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Recensione Meta Quest 3, realtà virtuale ma non troppo

Nel mercato videoludico c’è un settore che aspetta di esplodere da ormai tantissimi anni: i visori per la realtà virtuale. Diverse aziende stanno provando ad aggiungere il proprio plus perché vedono nel VR un mercato ancora, stranamente, acerbo. Anche noi siamo tornati a esplorare questo mondo utilizzando un visore controverso, Meta Quest 3, tanto amato dalla critica, ma anche così duramente punito dalle vendite a causa di una contrazione prevista per questo trimestre fino al 70%.

Questo articolo è una recensione della mia esperienza con Meta Quest 3, snocciolando per dovere di cronaca anche qualche dato sul dispositivo così da comprendere cosa abbiamo tra le mani.

Design

A livello estetico risulta molto meno ingombrante del Meta Quest 2, quindi anche più leggero una volta indossato e comodo da usare, anche se sessioni prolungate, causa pressione delle stringhe sul capo, spesso fanno addormentare tutta la parte centrale della testa a partire dalla fronte. Fastidioso. Di gran lunga più comoda la fascia Premium che però costa un’occhio.

La parte anteriore curva del Quest 3 presenta quattro telecamere in due pile verticali, con un emettitore infrarosso tra di esse. Due telecamere sono usate principalmente per il tracking spaziale, per scansionare l’ambiente circostante per i contenuti AR e per determinare i confini della tua area di gioco. Le altre due sono telecamere RGB pass-through che permettono di vedere il proprio ambiente a colori. Due telecamere di tracking spaziale aggiuntive si trovano lungo il bordo inferiore del visore.

Una manopola di regolazione della distanza pupillare e un selettore del volume si trovano tra le telecamere inferiori, insieme a una connessione a tre contatti per la base di ricarica opzionale ( e a pagamento). Se non si usa la base, si può caricare il visore usando la porta USB-C sulla cerniera sinistra.

Un pulsante di accensione si trova appena sotto. I controller sono ottimi, molto maneggevoli e precisi durante le sessioni di gioco. Impugnare una spada in Assassin’s Creed ( Nexus) non è mai stato cosi divertente.

Recensione Meta Quest 3

Caratteristiche tecniche

Meta Quest 3 ha un display OLED da 2.064 per 2.208 pixel per occhio, con una frequenza di aggiornamento di 120 Hz. Questo significa che ha una risoluzione più alta e una frequenza di aggiornamento più veloce rispetto al Quest 2, che ha un display LCD da 1.832 per 1.920 pixel per occhio con una frequenza di aggiornamento di 90 Hz. Questo si traduce in immagini più nitide e fluide, con colori più vivaci e contrasti più elevati.

Il Quest 3 ha anche un processore più potente, lo Snapdragon XR2 Gen 2, che offre una potenza grafica 2,5 volte superiore rispetto al Quest 2. Questo si nota soprattutto nelle esperienze VR che hanno un aggiornamento visivo per il Quest 3, come Beat Saber, Superhot VR e The Walking Dead: Saints & Sinners. Gli effetti di luce sono di gran lunga migliorati, i dettagli sono più ricchi e il testo è più leggibile.

A completare la dotazione ci pensano 8 GB di RAM ed una batteria di 4000 mAH che garantisce circa due ore, due ore e mezza massimo di gioco ininterrotto.

Limitazioni e considerazioni

Il catalogo giochi è vasto e sempre in espansione con titoli anche di primissimo piano come Assassin’s Creed Nexus e Asgard’s Wrath 2, che meritano sicuramente di essere provati. Tutto rose e fiori quindi…più o meno si, se avete intenzione di acquistare un visore, il Meta Quest 3 è la scelta migliore. Ma attenzione ad alcuni “effetti collaterali”.

Questione spazio. Dovrete averne a disposizione parecchio per sfruttare a pieno tutta la funzionalità del visore. Vero è che il dispositivo vi chiederà di creare dei confini, in pratica un reticolato che vi indicherà i limiti su cui potersi muovere; purtroppo, giocare con titoli sportivi, come tennis o boxe, significa dover farsi in quattro per racimolare spazio in spazi più stretti.

L’accessibilità dei giochi è veramente molto ampia, anche in un gioco come Assassin’s Creed, dove correre e saltare con il parkour è la base; infatti, si potrà giocare, settando le giuste impostazioni, da seduti. E questa è l’altra personalissima nota dolente. Avevo cominciato ad abbandonare il visore proprio perché troppo pigro! O meglio, quando mi siedo e videogioco ho bisogno di rilassarmi. Giocare a tennis, combattere a suon di pugni, correre con Ezio, mi risultava pesante e finivo per accendere l’Xbox! Questo non significa però che utenti più attivi di me ne trovino giovamento, ma per me, passata l’euforia iniziale, il visore era stato accantonato.

Infine, e anche qui dipende da persona a persona, durante le sessioni ho sofferto di un frequente mal di testa che scaturiva dopo quasi tutte le sessioni di gioco. Del resto, noi possiamo essere consapevoli quanto vogliamo di essere seduti su un divano, ma se stai volando su di un aereo da guerra o stai saltando tra le cime dei palazzi settecenteschi o camminando su una tavola sospesa nel vuoto, il tuo cervello sentirà comunque che c’è qualcosa che non va per il verso giusto.

Conclusioni

Meta Quest 3 è il miglior visore di realtà virtuale per qualità-prezzo in circolazione, nonostante si parta da ben 549 euro per la versione 128 GB. Un ottimo visore alla luce delle caratteristiche e del prezzo, ma il cui acquisto va ponderato dopo averlo magari provato e dopo aver verificato che sia idoneo al proprio fisico e perché no, anche alle proprie fobie.

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Monkey Island, pubblicato su YouTube un lungo documentario

L’utente YouTube NoClip ha pubblicato un documentario dedicato alla storica serie di The Secret of Monkey Island. “Returning to Monkey Island”, questo il nome dell’opera, dura la bellezza di un’ora e mezza racconta la serie in modo approfondito, dagli albori fino ad all’ultimo capitolo, Return to Monkey Island.

Sono tante le domande che attanagliano ogni fan: come nacque il primo Monkey Island? Qual’è l’evoluzione? Perche Ron Gilbert l’ha ripresa dopo 30 anni? Qual’è il segreto di Monkey Island? (no a questo il documentario non risponde). In ogni caso, in questo documentario di Monkey Island troveremo risposte a queste e molte altre domande.

Visto che parliamo di pirati, diamo giusto qualche coordinata (di una qualche bussola sgangherata conoscendo Guybrush Threepwood). Il documentario comprende interviste a sviluppatori e personaggi che hanno contribuito alla serie e un’intervista allo stesso Ron Gilbert, creatore del titolo che consiglio di non perdere.

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Editoriali

Prince of Persia: tutti i videogiochi della saga

Ricordo ancora quel 1989, io appena dieci anni, usavo l’Amiga 500, con ben 1 mb di RAM di espansione. Invidia dei miei amici, altri tempi. Tempi andati, tempi lontani, quel tempo che è stato protagonista di una saga di videogiochi ancora oggi nota: Prince of Persia; una serie che proprio nel 1989 ha visto la luce, ed è stato subito amore a prima vista, oltre che, a conti fatti, un grande successo.

Prince of Persia è una serie di videogiochi che ha avuto inizio nel 1989 con il primo capitolo omonimo, creato da Jordan Mechner. Da allora, la serie ha conosciuto diverse evoluzioni e trasformazioni, sia dal punto di vista grafico che narrativo. In questo articolo, cercheremo di analizzare le principali differenze tra i vari Prince of Persia, suddividendoli in quattro categorie: la trilogia classica, la saga delle Sabbie del Tempo, la saga di Ahriman e il reboot del 2008.

La trilogia classica

La trilogia classica comprende i primi tre capitoli della serie, usciti tra il 1989 e il 1999. Questi giochi sono caratterizzati da un gameplay a piattaforme in 2D, con elementi di azione e avventura. Il protagonista è un giovane senza nome che deve salvare la principessa dal malvagio Visir Jaffar, affrontando ostacoli, trappole e nemici con la spada. Il primo Prince of Persia è considerato un capolavoro assoluto del genere.

Il secondo capitolo, Prince of Persia 2: The Shadow and the Flame, mantiene lo stesso stile del precedente, ma introduce una grafica migliorata, una trama più articolata e nuove ambientazioni. 

Il terzo capitolo infine, Prince of Persia 3D, segna il passaggio alla grafica tridimensionale, ma non riesce a convincere la critica e il pubblico, a causa di numerosi difetti tecnici e di gameplay.

La saga delle Sabbie del Tempo

La saga delle Sabbie del Tempo è una trilogia di giochi usciti tra il 2003 e il 2005, tutti sviluppati da Ubisoft. Questi giochi sono ambientati in un’epoca diversa da quella della trilogia classica, e presentano un nuovo protagonista, il principe di Persia, che deve affrontare le conseguenze di aver liberato le sabbie del tempo, un potente artefatto magico che può alterare il corso degli eventi.

Il gameplay di questi giochi è basato sull’azione, sull’esplorazione e sulla risoluzione di enigmi, con la possibilità di usare le sabbie del tempo per manipolare il tempo, ad esempio per tornare indietro, rallentare o congelare gli avversari. A massicce dosi viene inserito il parkour rendendo il titolo molto simile ai contemporanei primi capitoli di Assassin’s Creed.

Il primo capitolo, Prince of Persia: Le sabbie del Tempo, è stato acclamato dalla critica e dal pubblico, per la sua grafica, la sua storia e la sua innovazione. La trama si svolge 1000 anni dopo il primissimo titolo e dà il via ad una serie di eventi derivati fondamentalmente da avidità egoistica volendo, il protagonista, piegare le sabbie del tempo per prolungare la sua vita.

Il secondo capitolo, Prince of Persia: Spirito Guerriero, ha introdotto un tono più oscuro e violento, con una maggiore enfasi sul combattimento e sulle acrobazie. Ambientato sette anni dopo le sabbie del tempo, il nostro protagonista è braccato dai Dahaka. Chiesto consiglio ad un uomo saggio, quest’ultimo gli rivelerà che per porre fine a questa fuga il Principe dovrà morire…

Il terzo capitolo, Prince of Persia: I due Troni, ha concluso la trilogia, riprendendo alcuni elementi dei precedenti, come la possibilità di alternare tra due personalità del principe, una normale e una corrotta dalle sabbie del tempo. Tornato a Babilonia e dopo che il Visir si è reso immortale grazie alle Sabbie del Tempo, queste ultime “infettano” le ferite del Principe donandogli nuovo potere.

Videogiochi di Prince of Persia: Le Sabbie del Tempo

La saga di Ahriman

La saga di Ahriman è composta da due giochi usciti nel 2008 e nel 2010, sviluppati da Ubisoft. Questi giochi sono ambientati in un universo alternativo rispetto a quello delle sabbie del tempo, e presentano un nuovo protagonista, semplicemente chiamato il principe, che deve combattere contro Ahriman, il Dio dell’oscurità, che minaccia di distruggere il mondo.

Il gameplay dei due titoli è focalizzato sull’esplorazione e sul platforming, con la possibilità di usare le abilità magiche di Elika, una principessa che accompagna il protagonista nella sua avventura. 

Il primo capitolo, Prince of Persia, ha proposto una grafica in stile cel-shading, che ricorda i fumetti e le illustrazioni, e una struttura da metroidvania, in cui il giocatore può esplorare liberamente i vari scenari e scoprire i numerosi segreti sparsi per la mappa di gioco.

Il secondo capitolo, Prince of Persia: Le Sabbie Dimenticate, concepito come un episodio intermedio tra Le Sabbie del Tempo e Spirito guerriero, ha ripreso alcune meccaniche dei precedenti giochi della saga, come la manipolazione del tempo e il combattimento con la spada.

Il reboot del 2008

Il reboot del 2008 è un gioco uscito nello stesso anno, sviluppato da Ubisoft. L’opera è ambientata in un universo completamente diverso da quello delle altre saghe, e presenta un nuovo protagonista, un avventuriero senza nome che incontra una misteriosa donna di nome Farah, che lo coinvolge nella sua missione di salvare il mondo da un’antica minaccia.

Anche il gameplay di questo gioco è basato sull’azione e sul platforming, con la possibilità di usare le abilità di Farah, che può creare piattaforme, teletrasportarsi e lanciare proiettili magici. Il gioco ha una grafica realistica e dettagliata, e una trama che si sviluppa attraverso i dialoghi tra i due protagonisti.

Videogiochi di Prince of Persia 2008

Altre uscite

A completezza di informazione, sono usciti anche altri videogiochi di Prince of Persia per console mobile e portable. Uno di questi è lo strategico a turni per Nintendo DS, Battle of Prince of Persia, ambientato tra Le Sabbie del Tempo e Spirito Guerriero, un gioco basato sull’utilizzo delle carte che ben si adattava al doppio schermo del Nintendo DS.

Infine sono presenti un paio di giochi per mobile, il primo, sviluppato da Ketchapp denominato Prince of Persia Escape, un titolo con livelli pressochè infiniti che facevano risaltare le caratteristiche del mobile: L’altro invece è Prince of Persia Classic di Gameloft, famosa per le trasposizioni su mobile di titoli come Tom Clancy’s Splinter Cell e Assassin’s Creed 2 oltre che quella del Principe di Persia.

Conclusioni

Prince of Persia è una serie di videogiochi che ha saputo rinnovarsi e adattarsi ai cambiamenti del mercato e delle tecnologie, offrendo esperienze di gioco diverse e originali. Ogni saga ha le sue caratteristiche distintive, che la rendono unica e apprezzata dai fan. Redivivo circa ogni decennio, il titolo incanta i videogiocatori per poi sparire di nuovo per anni e anni. E infatti, nonostante il successo di critica e di pubblico, la serie ha preso una pausa di diversi anni senza annunci ufficiali e ora spera di replicare i successi passati con Prince of Persia: The Lost Crown uscito il 18 gennaio. Riuscirà ancora una volta il nostro principe a far battere i cuori di tutti i videogiocatori?

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Top Spin 2K25: la serie sul grande tennis ritorna con un trailer

Sembra proprio che gli appassionati di tennis, categoria spesso bistrattata a favore dei fan del calcio, del basket persino del football e dell’hockey, potranno avere, in questo 2024 il loro titolo tripla A. Parliamo di Top Spin, serie famosa di 2K Games, il cui ultimo capitolo risale al 2011 con Top Spin 4 per Xbox 360, PS3 e Wii. Peraltro proprio questo capitolo è considerato, da molti, il miglior videogioco di simulazione tennistica mai realizzato. Fino ad ora, si spera.

Sviluppato da Hangar 13, Top Spin 2K25 dovrebbe uscire entro l’anno, su quali piattaforme è ancora da svelare, ma crediamo che come minimo arriverà su Xbox Serie X/S, PS5 e PC.

Dal trailer il gioco sembra essere graficamente ultra-realistico con campi e spalti in vero 3D, spettatori compresi. Sarà abbastanza ovvio che ci saranno numerose licenze ufficiali sia di sportivi noti che di campi e tornei.

Al momento niente si sa di più, il trailer proposto mira a far rendere conto solo dell’altissima qualità visiva raggiunta.

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Editoriali

Chi è Hideo Kojima? Biografia del genio dietro Metal Gear Solid

Vorremmo, con questo articolo, inaugurare una nuova sezione del blog, un focus sugli uomini e le donne che hanno reso la storia dei videogiochi e il videogioco come lo conosciamo tale. Oggi vi spieghiamo chi è Hideo Kojima, raccontandovi opere e aneddoti del genio nipponico.

Hideo Kojima è uno dei più famosi e influenti autori videoludici al mondo. Nato a Tokyo nel 1963, ha sviluppato fin da bambino una grande passione per il cinema e la letteratura d’avventura, che lo hanno ispirato nella creazione delle sue opere. Nel 1986, è stato assunto da Konami per la quale ha ideato e scritto Metal Gear, titolo originariamente per MSX che ha introduse il genere stealth e dato vita all’omonima serie, il suo lavoro più noto e apprezzato.

Metal Gear Solid: la consacrazione

La serie di Metal Gear si caratterizza per la sua trama intricata, degna dei migliori romanzi di spionaggio alla Ken Follett o Frederick Forsyth. Affronta temi come la guerra, la politica, la filosofia, la genetica e l’identità. I protagonisti sono spie e soldati che devono infiltrarsi in basi nemiche e affrontare i Metal Gear, dei giganteschi robot armati di armi nucleari. E anche il lato umano, che Kojima ha molto a cuore, viene preso in considerazione, coi protagonisti che si chiedono, spesse volte, se sia giusto o sbagliato ciò che fanno.

Il gameplay richiede al giocatore di usare l’astuzia e la strategia, evitando il più possibile il combattimento diretto. Non a caso il gioco è stato tra i migliori capostipiti del genere stealth. La serie è nota per il suo stile cinematografico, con lunghe sequenze animate e dialoghi tra i personaggi, per il suo umorismo e le sue numerose citazioni e riferimenti alla cultura popolare.

Altre produzioni

Oltre alla serie di Metal Gear, Kojima ha realizzato altri giochi di successo: Snatcher e Policenauts, due avventure grafiche di ambientazione cyberpunk; Zone of the Enders, una serie di giochi di azione con dei robot volanti, e il famosissimo Death Stranding, il suo primo gioco indipendente dopo aver lasciato la Konami nel 2015.

Kojima è considerato un auteur dei videogiochi, ovvero un autore che esprime la sua visione artistica e personale attraverso il medium, in questo caso a noi tanto caro come il videogioco. Il suo stile è riconoscibile e originale, e ha influenzato molti altri sviluppatori e giocatori. Hideo Kojima è un grande appassionato di cinema peraltro e ha collaborato con diversi registi e attori famosi, come Guillermo del Toro, Norman Reedus, Mads Mikkelsen e Nicolas Winding Refn.

Kojima: l’uomo

Ma cosa rende Kojima un genio dei videogiochi? Quali sono le sue caratteristiche distintive e i suoi segreti? Come fa, ci chiediamo, a rendere i suoi videogiochi maledettamente accattivanti ed interessanti? Non possiamo realmente saperlo, purtroppo o per fortuna, ma ecco alcune curiosità e aneddoti sulla sua vita e carriera che potrebbero aver influito sul suo modo di creare.

  • Cinema mon amour: Kojima ha iniziato a fare film con una Super 8 millimetri quando era a scuola e ha persino ingannato i suoi genitori per andare a girare su un’isola senza dirglielo. Il suo sogno era di diventare un regista, ma ha cambiato idea quando ha scoperto il gioco d’avventura Portopia Renzoku Satsujin Jiken, che lo ha convinto delle potenzialità narrative dei videogiochi
  • Un film al giorno: La passione sconfinata di Kojima per il cinema permea ogni singolo istante della sua vita. Quando non è impegnato a realizzare un gioco, o a trollare i suoi fan su Twitter, il buon Hideo sta fisso davanti allo schermo a vedere qualcosa da cui prendere ispirazione. Il suo mantra è: “Un film al giorno toglie i rompiballe di torno”. Tra le sue pellicole preferite troviamo vere e proprie pietre miliari, alcune delle quali non del tutto scontate: Taxi Driver, 2001 Odissea nello Spazio, La Grande Fuga, I Cannoni di Navarone, La Strada di Federico Fellini, L’Alba dei Morti Viventi e addirittura il musical Cantando sotto la Pioggia. Stranamente tra i suoi favoriti non ha mai citato 1997: Fuga da New York, capolavoro distopico (ma neanche troppo) di John Carpenter dal quale ha tratto ispirazione per il nome del suo personaggio più famoso Solid Snake.
  • Kojima ed il Natale: Pochi lo sanno ma Hideo Kojima adora follemente il Natale. Ogni anno, sin dai tempi in cui lavorava per Konami ma soprattutto da quando ha fondato la Kojima Production, inizia a bombardare il suo canale Twitter con foto di decorazioni natalizie, corna di renna infilate ovunque e pacchetti regalo che probabilmente nascondono solo un tizio vestito come Snake. Ha trasmesso questa sua passione anche ad alcuni personaggi dei suoi giochi: provate a chiedere a Big Boss per conferma. La sua “ossessione” sembra essere forte al punto che alcuni membri del suo staff sono convinti che lui creda ancora fermamente nell’esistenza di Babbo Natale.
  • Fobia dei contatti fisici: Kojima ha una vera e propria avversione per il contatto fisico con le altre persone, tanto da evitare di stringere la mano o di abbracciare chiunque, anche i suoi amici più intimi. Questa sua fobia è stata resa nota da Guillermo del Toro, che ha raccontato di averlo abbracciato una volta e di aver visto la sua faccia terrorizzata. Kojima ha poi confermato la cosa, dicendo che preferisce esprimere i suoi sentimenti con le parole o con i gesti
  • Potere ad un solo uomo: Kojima è noto per il suo perfezionismo e per il suo controllo totale sui suoi progetti, che lo portano a occuparsi di ogni aspetto della produzione, dalla sceneggiatura alla regia, dal game design al marketing. Questo lo rende spesso insofferente alle pressioni e alle interferenze delle case editrici, come dimostra il suo conflitto con la Konami, che lo ha portato a lasciare l’azienda dopo 29 anni di collaborazione. Kojima ha poi fondato la sua nuova software house, la Kojima Productions, che gli ha permesso di realizzare il suo gioco più ambizioso e personale, Death Stranding, senza alcun vincolo o compromesso.

Genialità ed emozione

Appare chiara dunque la genialità di Hideo, che ha riversato nelle sue opere portandole a nuovi livelli di immersione, narrazione e creatività. Quello che vuole Kojima è emozionare e sorprendere il fruitore finale facendolo riflettere sui vari temi che i suoi giochi trattano.

D’altronde lui stesso si emoziona nel creare e questo è uno degli aspetti più belli che i fruitori maturi del prodotto videogioco possano chiedere: l’emozionarsi nel videogiocare. Non tutti apprezzano Hideo Kojima, molti lo accusano di essere arrogante, di inserire nelle sue opere troppi dialoghi e filmati, di usare senza censura elementi come violenza e sesso, ma credo siano passi necessari affinché il pubblico comprenda appieno la sua visione.

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Hideo Kojima e i suoi adorabili meme

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Editoriali

Red Bull Indie Forge 2023: abbiamo provato i videogiochi finalisti

Tra i suoi tanti ospiti, Milan Games Week 2023 ha ospitato anche i cinque videogiochi finalisti della Red Bull Indie Forge, competizione che permette ai giovani sviluppatori italiani di dire la loro nel mondo videoludico e che eleggerà due vincitori, uno scelto da una giuria di esperti ed uno dal pubblico. Noi de ilVideogiocatore.it abbiamo provato tutti e cinque i titoli finalisti di Red Bull Indie Forge e scambiato due chiacchiere con gli sviluppatori.

Glasshouse

Sviluppato dai ragazzi di Flat28, Glasshouse si mostra al pubblico come un classico RPG di ambientazione neofuturista e distopica che si sviluppa all’interno di un condominio popolato da 18 persone. Un titolo molto politico, in cui il giocatore si troverà a fare da paciere tra i condomini, bloccati in una sorta di lockdown post atomico.

La demo che abbiamo provato durante l’evento presenta un videogioco con visuale isometrica e che sin da subito ci proietta nello squallore del mondo ideato dagli sviluppatori, un futuro di stampo vittoriano. Quello che ci ha colpito di più del gioco è stata un equilibrato mix tra gioco di ruolo e avventura grafica. Glasshouse si muove in un mondo tra crafting necessario e sapiente uso di dialoghi in cui il sistema di dialoghi bypassa il combattimento.

Intrigante l’idea che l’orientamento politico che si darà al proprio personaggio influirà sulla storia e sulle scelte da intraprendere.

Red Bull Indie Forge 2023: Glasshouse

While We Wait Here

Il videogioco, sviluppato da Bad Vices Games, già autori di Ravenous Devils, ci mette nei panni di un ristoratore di una piccola tavola calda dispersa nel nulla.

La demo ci ha fatto assaggaire un’opera che si sviluppa in prima persona e che sì, effettivamente dovrete preparare da mangiare per i clienti. Quello che ancora non si sa è ciò che sta accadendo attorno: quale catastrofe sta per arrivare? Cosa stiamo aspettando? Sembra di intuire che nella versione finale ci saranno numerose linee di dialogo che probabilmente porteranno il giocatore ad una visione introspettiva. Ci vorrà ancora tempo per saperlo, ma il senso di disagio dopo la demo ci stuzzica e non vediamo l’ora di mettere le mani sul prodotto finito.

Monster Chef

Forse non è un cliché dire che gli italiani sono appassionati di cucina. Del resto, tra i finali di Red Bull Indie Forge 2023 ci sono ben due titoli dedicati. Il secondo è Monster Chef di Studio Pizza, un hack & slash con elementi roguelite e gestionali.

Visivamente Monster Chef ci ha ricordato molto Cult of the Lamb (Recensione) ma gli sviluppatori dicono di essersi ispirati ad Hades. Il protagonista è Pranzo, un novizio dell’Ordine della Buona Forchetta, una congrega di cuochi guerrieri, che dovrà procacciare le prede e cucinarle sul campo di battaglia per soddisfare i palati degli avventori della sua locanda.

La locanda dovrà essere gestita nella sua interezza: dagli negli interni alle spezie che dovremmo coltivare per rendere i nostri piatti succulenti. Inoltre, non basterà andare a caccia di mostri e colpirli, bisognerà cucinarli sul campo tramite Presina, un guanto da cucina che sputa fuoco.

La parte gestionale poi è perlopiù completa; i clienti infatti saranno saranno esigenti sotto vari aspetti: dalla pulizia della locanda alla corretta consegna dei piatti. Un gioco leggero, graficamente accattivante e, personalmente molto divertente da giocare.

Red Bull Indie Forge 2023: Monster Chef

Umbral Core

A Few Round Games ha proposto un picchiaduro che ci ha davvero colpito. Benchè il personaggio giocabile nella demo sia solamente uno, abbiamo potuto saggiare la bontà del titolo grazie al game designer Simone Demontis che ci ha spiegato l’enorme lavoro dietro ogni frame.

Umbral Core è un picchiaduro pensato per il competitivo che gira fino a 60 FPS, valore volutamente bloccato per non favorire chi ha hardware migliori (ma in realtà il motore grafico Unity ha permesso al team di lavorare con un framerate sbloccato e in effetti la demo girava a più di 200 FPS. Uno spettacolo!).

Il gameplay di Umbral Core spicca grazie alla possibilità di attivare combo leggere, medie e pesanti con la pressione di un solo tasto in base alla distanza tra il giocatore ed il nemico. Questa agevolazione rende il tutto più fluido senza la necessità di ricordare complesse sequenze di tasti. Apprezzato!

TEOM -The Enemy Of Mine

TEOM -The Enemy Of Mine

Sviluppato da Voxel Studios, TEOM è un tower defense di nuova generazione che non tende a stravolgere il genere ma cerca di perfezionarlo.

A livello estetico è molto interessante ed accattivante, ma c’è molto di più; Le unità che l’utente ha a disposizione per difendere il proprio nucleo e le unità da distruggere – adorabili robot che si faranno via via sempre più potenti – rendono il gioco vario e divertente.

TEOM è un tower defense molto intuitivo: dopo una breve spiegazione da parte degli sviluppatori eravamo pronti a partire con la demo. Il videogioco si è rivelato altamente personalizzabile e modulare. Piazzare le torrette è semplice e la possibilità di inserire dei blocchi in più per determinare un particolare path alla scia dei robot rende la vita un po’ più semplice rispetto ad altre opere di questo genere.

La struttura di gioco è divisa in livelli, ciascuno dei quali è sua volta spezzato in round. Ogni livello ha una mappa diversa mentre ogni round vi metterà contro più nemici del precedente. Se nel corso di uno qualunque dei round, il vostro nucleo verrà distrutto dovrete ricominciare l’intero livello e ricostruire daccapo le vostre difese. Particolarità del titolo è che oltre la normale campagna, i ragazzi di Voxel Studios hanno inserito una modalità roguelite, rendendo di fatto, la longevità praticamente infinita.

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Simon the Sorcerer Origins: intervista a Smallthing Studios

Milan Games Week 2023 è stata un’edizione ricca di contenuti e ospiti in cui abbiamo avuto modo di incontrare, tra gli altri, i ragazzi di Smallthing Studios, studio italiano nato dalla visione di Massimiliano Calamai, appassionato e videogiocatore come tanti di noi, passione che ha trasmesso a tutti i suoi collaboratori e che si percepisce sia nei lori pensieri che nelle loro creazioni.

Durante la fiera meneghina, oltre a provare in anteprima una demo del gioco, siamo riusciti a intervistare Fabrizio Rizzo, lead designer di Simon the Sorcerer Origins, prequel di quel Simon the Sorcerer del 1993, avventura grafica che, scommetto, avrà “regalato” tanti notti in bianco a quei fortunati che hanno avuto l’occasione di giocarci.Ma bando ai convenevoli e partiamo con le domande sul titolo.

IlVideogiocatore.it: Ciao Fabrizio, come mai avete scelto proprio il titolo di Adventure Software per proporre un vostro “seguito” o meglio, una visione di esso?

Fabrizio Rizzo: Beh, tutto nasce dalla enorme passione del nostro CEO Massimiliano Calamai e dal suo debole per le avventure grafiche: ricordiamo che in quegli anni, il titolo Adventure Software se la giocò ad armi pari con titoli del calibro di Monkey Island e Broken Sword. Mettiamoci anche che dopo un “ritorno” degli altri titoli di riferimento, era tempo anche per Simon di avere un capitolo in questo secolo. Dopo aver quindi proposto il  nostro concept e la nostra idea agli autori originali, abbiamo avuto tutto il supporto possibile, ci sentiamo sempre e ci scambiamo consigli e idee.

IlVideogiocatore.it: è stato complicato ottenere supporto ma soprattutto l’approvazione dei fratelli Woodroffe?

Fabrizio Rizzo: È stato complicato sì, inizialmente erano scettici. Giustamente consideravano Simon the Sorcerer il loro “bambino”. Ci sono voluti infiniti incontri e riunioni per far accettare loro che l’idea era quella giusta. Alla fine posso dire, che dopo aver ascoltato tutte le nostre idee e le nostre visioni, anche loro si sono arresi alla loro bontà.

Simon the Sorcerer Origins

IlVideogiocatore.it: Dopo anni di buio sembra quindi che le avventure grafiche siano ritornate di moda, qual è il vostro pensiero in merito?

Fabrizio Rizzo: Ti dirò, come afferma il nostro CEO Calamai, il mondo dei videogames oltre che variegato è anche molto “democratico”. Fortunatamente chiunque può giocare oltre che produrre ciò che più lo appassiona. L’importante è che alla fine della giornata, ripensando a ciò che si è fatto, con un foglio bianco avanti, si possa affermare di aver creato qualcosa di narrativamente coinvolgente e di emozionante. Ed è questo ciò che conta. Vedrete che anche in Simon the Sorcerer Origins avrete delle belle sorprese e delle chicche di cui però ancora non posso parlare.

IlVideogiocatore.it: Ad inizio anni 90 Simon the Sorcerer fu, insieme a Monkey Island e Broken Sword una vera e propria pietra miliare. Questo nuovo capitolo, questo vostro lavoro, cosa vuole essere al giorno d’oggi?

Fabrizio Rizzo: Vuole essere innanzitutto una storia, una storia che emoziona, che cattura, che commuove, che fa vivere il giocatore insieme al personaggio, nonostante il personaggio stesso si riveli cinico, cattivello, satirico, sfondando spesse volte anche la quarta parete, senza mai, però, scadere nel volgare. Perché alla fine, bisogna investire sui fruitori finali, il prodotto deve valere il prezzo del biglietto. Perché i giocatori pagano per investire in modo piacevole il loro tempo, e noi abbiamo il dovere morale di lavorare al meglio per ripagarli. E tutte le sorprese che abbiamo in mente, a partire da quelle musicali, passando da quelle di gameplay, sono indirizzate in questo senso.

IlVideogiocatore.it: Simon the Sorcerer Origins è quindi un prequel del primissimo titolo del 1993: avete creato una storia stand alone con protagonista il solo personaggio di Simon o ci sono dei rimandi ai successivi capitoli?

Fabrizio Rizzo: Il lavoro più duro e delicato è stato proprio quello di creare un collegamento perfetto con gli altri capitoli e ritengo che ci siamo riusciti. Mettiamola comunque in questo modo, sia se si è un fan di vecchia data sia un nuovo adepto, il gioco riuscirà a coinvolgere senza troppi problemi. I giocatori che conoscono già il titolo troveranno i giusti rimandi, ma i nuovi non avranno bisogno di altro se non di Origins per godersi l’esperienza.

Simon the Sorcerer Origins: Monkey Island 3

IlVideogiocatore.it: Essendo Origins un’avventura grafica ci si aspetta, come è costume, una spiccata ironia. Simon come sarà in questo senso? È stato difficile mantenere l’humor inglese tipico dei primi episodi considerando il nostro contesto italiano?

Fabrizio Rizzo: Ci è voluto tanto tanto lavoro, abbiamo giocato decine e decine di volte i primi titoli per entrare nella mentalità giusta e vi posso assicurare che siamo arrivati ad una comicità e ironia davvero pazzesca, Simon è acido, ironico, cattivo il giusto ma ha un motivo per esserlo che scoprirete. E anche a livello visivo, il gioco, spesso vi strapperà più di una volta una risata.

IlVideogiocatore.it: Gli enigmi? Saranno “folli” come si dice in gergo o abbastanza lineari? Avete pensato ad un sistema di aiuti tipo Return to Monkey Island o il giocatore sarà lasciato completamente solo?

Fabrizio Rizzo: Allora, partiamo da quest’ultima parte, come lead designer poco mi ispirava ad avere una specie di diario degli aiuti, preferivo un approccio diegetico alla risoluzione degli enigmi, quindi tutto nel gioco, dagli scenari ai personaggi possono concorrere ad aiutare il giocatore a proseguire. Personalmente inoltre, preferisco che si crei una comunità intorno al gioco, dove ci si confronta, si chiacchiera e ci si da consigli su come andare avanti, piuttosto che fornire al giocatore un freddo diario che lo porti alla risoluzione degli enigmi. Cosi come, il confrontarsi, può aiutare a guardare un problema a 360 gradi o comunque da un diverso punto di vista; infine, un’avventura grafica va assaporata, lentamente. Gli enigmi infine, saranno strettamente legati alla narrativa del gioco, saranno in definitiva un mix tra logica e pensiero laterale.

IlVideogiocatore.it: Da appassionato del genere, ti chiedo: co dobbiamo aspettare altre avventure grafiche da Smallthing Studios? Magari qualcosa di inedito?

Da Smallthing Studios possiamo aspettarci davvero davvero tanto. Siamo lo studio, forse, in Italia che sta facendo l’investimento più grande nel mondo videoludico e questo ci permette una certa autonomia. Abbiamo in cantiere già sei titoli. Alcuni della stessa fascia di Simon, altri più piccoli e altri più grandi. In prospettiva stiamo chiudendo accordi per avere importanti licenze per titoli doppia e tripla A. E stiamo lavorando anche a progetti proprietari inediti di cui siamo particolarmente soddisfatti e sicuri e che non vediamo l’ora di raccontare al nostro pubblico.

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Recensioni

RollerCoaster Tycoon Adventures Deluxe – Recensione

RollerCoaster è tornato, di nuovo! Questa volta però il suo scopo è conquistare il mercato console. Riuscirà Atari, che tra alti e bassi sta cercando di ritornare nel mondo del gaming, ad affermare il proprio gestionale di parchi gioco anche su Xbox e PlayStation?

Per questa recensione di RollerCoaster Tycoon Adventures Deluxe abbiamo provato la versione per Nintendo Switch, già uscito sulla console nipponica nella sua forma non deluxe nel 2018 e successivamente anche su PC. Nonostante cambi la forma, però la sostanza rimane identica anche per PlayStation 5, Xbox Series S/X e le controparti old-gen.

Breve excursus

RollerCoaster Tycoon è una vecchia conoscenza dei fan dei gestionali di parchi di divertimenti. Tutto inizia nel 1999 quando il genio di Chris Sawyer tira fuori dal cilindro un videogioco gestionale che realizzava sogni o meglio, parchi divertimento, che molto fu apprezzato da critica e videogiocatori. Nel tempo il gioco si è evoluto, si è espanso, si è trasformato, diventando anche mobile. Fino ai giorni nostri, in cui eccolo sbarcare su tutte le console (il primo capitolo arrivò anche sulla prima Xbox).

La particolarità di tutti i RollerCoaster Tycoon, compresa la versione Adventures Deluxe, è negli innumerevoli dettagli di cui tener conto: la trasformazione del territorio sul quale sorgerà il parco; le attrazioni da installare; i prezzi dell’ingresso e delle singole attrazioni; le manutenzioni. L’obiettivo finale? La felicità dei visitatori.

Tre modalità (poco deluxe)

RollerCoaster Tycoon Adventures Deluxe offre tre modalità di gioco, oltre all’ovvio, breve e conciso tutorial. Le tre modalità sono Avventura, Scenario e Sandbox.

Nella modalità avventura si devono sbloccare una serie di obiettivi progressivi per ottenere sempre più aree a disposizione al fine di ampliare il parco e quindi costruire nuove attrazioni. Per determinare di quanto si possa ampliare il parco, il gioco usa un sistema di permessi “edilizi” raggiungibili tramite il valore del parco: più alto sarà, più sarà consentito costruire e ricercare e quindi sbloccare nuove attrazioni. È la modalità principe del titolo, quella che terrà più a lungo il giocatore impegnato poiché raggiungere gli obiettivi e sbloccare nuove attrazioni risulterà lungo e impegnativo.

Per affrontare al meglio la modalità avventura, dovrete trasformarvi in accorti ed oculati magnati soppesando introiti ed uscite e variando i prezzi delle attrazioni. Ricordate anche che i visitatori stupidi non sono e si rifiuteranno di pagare prezzi troppo alti per attrazioni che ad un certo punto risulteranno obsolete.

Fortunatamente il gioco ci viene in aiuto con la cosiddetta heatmap, cioè una mappa che ci dà indicazioni su diversi aspetti del parco, come la felicità complessiva dei visitatori, il guadagno di ogni singola attrazione, quanti viaggiatori possono ospitare le attrazioni e il loro declino. Tramite questo importante strumento, risulterà più semplice programmare interventi correttivi per le singole attrazioni, che hanno sempre lo scopo di far felici i visitatori; infatti, nel parco, come è giusto che sia, dovremo installare, oltre le attrazioni, anche bagni, punti di ristoro come ristoranti, carretti (pop corn e sushi), negozi di souvenir e oggettistica e cercare di dislocarli lungo tutto il parco non ammassandoli quindi in un solo punto, pena l’infelicità dei visitatori.

A completare il quadro, immancabili, per un parco giochi, sono i punti di pulizia, per mantenere un parco sempre pulito e i casotti delle manutenzioni per rendere sicuri i clienti quando usano le attrazioni. E, a proposito di attrazioni, in questa versione ne sono state aggiunte ben 80, le quali, unite a quelle classiche già presenti nella controparte PC, porta il totale di unità ricercabili ed installabili nel parco a ben 200 attrazioni diverse. C’è n’è per tutti i gusti insomma!

La seconda modalità è scenario, in cui vengono dati determinati obiettivi da portare a termine in un certo lasso di tempo. In questa modalità, composta da solo quattro scenari, il parco è già in parte costruito e viene richiesto al videogiocatore di raggiungere obiettivi di varia natura: economica; ricercare una specifica attrazione (tipo quelle western, o per famiglie o ancora da brivido) e chi più ne ha, più ne metta.

Infine arriviamo alla modalità sandbox, dove non si ha nessun limite di tempo né di budget. Se da un lato è quella che risulta meno competitiva, dall’altro è anche quella che garantisce più soddisfacente, poiché si potrà creare il parco dei propri sogni sin da subito, con tutte le 200 attrazioni già sbloccate.Ovviamente saremo sempre soggetti alla valutazione del pubblico, ma il tutto sarà molto più rilassante.

Valutazioni

RollerCoaster Tycoon Adventures Deluxe ha diversi problemi: sicuramente è poco longevo e purtroppo anche poco divertente a causa della semplicità dovuta a quella “scusa” per cui l’opera di Chris Sawyer è stata alleggerita e ottimizzata. Alcuni processi infatti sono stati automatizzati, e di fatto resi inesistenti, come ad esempio l’assunzione di personale. Non ci sono stipendi da pagare o personale da scegliere. La sfida sta tutta nel tenere alto il morale dei visitatori: una profondità un tantino misera considerando gli altri titoli della serie e le alternative del mercato videoludico.

Per entrare nell’ambito tecnico, la grafica è datata per gli standard attuali. Nonostante le limitazioni hardware, Nintendo Switch ci ha abituato a qualità di gran lunga migliori (senza nemmeno la necessità di scomodare gli ultimi capitoli di The Legend of Zelda o Super Mario). Le animazioni sono approssimative e il frame rate soffre di vistosi cali nei momenti in cui il parco diventa più grande e affollato.

Conclusione

RollerCoaster Tycoon Adventures Deluxe RollerCoaster Tycoon non va oltre il semplice compitino, offrendo delle routine che alla fine risultano noiose e ripetitive. L’opera di Chris Sawyer è stata trasformata in un gioco molto semplicistico, risultando incompleto, poco longevo e poco divertente. Paradossalmente risultano più profondi persino alcuni titoli per mobile.

Personalmente mi sento di consigliarlo a chi si sta avvicinando per la prima volta al genere dei gestionali. Per tutti gli altri sarebbe meglio di rivolgere la propria attenzione ad altro.

Dettagli e Modus Operandi
  • Piattaforme: PS5, Xbox Series S/X, Nintendo Switch, PC, PS4, Xbox One
  • Data uscita: 01/11/2023
  • Prezzo: 39,99 €

Ho provato il gioco a partire dal day one su Nintendo Switch grazie a un codice fornito dal publisher.

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Società

The Wardrobe: voglio tornare negli anni 90 – Videogiochi Italiani

Il genere punta e clicca non è mai morto: nonostante ora i videogiochi puntino su altre caratteristiche, ogni anno escono sul mercato avventure grafiche che meritano la nostra attenzione. Return to Monkey Island è l’esempio più lampante, ma la fortuna del genere sta nelle produzioni indipendenti, tra cui anche italiane. Un titolo su tutti: The Wardrobe.

The Wardrobe è un’avventura grafica 2D punta e clicca tutta italiana, pensata e sviluppata da CINIC Games come segno di riconoscenza nei confronti delle avventure degli anni 90. Ogni dialogo vuole omaggiare la cultura pop e i capisaldi delle avventure grafiche anni 90 come Monkey Island, Day of the Tentacle e Sam & Max.

Trama

The Wardrobe: Ronald

Skinny si ritrova “inscheletrito” dopo che il suo amico Ronald gli aveva donato una prugna, frutto a cui lui era allergico e che l’ha spedito nell’oltretomba. Da quel momento Skinny vive nell’armadio di Ronald (ironicamente a forma di bara), il quale non si è ripreso più dal giorno dell’incidente.

Ma ora è tempo di ricominciare a parlare per Ronald, dovrà confessare il suo “crimine” a qualcuno altrimenti, alla sua morte, sarà condannato alla “dannazione eterna”.

In questo lo aiuterà Skinny, il personaggio principale in carne ed oss…ehm, solo ossa. L’impresa sarà resa più ardua dal fatto che Ronald, insieme alla famiglia, è in procinto di trasferirsi in altra casa e Skinny dovrà affrontare numerose peripezie per raggiungere l’amico al nuovo indirizzo.

A qualcuno piace nerd…

The Wardrobe è un titolo del 2017, ma si sa, le avventure grafiche sono senza tempo e la grafica. Questo è possibile grazie a sfondi disegnati a mano davvero accattivanti; enigmi, a volte forzati ed irrazionali, ma sempre ben integrati bene nel gioco e Skinny. Il protagonista del gioco è un personaggio cinico, macabro e dotato di tutto l’humor nero immaginabile.

Non di rado lo vedrete “sfondare” lo schermo con battute rivolte al giocatore a seguito di comandi più o meno appropriati; un magnifico: “Ti rendi conto di ciò che mi hai appena chiesto di fare” o un secco: “Fallo tu piuttosto” strapperanno in più di un’occasione una bella risata anche in relazione al comando impartito.

In generale è tutto il gioco che trasuda dall’inizio alla fine humor macabro, con citazioni nerd rivolte al mondo dei videogiochi, fumetti, serie tv e film. In ogni scena proverete a capire quali rimandi sono presenti, e sono davvero tanti anche se spesso non funzionali allo sviluppo del gioco (la macchina del tempo che va a plutonio o la statua di Daniel Fortesque nel cimitero della città sono solo due piccoli esempi).

Cosa resterà di questi anni 90

The Wardrobe: Half Life 2

The Wardrobe è ispirato alle avventure anni 90 in stile Lucasarts. Il risultato è un’opera, dalla durata di una decina di ore, divertente e spiccatamente dissacrante.

Degna di nota è la colonna sonora che, seppur non eccellendo, risulta azzeccata in ogni momento. Al comparto audio si aggiunge la completa localizzazione in italiano con voci credibili ed espressive.

La versione provata per questo articolo è stata quella di Nintendo Switch. Personalmente avrei preferito una gestione dei comandi più consona a una console, ma l’opera didi CINIC Games rimane comunque giocabile anche nella sua versione da controller.

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Editoriali

Armored Core VI: rigiocare la saga dopo 25 anni

Era il lontano 1998, settembre per la precisione. Da poco diciannovenne e felice possessore della prima Playstation, uscita qualche anno prima sul mercato, mi apprestavo a festeggiare il mio compleanno, rigorosamente posticipato poiché, cadendo in agosto, gli amici erano tutti in vacanza. Nel giorno del mio compleanno bis, i miei amici si presentarono a casa con una decina di giochi per la mia amata console: tra questi, non posso dimenticare, c’era un titolo che stuzzicò da subito la mia curiosità. Si trattava di Armored Core, AC per gli amici.

Genesi

Armored Core nasceva da un’idea di Shoji Kawamori, mecha designer di storiche serie di anime (una delle più note in Italia è Capitan Harlock), oltre che dall’amore sconsiderato dei giapponesi per i robot giganti.

La saga di FromSoftware era ed è formata da simulatori di combattimento tra Mech (o Mecha), enormi robottoni guidati da un pilota che se le danno di santa ragione in scenari più o meno realistici. L’aspetto migliore del primo Armored Core era il fatto che si trattava di un titolo 3D in cui era possibile spostarsi in ogni direzione, sparare ovunque e trovarsi contro nemici che provenissero da ogni angolo, con una fluidità al tempo inimmaginabile.

La caratteristica principale della serie è sempre stata la personalizzazione del proprio mech. Il gioco metteva a disposizione una marea di potenziamenti per gambe, braccia e armi; scalabili al massimo, altamente modulari, i mech potevano essere plasmati ad uso e consumo del giocatore per affrontare le varie missioni, a patto di avere abbastanza crediti per farlo. Come ottenere crediti? È presto detto: bastava concludere le missioni e ottenevate la giusta ricompensa, dopo aver scalato ovviamente il costo dei proiettili usati e le spese di gestione.

Caratteristiche di gioco

Esplorare quei mondi e quegli scenari mi teneva incollato allo schermo per ore. Armored Core aveva una grafica poligonale in 3D che non faceva gridare al miracolo, ma considerando l’anno di uscita e la piattaforma, non si poteva chiedere di più onestamente.

Il gameplay fu considerato ottimo dalla critica e piacque molto anche a me: lo trovai molto interessante e coinvolgente. Questo mio giudizio deriva dalle ore di divertimento che trascorsi e dalla buona struttura a missioni che From Software creò. Gli scenari infatti proponevano città piene di detriti, basi lunari e ambienti desertici. La base lunare, in particolare, attirò la mia attenzione poiché la missione che ospitava era caratterizzata dalla bassa gravità. Nello specifico, nel tentativo di salvare la terra da un attacco dalla luna, il nostro mech avrebbe dovuto fare i conti con la poca gravità che influiva sui salti e sui suoi movimenti.

Un piccolo appunto negativo sul gioco era la difficoltà nel controllare il mech con il pad: i tasti da utilizzare erano troppi, a volta anche contemporaneamente. A parte questo piccolo intoppo, il primo Armored Core risultava godibile sotto tutti i punti di vista, grazie alle missioni ben congegnate, alla fluidità dei movimenti e all’arsenale a disposizione. Infine, la longevità era un altro punto forte, con quasi 50 missioni da completare. Il gioco fu pubblicato nel luglio del 97 in Giappone per poi arrivare in Europa nel giugno dell’anno successivo.

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Approccio a Fires of Rubicon

L’università, la ricerca del lavoro e tante altre vicissitudini – naturali nella crescita di ogni individuo – mi hanno portato ad allontanarmi dal mondo videoludico (ma sono rientrato alla grande negli ultimi anni). Dopo 25 anni, in una calda giornata di fine agosto, mi imbatto in Armored Core VI Fires of Rubicon. Dopo una rapida ricerca mi rendo conto di essermi perso ben quindici capitoli (spin off inclusi), ma i ricordi suscitati dal gioco sono più forti del tempo perso. Così lo ordino senza troppo pensarci.

Il giorno dopo, al day one, Armored Core VI è nelle mie mani. Emozionato inserisco il gioco nella mia Xbox Serie X, ed eccomi di nuovo ai comandi di un mech, dopo tanto, tanto tempo. Quello che non avevo messo in conto è che si ha a che fare con From Software (Dark Souls, Elden Ring): la difficoltà di gioco è elevatissima e non “settabile”; inoltre, gli sviluppatori sono noti per gettare letteralmente il videogiocatore nel mezzo del gioco senza alcun preambolo. Complice la mia età avanzata e i riflessi non più pronti come una volta, mi sono ritrovato ad impiegare due giorni per sconfiggere il boss alla fine del tutorial, maledetta From Software!

Addentrandosi più nel gioco, comprendo che la struttura portante del gameplay è immutata, ma ovviamente abbiamo una storia che fa da contorno alle battaglie.

Caratteristiche narrative e tecniche

Sul pianeta Rubicon 3 è stata trovata una nuova fonte di energia che le varie corporazioni tentano con ogni mezzo di accaparrarsi. Il giocatore interpreta un mercenario che, combattendo ora per una ora per l’altra di queste fazioni, cambierà il destino della guerra e del pianeta. Niente di trascendentale o innovativo dunque. Forse però è proprio questa la forza di Fires of Rubicon.

Giocarci è sempre e maledettamente divertente. Le mappe sono credibili e varie, forse eccessivamente post apocalittiche, ma è la storia che lo impone. Peccato non aver implementato una specie di open world. Infatti, gli scenari sono delimitati da una banda rossa laterale che il mech non può oltrepassare. Una scelta che sicuramente limita la strategia di combattimento.

Voci confermate dicono che avremo ben tre finali diversi, quindi sarà obbligatorio effettuare almeno tre distinte run e fare scelte diverse per completare pienamente il gioco. Le missioni hanno alti e bassi, alcune sono troppo facili altre ai limiti dell’impossibile, con boss finali veramente duri a morire. Fortunatamente ci viene in soccorso la modularità dei mech e il loro collaudo, che è possibile effettuare prima di iniziare ogni battaglia. In questo modo è possibile rendersi conto della efficacia della configurazione adottata.

I combattimenti, infine, sono davvero spettacolari, con un arsenale molto vario da utilizzare che rende piacevole sparare missili di vario genere nei denti degli avversari!

Conclusioni

Armored Core VI è il videogioco che From Software avrebbe voluto sin dall’inizio, ma che i limiti tecnici della tecnologia a disposizione impedivano di creare a suo tempo. Fires of Rubicon è un titolo maturo con bellissimi modelli poligonali dei robot, un ambiente vivo e dinamico, una IA non eccelsa ma percepibile, una storia convincente e una personalizzazione del robot ancora maggiore.

La longevità è di circa 25 ore: si snoda tra 5 capitoli, 41 missioni e la possibilità di scegliere tra finali alternativi. Il gameplay di Armored Core VI – rispetto al primissimo del 97 – mantiene inalterato il divertimento introducendo, grazie a mappe ben strutturate, un’importante componente strategica che costringe il videogiocatore a sfruttare le caratteristiche ambientali per cercare di sorprendere i nemici e procurarsi un vantaggio su di loro.

In definitiva, Armored Core VI è un gran gioco, sia che siate fan della serie sia se non abbiate mai pilotato un mech prima d’ora. L’opera di From Software merita la vostra attenzione, poiché la soddisfazione ed il divertimento che può dare non è inferiore a qualsiasi soulslike di Hidetaka Miyazaki.

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