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Echoes of the End ha una data di uscita: il viaggio comincia il 12 agosto

Myrkur Games, in collaborazione con Deep Silver, ha annunciato che Echoes of the End debutterà il 12 agosto su PC, PlayStation 5 e Xbox Series X|S. Il titolo, primo progetto del giovane studio islandese, punta tutto su una formula narrativa ad alto impatto, con ambientazioni curate, magie potenti e personaggi centrali per l’evoluzione della storia.

Per accompagnare l’annuncio, il team ha pubblicato un gameplay esteso di 17 minuti, visibile su YouTube, che mostra sequenze inedite e offre uno sguardo più profondo sul mondo di gioco. Il video presenta combattimenti, meccaniche esplorative e i primi snodi narrativi della campagna.

Magia, guerra e decisioni difficili

Echoes of the End segue la storia di Ryn, una guerriera dotata di un potere antico e instabile, capace di manipolare la realtà con la magia. In apertura di gioco, Ryn si trova in missione con il fratello Cor lungo un confine apparentemente tranquillo. L’equilibrio però si rompe quando un attacco improvviso del regno di Reigendal li costringe a separarsi.

Tra gli assalitori compare Zara, un’altra vestige come Ryn. Le due si scontrano in un combattimento ravvicinato, che termina senza un vincitore grazie all’intervento di Abram Finlay, esploratore e studioso. Da quel momento, Ryn e Abram uniscono le forze per ritrovare Cor e scoprire cosa si cela dietro l’invasione di Reigendal.

Il gioco si sviluppa in dieci capitoli, tutti realizzati a mano, con un forte accento su scelte morali, costruzione del mondo e sviluppo emotivo dei personaggi. Le dinamiche di gameplay si basano su un mix di combattimento magico, esplorazione ambientale e interazioni narrative che influenzano il corso degli eventi.

Il prezzo al lancio sarà di 39,99 euro. Echoes of the End.

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SHADOW LABYRINTH reinventa PAC-MAN in chiave dark sci-fi: disponibile ora su tutte le piattaforme

Bandai Namco ha lanciato oggi SHADOW LABYRINTH, un nuovo platform d’azione 2D che rilegge l’universo di PAC-MAN in chiave dark sci-fi. Il gioco è disponibile da subito su PlayStation 5, Xbox Series X|S, PC via Steam, Nintendo Switch e Nintendo Switch 2. Chi possiede già la versione Switch può accedere gratuitamente all’upgrade per Switch 2.

SHADOW LABYRINTH non vuole essere un semplice spin-off. Il team ha preso le meccaniche storiche dell’originale e le ha immerse in un mondo oscuro e alieno. Si gioca nei panni dello Spadaccino n. 8, un misterioso guerriero risvegliatosi su un pianeta ostile. Ad accompagnarlo c’è PACC, una creatura guida familiare ma enigmatica, chiaro omaggio al classico protagonista giallo.

Caccia, evoluzione e citazioni cult

Il cuore del gameplay ruota attorno alla caccia, all’assimilazione dei poteri nemici e all’evoluzione del protagonista. Uccidere le creature sparse nei labirinti non serve solo a sopravvivere, ma permette di acquisire abilità sempre più complesse, comprese trasformazioni temporanee in forme potenti come il mech GAIA.

SHADOW LABYRINTH unisce platforming tradizionale e esplorazione ambientale con un ritmo più cupo e maturo. Il design dei livelli è fitto e verticale, pieno di bivi, enigmi e trappole. I combattimenti sono rapidi, con boss impegnativi che reinterpretano nemici storici come i GHOST, ora noti come G-HOST.

Il gioco non si limita a PAC-MAN. Chi ha memoria dei titoli storici Bandai Namco noterà omaggi evidenti a DIG DUG, SPLATTERHOUSE, GALAGA, BOSCONIAN e altri ancora. Ogni riferimento è integrato nel mondo e serve a espandere la lore di questo universo mutante e minaccioso.

Le edizioni disponibili includono la Standard fisica, la Digital Standard e la Digital Deluxe Edition, che aggiunge artbook digitale, colonna sonora e oggetti bonus in-game. Per un periodo limitato, tutte le versioni danno accesso al PAC-MAN Arcade Sound FX Pack, un set audio nostalgico che richiama l’esperienza arcade originale.

E voi, siete pronti a vedere PAC-MAN sotto una nuova luce? Fateci sapere se SHADOW LABYRINTH ha centrato il bersaglio o se avreste preferito un approccio più fedele al classico.

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Clair Obscur: Expedition 33 – Recensione

In un mercato ricolmo di sequel fotocopia e produzioni senz’anima, trovare un gioco che trasmetta passione vera è diventato un’impresa. Clair Obscur: Expedition 33 è un raro gioiello che ogni videogiocatore aspettava da anni: un titolo capace di emozionare, stupire e, alla fine, far venire voglia di alzarsi in piedi e applaudire. È un atto d’amore verso i videogiochi, un’esperienza che unisce stile, cuore e dedizione in ogni sua scelta.

Sandfall Interactive: studio indipendente o team solido?

Sviluppato da Sandfall Interactive, pubblicato da Kepler Studio e distribuito da Bandai Namco, Clair Obscur: Expedition 33 nasce da un team francese ben strutturato: non una piccola produzione indipendente, ma un progetto ambizioso che sorprende per qualità. Si tratta di un RPG a turni, sebbene rinchiuderlo in quest’etichetta non renda giustizia alla complessità del titolo. Tra i suoi punti di forza c’è sicuramente l’ispirazione ai grandi classici del genere, sebbene il gioco proponga molte idee originali.

Alla guida del progetto troviamo Guillaume Broche, ex dipendente Ubisoft che, come ha raccontato in diverse interviste, si era ormai annoiato in quell’ambiente lavorativo, e ha scelto di rimettersi in gioco per dare vita a qualcosa di nuovo. Anche lo sceneggiatore ha un percorso insolito: scoperto su Reddit, rappresenta un perfetto esempio di come la passione per i videogiochi possa portare a risultati sorprendenti. È proprio questa dedizione a permeare ogni aspetto del gioco, nato non per obbligo, ma per pura volontà di ritagliarsi un posto nel mercato.

Trama e ambientazione di Clair Obscur: Expedition 33

Il titolo affascina sin dai primi istanti, grazie a un incipit narrativo che colpisce per intensità, proiettando il videogiocatore in un mondo vivido e suggestivo.

L’ambientazione unisce elementi della belle époque francese con un immaginario fantasy dalle tinte dark, dando vita a un universo unico. Ogni anno, una figura enigmatica conosciuta come “la Pittrice” si sveglia e dipinge un numero su un enorme monolite situato all’orizzonte della città di Lumière. Questa cifra rappresenta l’età delle persone che svaniranno nel nulla e diminuisce progressivamente ogni anno. Per sfuggire a questo destino, vengono organizzate le Spedizioni. Si tratta di gruppi, spesso composti da persone prossime alla sparizione, che si avventurano nel continente vicino alla ricerca di un modo per interrompere il ciclo. Tuttavia, nessuna spedizione è mai riuscita a tornare indietro.

Il mondo di gioco è incredibilmente vasto ed esplorabile con varie zone curate in ogni dettaglio, al punto da invogliare il videogiocatore a perdersi al loro interno. Non si tratta di un open world, ma piuttosto di un grande continente, con aree piene di segreti e numerose quest secondarie. Alcune di queste accessibili solo dopo specifici punti di trama.

Narrativa e tematiche di Clair Obscur: Expedition 33

L’aspetto narrativo del titolo rappresenta senza dubbio uno dei suoi migliori punti di forza. La narrazione colpisce per intensità ed emozione, grazie a un uso sapiente delle cutscene. Questo aspetto ricorda molto Final Fantasy X, dove le scene cinematiche sapevano esaltare i momenti più significativi senza mai risultare invadenti. In un genere che spesso preferisce i dialoghi testuali, questa scelta regala un ritmo narrativo più coinvolgente e cinematografico.  

Clair Obscur: Expedition 33 tratta inoltre con rara sensibilità temi attuali e universali: la perdita, la fragilità della vita davanti all’ineluttabilità della morte, il valore della famiglia, la ricerca di sé, l’arte e la musica come rifugio e salvezza. Una storia capace di scaldare anche i cuori più duri ci viene raccontata con una delicatezza e una forza che lasciano il segno.

I personaggi, intensi e splendidamente caratterizzati, entrano nel cuore e ci restano, trasformando l’avventura in un legame profondo difficile da sciogliere.

Al termine della storia principale il gioco offre un ricco postgame, con nuove aree da esplorare, boss opzionali e contenuti aggiuntivi. Ciò approfondisce ulteriormente la trama, fornendo al videogiocatore un incentivo importante per continuare anche dopo i titoli di coda. L’interfaccia di combattimento si ispira a Persona, riuscendo però a rielaborare i principaki elementi in una formula originale.

Colonna sonora di Clair Obscur: Expedition 33

Le OST di Expedition 33 meritano un plauso particolare. Le tracce sono armoniose e perfettamente integrate nell’esperienza di gioco, capaci di enfatizzare i momenti chiave di narrazione e combattimenti, oltre ad accompagnare l’esplorazione. La qualità dei brani è talmente elevata da spingere il giocatore a fermare il gameplay per ascoltarli con più attenzione. Curioso è il fatto che il compositore sia un artista scoperto su SoundCloud, un dettaglio che sottolinea ancora una volta lo spirito innovativo e aperto del progetto.

Gameplay e meccaniche

Dal punto di vista del gameplay, Expedition 33 offre un sistema solido e sfaccettato. A una classica struttura a turni si affianca un’ampia gamma di meccaniche che arricchiscono significativamente gli scontri.

Un grandissimo punto di forza del gioco è la sua capacità di combinare caratteristiche provenienti da generi diversi senza mai risultare dispersivo (in alcuni frangenti ci si scorda persino di star giocando a un titolo turn-based). È infatti presente un sistema di parry e schivate coadiuvate da un vasto numero di abilità attive e passive (i Picto e le Lumina), un albero delle abilità estremamente articolato e la distribuzione dei punti tipica dei GDR. Questa combinazione di elementi rende il titolo accessibile a un pubblico più ampio, uscendo dai confini del (J)RPG e strizzando l’occhio ai fan dei Souls-like e ai videogiocatori più casuali, prendendo ispirazione da numerosi videogiochi di successo.

Inoltre, i tre livelli di difficoltà garantiscono un’esperienza adatta a neofiti e veterani del genere.

Personalizzazione di gioco

Un altro aspetto di grande rilievo è la personalizzazione: il giocatore può modificare l’aspetto del personaggio attraverso cosmetici, vestiti e acconciature, ma anche personalizzare in profondità il gameplay grazie ai Picto e alle Lumina. Queste abilità passive permettono di creare build uniche, ad esempio aumentando i danni sotto una certa soglia di vita o potenziando la possibilità di colpi critici, adattandosi a diversi approcci e preferenze. Ogni personaggio può essere costruito a seconda dello stile di gioco del videogiocatore, senza limitazioni imposte da ruoli fissi come mago, guaritore o guerriero.

Un punto a sfavore è la relativa facilità con cui si può “rompere il gioco”, specialmente nel post-game. I giocatori più esperti possono infatti facilmente creare build in grado di eliminare con un solo colpo anche i boss più impegnativi del post game. Fortunatamente, il team di bilanciamento rilascia regolarmente patch mirate a correggere questi squilibri.

Un prezzo competitivo

Dal punto di vista economico, il titolo viene proposto a 49,99 € al lancio, un valore decisamente competitivo rispetto agli standard attuali del mercato. Inoltre, grazie a promozioni e sconti, è possibile reperirlo a cifre ancora più basse. Ciò lo rende molto appetibile sul fronte qualità/prezzo.

Per concludere, Clair Obscur: Expedition 33 è un titolo che è stato capace di emozionare profondamente e di creare una solida community di appassionati che condividono l’amore per questo gioco. Nonostante alcune pecche, la qualità elevatissima sotto quasi ogni aspetto lo rende il punto di partenza ideale per un mercato videoludico che aspiri a tornare a produzioni di grande valore, fondate sulla passione e sulla cura di ogni dettaglio. L’anno è ancora lungo, ma una cosa è certa: Expedition 33 si candida con forza come uno dei favoriti assoluti per il titolo di GOTY 2025.

Dettagli e Modus Operandi
  • Piattaforme: PS5, Microsoft Windows, Xbox Series X/S
  • Data uscita: 24/04/2025
  • Prezzo: 49,99€

Ho giocato e completato il gioco su PC.

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The Alters è ora disponibile: sopravvivere significa anche affrontare sé stessi

The Alters è disponibile da ieri 13 giugno su Steam, GOG, PlayStation 5 e Xbox Series X|S. Lo studio polacco 11 bit studios (già noto per This War of Mine) propone un’avventura sci-fi fuori dagli schemi, in cui la sopravvivenza non dipende solo da risorse e rifugi, ma anche dal confronto diretto con sé stessi.

Il protagonista è Jan Dolski, unico sopravvissuto a una missione spaziale fallita. Intrappolato su un pianeta ostile, Jan non ha modo di cavarsela da solo. Così decide di sfruttare una tecnologia sperimentale: creare delle sue versioni alternative, ognuna generata da una scelta di vita diversa. Un Jan che ha fatto il militare. Uno che è diventato padre. Uno che ha rinunciato agli studi. Tutti sono reali. Tutti ricordano.

Ma The Alters non è un gestionale classico. Qui, costruire una base è solo parte dell’esperienza. Ogni Alter ha una personalità distinta, spesso in conflitto con quella del protagonista. I dialoghi mettono a nudo rimpianti, frustrazioni e identità irrisolte. C’è chi collabora. C’è chi si ribella. E ogni scelta ha un peso emotivo concreto.

Non solo sopravvivenza: identità, rimorsi e il valore dell’autonomia

Il gioco alterna fasi di survival e base-building a momenti narrativi forti, con bivi morali che interrogano direttamente il giocatore: stai usando i tuoi Alter come strumenti o stai riconoscendo la loro autonomia? La domanda è tutt’altro che teorica. Alcuni Alter inizieranno a mettere in discussione la tua leadership. Altri, semplicemente, non vorranno più collaborare.

The Alters colpisce anche per l’atmosfera: ambientazioni claustrofobiche, design minimale e colonna sonora inquieta costruiscono un mondo che sembra chiudersi addosso. Tecnicamente, il gioco gira solido sulle nuove console e su PC, con opzioni grafiche ben ottimizzate.

Dopo cinque anni di sviluppo e un team di appena 40 persone, 11 bit studios ha consegnato un titolo coraggioso, capace di parlare di identità, libertà e controllo senza retorica.

The Alters è una storia di fantascienza, ma anche una riflessione amara sulle vite che non viviamo.

E voi, se poteste incontrare una vostra versione alternativa… ci collaborereste o la temereste?

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Editoriali

Retro Classic su Xbox Game Pass: la rivoluzione del retrogaming?

Negli ultimi anni, il mondo dei videogiochi ha assistito a un fenomeno sempre più evidente: la riscoperta del passato. Ne sono testimonianza gli innumerevoli siti, riviste online e non, emulatori…il vintage attira.

Retro Classic, la nuova raccolta di giochi vintage su Xbox Game Pass, non è solo un omaggio ai grandi titoli degli anni ‘80 e ‘90, ma una vera e propria dichiarazione d’amore per una generazione di giocatori cresciuta tra pixel meravigliosi e colonne sonore in formato MIDI indimenticabili e che per l’epoca sembravano un sogno.

Un portale verso il passato

Immagina di accendere la tua console e ritrovarti catapultato in un’epoca in cui le sale giochi ruggivano di vita, i joystick cigolavano sotto la pressione delle dita e ogni pixel rappresentava una sfida epica. Retro Classic fa esattamente questo: spalanca le porte del passato e permette a nuove generazioni di scoprire tesori dimenticati, e ai veterani di tornare ai giorni gloriosi delle loro prime avventure digitali e da bar.

Tra i titoli disponibili ci sono leggende che hanno definito il gaming. Platform frenetici, sparatutto strategici e rompicapo che mettevano alla prova la tua astuzia: ogni gioco è una capsula del tempo che racconta una storia unica, fatta di innovazione, sfide e, soprattutto, divertimento puro. Divertimento che, ahimè, non sempre è scontato nelle opere odierne, anche se si definiscono tripla A. Ma titoli come Robin Hood, Commando, Pitfall e Pitfall II, Mechwarrior e Mechwarrior 2 tra l’altro per diverse piattaforme: DOS, Amiga, Atari, SNES sono una sicurezza sul divertimento che la raccolta propone.

Videogiochi: un’eredità da custodire

Parlare di retrogaming oggi significa anche affrontare un tema molto importante: la preservazione del patrimonio videoludico. Se il cinema ha la sua cineteca e la letteratura i suoi archivi, i videogiochi si trovano spesso a lottare contro l’incedere del tempo. Vecchi hardware che smettono di funzionare, formati ormai desueti, licenze dimenticate: senza iniziative come Retro Classic, molte gemme digitali sarebbero destinate a scomparire.

Microsoft, con questa raccolta, si fa custode di un’eredità culturale che rischiava di svanire, dimostrando che il valore di un gioco non si misura solo in grafica fotorealistica o mondi aperti vastissimi, ma nella sua capacità di divertire, stupire e rimanere nel cuore dei giocatori.

Nintendo e Microsoft: due visioni differenti

Non si può parlare di retrogaming senza citare Nintendo con la quale mettiamo a confronto l’iniziativa Microsoft. Nintendo pioniera indiscussa della nostalgia videoludica. La sua raccolta di giochi classici su Nintendo Switch Online segue una filosofia diversa: meno titoli, selezionati con cura, ma fortemente legati alla storia della compagnia. Super Mario, Zelda, Metroid: l’approccio della grande N è più museale, quasi “sacrale”, mentre Microsoft punta sulla quantità e sull’accessibilità.

L’esperienza offerta da Retro Classic è più dinamica e aperta: achievement, sfide online, funzionalità moderne, mentre Nintendo preserva un’esperienza quanto più vicina all’originale. Entrambe le visioni hanno il loro fascino: una celebra il passato come qualcosa di immutabile, l’altra lo trasforma per adattarlo ai tempi moderni.

Ma in ogni caso l’obiettivo è quello, mantenere il ricordo di ciò che è stato per ricordarci da dove veniamo e capire meglio dove vogliamo andare.

Conclusioni: il futuro del passato

La vera domanda che emerge da tutto questo è: quanto vale il nostro passato videoludico? È solo nostalgia, o è un pezzo fondamentale della nostra cultura digitale? Retro Classic non è soltanto una raccolta di giochi, ma un manifesto che grida a gran voce che il passato conta. E non solo per chi c’era, ma anche per chi lo scopre per la prima volta.

In un’epoca in cui tutto evolve a ritmi forsennati, c’è qualcosa di incredibilmente potente nel tornare indietro e riscoprire le radici di ciò che oggi diamo per scontato. E se il futuro del gaming dipende dalla sua storia, Retro Classic è un ottimo modo per viaggiare nel tempo.

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Silent Hill f, il nuovo trailer mnostra la data di uscita e l’ambientazione nel Giappone degli anni ’60

Konami fissa la data di lancio del nuovo capitolo horror della saga. Atmosfere disturbanti e narrazione psicologica al centro del nuovo trailer.

Durante lo State of Play del 6 giugno 2025, Konami ha finalmente svelato la data di uscita ufficiale di Silent Hill f: il gioco arriverà il 26 settembre 2025 su PlayStation 5, Xbox Series X|S e PC. Il nuovo trailer, completamente doppiato in giapponese, ha mostrato per la prima volta ambientazioni estese, frammenti di trama e uno stile visivo unico nel panorama horror attuale.

Ambientato in un Giappone rurale degli anni ’60, Silent Hill f rappresenta una deviazione radicale dalla classica città nebbiosa americana. Le immagini del trailer combinano folklore giapponese, elementi psicologici e body horror per costruire un’esperienza disturbante e visivamente potente. La protagonista, ancora senza nome, appare inseguita da una forza invisibile in un mondo che si contorce, marcisce e fiorisce in modo inquietante.

Un nuovo volto per l’orrore targato Konami

Il gioco è scritto da Ryukishi07, autore delle famose visual novel horror Higurashi e Umineko, mentre il design delle creature è affidato all’artista giapponese Kera. A svilupparlo è lo studio Neobards Entertainment, con la supervisione di Konami.

Il trailer lascia intendere che l’approccio sarà fortemente narrativo e psicologico, con meccaniche ancora da svelare ma un’enfasi chiara sull’atmosfera. Spiccano le scene in cui la protagonista si fonde letteralmente con la natura, invasa da fiori parassitari, in un crescendo di body horror viscerale che richiama l’immaginario classico della serie ma con una sensibilità completamente nuova.

La data del 26 settembre 2025 è ora fissata per il ritorno di una delle saghe horror più iconiche, ma in una forma mai vista prima.

Secondo te, questa nuova ambientazione e lo stile giapponese riusciranno a riportare Silent Hill ai suoi fasti? Oppure ti aspettavi qualcosa di più tradizionale?

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DOOM: The Dark Ages – Recensione

L’universo videoludico si è sempre contraddistinto per un’ingente mole di opere. Oggi viviamo nella bulimia più assoluta, ma anche 30 anni fa eravamo ricchi di giochi, che molto spesso ne copiavano altri molto influenti. Il titolo di cui parleremo oggi è tra quelli più plagiati, più amati, più venduti. Del resto il Doom di Romero e Carmack ha reso popolare gli FPS e creato un sacco di cloni, alcuni anche molto popolari come Duke Nukem 3D.

Dal 2016, Doom è rinato tra le mani di Bethesda che ha potuto sperimentare ed evolvere il franchise con risultati – per i primi due capitoli – di altissimo livello. Oggi, nel 2025, la trilogia si chiude con un prequel, Doom: The Dark Ages, che vi raccontiamo in questa recensione.

Le premesse del game director di Doom: The Dark Ages, Hugo Martin, sono sempre state molto chiare: vogliamo creare un Doom single-player, che abbia una trama e un’ambientazione unica, mai vista per la saga. È naturale che se queste parole vengono pronunciate da un membro di Bethesda, la mente viaggia nelle terre di Skyrim, nel post-apocalittico di Fallout e, soprattutto in questo caso, nello spazio di Starfield. C’è tanto di questo approccio nel nuovo Doom, ma vi garantisco che i titoli a cui si ispira The Dark Ages, vi sorprenderanno.

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Una trama e tanti cliché

È possibile dare una storia a Doom? John Carmack paragonava la trama di un videogioco a quella dei film a luci rossi: “Ti aspetti che ci sia, ma non serve a niente”. Doom: The Dark Ages prova ad andare oltre questa affermazione, crea una storia intorno al prequel di Doom, ma il risultato può essere paragonato a quello di un film action degli anni 80.

The Dark Ages è ambientato in un mondo dark fantasy, in cui la tecnologia si fonde con un’atmosfera medievale dai toni cupi e oscuri. Il palcoscenico in cui si esibirà lo Slayer ricorda soprattutto Berserk del compianto Kentaro Miura e quindi trova una sua naturale similitudine con tutte le opere videoludiche che da Berserk derivano. Ampliando il quadro, qualcuno ci vedrà Bloodborne per i toni medievali, altri, come me, System Shock per quello tecnologico. Ma penso che tutti concorderanno che quando si scende all’inferno il riferimento è Diablo 4. E se poi, a un certo punto, vi sembra di essere all’interno della Maschera di Inssmouth, qualche ora dopo ne avrete la conferma: sì, vedrete anche una forte ispirazione all’orrore sommerso di Lovecraft.

Per alcuni sa di già visto, per me è un sogno che diventa realtà. Tutte le opere che più amo fuse in un unico contesto con a capo il videogioco per eccellenza degli anni 90, Doom. E in questo contesto onirico, i demoni escono dall’inferno, come nel più classico dei canovacci, alla ricerca di un artefatto, il Cuore di Argent, che gli permetterebbe di avere il controllo totale su tutto l’universo. Da un lato demoni e diavoli, dall’altro la razza, per così dire, umana. Lo scopo è preservare l’artefatto, ma solo un’entità può affrontarli. Sempre lui, ma tanto diverso rispetto al passato: lo Slayer.

Un nuovo Slayer

Vi ho raccontato tutte le opere a cui si ispira Doom: The Dark Ages, ma a mio avviso è Berserk il punto focale. E il motivo sta proprio nel suo protagonista. A differenza del passato, il nuovo Slayer è più pesante, meno veloce ma di gran lunga più distruttivo. Le armi che impugna sono enormi e alla fine non puoi non notare le somiglianze con Gatsu. Il nuovo slayer è una macchina infernale, silenziosa e brutale, nata per combattere e per generare tante scene splatter, sia durante il gioco che nel cutscene realizzate divinamente con il portentoso motore idTech 8.

L’esagerazione di Berserk non si limita solamente all’ambientazione ma si fonde perfettamente con il gameplay di Doom, che ora è più compassato, meno veloce, meno verticale ma molto più cinematografico. Qualsiasi videogiocatore navigato capisce subito quando ci sarà da menar le mani, perché la mappa 3D ci mostrerà delle ampie zone in cui non può che esserci una battaglia epica, che è la grande novità di The Dark Ages. Il nostro Slayer si dovrà muovere tanto in battaglia e lo fa all’interno di arene molto grandi, dove medipack, munizioni e armature sono sparse in modo chirurgico, con l’esatto scopo di farci correre per tutta la zona, evitando i colpi e massacrando gli enormi mostri e i demoni da cannone.

La scelta è vincente. Le battaglie epocali che affronteremo generano un’enorme soddisfazione e si alternano tra grandi spazi all’aperto – tipiche dei migliori giochi di ruolo e soulslike in circolazione – e angusti spazi cibernetici, come visto in System Shock Remake. In tutto questo, i demoni che abbiamo odiato, e amato, in tutti Doom continuano a essere sempre gli stessi, con i loro pattern e le loro movenze, e con un personale e particolare odio per i Revenant.

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Ferri del mestiere

Le novità non mancano nemmeno per quanto riguarda il comparto armi, e aggiungerei difesa. Sono certo che tra di voi ci sarà chi le apprezzerà e chi assolutamente no. Cambiare in modo così drastico non è sempre apprezzato, ma le scelte di Hugo Martin sono molto sensate. Il nuovo Slayer ha tre tipologie di arma. Oltre alle vere e proprie “pistole”, ci sono nuovamente le armi da Mischia, ma la novità principale è lo Scudo, che diventa anche l’oggetto cardine di tutto il gioco.

Le armi sono tante, molto delle quali attingono dal passato e posseggono un fuoco alternativo che si sblocca andando avanti per i 22 capitoli del nuovo Doom. Non può mancare la mitica doppietta, ma i designer si sono concessi anche una morning star semi-automatica. Il risultato è un gunplay effervescente come tutti i Doom, in cui purtroppo la mira può anche essere secondaria. La sensazione infatti è che il gioco, almeno su Xbox Series X, favorisca molto il videogiocatore, anche il meno preciso.

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Alle armi a distanza si aggiunge l’attacco in Mischia. Si può scegliere un unico attacco in mischia alla volta, tra una manciata disponibili. Quest’ultimo non si potrà spammare perché ha solamente tre cariche, ricaricabili con le munizioni che trovano in giro o, così come gli altri caricatori, recuperabili colpendo i nemici grandi o piccoli che siano.

Arriviamo dunque alla novità: lo Scudo con tanto di lama rotante. Il tutorial vi dirà che serve per pararsi utilizzando il trigger sinistro. In realtà, ben presto scopriremo che possiamo lanciarlo sugli avversari come un boomerang e sarà fondamentale per scoprire tutte le aree segrete di Doom: The Dark Ages, perché permetterà di risolvere la maggior parte degli enigmi ambientali. Una scelta che sa molto di gioco di ruolo e che viene confermata anche dalla possibilità di sbloccare dei perk per Armi, Scudo e Mischia attraverso dei Santuari (Diablo docet) in cui spendere denaro e pietre preziose trovate nel mondo di gioco.

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Tanti contenuti infernali

Ho giocato a Doom: The Dark Ages per circa 20 ore, muovendomi tra i capitoli a diversi livelli di difficoltà (molto alta ai massimi livelli), senza riuscire a completarli tutti al 100%. Di conseguenza, mi aspetto che i completisti possano avere almeno 40 ore di divertimento, anche se alcuni livelli si possono terminare solo al 100% e mi riferisco alle sezioni meno riuscite del gioco.

Inoltre, oltre a comandare lo Slayer nella sua Gatsusità, in The Dark Ages sono diventato anche un Mech e ho cavalcato un Drago, fido servitore dello Slayer. Nella maggior parte è successo in livelli a sé stanti, ma qualche volta queste sezioni di gioco fanno da intermezzo tra una zona e l’altra per farci rifiatare. Atlan è un riempitivo non necessario. Avremmo appena un paio di azioni disponibili, tra pugni e palmate. Ben più riuscito invece è il Drago, perché ricalca quanto abbiamo già avuto modo di vedere con videogiochi ben oliati come Panzer Dragoon. In questo caso, dovremmo evitare i colpi degli avversari, quasi a tempo, e colpire quando mostreranno il fianco, con la possibilità di inseguire in cunicoli stretti dei nemici che dropperanno oro (sì, proprio come in Diablo, o Elden Ring).

Concludiamo questa recensione di Doom: The Dark Ages parlando di qualcosa di scontato: le musiche metal a cui si poteva chiedere qualcosa in più, ma che sanno caricarci nei momenti in cui veramente conta e il multiplayer, o meglio la sua assenza. Personalmente ritengo che Doom non sia il miglior esponente della modalità multiplayer e già sapevamo che The Dark Ages non era stato pensato per questo. A mio avviso è una scelta sensata non includerlo, perché probabilmente avrebbe tolto tempo alla realizzazione di qualcosa che, nella sua interezza, è veramente ben riuscito. D’altro canto però fa effetto non vedere una modalità multiplayer su quello che poteva comunque essere un gradevole arena shooter online, anche se più lento e compassato. Però non stiamo parlando né di Quake né di Unreal Tournament. Se Bethesda vuole ha tutte le IP necessarie per creare qualcosa di grandioso senza scomodare lo Slayer.

Doom: The Dark Ages è una nuova incarnazione dello storico franchise, in puro stile Bethesda. Dopo due capitoli eccellenti, Hugo Martin ha deciso di dare a Doom un tocco tipico della casa madre, includendo elementi da gioco di ruolo. Lo fa introducendo una trama più presente – seppur dimenticabile – e soprattutto offrendo la possibilità di esplorare vaste mappe per il puro piacere di scoprire nuovi segreti. Per ottenere questo risultato, ha dovuto sacrificare la velocità frenetica di Doom Eternal in favore di uno Slayer più lento, ma allo stesso tempo più possente ed epico. Il risultato è un videogioco evoluto e moderno, che prende forma attraverso la cultura pop contemporanea e in cui si citano – e si fondono con successo – Kentaro Miura, H. P. Lovecraft e i videogiochi cult degli anni ’90 nati proprio dopo Doom.

Dettagli e Modus Operandi
  • Piattaforme: PS5, PS5 PRO, Xbox Series X/S
  • Data uscita: 15/05/2025
  • Prezzo: 79,99 €

Ho giocato a partire dal day one Doom: The Dark Ages su Xbox Series X, grazie a un codice della Premium Edtion gentilmente fornito dal publisher.

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Clair Obscur: Expedition 33 è un successo anche in Giappone

Clair Obscur: Expedition 33 ha venduto oltre 2 milioni di copie in meno di due settimane dal lancio, avvenuto il 24 aprile 2025. Lo ha annunciato Sandfall Interactive, piccolo studio francese al suo primo progetto, attraverso un post su X.

Il risultato è sorprendente, considerando che il titolo è disponibile su Xbox Game Pass fin dal day one. Nonostante ciò, le vendite a prezzo pieno sono state elevate, con 500.000 copie vendute nelle prime 24 ore e 1 milione in tre giorni.

Un successo che sfida le aspettative

Expedition 33 è un GDR a turni con elementi in tempo reale, ambientato in un mondo ispirato alla Belle Époque francese. La trama ruota attorno alla “Pittrice”, un’entità che ogni anno dipinge un numero su un monolite, causando la scomparsa di tutte le persone di quell’età.

Il gioco ha ricevuto lodi unanimi dalla critica, con una media di 92 su Metacritic, il punteggio più alto del 2025. Anche il pubblico ha risposto positivamente, esaurendo le copie fisiche nei negozi, un evento raro nell’era digitale.

Inaspettatamente, il titolo ha registrato ottimi risultati anche in Giappone, un mercato spesso difficile da penetrare per gli studi occidentali. Secondo quanto riportato da GameRant, Expedition 33 ha venduto oltre 150.000 copie solo nella prima settimana in Giappone, posizionandosi tra i primi 3 giochi più acquistati nel Paese durante quel periodo. Un risultato che conferma l’appeal internazionale del gioco, anche presso un pubblico storicamente legato alle produzioni locali.

Il successo ha attirato l’attenzione anche al di fuori del mondo videoludico. Il presidente francese Emmanuel Macron ha definito il gioco “un fulgido esempio di creatività e audacia francese”.

Con questi risultati, Clair Obscur: Expedition 33 si candida come uno dei principali contendenti al titolo di Gioco dell’Anno. Il suo successo dimostra come anche piccoli studi indipendenti possano competere con le grandi produzioni, puntando su originalità e qualità.

E voi, avete già provato Expedition 33? Pensate che meriti il titolo di Gioco dell’Anno?

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Clair Obscur: Expedition 33 – Diario di un condannato (con stile)

Mi chiamo… beh, non importa. Tanto tra poco non ci sarò più. Non è una frase da film noir, è proprio così che comincia Clair Obscur: Expedition 33. Ti svegli in una Parigi che non è Parigi, guardi in alto, e il monolite ti sussurra un numero: 33. Ed è lì che capisci. Il tuo tempo è finito. Un anno. Poi il Gommage – quella macabra magia dipinta dalla Pittrice – cancellerà te e chiunque altro abbia osato compiere quell’età.

E allora che fai? Ti unisci a una spedizione impossibile. Una manciata di anime segnate che decidono di sfidare l’inevitabile. Perché se proprio devo sparire, almeno provo a farlo lasciando un segno. Magari non nel mondo… ma su di me.

Un mondo pittorico che ti vuole morto (ma con eleganza)

Lumière. Sì, il nome è ironico. Perché questo mondo, per quanto splendido, è tutto fuorché luminoso. È un mosaico in chiaroscuro, fatto di rovine art nouveau, cieli viola e vicoli affrescati con la disperazione. Sandfall Interactive non ha creato un’ambientazione: ha preso un’enciclopedia artistica, ci ha versato sopra un po’ di Lovecraft, l’ha shakerata con un pizzico di Jrpg classico e ha servito il tutto su una tela sporca di sangue e ricordi.

Ogni zona che attraversi – dalle Biblioteche Scolpite al Giardino delle Ceneri – è un’opera d’arte da scoprire. O da temere. Perché qui ogni bellezza ha un prezzo, e spesso lo paghi in HP.

Arte, morte e Belle Époque: un mondo che ti guarda negli occhi

Il primo impatto con Expedition 33 è visivo. Ed è potente. Ambientato in un mondo ispirato alla Belle Époque francese – un’estetica raffinata, decadente, lussuosamente malinconica – Clair Obscur è un’opera che non ha paura di essere elegante, anche quando parla di annientamento.

Architetture scolpite, colori soffusi, ambienti carichi di simbolismo. È un Rpg che non scimmiotta la realtà: la reinventa con la grazia di un quadro impressionista e l’angoscia di un incubo romantico.

Ogni ambientazione, ogni dettaglio, è fatto per comunicare qualcosa. E anche se nulla è spiegato “a voce alta”, tutto – dai palazzi alle statue rotte – ti parla di un mondo al tramonto.

Il sistema di combattimento: balletto e proiettili

Chi ha detto che i turni sono noiosi non ha mai provato questo gioco. Sì, tecnicamente è un Rpg a turni. Ma nel mezzo del turno, devi premere al momento giusto, devi schivare, devi parare. Devi ballare. Ogni nemico è una coreografia diversa, e se sbagli passo, sei fuori. Letteralmente.

Chi pensa che “combattimento a turni” significhi passività non ha ancora provato a parare con tempismo una raffica di colpi mentre la musica accelera e il nemico muta forma davanti a te.

Clair Obscur adotta un sistema ibrido tra turni e azione, dove il tempismo è fondamentale. Ogni attacco può essere schivato, ogni parata ben eseguita può diventare un contrattacco. Il gameplay è un’alchimia di strategia e istinto, più simile a un ballo che a una scacchiera.

Ci sono meccaniche profonde:

  • Le Posture, che cambiano stile e abilità dei personaggi
  • I Pictos, potenziamenti passivi per costruire build uniche
  • Le Luminas, magie e poteri attivi da usare con intelligenza
  • E poi ci sono gli Attacchi Sfumati, che evolvono in base al contesto e al team

Ogni personaggio ha una funzione e una voce chiara in battaglia, senza cadere nel cliché del “tank, healer, dps”. Qui non si fa teoria dei ruoli, si crea sinergia

Più che narrativa, atmosfera

La trama di Expedition 33 non ti viene lanciata in faccia. Non ci sono lunghi monologhi o forzature. Il gioco ti accompagna in un mondo dove la morte non è un evento, ma una regola. Dove ogni personaggio è consapevole che il suo tempo è contato.

Eppure, non è mai pesante. Non è “dark” per il gusto di esserlo. È elegante. Lucido. Triste, ma mai cinico.

Ci sono dialoghi scritti con attenzione, missioni che ti raccontano più attraverso l’ambiente che con le parole, e una direzione artistica che ti fa sentire esattamente nel mezzo tra un sogno e un quadro.

Una storia scritta con inchiostro e sangue

Non aspettarti il classico “salva il mondo”. Qui si salva il senso stesso dell’esistenza. La narrazione ti prende per mano e poi ti lascia in un abisso esistenziale. Ti chiede cos’è che rende la vita degna di essere vissuta, se è davvero la longevità… o l’intensità.

Il tuo gruppo non è fatto di eroi. Sono condannati. Ognuno con la propria ferita, ognuno col proprio modo di affrontare la fine. Gustave, il comandante, sembra fatto di pietra ma nasconde cicatrici profonde. Maelle non parla mai più del necessario – e il suo silenzio pesa come una spada ancora nella guaina. Lune? Sembra fragile, ma ha la determinazione di chi ha visto troppo per la sua età. E Sciel… è puro istinto, ma anche puro cuore.

In mezzo a loro ci sei tu, che cerchi di tenere insieme il tutto mentre ogni missione ti porta più vicino alla fine.

Difetti? Sì. Ma a noi piacciono anche quelli

Diciamolo: Clair Obscur non è perfetto.

Le animazioni nei momenti meno importanti sono a volte legnose. I caricamenti non sono sempre rapidi. E su PC, l’ottimizzazione va a giornate alterne, soprattutto con configurazioni meno recenti.

Ma poi c’è la colonna sonora: suadente, drammatica, sospesa. Le musiche non accompagnano: guidano. Ti portano dentro lo stato d’animo dei personaggi, fanno da ponte tra il gioco e chi gioca. A volte, ti sorprendono con un crescendo che ti strappa il respiro.

Il doppiaggio (disponibile in francese e inglese) è ben recitato: ti fanno sentire davvero in un altro mondo.

Perché giocarci, anche se non è per tutti

Clair Obscur: Expedition 33 è un gioco che chiede qualcosa in cambio. Vuole che tu ascolti. Che tu rallenti. Che tu osservi, anche dove altri giochi ti direbbero di correre.

Non è per chi cerca solo adrenalina. Ma se ami gli Rpg che raccontano senza spiegare, che emozionano senza urlare, che osano con l’arte e con il gameplay… allora questo è un viaggio che devi fare.

E sì, magari a volte inciampa. Ma è come una poesia letta con un accento imperfetto: resta bellissima lo stesso.

Combattere non per vincere, ma per esserci

Ti resta un anno. Poco tempo. Eppure combatti. Non per sconfiggere la morte, ma per meritarla.

In un panorama videoludico dove spesso si combatte per ottenere qualcosa, Expedition 33 ti fa combattere per lasciare qualcosa. Un’eco. Un’impressione. Un segno.

Ed è raro, oggi, trovare un gioco che ti chieda di essere non solo un giocatore… ma una persona.

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Blue Prince – Recensione

In un panorama videoludico come quello moderno, è sempre più raro poter scoprire un videogioco nel vero senso della parola. Ormai tutto viene servito con tutorial su tutorial, spiegazioni dettagliate e sistemi pensati per assicurarsi di far capire ogni meccanica ancor prima di toccare il pad. Blue Prince, invece, va nella direzione opposta. Ci propone un modo di videogiocare che ricorda il passato: catapultati nel suo mondo con pochissime informazioni, abbiamo il compito di esplorare e capire il resto da soli.

Il nostro protagonista, Simon P. Jones, è il giovane erede di Mount Holly, una magione avvolta nel mistero. La sua vita prende una svolta inaspettata quando riceve un testamento dal defunto zio, Herbert S. Sinclair, che lo spinge a intraprendere un viaggio nella villa, alla ricerca della stanza n°46. Senza indicazioni chiare e senza nessuna guida, siamo costretti a fare affidamento esclusivamente sulla nostra intuizione e pazienza. Nessun combattimento, nessun obiettivo evidente: solo la determinazione di svelare i segreti che si celano dietro quel luogo.

Sviluppo e Gameplay di Blue Prince

Il titolo è stato interamente sviluppato da Tonda Ros, fondatore dello studio indipendente Dogubomb, con una lavorazione di quasi otto anni. Il lavoro è stato portato avanti con un gruppo estremamente ristretto, con il supporto di pochi collaboratori tra cui Davide Pellino, artista e designer italiano. Il progetto è stato fortemente ispirato all’opera Maze: Solve the World’s Most Challenging Puzzle, un libro illustrato che sfida il lettore a trovare il percorso più breve attraverso un labirinto di 45 stanze. Oltre a questo, sono state incorporate features prese da vari giochi da tavolo e di carte, come Magic: The Gathering a cui si deve il drafting delle stanze.

Blue Prince è, essenzialmente, un puzzle mystery con elementi roguelite. La villa che siamo chiamati ad esplorare è viva e mutevole e ogni sua stanza racconta qualcosa di ciò che è esistito prima di noi. Ogni giorno, il giocatore deve scegliere tra diverse stanze, alcune accessibili, altre chiuse o senza uscita (dead ends). Spesso queste decisioni determinano l’andamento della run, a volte costringendo a ricominciare da capo dopo pochi minuti. Il sistema di drafting non solo offre libertà di esplorazione, ma introduce un livello strategico importante, in cui ogni scelta ha peso. Al termine di ogni giornata, la villa ritorna allo stato iniziale, azzerando i progressi se non per alcuni cambiamenti permanenti. Questo meccanismo di reset spinge il giocatore a fare affidamento sulla propria memoria. Prendere appunti e annotarsi gli indizi è, infatti, parte integrante dell’esperienza.

Un esempio di drafting: scegli una delle tre stanze disponibili per proseguire l’esplorazione.

Narrazione ed estetica

Per quanto concerne l’aspetto narrativo, l’evoluzione della trama non è mai esplicita: si costruisce da sola, attraverso fogli, appunti, libri, disegni, schemi e frammenti sparsi di un passato da ricomporre. Sono presenti pochissime cutscene e la comprensione è affidata esclusivamente alla nostra deduzione, scelta che si integra perfettamente con il senso di scoperta che permea l’intero gioco. Il worldbuilding è ben approfondito, e si riesce a delineare una rete complessa di legami tra i personaggi, anche senza raccontarla in modo diretto. Pur vestendo i panni dell’unico personaggio vivo e tangibile, ci troviamo immersi in una storia ricca di intrighi di corte, guerre nazionali, relazioni e scambi epistolari. Il tutto supportato dalla colonna sonora di Trigg & Gusset, che rafforza l’atmosfera enigmatica e si fonde coerentemente al resto.

Dal punto di vista puramente grafico, Blue Prince adotta uno stile visivo che è, in un certo senso, la trasposizione videoludica del nostro taccuino per appunti. Le linee irregolari, i tratti frettolosi, e la sensazione di disordine visivo rappresentano l’atto stesso di prendere nota mentre si è immersi nella ricerca, con idee, mappe e pensieri che si incastrano senza mai darti tutte le risposte, bensì alimentando nuove domande.

L’estetica del titolo non ha quindi solo valore stilistico. In questo modo, Blue Prince diventa metafora visiva di come teniamo traccia dei nostri progressi, cercando di mettere ordine al caos.

Punti di forza e progressione

Per quanto atipico possa apparire in un contesto videoludico, uno degli aspetti più accattivanti risulta essere l’apparente assenza di una progressione, elemento che offre piena libertà all’utente. È possibile infatti esplorare la villa secondo i propri ritmi, decidendo autonomamente quali enigmi prioritizzare in base alle proprie preferenze.

L’obiettivo primario del gioco si completa in circa 15/20 ore da principiante, ma il raggiungimento dei titoli di coda è solo la punta dell’iceberg di un ghiacciaio infinito di cui è difficile stabilire i confini se non dopo averne raggiunto gli abissi.

Il team di sviluppo si è divertito a lasciarci la possibilità di scoprire tutte le sue sfaccettature, implementando sfide stimolanti e varie chicche da scopirire. Blue Prince strizza l’occhio anche ai completisti offrendo un sistema di trofei e modalità alternative che metteranno alla prova anche i videogiocatori più incalliti. Sebbene il gameplay loop possa risultare ripetitivo, l’elemento chiave risiede proprio nella voglia di fermarsi, guardarsi attorno e scoprire nuovi dettagli.

I difetti di Blue Prince

Nonostante ciò, il gioco non è privo di difetti. La frustrazione che può nascere in un punto morto è da non sottovalutare, specialmente per chi non è abituato al genere. Inoltre, l’assenza di tutorial e la difficoltà iniziale nel capire come proseguire potrebbero spingere alcuni giocatori all’abbandono. L’elemento fortuna, determinante nel drafting delle stanze, può influire negativamente sulla buona riuscita di una run e generare sconforto. Questa combinazione di casualità e illusione di una progressione chiara si presenta sia come punto di forza che come criticità: se da un lato stimola il videogiocatore a perdersi nell’esperienza ludica, dall’altro può risultare tedioso per chi ricerca un approccio più guidato. In ogni caso, la sensazione è che Blue Prince riesca sempre a tenerci coinvolti, grazie alla costante voglia di svelare nuove piste.

In definitiva, Blue Prince presenta una grandezza di contenuto impressionante, con la possibilità di scoprire sempre qualcosa di nuovo anche oltre le 50 ore di gioco, riuscendo a rimanere costantemente imprevedibile. Nonostante un gameplay loop a tratti ripetitivo e la presenza di diversi difetti, seppur facilmente arginabili, gli aspetti positivi sono decisamente superiori, rendendolo un titolo da tenere d’occhio per i GOTY, specialmente nella categoria indipendente.

Dettagli e Modus Operandi
  • Piattaforme: PlayStation 5, Xbox Series X/S, Microsoft Windows
  • Data uscita: 10/04/2025
  • Prezzo: 29,99€

Ho giocato e completato il gioco su PC.

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