuti al secondo appuntamento con la storia dei videogiochi in cui vi racconterò gli anni 80: non stavate più nella pelle, vero? Scoprire chi, cosa e perché ha permesso che ora siate seduti sul vostro divano a giocare ad Elden Ring, ad esempio. Nella prima parte siamo arrivati alla fine degli anni 70, abbiamo scoperto i precursori del videogioco e le prime macchine da gioco, ci siamo avvicinati in pratica all’età dell’oro dei videogiochi, un’era che ha un inizio ben distinto.
Home Computer
Agli inizi degli anni 80, i videogiochi fanno impazzire le grandi masse, non solo con i cabinati che affollano le sale giochi, che spuntano come funghi sul territorio, ma anche con l’avvento dell’Home Computer, poiché la tecnologia era arrivata ad un prezzo congruo per la distribuzione di massa. Dapprima vide la luce il Vic20, Video Interface Chip (il 20 in sé non ha nessun significato specifico, solo il compito di renderlo più user friendly). Venne progettato da Bob Yannes.
Vic-20
Snoccioliamo due dati? Chip basato sul MOS 6502, un microchip ad 8 bit, memoria ROM di 20 kb, memoria RAM di circa 5 kb di cui 3,5 per la programmazione in Basic e gli altri 2kb per la gestione del segnale video. Risoluzione 176×184 con 8 o 16 colori, appare chiaro che al giorno d’oggi queste caratteristiche non bastano neanche a far muovere una nocciolina su schermo, ma d’altronde ragazzi, questi erano gli inizi, e fortunatamente direi io.
Commodore 64
Nel 1982 nacque il Commodore 64, evoluzione del Vic 20. L’home computer presentava un chip capace di strabilianti performance graficheesonore a un costo contenuto. L’aspetto economico fece molta differenza, il Commodore 64 si andò a scontrare in America con l’Atari 800, simile per caratteristiche – ma molto più costoso – e con l’Apple II che però non poteva vantare le stesse caratteristiche e quindi performance del Commodore. In Inghilterra vi erano invece l’Amstrad CPC ma soprattutto lo ZX Spectrum. In un primo momento quest’ultimo registrò più vendite ma sul lungo periodo non riuscì più a reggere il paragone con gli innumerevoli pezzi venduti del Commodore 64.
Moltissime periferiche furono prodotte per il Commodore 64 e parliamo di monitor dedicato, mouse, joystick con un solo pulsante di fuoco e addirittura stampanti. Il C64 per circa 11 anni ha dominato il mercato e si stima che siano stati venduti circa 30 milioni di unità.
I motivi? Presto detti: prezzo contenuto, facilità di utilizzo e programmazione, doppia possibilità di far partire i giochi, cassette e floppy da 5 pollici (enormi), una vastissima scelta di giochi che iniziarono anche ad essere recensiti da riviste del settore (ricordiamo ZZap e The Games Machine). Fu un vero e proprio fenomeno sociale. Dopo questo doveroso tributo al Commodore 64, torniamo ai videogiochi.
Videogiochi cult
Dragon’s Lair
Dragon’s Lair -attenzione immagine di gioco-
Personalmente inserisco questo gioco in un paragrafo tutto suo, come fatto con Pac-Man poco più sotto, non perchè come Pac-Man, abbia segnato un’epoca ma semplicemente perchè Dragon’s Lair è stata una vera e propria perla del suo tempo.
Mentre impazzavano i pixel a destra e a manca per lo schermo, questo titolo spremette tutta la potenza che l’Amiga 500 prima e la 1000 dopo, sfornando un vero cartone animato interattivo, all’epoca dettilaser game. Il titolo fu sviluppato dalla Cinematronics ed impiegò ben tre anni prima di vedere la luce.
Purtroppo meno tempo è bastato al genere per passare di moda: il gameplay prevedeva di pigiare determinati bottoni e/o tasti al momento giusto, in base a questo il personaggio (un improbabile cavaliere) compiva determinate azioni. Appare chiaro che si moriva molto facilmente e per andare avanti si era costretti ad imparare a memoria la sequenza dei tasti. A lungo andare frustrante. Ma Dragon’s Lair ha significato molto per noi bimbetti alle prime armi: ci ha reso consapevoli di cosa sarebbe potuta essere la tecnologia, lasciandoci con quella luce negli occhi che solo un regalo di Natale davanti agli occhi di un bambino può ricreare.
Pac-Man
Nel 1980 vede la luce Pac-Man. Prodotto dalla Namco, Pac-Man approdò inizialmente sui cabinati arcade delle sale giochi. Fu un enorme successo. Nel gioco l’utente deve guidare una creatura di forma sferica gialla, chiamata Pac-Man, facendole mangiare tutti i punti disseminati all’interno di un labirinto; nel fare ciò deve evitare di farsi toccare da quattro fantasmi per non perdere una delle vite a disposizione. Nei quattro angoli del labirinto vi sono quattro pillole speciali che invertono la situazione: i quattro fantasmi diventano, per dieci secondi esatti, vulnerabili. In questo frangente possono addirittura essere fagocitati da Pac-Man, facendogli guadagnare punti bonus.
In Occidente Pac-Man fu esportato dalla Midway Games, il cui Vicepresidente, Thomas Nieman affermò: «Eravamo al posto giusto, al momento giusto e con il gioco giusto». Pac-Man ebbe un plebiscito di consensi diventando il gioco più giocato per diversi anni e mantenendo ancora oggi la sua fama a distanza di quarant’anni.
Le prime innovazioni
In questi primi anni ottanta l’età dell’oro raggiunse il suo culmine. Nacquero: Defender, primo sparatutto a scorrimento; Battlezone che introdusse per primo un mondo di gioco tridimensionale anche se con grafica vettoriale; Pole Position, che con la sua visuale da dietro l’auto rappresentava un punto di svolta nei simulatori di guida; Zork che inaugurava l’epoca delle avventure grafiche e per la prima volta compariva su schermo Mario, che in una delle sue prime versioni si chiamava Jumpman.
Nonostante già dal 1981 i PC IBM cominciarono a diffondersi su larga scala, alla fine degli anni 80 erano ancora visti, dati i costi non proprio alla portata di tutti, delle macchine ibride, a scopo videoludico sì ma ancora con una vocazione ancora troppo spiccatamente professionale.
I videogiocatori preferivano sicuramente sistemi più semplici ed economici come Commodore 64 prima ed Amiga 500 dopo.
Console: Nintendo e Sega
Nei primi anni del decennio, il mercato di settore aveva principalmente da due competitor: Nintendo e Sega.
La prima cominciò a commercializzare sin dal 1983 il suo Famicom (Family Computer), in Occidente chiamato NES (Nintendo Entertainment System). Su tale piattaforma (considerata una delle più famose della storia) nacquero veri e propri capolavori – molto spesso nati dalla mente di Shigeru Miyamoto – come Super Mario Bros, The Legend of Zelda e Metroid, giochi che, come ben sapete, sono presenti ancora oggi con i loro seguiti sulle nostre console.
Nintendo con il suo NES ha sicuramente posto le basi per alimentare una “console war”, guerra tra console, spingendo al massimo la sua piattaforma con grafica e sonoro fino a quel momento inimmaginabili. Sega dal canto suo non poteva stare a guardare e rispose, nel 1985 con il Sega Master System.
Se per il NES abbiamo ricordato nomi che hanno fatto la storia dei videogiochi, per il Master System i titoli di punta portavano il nome di Wonder Boy, Out Run e Space Harrier.
Ovviamente ho lasciato alla fine il rivale storico di Super Mario. Mario ha sicuramente influenzato un’epoca, probabilmente più di una generazione di videogiocatori e lo stesso ha fatto Sonic con i suoi anelli da raccogliere e i suoi amici, perennemente da portare in salvo.
Conclusione
L’età d’oro dei videogiochi ha sfornato cabinati, console, piattaforme come Amiga e Commodore 64 che hanno traghettato l’industria videoludica nell’epoca moderna, alle soglie dell’era in cui il videogioco si sarebbe trasformato da semplice passatempo a vera e propria opera d’arte, visiva e sonora.
Alcuni ritengono che questo periodo d’oro riguardi solo i cabinati, e che la nascita di console e home pc abbia contribuito al declino dei videogiochi arcade. Io penso invece che console come NES e Master System – e la loro generazione successiva – abbiano contribuito a favorire il culmine di questo momento storico. Penso infine che il declino degli arcade sia dovuto alla saturazione del mercato dovuto a cloni di videogame nati proprio in questo particolare periodo.
Ogni anno ha le sue parole chiave. Il 2022 dei videogiochi si può definire attraverso due concetti: elevatadifficoltà e spiccata narrativa. L’anno ormai concluso ha visto l’uscita di diverse tipologie di novità: tripla A di grande spessore; grandi ritorni e imperdibili novità; tra questi, i migliori si sono contraddistinti per avere una trama peculiare – addirittura virtuosa – oppure richiedono un impegno che va ben oltre agli standard cui sono abituati i videogiocatori. Alcuni di questi titoli saranno sicuramente ricordati in futuro, perché hanno posto nuovi standard o si sono accaparrati la nomea di precursori. In questo articolo, vi racconto proprio questi videogiochi che a loro volta ci narrano il 2022 videoludico.
Narrativa e Difficoltà: Elden Ring
Elden Ring è il gioco dell’anno con oltre 17,5 milioni di unità vendute e 150 premi Game of The Year ricevuti. E lo è proprio perché racchiude in un’unica opera la narrativa criptica di Hidetaka Miyazaki, il fantastico mondo immaginato da George R.R. Martin e la difficoltà che contraddistingue i soulslike.
L’opera di Fromsoftware mostra un’industria videoludica lontana dai suoi stereotipi e che riassume al meglio il 2022. Elden Ring è un videogioco complesso e allo stesso tempo complicato da giocare. Miyazaki ha fornito meno spiegazioni possibili: i videogiocatori devono pagare tutti i propri errori, sia sul gameplay che nella mancata comprensione di trama o regole di gioco. Il risultato è un’opera che ha venduto milioni di copie e dimostrato che i videogiocatori apprezzano il bello aldilà dell’accessibilità (intesa come difficoltà di un titolo). Elden Ring: qualcuno lo ha amato, qualcuno lo ha abbandonato, ma nessuno ha detto che non è il miglior titolo del 2022.
Sua maestà, la Difficoltà
C’è una categoria di videogiocatori che è ingiustamente ignorata dal marketing moderno. Sono gli over 35, che rappresentano oltre il 35% dei videogiocatori italiani, la fetta più grande della torta videoludica del Bel Paese. Una parola che contraddistingue questa generazione di giocatori è: difficoltà. Quando hanno iniziato a giocare, per limitazioni tecniche e un po’ di sadismo degli sviluppatori, i videogiochi dovevano essere difficili da portare a termine, perché i contenuti all’interno dei dispositivi di memoria erano limitati dall’hardware oggi obsoleto.
Abituati a quei livelli di difficoltà, oggi i videogiocatori over 35 si lamentano della facilità dei titoli moderni. Il 2022 ha dimostrato che gli sviluppatori contemporanei sanno fare giochi difficili e che queste opere hanno anche mercato. Oltre al già citato Elden Ring, altri due si sono contraddistinti tra gli altri: Neon White e Sifu.
Neon White
Annapurna Interactive ha dato vita a uno sparatutto tanto impegnativo quanto divertente grazie a un level design dalla cura maniacale e una trama in stile visual novel ironica e a tratti demenziale.
Neon White è un videogioco difficile perché richiede un’alta precisione ed è pensato per gli amanti dei record: la sua alta rigiocabilità sta nel suo level design ricco di scorciatoie che permettono di migliorare il proprio punteggio con la giusta attenzione e precisione.
Sifu
A inizio 2022, c’era una strana attesa per Sifu. Del resto, si tratta del secondo gioco di Sloclap, una software house francese ancora giovane. Nonostante questo, si vociferava di un interessante simulatore di kung-fu: il risultato è un eccelso action in terza persona estremamente difficile, ma mai ingiusto.
Oltre alla geniale gestione dell’età del protagonista, Sifu si fa notare per la gran mole di pattern di combattimento dei nemici che per essere battuti richiedono attenzione, studio e tanti riflessi.
Basta Walking Simulator
Tra la parte più tossica della community videoludica – ancora troppo folta per essere ignorata – c’è una parola – intrisa di ingiusto sarcasmo – che sminuisce un genere: walking simulator. Questi videogiocatori contestano la poca interazione di alcuni titoli e non tengono conto del valore culturale che alcuni generi portano al settore videoludico con le loro trame ricche e interessanti.
Il 2022 ha duramente colpito questa inutile critica grazie a tre opere story-driven molto diverse tra loro, ma unite da trame uniche: Immortality, Pentiment e Return to Monkey Island.
Immortality
Sam Barlow ha dimostrato già sette anni fa con Her Story che si può definire videogiocare anche cercare delle parole chiave e guardare dei filmati alla ricerca di indizi. Immortality fa qualcosa di molto simile, chiedendo al giocatore di visionare oltre 200 clip al fine di scoprire la maledizione che sembra colpire la carriera da attrice di Marissa Marcel.
Immortality racconta un thriller violento – al limite dell’horror – e chiede al videogiocatore di divertirsi guardando dei mini-filimati più e più volte. Sembra incredibile, ma il risultato è un videogioco capolavoro.
Pentiment
Quando si gioca a Pentiment, non può non venire in mente Pillars of Eternity. Due titoli completamente diversi, ma che hanno la peculiarità di costruire la biografia del protagonista man mano che si avanza con i dialoghi. Non è un caso: su entrambe le opere c’è la mano di Josh Sawyer, che questa volta abbandona la spada per concentrarsi solo sulle parole.
In un modo per certi versi simile a Immortality, Pentiment dimostra come una buona storia investigativa – unita alla libertà di prendere decisioni, sia buone che meno buone – può portare alla creazione di un videogioco unico, appassionante e divertente.
Return to Monkey Island
Ron Gilbert è tornato e mi piace credere che non sia un caso che lo abbia fatto nel 2022, dove i videogiochi narrativi hanno avuto un grande successo. Return to Monkey Island è semplicemente la ciliegina sulla torta di un anno fantastico per le storie avvincenti, che sicuramente porteranno delle conseguenze positive negli anni a venire.
More of the same
Per descrivere al meglio l’anno appena trascorso, bisogna anche citare giochi che continuano quanto di buono fatto nel recente passato. Mi riferisco a Xenoblade Chronicles 3, il JRPG di Monolith Soft in esclusiva su Nintendo Switch, ma soprattutto dei due blockbuster PlayStation: God of War Ragnarök e Horizon Forbidden West. Queste opere non possono essere definite difficili, ma il loro arco narrativo è un successo: probabilmente non raccontano pienamente il 2022, ma sarebbe stato sciocco ignorarli, poiché saranno la base di tante opere future dei rispettivi generi.
Conclusione
Il 2022 è stato un punto di svolta per la maturità dell’industria videoludica: la corsa all’oro dei videogiochi open world inutilmente prolissi si è attenuata durante l’ultimo anno e sono emersi – già da qualche anno in realtà – opere indipendenti che stanno ponendo le basi per un futuro a cui guardano incuriositi anche i più grandi. Un esempio è Pentiment che unisce l’indipendenza di Obsidian con la ricchezza di Microsoft.
Nel mezzo ci sono opere pronte per essere rilanciate, possibilità che solo un pubblico più maturo può garantire. Sto parlando di Return to Monkey Island per il ritorno di Ron Gilbert e Sifu, che ripropone in tempi più maturi – e in salsa moderna – God Hand di Shinji Mikami.
Maturità non è solo anticonformismo; anzi, sono i videogiochi di punta che ricercando la qualità dimostrano che il settore è in crescita. Elden Ring è la sua massima definizione, ma anche opere più classiche come Xenoblade Chronicles 3, God of War Ragnarök e Horizon Forbidden West dimostrano che ci sia una costante ricerca della perfezione anche su generi in voga che non hanno la necessità di cambiare. Su questo aspetto, per onestà intellettuale, devo ammettere che non tutti hanno imparato dagli errori, ma di fronte a un 2022 così interessante anche Game Freak dovrà ragionare sui suoi prossimi videogiochi perché un altro Pokémon Scarlatto e Violetto non sarà più scusato dalla critica videoludica e forse nemmeno dai videogiocatori.
Tra i guru dell’industria videoludica, Shigeru Miyamoto è (probabilmente insieme a Hideo Kojima) il più iconico. Fedele dipendente Nintendo da oltre 50 anni e appassionato innovatore del panorama dei videogiochi da oltre 40, Miyamoto ha fatto l’intera gavetta presso la Grande N svolgendo diversi ruoli, sempre con maggiore responsabilità: artist; game designer; producer;game directore anche general manager della compagnia fino al 2015. In praticamente tutti i titoli di coda di un videogioco Nintendo potete vedere il nome di Shigeru Miyamoto, ma tra questi ci sono 6 videogiochi pensati, disegnati o diretti da Shigeru Miyamoto che hanno cambiato la storia dei videogame: ve li racconto in questo articolo.
Metto le mani avanti: alcuni di voi potrebbero aspettarsi opere uniche come Star Fox e Pikmin; ottimi titoli che hanno divertito – e divertono – tanti appassionati, ma i videogiochi di cui vi sto per parlare hanno letteralmente cambiato il modo di concepire l’opera d’arte interattiva e posto le basi per le migliori opere disponibili sul mercato dal 1981 a oggi.
Donkey Kong – 1981
Shigeru Miyamoto entra nel mondo dei videogiochi agli inizi degli anni 80, periodo in cui il gaming era nei bar e nelle sala giochi. Siamo nell’era arcade e un cabinato del maestro giapponese ha cambiato la storia dei videogiochi per sempre: Donkey Kong.
L’opera è un gioco a piattaforme in cui il nostro alter ego – Jumpman, oggi noto a tutti come Super Mario – deve salvare la fidanzata Pauline da un aggressivo gorilla: Donkey Kong. Per farlo, il carpentiere deve salire fino in cima a un edificio in costruzione evitando gli ostacoli lanciati dal gorilla – tra cui gli iconici barili.
In un’intervista, Miyamoto spiegò che Donkey Kong è uno strambo cross-over tra King Kong, di cui è evidente la scena in cima all’Empire State Building, e Braccio di Ferro da cui riprende i personaggi: Jumpman è Popeye; Pauline è Olivia; Donkey Kong è Bruto.
Oggi Donkey Kong è visto come un precursore delle opere interattive, ma a suo tempo fu la salvezza di Nintendo; infatti, nel 1981 l’azienda nipponica era sull’orlo della bancarotta, anche a causa dell’incapacità di inserirsi nel mercato americano dei cabinati. Ci provò con RadarScope: fu un fallimento con appena 1.000 cabinati venduti su 3.000 esportati. L’impresa fu compiuta da Miyamoto, fresco di laurea in design industriale: propose Donkey Kong per il mercato statunitense e fu subito un grande successo.
Donkey Kong vendette 67.000 cabine negli USA, tra queste anche le 2.000 rimaste invedute di RadarScope che furono riconvertite nell’opera del nuovo fenomeno mondiale.
Super Mario Bros – 1985
Il Regno dei Funghi è stato attaccato da Bowser, un’enorme tartaruga con poteri draconici – villain tratto dall’anime Le 13 fatiche di Ercolino – che ha trasformato i Toad, gli abitanti fungo del luogo, in blocchi di mattoni e funghi andati a male, i Goomba. Non soddisfatto, Bowser ha anche rapito la principessa del regno: Peach.
A sentirla oggi, la trama di Super Mario Bros. sembra una caricatura del precedente Donkey Kong, ma la nuova opera di Shigeru Miyamoto – questa volta per la console casalinga di Nintendo – il NES – è un tripudio di nuove idee e game design leggendario.
«Con la creazione di Super Mario Bros., Shigeru Miyamoto non solo ha modificato il futuro del gioco, ma ha addirittura cambiato il concetto di “valore” per tutte le forme di intrattenimento. E, nel frattempo, ha cambiato il mio futuro, portandomi a diventare il game designer che sono oggi. Super Mario Bros. è equivalente al Big Bang del nostro universo di gioco. Se non fosse per questa creazione incredibilmente spettacolare, l’intrattenimento digitale come lo conosciamo oggi non esisterebbe»
Hideo Kojima
In Super Mario Bros. è possibile toccare con mano il concetto di game design di Miyamoto. L’idea di fondo – che rivedremo in tutte le sue opere successive – è tanto semplice quanto complessa da realizzare: creare un videogioco che sia accessibile ai neofiti e avvincente anche per i veterani.
Per il giovane Shigeru, videogame significa interattività; di conseguenza: i blocchi di Super Mario Bros. si possono colpire più volte; lo sfondo non è più nero come nei videogioco dell’epoca, ma è azzurro come il cielo del Regno dei Funghi.
I videogiochi di Miyamoto non hanno tutorial: tutto deve essere comprensibile anche ai novizi sin dal primo livello; così il livello 1-1 di Super Mario Bros. diventa oggi un caso di studio nei corsi universitari di game design. Ogni singolo oggetto o nemico è posizionato in modo tale da far premere al videogiocatore tutti i comandi prima di accedere al livello successivo. Da notare come il livello 1-1 sia ricordato anche per le musiche di Koji Kondo, altra leggenda dei videogiochi che ha composto e compone ancora oggi per Nintendo.
Ovviamente, anche i più bravi devono avere un livello di sfida avvincente: nascono così le aree segrete tra cui i livelli tra le nuvole – fortemente voluti da Takashi Tezuka – e in acqua. Un esempio di level design innovativo? I livello in cielo presentano delle monete nei punti di caduta per far capire al videogiocatore che se cade giù non perde una vita, ma torna al livello “normale”.
Super Mario Bros. per NES vendette 40 milioni di copie di cui 6.8 milioni solamente nel Paese del Sol Levante.
The Legend of Zelda – 1986
La pace del Regno di Hyrule è messa in serio pericolo da Ganon, il re del male, appena fuggito da una prigione di massima sicurezza e alla ricerca della Triforza, reliquia sacra in grado di garantire un potere divino. Per fermalo, Zelda – principessa di Hyrule e custode della Triforza – decide di dividere la reliquia in otto frammenti. L’unico che può riportare l’ordine in un regno messo a ferro e fuoco dalle creature demoniache di Ganon è Link, l’eroe della profezia che ha il compito di recuperare i frammenti della Triforza e sconfiggere Ganon.
L’idea di The Legend of Zelda nasce da un’esplorazione che Shigeru Miyamoto fece da bambino nei dintorni della sua abitazione: un’esplorazione completamente libera e senza alcun tipo di aiuto – nemmeno una mappa. Per questo motivo, The Legend of Zelda non ha volutamente una mappa, i dialoghi sono minimi e lasciano spazio a qualsiasi interpretazione. Un concept che rende l’opera del 1986 un precursore degli open world e che sarà ripreso dai capolavori moderni della nostra epoca come Breath of the Wild, ma anche saghe terze come i Dark Souls (Elden Ring su tutti) e The Elder Scrolls (Skyrim).
«Quando ero un bambino ed esploravo le campagne, mi è capitato di imbattermi in un lago. È stata una vera sorpresa trovarlo lì. Sapete, quando ho iniziato a viaggiare senza portarmi dietro una cartina, cercando di trovare da me il sentiero, ho conosciuto la sensazione che si prova imbattendosi in panorami fantastici. È stato allora che ho realizzato cosa significasse vivere un’avventura»
Shigeru Miyamoto
Molti elementi della saga sono stati aggiunti nei capitoli successivi – come ad esempio la Spada Suprema – ma i personaggi principali sono sempre rimasti fedeli a loro stessi. Link, l’eroe della profezia, prende il suo nome dall’idea iniziale di creare un videogioco diviso tra due mondi, uno fantasy e uno futuristico (poi rimosso). Il nome Zelda invece è un omaggio alla moglie dello scrittore e sceneggiatore americano Francis Scott Fitzgerald: Zelda Sayre Fitzgerald.
The Legend of Zelda fu subito un successo: l’opera vendette 6.51 milioni di copie.
Nonostante Super Marios Bros. 3 sia il terzo capitolo della serie, esso può definirsi il vero sequel del primo capitolo; infatti, Super Mario Bros. 2 arrivò in Giappone come una versione più difficile del primo episodio, fatta per gli appassionati ma senza alcuna novità, nemmeno nel comparto tecnico. Addirittura il secondo capitolo non arrivò in Occidente poiché ritenuto troppo difficile per il pubblico statunitense; infatti, quello che in Europa conosciamo come Super Mario Bros. 2 è in realtà un gioco creato per un evento di Fuji TV dal titolo: Doki Doki Panic, realizzato da un giovane e promettente sviluppatore di Nintendo del tempo, Kensuke Tanabe, oggi stranoto produttore di favolosi videogiochi come Metroid Prime, Luigi’s Mansion 3 e Paper Mario: The Origami King.
Super Mario Bros. 3 invece fu tutto quello che gli appassionati si aspettavano: “Il culmine del genere” come lo definì il magazine Micom BASIC.
Per il terzo capitolo, il progetto torna nelle mani del Team R&D4, gruppo creato nel 1984 per dare la possibilità a Shigeru Miyamoto di creare videogiochi. Basta leggere i nomi dei membri per capire l’importanza che questo gruppo ebbe nell’industria videoludica: Takashi Tezuka, Toshihiko Nakago, Kensuke Tanabe, Kazuaki Morita, Katsuya Eguchi e ovviamente il compositore Koji Kondo. Tutte persone che sono oggi nel gotha dell’azienda nipponica.
Super Marios Bros. 3 è basato sempre sullo stesso concept del primo capitolo: accessibile ai novizi, avvincente – e ricco di novità – per i veterani. In particolare, il terzo capitolo contiene non solo nuove aree e livelli, ma anche tanti innovativi potenziamenti che sono tuttora icone non solo del mondo dei videogiochi, ma anche della cultura pop contemporanea: la Super Foglia; la Tanooki Suit e la Frog Suit.
L’ottimo lavoro svolto da tutto il team, soprattutto in termini di level design, non passò inosservato: Super Mario Bros. 3 vendette 17 milioni di copie, oltre 30 con le release negli anni successivi e fu il gioco più venduto di sempre in quel periodo. In Europa arrivò ben tre anni dopo, nell’agosto 1991 creando un hype pazzesco. Grazie a quest’opera, Shigeru Miyamoto divenne famoso anche tra chi non era appassionato di videogiochi; basti pensare che Steven Spielberg e Paul McCarteney viaggiarono fino in Giappone per incontrarlo.
Super Mario 64 (1996)
Dopo aver rivoluzionato il genere dei platform 2D, Shigeru Miyamoto – con l’arrivo del Nintendo 64 sul mercato – può lavorare al genere che non potè portare su Super Nintendo per limiti dell’hardware: il platform 3D di cui Super Mario 64 risulta essere la prima opera.
Ancora oggi, Super Mario 64 è definito da molti come il videogioco con il miglior level design di tutti i tempi grazie a mondi veramente unici per stile e attività possibili. Tanto potrebbe bastare per essere essere inserito nei libri di storia, ma Super Mario 64 sarà ricordato anche come il precusorse degli open world (insieme all’opera di cui parleremo dopo). L’hub centrale del primo Mario 3D non rende il titolo un mondo aperto per come lo definiamo oggi, cioè un’opera con un’unica mappa completamente esplorabile; però, tutti i singoli mondi, una volta attraversati i quadri del Castello di Peach, sono delle enormi sandbox, visitabili con un altissimo grado di libertà, non solo per gli anni 90, ma anche per il corrente periodo storico.
Per stessa ammissione dei suoi creatori, Super Mario 64 fu usato come fonte di ispirazioni per tanti altri giochi. Tra questi, un altro capolavoro del suo tempo: GoldenEye 007, che prese spunto dal lavoro svolto da Miyamoto per implementare l’elevato numero di missioni disponibili nel titolo di Rare.
La grande innovazione tecnica del periodo – oggi divenuta uno standard – fu il sistema di telecamera mobile, retta dal cameraman Lakitu, che veniva mossa dal videogiocatore grazie al D-Pad del Nintendo 64.
Super Mario 64 vendette 11.9 milioni di copie e fu il videogioco più venduto nella storia del Nintendo 64.
The Legend of Zelda: Ocarina of Time (1998)
Esattamente come negli anni 80, quando Shigeru Miyamoto lavorò contemporaneamente a due videogiochi, Super Mario e The Legend of Zelda, negli anni 90 il maestro nipponico si occupò quasi contemporaneamente sia di Super Mario 64 che di The Legend of Zelda: Ocarina of Time, questa volta sotto le vesti di producer. Nonostante i tempi fossero cambiati e i progetti divenivano via via sempre più grandi e impegnativi, i risultati ottenuti furono i medesimi: anche Ocarina of Time fu un capolavoro che cambiò per sempre l’industria videoludica.
The Legend of Zelda: Ocarina of Time racconta una trama suddivisa in due parti: nella prima parte il protagonista è Link da bambino; nella seconda, Link è adulto. La differenza non è solamente estetica, ma anche nella possibilità di usare oggetti e abilità differenti.
Il concept iniziale della nuova avventura di Link era basato su un hub centrale come in Super Mario 64, ma Miyamoto voleva donare al titolo un maggior senso di libertà rispetto all’opera ambientata nel regno dei Funghi; di conseguenza, Ocarina of Time fu realizzato come un vero e proprio open world moderno in cui fu addirittura necessario aggiungere la giumenta Epona per muoversi più velocemente sulla Piana di Hyrule.
Tuttora Ocarina of Time è ritenuta un’opera fondamentale per la storia videoludica perché ha portato due nuovi standard tuttora usati nei gameplay moderni: l’utilizzo dello stesso pulsante per diverse azioni e il leggendario Z-Lock Target.
Fino all’uscita di Ocarina of Time, i programmatori degli action adventure game permettevano di compiere azioni diverse usando svariate combinazioni di tasti; Shigeru Miyamoto invece voleva che il videogiocatore si concentrasse maggiormente sull’esplorazione. Per questo motivo, pensò di far compiere azioni diverse usando sempre il medesimo pulsante.
Con l’avvento della terza dimensione, Super Mario 64 stabilì un nuovo standard con una telecamera completamente libera. Secondo Miyamoto e il suo team però questa scelta non era adatta per il tipo di combattimenti di Ocarina of Time. Un problema cruciale che trovò la sua soluzione nella visita, da parte del team di Shigeru, del parco di divertimenti dello Studio Toei di Kyoto. Durante la gita, uno dei quattro director – Yoshiaki Koizumi – notò che in uno spettacolo di samurai, il protagonista affrontava un gruppo di ninja, ma sempre con scontri uno contro uno: il samurai si concentrava sempre su un unico avversario. Da questa intuizioni nacque il Z-lock targeting system, cioè il sistema di combattimento che permette di agganciare un nemico alla volta e su cui sono diretti tutti i colpi di Link. Il concept fu rivoluzionario ed è tuttora usato in tantissimi capolavori: non solo opere Nintendo come Breath of the Wild o Metroid Prime, ma anche i Dark Souls e Assassin’s Creed.
The Legend of Zelda: Ocarina of Time vendette 7.6 milioni di copie solo su Nintendo 64. Le vendite salgono a quasi 11 milioni se consideriamo anche le riedizioni nel corso degli anni.
É disponibile su Playstation Store la demo gratuita di Forspoken. Il gioco, sviluppato da Luminous e distribuito da Square Enix, è un’interessante avventura open world ricca di elementi fantasy. Abbiamo provato approfonditamente la demo e ci siamo fatti un’idea di quel che potrebbe offrirci il gioco completo, la cui uscita è prevista per il 24 gennaio. Entriamo nel mondo di Athia!
Un tradizionale fantasy moderno
Forspoken mette il giocatore nei panni di Frey, giovane afroamericana di New York esperta di parkour. La ragazza viene inaspettatamente risucchiata nel mondo magico di Athia dove scopre di possedere misteriosi poteri magici, che può utilizzare per farsi strada attraverso il nuovo mondo nel tentativo di scoprire come tornare a casa.
L’ostacolo principale di Frey è costituito, oltre che da un’immensa orda di creature mostruose, dalle perfide Tantas, matriarche magiche intenzionate ad eliminare la nostra protagonista il prima possibile; per fortuna, nel suo viaggio la ragazza non è sola. Al suo fianco c’è Cuff, un bracciale magico parlante! Il singolare oggetto, oltre a potenziare le abilità magiche di Frey, le fa da spalla nel corso dell’avventura.
Il mondo di Forspoken attinge a piene mani al fantasy tradizionale
Immersi in una natura arcana
Forspoken è un’avventura open world; di conseguenza, dopo un breve tutorial sui comandi base, Frey si trova quasi subito immersa in uno scenario piuttosto vasto e completamente esplorabile.
Le ambientazioni presentanopaesaggi naturali estremamente ampi e particolareggiati, che ricordano a tratti quelli di Horizon Forbidden West. Colline, foreste, montagne e laghi sono davvero realistici, anche grazie all’ottimo lavoro del Luminous engine, il motore grafico del gioco. Anche le città e le fortificazioni che abbiamo incontrato sono apparse ben strutturate e in linea con le atmosfere del gioco.
Il comparto sonoro è decisamente all’altezza ed è stato realizzato dai compositori vincitori del premio BAFTA: Bear McCreary (God of War e la serie TV The Walking Dead) e Garry Schyman (serie Bioshock). La musica del gioco mescola temi più “classici”, tipici di un prodotto fantasy, con tracce più moderne e ritmate, che sembrano ricordare le atmosfere beat dei quartieri newyorkesi. Il risultato finale è davvero originale e d’impatto.
Streghe, belve e non morti
Meno convincente è il design dei nemici; infatti, pur avendo una buona varietà, non mostrano un aspetto particolarmente originale o degno di nota.
Nel corso della demo di Forspoken abbiamo affrontato soldati, zombie, belve, streghe e creature magiche. Nessuna di questi esseri, tuttavia, ha particolarmente lasciato il segno dopo essere stata abbattuta. Persino il nemico più potente, sbloccabile completando gli obiettivi della demo, è semplicemente una versione potenziata di una belva acquatica già incontrata nel corso dell’esplorazione.
Le ambientazioni di Forspoken sono davvero impressionanti
Parkour incantato
I movimenti di Frey sono piuttosto fluidi e precisi. La telecamera svolge ottimamente il suo lavoro, permettendo al giocatore di spostarsi, voltarsi e saltare senza particolari intoppi. A prima vista la corsa appare invece piuttosto lenta e poco pratica.
Ma è qui che entra in gioco una delle caratteristiche principali di Forspoken, ovvero il parkour magico. Grazie alla pressione del tasto cerchio, infatti, Frey viene avvolta da un alone arancione e utilizza la sua magia per migliorare i movimenti. Questo le permette di sfrecciare lungo la mappa esibendosi in salti, capriole e volteggi, evitando agevolmente ostacoli e avversarità del terreno. Queste abilità, oltre ad essere visivamente d’impatto, hanno reso l’esplorazione della demo molto più piacevole, veloce e dinamica.
Frey può inoltre contare sull’aiuto di Cuff. Lo strambo bracciale, infatti, con la pressione del tasto quadrato si srotolerà, divenendo una sorta di frusta magica permettendo a Frey di agganciarsi a particolari elementi ambientali per usarli a mo’ di trampolino, riuscendo così a raggiungere zone decisamente elevate. Unico neo sembra essere la mancanza della possibilità di arrampicarsi, che spesso genera scalate piuttosto forzate e “pasticciate” attraverso salti e scatti provati un po’ a casaccio.
L’esplorazione in Forspoken è davvero dinamica e divertente
La mappa di gioco appare chiara e ben strutturata: i punti di interesse sono ben evidenziati e il giocatore ha sempre la possibilità di contrassegnare la destinazione che ritiene di visitare per prima, in modo da aver sempre chiara la propria destinazione. È anche possibile visualizzare una versione tridimensionale della mappa, così da rendersi conto con più chiarezza dei vari livelli di altitudine e della strada ottimale da percorrere per giungere a destinazione.
Inoltre, Cuff intrattiene durante l’esplorazione con lunghe chiacchierate e talvolta il bracciale fornisce utili indicazioni su come proseguire, anche se spesso si tratta semplicemente di siparietti comici inseriti per spezzare la monotonia dell’esplorazione. Ci auguriamo che l’esperienza ricordi quanto visto in Nier Replicant col personaggio di Grimoire Weiss, anche se resta la paura di ripetere pessime esperienze come quelle vissute al fianco di Navi in The Legend of Zelda: Ocarina of time.
Per quanto riguarda i combattimenti, come prevedibile, Frey deve affidarsi totalmente alla magia. Nello specifico, il videogiocatore può ricorrere, in qualsiasi momento, a un set di incantesimi di attacco e supporto, che saranno affidati rispettivamente ai pulsanti R2 e L2. A seconda di quanto dura la pressione del tasto, l’incantesimo risulta più o meno potente. Premendo L1 e R1, invece, si attivano dei semplici menù circolari, grazie ai quali è possibile fissare l’incantesimo che si desidera lanciare.
Gli incantesimi di attacco appaiono tutti piuttosto simili tra loro e consistono in una serie di azioni offensive, siano esse singoli attacchi o combo. Più interessanti gli incantesimi di supporto, che offrono tutta una serie di effetti molto diversi tra loro. Si va dalla possibilità di circondare l’area con un muro di fiamme alla creazione di zone floreali curative, all’evocazione di tentacoli senzienti.
Inoltre, una volta inanellata una serie di attacchi, Frey può stordire il nemico e, mediante la pressione del tasto triangolo, effettuare un attacco particolarmente incisivo. Nel momento in cui la barra della magia risulta carica a sufficienza, Frey avrà infine la possibilità di lanciare un singolo potentissimo incantesimo mediante la pressione congiunta di L2 e R2.
La lista di incantesimi a disposizione di Frey è davvero ricca
Frey può contare su differenti tipologie di magia, contrassegnate da diversi colori, ognuna con il suo set di incantesimi di attacco e supporto. Nella demo di Forspoken sono disponibili solo la magia viola e la rossa. La magia viola, incentrata sulla terra e sulla natura, propone un setting più concentrato sulla difesa e sugli attacchi a distanza. La magia rossa, legata al fuoco, permette uno stile di gioco più offensivo, incentrato sull’uso delle combo a corta distanza mediante la creazione di spade, fruste e lance di fuoco. Entrambi i set sono decisamente ricchi, con una discreta varietà di incantesimi e possibilità offensive.
I combattimenti sono dinamici al punto giusto, risultando divertenti e vari. Meno interessante è la difesa. Mediante la pressione del tasto cerchio infatti, è possibile schivare gli attacchi nemici. La schivata è disponibile anche durante la carica di un incantesimo, anche se risulta meno efficace. Non sembra tuttavia esistere la possibilità di realizzare una schivata “perfetta”, ovvero un’azione difensiva compiuta col giusto tempismo che fornisca a Frey reali vantaggi nel corso della battaglia (come visto ad esempio in Bayonetta).
La “parata” invece è un concetto piuttosto nebuloso. Tra gli incantesimi a disposizione molti hanno lo scopo di creare scudi o barriere e alcuni trailer suggeriscono che anche il nostro fido bracciale possa dare a Frey la possibilità di effettuare dei veri e propri parry. La demo di Forspoken tuttavia non fornisce alcun tutorial su queste meccaniche e non risulta chiaro se queste azioni possano essere sbloccate solo in una fase successiva del gioco.
L’equipaggiamento di Frey si baserà principalmente sui suoi mantelli
Un mantello per tutte le stagioni
Sotto l’aspetto della gestione del personaggio e delle sue abilità, Fospoken sembra un titolo ragionevolmente profondo. Per quanto concerne l’equipaggiamento, il giocatore potrà modificare in qualsiasi momento il mantello di Frey e il suo smalto per le unghie. Entrambe queste parti dell’equipaggiamento modificano le statistiche del personaggio, oppure forniscono particolari bonus o abilità.
Non mancano nemmeno i classici oggetti curativi ed i potenziamenti, che possono essere raccolti nel corso delle varie missioni, sia essere creati dal giocatore grazie alle risorse estrapolate dai mostri sconfitti. Quest’ultima operazione è possibile solo nei tavoli da lavoro dedicati proprio alla creazione degli oggetti o al potenziamento dell’equipaggiamento.
Infine, a proposito dello sviluppo delle abilità, Forspoken propone un classico modello ad albero. Il giocatore, accumulando i punti abilità tramite i vari combattimenti o tramite la risoluzione delle missioni, può sbloccare i nuovi incantesimi, che al loro volta aprono le strade per ulteriori potenziamenti. Si tratta di una meccanica ben consolidata nel tempo e il modello visto sulla demo di Forspokenappare chiaro e funzionale.
La demo di Forspoken ha attirato su di se l’attenzione di molti videogiocatori
Conclusione
Nel complesso, Forspoken si presenta come un titolo promettente ed interessante. Certo, il gioco non sembra brillare per originalità né sotto l’aspetto della trama né per quanto riguarda lo stile di gioco, che ricorda molto da vicino titoli come Horizon Forbidden West.
Tuttavia, le grandi possibilità offerte dalla magia, la novità e dinamicità dell’esplorazione per mezzo del parkour magico e il fascino di una protagonista strappata dal tempo e dal suo mondo sono riusciti davvero a stuzzicare il nostro interesse.
A ormai poco meno di un mese dall’uscita del gioco, sarà interessante scoprire se il titolo di Square Enix saprà essere all’altezza delle aspettative o se si rivelerà l’ennesima avventura open world di cui il parco titoli Playstation inizia ad essere piuttosto saturo.
Nella moderna cultura occidentale, il Natale è il giorno della solidarietà e della tranquillità familiare. In un evento così lieto, ci si aspetta di leggere, vedere o giocare solamente opere felici e rilassate; invece, ci sono ben tre titoli provenienti da saghe importanti per la storia videoludica che dimostrano come il giorno di Natale sia il momento perfetto per iniziare una storia oscura – addirittura macabra – poiché il contrasto che si crea genera un’atmosfera unica. In questo articolo, vi racconto tre videogiochi tra il noir e l’horror ambientati proprio nel giorno di Natale.
Alone in The Dark 2
25 dicembre 1924, tre mesi dopo gli eventi del primo capitolo, l’investigatore privato Edward Carnby, e il suo partner Ted Stryker, investigano sul rapimento della giovane Grace Saunders. Gli indizi portano i due detective in una vecchia magione: “Hell’s Kitchen”. Quella che dovrebbe essere la casa di un boss della malavita, diventa ben presto la tomba di Ted e l’ambientazione della nuova avventura di Edward.
Durante il Natale del 1924, Edward e il videogiocatore scoprono che Alone in The Dark 2 racconta di spiriti di pirati, magia vudù e i motivi che hanno spinto al rapimento di Grace.
Alone in The Dark 2 arrivò sul mercato PC il 25 settembre 1994. Il videogioco fu convertito anche per 3DO con lo stesso titolo, mentre su Sega Saturn e PlayStation, il titolo divenne: “Alone in the Dark: Jack is Back”.
Il gioco di Infogrames fu accolto da pubblico e critica come un solido more of the same (con l’unica eccezione della versione Sega Saturn che presentava evidenti problemi di conversione e localizzazione), nonostante il nuovo director decise di aumentare la dose di azione nel gameplay, allontanandosi quindi dal genere dei survival horror di cui il primo Alone in the Dark fu un precursore.
Batman: Arkham Origins
È una particolare vigilia di Natale a Gotham City: oggi è anche il giorno dell’esecuzione di Julian Gregory Day, l’Uomo Calendario – noto per agire solo in precisi giorni dell’anno. Tutto d’un tratto, i telegiornali di tutte le emittenti interrompono la normale programmazione: il penitenziario di Blackgate è stato preso d’assalto dagli uomini di Maschera Nera, tra cui Killer Croc. Nella confusione degli eventi, Maschera Nera libera l’Uomo Calendario e uccide il commissario di polizia Gillian Loeb prima che Batman arrivi. Da qui comincia l’inseguimento dell’uomo pipistrello – noto ancora come il Vigilante – verso i suoi nemici, uno in particolare: Joker.
Il creative director del gioco, Eric Holmes, disse che l’ambientazione nelgiorno di Natale serve per aumentare il contrasto tra quello che si suppone sia un momento felice dell’anno e lo scenario cupo e frastagliato di Gotham City.
Origins, terzo action-adventure game della popolare trilogia di Batman: Arkham, arrivò nell’autunno del 2011 su PlayStation 3, Xbox 360 e PC. L’opera di WB Games Montréal non fu particolarmente apprezzata dalla critica, poiché accusata di mancanza di innovazione e multiplayer scadente.
L’intero videogioco si svolge tra il 24 e il 29 dicembre 1997, nella città di New York. Aya Brea – giovane poliziotta – sta assistendo a un’opera teatrale presso il Carnegie Hall: la protagonista dell’evento è l’attrice Melissa Pearce. Durante l’esibizione dell’attrice, alcuni spettatori vanno in autocombustione. Nel giro di pochi minuti, il teatro diventa l’ambientazione di un film horror: gli animali si trasformano in mostri; le fiamme sono ovunque. Nel frattempo, Aya va alla ricerca di Melissa nel backstage, la quale gli rivela, prima di scappare trasformandosi in una creature aberrante, che il suo vero nome è Eve.
Il giorno di Natale, Aya e il suo collega Daniel, incontrano il dottor Hans Klamp che fornisce ai due nozioni in merito ai mitocondri – organelli che Eve aveva citato durante la prima conversazione con Aya. Purtroppo, la conversazione non porta alcuna svolta nelle indagini; anzi, durante queste chiacchiere, Eve sta tenendo un altro spettacolo presso il Central Park di New York. Nel giro di un solo giorno, sempre Natale: Eve trasforma i poveri spettatori in ammassi gelatinosi; Manhattan viene evacuata e la poliziotta Aya diventa consapevole che Eve vuole creare l’Essere Supremo, un’entità capace di dominare tutti gli essere viventi della Terra, essere umani compresi.
L’opera di Squaresoft (oggi Square Enix) prende ispirazione dall’omonimo romanzo di Hideaki Sena, ma probabilmente farete fatica a ricordare tanto il videogioco quanto l’opera letteraria; infatti, sia il romanzo che il primo capitolo della serie videoludica non arrivarono mai in Italia, a differenza del più noto, conosciuto e acclamato Parasite Eve 2 che vide la luce anche in Europa durante l’agosto del 2000.
La critica e il pubblico accolsero generalmente bene Parasite Eve, anche negli Stati Uniti, dove lo stile grafico alla Resident Evil facilitò le vendite del videogioco.
Qualunque sia la verità, è palese che il servizio in abbonamento della casa di Redmond abbia già preso posto nelle case di noi videogiocatori, grazie agli oltre 400 titoli presenti nel catalogo, tra cui spiccano i nomi di giochi del calibro di Deathloop, Persona 5, Dragon Quest XI, Assassin’s Creed Origins, i vari Battlefield presenti nel catalogo di Game Pass + EA Play ed il venturo Starfield.
Cionondimeno, ci sono anche videogiochi indie meno noti al grande pubblico, ma non per questo meno validi o intrattenenti. Stiamo parlando di cinque gemme nascoste da non lasciarsi sfuggire nello sconfinato catalogo del servizio di videogames in abbonamento più popolare del momento.
Donut County
Nato principalmente dalla fantasia di Ben Esposito, arriva su Game Pass direttamente dalle mani di un autore già celebre per aver lavorato anche a giochi come What Remains of Edith Finch, The Unfinished Swan ed il recentissimo Neon White. Donut County è un titolo dalle premesse semplici: “Un gioco carino in cui interpreti un buco nel pavimento”, per citare quanto riportato nel sito dello sviluppatore.
Se già l’incipit appare di per sé quantomeno originale, è il gameplay la colonna portante dell’esperienza che, richiamando senza vergogna avventure come Katamari Damacy, si basa su degli enigmi nei quali, interpretando il sopracitato buco, dovremo inghiottire elementi dello scenario via via più grandi in modo da poter passare al livello successivo. Dopo il nostro passaggio, infatti, sarà appagante constatare come non sarà rimasta che una distesa deserta (o in fiamme) laddove prima erano presenti costruzioni di varia natura.
La scrittura dei disparati dialoghi è davvero di pregevole fattura, e tiene incollati allo schermo per la durata delle circa due ore di durata del titolo, con buffi scambi tra i personaggi che intervallano le varie sezioni di gioco, sempre sagaci ed ironici, attraverso i quali conosceremo la storia del procione che per pigrizia ha scatenato l’inarrestabile buco e degli altri, sempre bizzarri e sopra le righe, abitanti della cittadina.
Manca tuttavia la localizzazione in italiano, per cui sarà necessario masticare un po’ di inglese per comprendere la divertente, ma non essenziale trama del gioco.
Pikuniku
Rileggendo la lista che ho stilato prima di scrivere questo testo, quando ho scelto i 5 giochi da consigliare, mi sono subito reso conto quanto semplice sia evincere da questa selezione diversi aspetti del mio carattere ed, in particolar modo, il mio senso dell’umorismo.
Sì, perché è senza dubbio necessario parlare di umorismo per descrivere il gioco sviluppato da SectorDub.
Apparentemente adatto a tutte le età, e nell’aspetto e nella difficoltà effettivamente lo è (classificato PEGI 7), cela in realtà un umorismo che farà molto piacere a chi, come il sottoscritto, è un amante del nosense.
A livello puramente ludico, si tratta di un misto tra un platform 2D ed un rompicapo con enigmi ambientali mai troppo complessi da affrontare in solo o in coop “da divano”.
Interpretando un mostro bipede, ci avventureremo in uno strampalato mondo popolato da creature ancora più bizzarre, in una trama che resta semplice, ma che si infittisce fino all’assurdo, anche grazie ai suoi irrazionali protagonisti, rivelando infine un misterioso complotto che avremo il compito di debellare.
Il gioco di per sé non ha molte pretese e fa poche cose ma buone, regalando anche dei minigiochi intrattenenti ma mai invadenti.
Consigliatissimo a grandi e piccini ed a chiunque abbia voglia di farsi delle grasse risate sulle spalle degli insensati e coloratissimi personaggi dell’altrettanto variopinto mondo di Pikuniku.
Prodeus
Se siete appassionati di retro shooters, boomer shooters, doom’s clones o come preferite chiamarli, Prodeus è senz’altron pane per i vostri denti.
Alcune criticità sono da evincere: la ricarica un po’ troppo frequente di alcune armi e la pessima gestione dello shop per acquisire i diversi power-up e le nuove armi con cui fare fuori schiere di demoni.
Della trama non sto neanche a parlarne, l’fps ideato daBounding Box Software e disponibile nel catalogo di Xbox Game Pass segue la filosofia un tempo descritta da John Carmack per cui la storia di un gioco è equiparabile a quella di un film porn: “Ci si aspetta che ci sia, ma non è così importante”. Prodeus sintetizza la trama riducendola a delle scritte facilmente skippabilisu schermo, richiamando alla memoria vecchie glorie del passato degli fps, e consentendo al giocatore di passare subito all’azione.
Lo shooting è frenetico e soddisfacente, costringendo il giocatore a non rimanere mai fermo, pena la sconfitta. Le morti saranno abbastanza comuni, ma non estenuanti, in quanto si ripartirà dall’ultimo checkpoint.
Buono il comparto audio, che restituisce pienamente il feeling dei colpi andati a segno.
Complessivamente, un’esperienza appagante e non eccessivamente longeva (circa 8 ore), che saprà gratificare chiunque desideri del sano gore e spappolare una moltitudine di demoni a suon di proiettili.
Se avete già finito gli intramontabili classici IDSoftware presenti nel catalogo ed ancora non siete sazi di interiora di demoni, questo è senz’altro il gioco che stavate cercando.
The Pedestrian
L’opera prima di Skookum Arts è una chicca a mio avviso imperdibile per tutti gli amanti dei puzzle 2D.
In questa curiosa avventura presente su Game Pass, impersoneremo un pedone, come suggerisce il titolo, ovvero l’omino (o la donnina, per così dire, in base ad una scelta iniziale) dei vari segnali stradali o delle indicazioni urbane. Questi ha infatti magicamente preso vita e necessita del nostro soccorso per spostarsi da cartello in cartello, da segnaletica in segnaletica.
Per la durata delle circa 4 ore di durata del titolo, si susseguiranno numerosi puzzle, quasi tutti validi ma con pochi “momenti wow” come amo definirli io (cioè rivelazioni, nuovi significati di meccaniche già conosciuti, epifanie), ma compensando con numerose meccaniche che si avvicendano al cambiare dell’ambientazione, come dover collegare elettricamente elementi di una parete con gli allacci elettrici di un cartello per aprire una porta, o dipingere un cartello per paralizzare gli elementi al suo interno, mettendo a dura prova l’ingegno e la capacità di problem solving dell’utente.
In particolare, proprio quando penseremo di aver già visto tutto quello che il titolo aveva da offrirci e i puzzle cominceranno ad apparire stantii, un finale a dir poco sorprendente ci sconvolgerà.
Sconvolgimento non da legare alla trama, che è praticamente assente (salvo fare un fumoso capolino nell’ultimissima parte dell’esperienza, pur rimanendo sempre solo accennata), ma legato a doppio filo a come The pedestrian va inteso come gioco, ribaltando le nostre idee sul titolo e costringendo l’utente per l’ennesima volta a doversi riadattare ad un importante cambiamento nelle meccaniche.
Gorogoa
Ennesimo pozzle di questa lista, ma data la sua qualità generale non potevo escluderlo.
Fra i titoli dell’elenco, Gorogoa, il gioco nato dai disegni di Jason Roberts e sviluppato da Buried Signals e pubblicato dall’ormai nota ed amata Annapurna Interactive è sicuramente il più avveniristico.
Catapultati da (quasi) subito in un interfaccia divisa in 4 blocchi, senza un vero e proprio tutorial, per procedere dovremo spostare e sovrapporre i vari elementi che compongono i quadranti per procedere in quella che è una storia disseminata nei secoli, dal significato fumoso e mai esplicito, che si lascia interpretare dal giocatore, senza imporre un messagio univoco.
Se per The Pedestrian i puzzle erano vari e diversificati tra loro, ma con pochi “momenti wow” come li ho definiti, qui le circostanze si ribaltano completamente: spostare i vari blocchi per i quadranti rimarrà una meccanica immutata dall’inizio alla fine: saranno infatti le risoluzioni degli enigmi ad essere di volta in volta diverse e sempre originali, costringendoci a pensare “lateralmente” e sorprendendo l’utente di volta in volta con intuizioni difficili da prevedere ma mai troppo ostiche.
Consigliato a chiunque sia alla ricerca di un’esperienza breve ma dalla forte personalità, capace di distinguersi ed eccellere nelle poche meccaniche date in pasto all’utente.