Se c’è un prodotto recente che più di ogni altro ha saputo riportare l’attenzione dei videogiocatori verso il genere dei picchiaduro, questo è senza dubbio Super Smash Bros Ultimate: il titolo Nintendo, forte di un roster praticamente sconfinato, di un gameplay a prima vista semplice, accessibile e competitivo, e di un numero spropositato di modalità di gioco, è riuscito ad imporsi in modo deciso sul mercato, ottenendo un enorme successo di pubblico e critica.
In questo articolo andremo ad analizzare il competitivo di Super Smash Bros Ultimate spiegando: quali sono i concetti chiave e le principali tecniche da padroneggiare per imparare a farsi strada all’interno della natura più “professionale” di questo gioco; chi sono i numerosi personaggi del roster, in modo da fornire una piccola guida per chi volesse iniziarsi all’arte dei combattimenti smash.
Un party game particolare…
Un esempio di quanto smash possa essere caotico.
Come già spiegato nel nostro articolo sui migliori picchiaduro del 2022, Ultimate come i suoi predecessori mostra una duplice natura. Da un lato, infatti, il gioco si presenta come una sorta di party game, dall’altro alla base di tutto ci sono “mazzate”, con battaglie di gruppo all’interno delle quali intervengono molteplici fattori, spesso randomici.
Tra questi, i principali sono l’apparizione casuale degli oggetti (alcuni, come il martello di Mario, in grado di eliminare un avversario in pochissimi colpi) e le caratteristiche peculiari dei vari stage, che presentano trappole, ribaltamenti di prospettiva e veri e propri sconvolgimenti del campo di battaglia (ponti che crollano, colate di lava ecc…).
È chiaro come, con simili variabili in gioco, l’abilità del giocatore rischi di venire spesso condizionata dalla sfortuna, il tutto a favore di uno stile di gioco caotico e “folle” che permetta anche ai meno abili ed esperti di avere sempre almeno una chance di vittoria.
Super Smash Bros: anima di un picchiaduro competitivo
Tuttavia, Smash Bros nasconde anche un’anima da vero e proprio picchiaduro, in grado di soddisfare anche gli amanti delle sfide più complicate. Sebbene questa caratteristica non sia stata inserita in Ultimate, il capitolo precedente uscito per WII U e Nintendo 3ds permetteva, all’interno del comparto online, di scegliere tra modalità casual o competitiva.
Quest’ultima scelta proponeva incontri con lo stesso set di regole tipico dei tornei ufficiali, ovvero scontri 1vs1 o 2vs2 con un limite di vite (di solito 3), assenza quasi totale di oggetti, utilizzo di stage dalle dimensioni ristrette e senza alcun ostacolo al loro interno.
Provato in questa maniera, Super Smash Bros Ultimate cambia completamente pelle e diviene molto più simile ad un vero gioco competitivo.
Cominciare dalle basi
ecco il training stage, la palestra per ogni vero pro di Smash.
I movimenti base
Come in qualsiasi altro gioco di questo genere, il punto di partenza sarà padroneggiare i movimenti base: spostamenti, corsa, schivate e soprattutto i salti andranno provati e riprovati fino allo sfinimento. L’obiettivo primario di Smash, infatti, pur fra moltissime varianti, resta quello di non cadere dallo stage. È dunque evidente come avere un buon controllo sul proprio personaggio eviti cadute e altri errori banali che andrebbero letteralmente a regalare la vittoria all’avversario. Inoltre comandi come la parata e le schivate, poco usate negli scontri amichevoli, dovranno essere approfonditi in maniera importante, poiché risultano basilari per fronteggiare qualunque avversario dotato di una certa esperienza.
Naturalmente, ogni personaggio possiede un peso, delle dimensioni e una rapidità di movimento unici (o quasi), di conseguenza sarà fondamentale imparare anzitutto i movimenti di quei personaggi che si è deciso di provare e sulla quale puntare.
Mosse, mosse e ancora mosse
Una volta padroneggiati i comandi di base, occorrerà fare la stessa cosa col set di mosse dei personaggi. Sebbene infatti in Smash i pulsanti di attacco siano solamente due (uno per gli attacchi e l’altro per le mosse speciali) essi andranno a combinarsi con le varie direzioni dello stick analogico dando vita ad un parco mosse che, pur non essendo elevato come in altri picchiaduro (ad esempio Tekken) resta comunque piuttosto ampio. Oltre ad imparare tutti questi attacchi e riuscire a valorizzarli nel modo giusto, il giocatore dovrà anche imparare a concatenarli. Nonostante infatti in Smash non siano presenti delle vere e proprie combo, ogni personaggio dispone di alcune sequenze di attacco che, se messe in sequenza in una determinata maniera, non consentono all’avversario di interromperle (le cosiddette true combo). Inseriamo qui un breve video esplicativo.
Tuttavia, occorre non commettere l’errore di focalizzarsi troppo su queste sequenze: il giocatore potrebbe essere tentato di cercare forzatamente queste sequenze perdendo di vista l’andamento dello scontro e, cosa più importante, la naturalezza dei suoi spostamenti.
Conoscere il proprio avversario
Una volta padroneggiate tutte le tecniche del nostro personaggio resterà l’ultimo scoglio da superare, forse il più duro: l’apprendimento dell’intero parco mosse del titolo, in modo da essere in grado di conoscere punti di forza e debolezze del nostro avversario e saper impostare velocemente una strategia per contrastarlo.
Questa è naturalmente la parte più complessa di ogni picchiaduro, ancor più in un titolo come Super Smash Bros Ultimate con il suo numeroso roster ma è anche la chiave per riuscire ad essere competitivo ed elevare il proprio gioco per ottenere un livello di gioco davvero superiore.
Select your character!
Parlando di roster, troviamo personaggi di ogni genere, provenienti dai titoli più disparati, e non solo Nintendo. Individuare in Super Smash Bros Ultimate almeno un paio di character preferiti sarà un passo davvero fondamentale per il percorso del giocatore all’interno del titolo. Per aiutare i lettori a orientarsi, presentiamo ora una lista delle principali categorie in cui questi personaggi sono divisi, in modo da facilitare ad ognuno la scelta del proprio main.
Personaggi bilanciati
Sono validi sia nel combattimento ravvicinato che a distanza. Posseggono inoltre un buon bilanciamento tra velocità e forza d’attacco. Sono particolarmente indicati per i giocatori alle prime armi, poiché, pur non eccedendo in nulla, non hanno particolari debolezze. In questa categoria includiamo Mario, Yoshi, Ken, l’allenatore Pokémon, Samus Tuta zero, Sephiroth, Dr. Mario, Palutena, Little Mac Sora, Shulk e il Fighter Mii.
Personaggi oppressivi
Si tratta di lottatori estremamente veloci, capaci di combinazioni ed attacchi rapidissimi che li rendono pericolosi nel combattimento ravvicinato. Sono inoltri formidabili nelle combo e nel mettere sotto continua pressione l’avversario. Compensano di solito con una bassa resistenza ai colpi e ai lanci. Includiamo in questa categoria Fox, Falco, Wolf, Sheik, Pikachu, Daisy, Peach, Pichu, Jocker Diddy Kong.
Personaggi “mordi e fuggi”
Sono anche in questo caso personaggi rapidi, dotati di un attacco molto potente, sia a corto sia a medio raggio, ma di una bassa difesa. La chiave dunque sarà portare rapidi attacchi ed essere altrettanto veloci a portarsi in una zona sicura. Possiamo includere King Dedede, l’allenatore Wii Fit, Peach, Wario, Sonic, il ragazzo Inkling, Bayonetta, Sonic, Pit e Jigglypuff.
Grappler
Come intuibile, si tratta di personaggi estremamente forti, in grado di sfruttare le prese per lanciare facilmente gli avversari a lunga distanza e causare ingenti danni. Questi punti di forza sono compensati con velocità ridotte e, talvolta, con dimensioni notevoli che li rendono facili bersagli. Includiamo in questa categoria Bowser, Ganondorf, Donkey Kong, Incineroar, Ridley, Nes, Luigi e gli Ice Climbers.
Personaggi a medio raggio
Molto simili ai bilanciati. La differenza sta nel fatto che in questo caso danno il loro meglio combattendo a media distanza, grazie alla lunga gittata dei loro attacchi base e alla forza delle loro mosse speciali. Il rovescio della medaglia è un set di autocombo e true combo più limitato e meno efficace a corto raggio. Di questo gruppo fanno parte Cloud, Lucario, Banjo e Kazooie, Lucas, capitan Falcon e Mr. Game and Watch.
Combattenti a terra
Questi lottatori danno il loro meglio nel combattimento a terra. Dispongono infatti di un set di attacchi estremamente potenti e veloci, in grado di mettere in crisi gli avversari che si vengano a trovare nel loro raggio d’azione. Non hanno combo particolarmente efficaci, ma compensano con l’enorme forza dei loro attacchi. Naturalmente, il loro punto debole è il combattimento aereo, in cui sono più vulnerabili a causa della poca mobilità. Fanno parte di questa categoria Terry, Roy, Ryu, Metaknight, l’eroe di Dragon Quest, Ike, Kirby, Little Mac e Steve.
Gli zoner
Controllo è la parola d’ordine di questi personaggi. Sono infatti dotati di un raggio d’azione molto vasto e di diverse mosse speciali a lunga distanza. Con questi lottatori la strategia consiste nel riuscire a tenersi sempre in una zona vantaggiosa tempestando di colpi l’avversario, in modo da riuscire a trovarsi sempre in una posizione di forza e impedendo all’avversario di esercitare pressione. Esempi perfetti sono Marth, Zelda, Samus, Olimar, Megaman, il Mii Gunner Mewtwo e Rob.
Le testuggini
Molto simili agli zoner ma con una strategia ancora più improntata sui proiettili e gli attacchi a distanza. La forza difensiva e il peso elevato di questi personaggi li rende difficili da spingere e danneggiare, dando loro ancora maggiori chance di causare danni ingenti grazie agli attacchi a distanza per poi infliggere il colpo di grazia. La maggiore debolezza di questi personaggi è la loro bassa mobilità, che li rende molto vulnerabili nel combattimento ravvicinato. Inseriamo in questo gruppo Link, Link bambino, Link cartone, Corrin, Byleth, abitante, lo Swordman Mii e il duo Duck Hunt.
Gli intrappolatori
Si tratta di personaggi piuttosto avanzati e non semplici da padroneggiare. Il loro punto di forza sta infatti nell’essere in grado di cogliere completamente alla sprovvista gli avversari creando vere e proprie trappole. Riescono a fare ciò attraverso le loro mosse speciali, che consistono in contrattacchi potentissimi o in tecniche particolari, come teletrasporti, proiettili manovrabili, esplosivi innescabili a comando e altre insidie simili. La vera sfida è comprendere le potenzialità di ognuno di questi attacchi speciali e riuscire ad usarli per incastrare l’avversario, bloccando le sue offensive e contrattaccando quando meno se lo aspetta. Fanno parte di questo gruppo Snake, Rosalinda, King K. Rool, Daraen, Bowser Jr., Simon e Richter Belmont, Pianta Piranha e Fuffy.
Cult of the Lamb è divertente nella sua semplicità. L’idea di trovare un punto di contatto tra un roguelike in stile The Binding of Isaac e un gestionale alla Harvest Moon è vincente, ma durante le ore passate a giocare, ci si aspetta un climax di crescente difficoltà che non arriva mai. I giocatori meno esigenti troveranno il titolo soddisfacente, mentre i fan dei roguelike non saranno mai messi veramente alla prova.
8.5
Il calendario annuale dei videogiochi ha dei dogmi ben precisi: se un gioco esce durante la settimana di ferragosto, non sarà memorabile. Questa dottrina, unita alla voglia di spiaggia, ha posticipato la mia recensione di Cult of the Lamb. Un peccato mortale.
Cult of the Lamb è il terzo titolo, non mobile, di Massive Monster. La software house australiana, che ha accumulato esperienza con i platform, ha unito le forze con l’ormai celebre publisher Devolver Digital per portare sul mercato un irriverente roguelike con accentuate meccaniche gestionali dalla grafica dolce e dai toni cupi.
Rinascere profeta
Il protagonista dell’opera è un agnello, letteralmente, sacrificale. Cult of the Lamb inizia con il nostro eroe pronto per essere sacrificato sai quattro vescovi simil-lovecraftiani. In realtà, il sacrificio è reale e la vita del povero agnello, apparentemente, termina; almeno fino a quando non ha un incontro onirico con The One Who Waits: una divinità imprigionata alla ricerca di un profeta che possa dare il via alla sua nuova ascesa. Ovviamente per farlo sarà necessario demolire l’attuale religione a favore della nostra.
Ogni credo che si rispetti ha un cospicuo numero di fedeli. L’agnello, cioè il videogiocatore, li recupera all’interno dei dungeon più pericolosi, uno per ognuno dei quattro vescovi. Solitamente si tratta di povere creature pronte per il sacrificio, che prima l’agnello salva e poi li converte alla nostra religione, facendogli spesso fare una fine anche peggiore.
Gestionale
La gestione del credo prevede mantenere un villaggio pieno di fedeli basato su tre indicatori: fame, malattie e fede. La fame si attenua cucinando cibo per i nostri credenti, mentre le malattie si curano facendo riposare i malati e mantenendo pulito il villaggio. Infine, la fede può essere tenuta alta esercitando rituali. Come dicevamo però, il nuovo profeta non è necessariamente migliore dei suoi predecessori e l’agnello può sacrificare i suoi discepoli per un bene maggiore, molto spesso molto conveniente per il proseguo del gioco.
Durante la fase gestionale, ho passato per la maggior parte del tempo all’interno del villaggio dove l’agnello può, o incaricare i suoi adepti, di raccogliere risorse (legno e pietre) o pregare per aumentare la devozione. Sotto le vesti dell’agnello possiamo anche creare nuove strutture ed eseguire una serie di riti all’interno del Tempio; in particolare, le liturgie sono tre: sermon, per aumentare i bonus quando entriamo all’interno di un dungeon; crown, per instaurare nuove dottrine che aumentano la nostra forza in combattimento e aggiungono nuovi rituali; rituals, liturgie di vario genere, tra cui i sacrifici, per migliorare lo status del villaggio e dei suoi abitanti.
L’esplorazione
Una volta usciti dal villaggio è possibile raggiungere due luoghi: i dungeon e altre zone della mappa in cui alcuni NPC incontrati durante le missioni ci permettono di completare una serie di quest secondarie.
Nella parte bellicosa di Cult of the Lamb, il numero quattro si ripete più volte. Quattro sono i vescovi, quattro sono le tipologie dei dungeon e quattro sono le volte che bisogna ripetere le zone di guerra prima di affrontare il boss finale dell’area.
Una volta dentro i dungeon – come già visto in tantissimi roguelike come Darkest Dungeon – una mappa permette all’agnello di scegliere il percorso sino alla battaglia finale. Ogni luogo d’interesse può avere diversi incontri, più o meno positivi, tra cui gli, ovviamente, gli scontri.
I combattimenti
I combattimenti sono abbastanza basilari. Qunado l’agnello entra in una stanza, deve essere l’ultimo, e unico, a uscirne. Per farlo, può attaccare con la sua arma o con una maledizione (una magia): le armi si differenziano per velocità e danni causati; le maledizioni sono scelte casualmente all’inizio di ogni dungeon da un pool ampliabile con perk ottenuti con i sermoni. Infine, si può schivare e saremo invulnerabili in quel momento.
I nemici, così come i dungeon, sono pochi, ma ogni avversario ha i suoi pattern da imparare pressoché a memoria. I boss, e mini-boss, hanno degli schemi d’attacco più complicati rispetto ai normali nemici, ma a livello normale – difficoltà consigliata dal gioco – ho terminato il gioco morendo soltanto una volta durante l’ultimo boss del videogioco.
Conclusione
La recensione di Cult of the Lamb non può non considerare la dissacrante satira rivolta alle religioni. Non ci sono giri di parole: la vita dell’agnello è stata risparmiata e gli sono stati donati enormi poteri. Non c’è alcun bonus se si trattano bene i propri discepoli; anzi, più si è senza scrupoli, più si progredisce velocemente. L’agnello è in realtà solo un travestimento per il lupo. Nonostante l’intera trama contenga tante, troppe, similitudini con Death’s Door – un’altra opera indie di Devolver Digital che abbiamo anche recensito – Cult of the Lamb ha molto carattere e una veste grafica 2.5D originale.
Cult of the Lamb non è un gioco perfetto, poiché troppo semplificato nelle meccaniche, tanto quelle gestionali quanto nei combattimenti. Però è dannatamente assuefacente. Il roguelike di Massive Monster mi ha fatto continuamente pensare: “Ancora una stanza” oppure: “Ancora un sermone”, cioè qualcosa di assolutamente non necessario perché il quick resume di Xbox Series X permette di riprendere da qualsiasi punto ogni volta che si vuole.
Ancora una volta, Devolver Digital è riuscita ad attirare la mia attenzione. Questa volta non è un must-have, ma un videogioco che riesce a mettere insieme tutte le meccaniche più amate dei titoli recenti in un videogioco immediato, divertente e dissacrante.
Dettagli e Modus Operandi
Genere: Azione, Roguelike, Gestionale
Lingua: Inglese
Multiplayer: No
Prezzo: 29,99€
Piattaforme: PC, Playstation 4, PlayStation 5, Xbox One, Xbox Series S|X, Nintendo Switch
Oggi voglio parlarvi di un genere al quale sono particolarmente legato, ovvero quello degli MMORPG. Enormi mondi da esplorare ed epiche avventure da vivere, in compagnia di altri migliaia di giocatori come noi. Un sogno che si realizzava davanti ai miei occhi da ragazzino mentre inserivo il CD di Ragnarok Online, allegato ad un numero di Giochi per il Mio Computer.
Questo accadeva nel lontano 2004, proprio durante la release europea del titolo in questione. Ricordo ancora lo stupore provato quando vidi Prontera – la capitale e cuore del regno – per la prima volta. Centinaia e centinaia di altri personaggi si muovevano freneticamente, conversavano, allestivano bancarelle in cui vendere i ricavati del farming quotidiano. Ma non erano i soliti NPC visti e rivisti. Quelle erano persone, proprio come me!
Quella che oggi potrebbe sembrare una banalità era letteralmente magia per me. Una magia destinata a sparire, ed è proprio di questo che oggi voglio parlare.
Il vecchio cede il passo al nuovo
Facciamo subito una premessa, nel genere degli MMORPG esistono vari titoli che hanno segnato la storia, basti pensare a pietre miliari come Ultima Online o Everquest. Tra questi titoli ne spicca uno però: sto parlando di World of Warcraft. Letteralmente l’MMORPG dei record, che dopo la bellezza di 18 anni conta ancora milioni e milioni di utenti giocanti e paganti, impresa riuscita solo e soltanto a quello che è il re di questo genere.
World of Warcraft Classic
Bene, fatta questa premessa, cosa significa tutto ciò? Semplicemente WoW fu lo spartiacque tra ciò che era “nuovo” e ciò che era “vecchio”. Il difficilissimo mercato dei MMORPG – caratterizzato da costi di sviluppo/gestione enormi e chance di successo abbastanza risicate – era finalmente stato decodificato. Blizzard aveva tracciato la strada per le quasi due decadi a venire. Strada percorsa da un po’ tutti gli studi di sviluppo, forse stanchi di sperimentare questa o quella stramba formula di gioco, chissà.
Una strada monumentale, sia chiaro, e chi ha giocato WoW ai tempi della release sa benissimo di cosa parlo. Esplorare Azeroth per la prima volta fu qualcosa di incredibile, davvero.
Parco a tema
WoW fa parte di quel grande filone di MMORPG definiti “theme park”, letteralmente “parchi a tema”. Gli sviluppatori creano per voi un bel parco a tema (mondo di gioco) da farvi visitare, con tante attrazioni (quest, dungeons, raids e tutto il resto). Insomma, vi danno uno scopo, come affrontare l’ultimo raid rilasciato ad esempio. Voi fate il vostro bel giro lungo un percorso prestabilito, ma quel parco rimarrà sempre tale, statico, nel concreto nessun giocatore apporterà mai alcuna modifica ad esso.
Final Fantasy XIV
Sandbox
In contrapposizione esistono i cosiddetti “sandbox”. Titoli dove lo sviluppatore crea sempre un bel mondo di gioco, lo riempie sì di attrazioni, ma lascia ai giocatori la libertà di interpretarlo, di “viverlo”. Ognuno è libero di creare la propria avventura. Esistono anche delle vie di mezzo tra le due tipologie, ma per comodità differenziamoli così.
Come abbiamo detto WoW fa parte dei theme park, ed indovinate quale tipologia di MMORPG spopola dal 2004 ad oggi, e quale invece è quasi del tutto scomparsa? Basti pensare che i maggiori MMORPG attivi sul mercato sono tutti theme park. Mentre i sandbox sono ormai relegati a produzioni di nicchia, indirizzate al solo zoccolo duro del genere.
Ecco, uno degli effetti dei theme park è proprio quello di spingervi su delle rotaie prestabilite, e questo ci porta a quello che secondo me è l’enorme difetto degli MMORPG moderni.
Viaggio nella memoria
Torniamo per un attimo alla mia avventura su Ragnarok Online. Ricordo ancora benissimo il viaggio verso Morroc, la città del deserto, dove il mio personaggio Novizio avrebbe finalmente classato a Ladro. E ricordo i mille giri per capire dove andare, le tante morti lungo la strada. Ma soprattutto ricordo i tanti giocatori, compagni avventurieri, a cui chiedevo indicazioni circa la mia meta, ma anche consigli su cosa equipaggiare, come ripartire i miei punti abilità.
Ragnarok Online
Ed ancora ricordo il mercato di Prontera, pieno di centinaia di bancarelle gestite da noi giocatori. La caccia al miglior prezzo per quel determinato oggetto, o magari la possibilità di speculare un po’ comprando a basso prezzo per poi rivendere il tutto più in là.
La ricerca del fabbro di fiducia – anche i potenziamenti alle armi erano unicamente gestiti dai giocatori – che sapevo mi avrebbe fatto un buon prezzo se sarei rimasto suo cliente. Il mondo di Ragnarok, un titolo abbastanza basilare, era vivo, pieno di gente con cui socializzare, con cui magari si era costretti ad interagire. Tutto questo lo rendeva un MMORPG.
Quello era il mio viaggio, formato sì dal mondo che esploravo, i tesori che trovavo ed i nemici che sconfiggevo. Ma anche dai legami creati con altri giocatori, a volte per pura voglia di socializzare, molte altre per semplice necessità. Semplicemente il titolo mi invogliava a condividere la mia avventura con il resto del mondo (virtuale).
Massive Single Player Online Role Playing Game, ovvero quello ad oggi penso sia il termine corretto per definire gli MMORPG. Perché di massive multiplayer ci vedo davvero poco.
Prima ho parlato di Ragnarok, ora vi parlo di Final Fantasy XIV, titolo che ritengo un fantastico rpg singleplayer con elementi multiplayer. Un MSORPG insomma. Ivalice è un mondo fantastico, e non mi sarei aspettato altro dal team di Yoshida. Una grandissima varietà di classi, gameplay solido e divertente, tantissimi contenuti e soprattutto una trama degna dei migliori jrpg in circolazione.
Final Fantasy XIV
Eppure durante quei mesi passati ad Ivalice sentivo che mancava qualcosa. Quel mondo era pieno zeppo di giocatori, eppure nessuno ha mai provato a socializzare con me durante le mie decine (direi centinaia) di ore a vagare per quelle terre. Certo, c’erano le gilde, ma non un reale motivo per entrare a farvi parte, almeno non per chi come me era ancora alle prese con la mastodontica main quest.
C’erano i dungeon, attività di gruppo per eccellenza negli mmorpg theme park. Ma nessun bisogno di formare un party, o di recarsi all’entrata del dungeon. Pensava a tutto il duty finder, nome del classico LFG (Looking For a Group).E così mi ritrovavo insieme ad altre tre persone, pronto ad affrontare un dungeon. Tre persone che sarebbero potuti benissimo essere tre npc comandati dal gioco, dato che nessuno proferiva mai parola.
Poi c’era un bellissimo sistema di crafting, con tante professioni di raccolta/creazione, dove ognuna richiedeva i materiali raccolti dall’altra. Ho pensato “magari è così che il gioco ti porta ad interagire con altre persone”. Ed invece no, perché il personaggio può benissimo “skillare” tutte le professioni in autonomia. E se proprio non si ha voglia basta recarsi al mercato.
Final Fantasy XIV
Non il mercato di Prontera, quello pieno di bancarelle, con il fabbro di fiducia, dove puoi perdere ore e spulciarle tutte in cerca dell’affare di una vita. Dove contrattare il prezzo con altri giocatori come noi, e strappare un piccolo sconto. Davanti a me si presenta una schermata di ricerca, inserisco quel che voglio et voilà, ecco le risorse da acquistare ed ecco i prezzi. Semplice, efficiente… Freddo, aggiungerei io.
Insomma, tecnicamente FFXIV è un MMORPG, ne mantiene l’ossatura. Ma giocandolo la sensazione che ho avuto è “ok, è un bel jrpg, ma la parte massive dove sarebbe?”. Non proprio il massimo per un MMORPG. E ci tengo a precisare che considero FFXIV come uno dei più social in circolazione.
Cosa ci aspetta?
Qualcuno potrebbe dire che sto indossando i famigerati occhiali della nostalgia, e magari avrebbe pure ragione. Tendiamo sempre a ricordare con affetto i momenti della nostra giovinezza, ed è giusto che sia così. Tuttavia non credo sia questo il caso, o quantomeno penso che la nostalgia non sia il solo fattore da tenere in considerazione.
Io credo che negli anni il mercato videoludico sia cambiato. Che noi videogiocatori siamo profondamente cambiati. Cose come il raggiungere fisicamente l’entrata di un dungeon un tempo erano viste sì come perdite di tempo, ma anche come opportunità di trovare altri giocatori con cui formare party, e perché no, stringere un’amicizia virtuale. Oggi la stessa azione è vista come una scocciatura, perché non è efficiente. Ed allora arriva viaggio rapido, è veloce ed ottimizza i tempi.
World of Warcraft Classic: il Monastero Scarlatto
Spulciare i tantissimi negozietti di Prontera richiede del tempo, non è efficiente. Ed ecco a voi un bel mercato centralizzato, con tanto di barra di ricerca, così da non spendere un secondo di troppo. Comodo, sicuramente.
Creare un party per reclutare qualcuno con cui expare o affrontare il prossimo dungeon? O magari scambiarci semplicemente quattro chiacchiere, che non fa mai male. Troppo tedioso, ma per fortuna arriva in nostro aiuto il LFG, così possiamo mantenere le interazioni sociali a zero!
Insomma, avete sicuramente intuito quale sia il mio punto di vista. Ed invece voi che ne pensate? Romantici da tastiera o power players da ottimizzazione selvaggia?
Se andaste su un’enciclopedia dei videogiochi trovereste, sotto la voce “Guybrush Threepwood”, la seguente dicitura : “Guybrush Threepwood, aspirante pirata. Personaggio dal passato oscuro, indefinito. Di lui si conosce che sa trattenere il respiro per 10 minuti, che ama girovagare nei boschi in cerca di tesori, che sa duellare di spada, di insulti e, a volte, anche di banjo (un cordofono di origine sudafricana).Segni particolari biondo, stato civile celibe (almeno nel momento della sua apparizione sull’isola di Melee).”
Se voleste poi allargare i vostri orizzonti e cercare il binomio “Monkey Island”, scoprireste che la saga di Monkey Island, serie di avventure grafiche edite dalla Lucasarts (per capirci, Indiana Jones e Star Wars in ambito cinematografico), è quanto di più abbia saputo stimolare e solleticare l’immaginario collettivo del popolo videoludico, almeno quello dei primi anni 90, sul tema dei pirati e del mondo ad esso correlato.
La storia si sviluppa intorno al personaggio di Guybrush Threepwood, aspirante pirata, che sbarca, da non si sa dove, sull’isola di Melee per diventare un pirata affermato; ben presto si scoprirà che le sue attitudini sono alquanto lontane da quelle necessarie a diventare pirata e che in un modo o nell’altro riuscirà, anche con trovate geniali ed ilari, a risolvere i problemi che gli si porranno davanti. Quali problemi? Uno su tutti, il pirata fantasma LeChuck al quale Guybrush, nel primo episodio (The Secret of Monkey Island), soffierà la ragazza e promessa sposa Elaine Marley; diciamoci la verità, Elaine non è che ardeva dal desiderio di sposare LeChuck!
Per salvare Elaine, rapita dall’ormai disperato fantasma innamorato, Guybrush dovrà fare addirittura rotta per Monkey Island e scendere nei suoi inferi per inseguire il malvagio pirata e la sua ciurma fantasma. Inutile dire come, alla fine del primo episodio, LeChuck verrà sconfitto – o meglio, dissolto – in un turbinio di fuochi d’artificio!
Monkey Island 2: LeChuck’s Revenge
Nel secondo episodio, “Monkey Island 2: Lechuck’s revenge”, le cose si fanno più mature: ritroviamo un Guybrush cresciuto, più spavaldo e più espert…ok non esageriamo! L’avventura si dipana su ben tre isole, insomma anche il team di sviluppo, dopo l’azzardo del primo episodio, ha ben in mente cosa vuole dal gioco e si vede! Gli enigmi sono ben strutturati e la storia…anche! La vendetta di LeChuck quindi…un errore (veniale) del nostro Guybrush infatti, farà riportare in vita il corpo putrido e marcio del suo nemico.
Mentre il nostro eroe sarà intento a ricomporre una mappa che lo porterà alla scoperta di un tesoro favoloso, il nefasto zombie opererà dietro le quinte per attuare la sua vendetta. Vendetta che si compirà, alla fine del titolo, intrappolando Guybrush nella “Fiera dei dannati”, con la consapevolezza che LeChuck sia in realtà suo fratello, morto anni prima.
The Curse of Monkey Island
Ora, al dettaglio della fratellanza, per altro non trascurabile della saga, non si è più accennato nei successivi capitoli. La scelta sta forse da individuare nel fatto che a partire dal terzo capitolo, il team di produzione è cambiato, improntando il tutto su un’altra linea e facendo sembrare, in pratica, The Curse of Monkey Island, terzo capitolo della serie, un prodotto quasi stand alone. Questo episodio, seppur divergendo dalla storia come l’aveva immaginata il creatore di Monkey Island, Ron Gilbert, lascia un’impronta decisa nel panorama videoludico, poiché è tra i primi titoli ad avere il parlato, una grafica godibilissima e una trama comunque intrisa di ironia, anche se non ai livelli dei primi due capitoli.
Si scade a volte, purtroppo, in cliché già visti nei primi due episodi. La storia racconta di come Guybrush abbia chiesto ad Elaine di sposarlo, e di come, per farlo, abbia utilizzato un anello maledetto (tipico del nostro antieroe) trasformandola in una statua d’oro (poi trafugata da una ciurma di scimmie). Dopo mille peripezie, Guybrush salvare la donna del suo cuore e sconfigge nuovamente un LeChuck, che, per l’occasione, sfoggia un look del tutto nuovo con una barba bella e fiammeggiante.
Escape from Monkey Island
Arriviamo dunque al quarto capitolo, quell’Escape from Monkey Island che ha deluso più di un fan; se il terzo Monkey, per quanto con dei cliché e per quanto non segua la storia pensata da Gilbert, come detto, gode di una grafica godibilissima, di un buon doppiaggio e di una trama accettabile, l’ultimo capitolo rasenta, a mio modesto parere, il punto più basso della serie.
Per carità, un Monkey Island è sempre un Monkey Island e per questo doveva essere giocato. Ma il motore 3D che molto era piaciuto su Grim Fandango, con Guybrush perde un po’ i colpi, unito ad una gestione discutibile del personaggio da tastiera e non più da mouse. Beh ma è sempre Monkey Island… la trama riuscirà a colmare le lacune… e invece no! Anche la trama fa acqua da tutte le parti, regalandoci una storia che di piratesco ha ben poco, dovendo affrontare, il nostro eroe, stuoli di avvocati e burocrati. Guybrush ed Elaine tornano dal meritato e focoso viaggio di nozze.
Su Melee scoprono che sono stati dichiarati morti e nuove elezioni sono in corso per sostituire il governatore, ruolo che fino a poco prima era ricoperto da Elaine. L’antagonista politico si rivelerà essere Charles L. Charles (LeChuck sotto mentite spoglie) che cercherà di incastrare i due giovani. Ma Guybrush, dopo aver scoperto il famigerato “insulto supremo”, al seguito di un rocambolesco ritorno sull’isola di Monkey Island e dopo un finale, secondo il sottoscritto, poco degno di un capitolo della saga, riuscirà a ristabilire l’ordine naturale delle cose sconfiggendo LeChuck per l’ennesima volta. La saga si conclude qui… o forse no!
Il ritorno di Guybrush…
Segnatevi questa data: 19 settembre 2022. Monkey Island ritorna con un nuovo, imperdibile, attesissimo capitolo: Return to Monkey Island. Il team di sviluppo? Ron Gilbert, ideatore, insieme a Dave Grossman dei primi due episodi e infatti Return to Monkey Island inizierà proprio dove Monkey Island 2: LeChuck’s Revenge si è concluso. Le domande che attanagliano la trama di Monkey Island sono ancora tante: LeChuck e Guybrush sono davvero fratelli?Verrà mai scoperto il reale segreto di Monkey Island?Sarà mai previsto un altro pollo con la carrucola? Speriamo che a queste ma anche ad altre entusiasmanti domande riusciremo ad avere risposta con l’uscita dell’acclamato seguito.
Ah, i picchiaduro! Certamente oggi quello dei beat-them-up non è il genere videoludico più popolare né quello maggiormente al centro dell’attenzione di pubblico e critica. Tuttavia, se con un bel tuffo nel passato ci spostassimo negli ormai lontani anni novanta, troveremmo una situazione ben diversa. In quegli anni, infatti,i picchiaduro, in particolare quelli 1vs1, erano i dominatori incontrastati nel settore, sia per quanto riguarda le console casalinghe sia all’interno delle mai troppo compiante sale giochi. In esse infatti ogni giorno plotoni interi di ragazzi (e non solo) erano pronti a darsi battaglia in sfide all’ultimo sangue ai vari Street Fighter, Mortal Kombat, Fatal Fury e compagnia cantante. Un esempio emblematico di questa situazione era il Neo-Geo, la famosa console SNK, il cui parco titoli era formato praticamente per il 70% da picchiaduro.
Un esempio di sala arcade anni 90, culla del genere dei picchiaduro
Un genere per pochi
Oggi, come già detto poc’anzi, la situazione è molto cambiata. L’enorme diffusione dei giochi mobile e la predilezione dei videogiocatori per altri generi ha relegato i picchiaduro a genere riservato solo agli appassionati. Una delle ragioni di questa situazione è sicuramente da ricercarsi nell’intrinseca difficoltà del genere. Certo, chiunque può prendere in mano un pad e tentare di farsi valere pigiando i tasti alla bell’e meglio. Tuttavia, imparare a giocare in modo corretto ed efficace a un qualsiasi gioco di questo genere richiede tempo, pazienza e allenamento. E non tutti i giocatori sono disposti a sottoporsi a queste condizioni.
Tuttavia proprio la complessità e la profondità di questo genere gli ha permesso di assumere un ruolo di primo piano all’interno del mondo degli esports.
EVO 2022, il più grande torneo di picchiaduro al mondo
Sono numerosissimi infatti i tornei e le manifestazioni, interamente dedicati ai picchiaduro, primo tra tutti il famosoEVO, torneo di livello mondiale che ogni anno ospita i migliori giocatori da tutto il mondo pronti a darsi battaglia coi più famosi picchiaduro sulla piazza.
Ma quali sono oggi i migliori titoli legati al genere Beat them up? È proprio quello che scopriremo all’interno di questo articolo, con una panoramica dei titoli più importanti e famosi del momento. Cercheremo di mostrare cosa caratterizza maggiormente ognuno di questi giochi, in modo da renderci conto di quanto vasto e frastagliato sia il mondo dei giochi di combattimento 1vs1.
Miglior Picchiaduro 3D: Tekken 7
Visto l’ondata di popolarità portata al titolo Bandai Namco dalle recente serie di animazione apparsa su Netflix (Tekken Bloodlines) inizieremo il nostro viaggio proprio dall’ultimo esponente della gloriosa saga di Tekken, ovvero Tekken 7.
Tekken 7, per molti versi è tuttora il dominatore dei picchiaduro 3D
La Saga dei Mishima
Nata nell’ormai lontano 1994 in sala giochi, la serie di Tekken è senz’altro una delle più famose e iconiche all’interno del panorama dei picchiaduro ed è quasi certamente il picchiaduro in grafica 3D più famoso al mondo.
Punti di forza di questa saga sono da sempre la trama, la forte caratterizzazione dei personaggi e il fortissimo equilibrio del suo gameplay. Tutte caratteristiche che ritroviamo espresse al massimo del loro potenziale in Tekken 7.
Il gioco presenta una solida modalità storia, che permette sia di vivere le vicende principali della trama del gioco sia di approfondire le singole storie dei personaggi. La trama della serie Tekken ruota intorno alle faide interne della terribile famiglia Mishima, dominatrice della Mishima Zaibatsu, la più grande multinazionale del mondo. Un ruolo chiave è anche svolto dal Devil Gene, misterioso gene in grado di donare a chi ne è in possesso tremendi poteri demoniaci. La modalità storia di Tekken 7 narra di un punto di svolta epocale all’interno di queste vicende.
Un party molto affollato
Tekken 7 presenta anche un roster solidissimo, con ben 54 lottatori (contando naturalmente anche i DLC), quasi tutti con uno stile di lotta unico. Per l’occasione, Bandai Namco ha aperto le porte anche ad alcune guest star, come Akuma di Street Fighter o Noctis di Final Fantasy XV. Anche sul versante tecnico, è stato fatto un lavoro davvero egregio, con grafica e animazioni che ancora oggi, a 7 anni dall’uscita, non sfigurano minimamente. Anche il comparto sonoro si presenta assolutamente all’altezza, con una serie di tracce rock e techno molto azzeccate e d’atmosfera. Ma concentriamoci ora sul gameplay, aspetto che più ci interessa.
Akuma di Street Figther è stato aggiunto su Tekken 7
Parola d’ordine: profondità
Come abbiamo già precisato, Tekken 7è un picchiaduro 3D a tutti gli effetti. Ciò significa che ai lottatori è possibile spostarsi non solo lungo il loro asse orizzontale, ma anche in profondità, sia tramite spostamenti e schivate laterali, sia attraverso una serie di mosse che porteranno automaticamente il lottatore a muoversi attraverso lo spazio di gioco e attaccare lateralmente, rendendo vani eventuali contrattacchi.
I pulsanti di attacco sono solamente 4, due pugni e due calci, mentre la parata avviene automaticamente premendo indietro. Ogni lottatore dispone di un numero di mosse molto elevato, che dovranno essere memorizzate (almeno in parte) per permettere di ottenere risultati soddisfacenti. Vi è poi una super mossa, attivabile solo quando l’energia rimasta raggiunge un livello molto basso, in grado di ribaltare totalmente l’esito di uno scontro (nonché di generare effetti speciali davvero spettacolari).
Gameplay
La curva di apprendimento del gioco non si presenta eccessivamente ardua e anche un giocatore novizio potrà riuscire a destreggiarsi in maniera efficace. Tuttavia, quando si passa al lato competitivo, le cose cambiano radicalmente. Come spiegato più sopra, i combattenti hanno la possibilità di muoversi in uno spazio tridimensionale. Ebbene, la gestione di questo spazio rappresenta proprio la chiave per comprendere la reale profondità del gioco.
La chiave per giocare a Tekken ad alti livelli è infatti imparare a muoversi correttamente intorno all’avversario, con vari movimenti che lascino sempre al nostro lottatore la possibilità di colpire e allo stesso tempo fungere da “esca”, in modo da mandare a vuoto un attacco avversario e innescare facilmente il proprio contrattacco. Un altro aspetto fondamentale è il cosiddetto calcolo dei frames, ovvero la durata delle mosse. Comprendere questa meccanica rende il giocatore in grado di diventare padrone degli scambi e in grado di mantenersi costantemente in vantaggio.
Kazuya Mishima
Combo aeree
L’ultimo fondamentale elemento sono le combo aeree, croce e delizia di ogni giocatore di Tekken e che spesso rappresentano la chiave per la vittoria. In Tekken, infatti, una volta che si viene lanciati in aria, si resta completamente indifesi. Questo, naturalmente, permette all’avversario di inanellare una serie di mosse una dietro l’altra che talvolta riescono persino a prosciugare la barra della vita senza che il malcapitato che le subisce abbia alcuna opzione di difesa (sebbene in Tekken 7 sia stata inserita una meccanica che va a diminuire costantemente la percentuale di danno subita da queste situazioni). È chiaro quindi come, per un giocatore esperto, risulti fondamentale imparare a memoria queste combo e le situazioni in cui iniziare a inserirle.
Questo è, in sostanza, il gameplay di Tekken 7, un gioco fondato su tempismo, controllo e abilità nelle combo. Tutti questi elementi, combinati insieme, danno spesso vita a scontri assolutamente spettacolari. Una nota di merito va agli effetti di rallenty che vanno a enfatizzare i momenti dello scontro in cui due lottatori attaccano quasi in contemporanea, rendendo incerto fino all’ultimo millisecondo chi sarà a colpire per primo.
Picchiaduro 3D: menzione d’onore
Altri picchiaduro 3D in qualche modo simili a Tekken sono per esempio la serie Soul Calibur, arrivata al sesto episodio. Vi è poi, Dead Or Alive di Tecmo. Per chi invece cercasse un titolo in 3D ancora più profondo e complesso, la scelta non può che cadere sulla saga Virtua Fighter di SEGA.
Miglior Picchiaduro in “finto” 3D: Mortal Kombat 11
E veniamo ora a parlare di Mortal Kombat, serie che, nonostante affondi le sue origini nell’ormai lontano 1992, svolge tuttora un ruolo di primo piano nel panorama videoludico. Dimostrazione di ciò è anche la pellicola del 2021 dedicata al franchise (sebbene la qualità di quest’ultima sia più che discutibile).
La saga di Mortal Kombat è certamente una delle più iconiche della storia dei videogiochi
Violenza e ninja
Giunta ormai addirittura alla sua undicesima incarnazione (Mk11 è uscito nel 2019, ricevendo tutta una serie di aggiunte e aggiornamenti in questi anni, fino alla versione Ultimate) la saga di Mortal Kombat è riuscita fin da subito a conquistare i cuori dei videogiocatori grazie alla sua grafica fotorealistica e a quello che è da sempre il suo tratto più caratteristico: l’enorme dose di violenza.
In ogni titolo della serie, infatti, i combattimenti sono letteralmente infarciti di violenza e spruzzi di sangue. Alla fine dello scontro, sarà anche possibile infliggere il colpo di grazia al proprio avversario tramite le famose fatality. Esse talvolta raggiungono un tale livello di brutalità e sadismo da non sfigurare persino in un film dell’orrore.
Il torneo del destino
Come per Tekken, anche in Mortal Kombat il fattore trama ha sempre avuto un ruolo molto importante all’interno della saga. Il primo Mortal Kombat fu il primo picchiaduro in cui i vari background dei personaggi venivano mostrati durante la demo dell’arcade.
L’episodio reboot della serie, pubblicato nel 2011 semplicemente col titolo Mortal Kombat, fu il primo picchiaduro a presentare una vera e propria modalità storia cinematografica. In essa il giocatore avrebbe vestito i panni di tutti i vari lottatori a seconda delle esigenze della trama.
La storia di Mortal Kombat ruota intorno all’eterna lotta tra il bene e il male, qui incarnata in un grande torneo, chiamato proprio Mortal Kombat. In esso le forze della Terra e quelle del Regno Esterno si sfidano ciclicamente per la sopravvivenza e il predominio. In questa vicenda si intrecciano le storie dei vari protagonisti, alcuni talmente famosi da essere divenuti vere e proprie icone pop, come i due ninja Scorpion e Sub-Zero.
Piatto ricco mi ci ficco
Ma passiamo ora in modo più specifico a Mortal Kombat 11. Se c’è una parola che più di ogni altra riesce a descrivere questo titolo essa è senz’altro “completezza”.
Mortal Kombat 11 infatti presenta un’offerta in grado di soddisfare qualsiasi tipo di giocatore, con un numero enorme di modalità.
Oltre alle ormai rodate storia e arcade, spicca la modalità Torri, che permette al giocatore di mettersi alla prova contro una serie di avversari assortiti in modo sempre diverso. In questi scontri avremo una nutrita serie di bonus, malus e condizioni particolari (oscurità, ribaltamento dei comandi, interferenze di personaggi esterni ecc.). Molte di queste torri si aggiornano costantemente, in modo che i giocatori possano sempre trovare una sfida nuova e fresca con cui confrontarsi.
The Joker su Mortal Kombat 11
L’online si presenta ricchissimo di modalità differenti, con sfide causal e lotte competitive con tanto di ranking. Ritorna anche la modalità re della collina (in cui ogni sfidante continua a lottare finchè non viene battuto e chi lo sconfigge prende il suo posto).
La modalità training è forse la più ricca e completa mai vista in un picchiaduro. Essa permette di conoscere e approfondire sia la conoscenza base dei personaggi, sia l’apprendimento di meccaniche avanzate utili per i match competitivi.
Per i collezionisti, infine, la modalità kripta offre tonnellate di skin, bozzetti e oggetti bonus.
Anche il roster dei personaggi è davvero impressionante e presenta anche tutta una serie di star del mondo cinematografico, come Joker, Rambo, Robocop e Terminator.
La potenza è nulla senza controllo
E arriviamo finalmente al gameplay, l’aspetto che maggiormente ci interessa. Ho definito Mortal Kombat un gioco in finto 3d dal momento che, pur presentandosi con una veste grafica di ultimissima generazione, i lottatori possono muoversi unicamente lungo l’asse orizzontale, come nei tradizionali picchiaduro 2D.
Questa scelta porta da una parte a ricreare molte delle meccaniche e delle sensazioni dei classici capitoli 2D della saga; dall’altra sposta l’attenzione dal controllo dello spazio al controllo del personaggio stesso.
Anche in MK, come in Tekken, il numero di comandi è estremamente semplice. Avremo due tipi di pugni, due calci più la parata, le prese e alcune interazioni con l’ambiente. Ogni personaggio avrà poi il suo set di mosse speciali e combo base, che potranno essere apprese e padroneggiate nella modalità allenamento.
Imparare le regole base del gioco risulterà piuttosto semplice, anche grazie all’eccellente fluidità dei movimenti e al ritmo incalzante dei combattimenti. Ma, ancora una volta, riuscire a giocare in modo realmente competitivo richiederà molte ore di studio, esercizio e osservazione.
L’evoluzione delle Fatality su Mortal Kombat 11
Una sanguinosa partita a scacchi
Come accennato, infatti, la chiave del successo in Mortal Kombat risulterà nell’avere il maggior controllo possibile sul propriopersonaggio. Ciò vale sia in fase di attacco sia, soprattutto, quando ci troveremo in difesa.
Anche in questo caso, infatti, ogni singolo movimento del nostro personaggio è caratterizzato da una particolare durata (i famosi frames). Risulterà fondamentale conoscere perfettamente sia il proprio set completo di mosse sia quello di ogni singolo personaggio, in modo da sapere quali siano le potenziali risposte vincenti a ogni singola situazione.
Occorrerà inoltre imparare a non abusare dei salti, i quali, sebbene molto comodi per avvicinarsi rapidamente al nemico, lasciano spesso completamente scoperti e vulnerabili.
Gli sviluppatori hanno inoltre fatto la scelta di ridurre, in generale, l’ammontare di danni causato dagli attacchi e soprattutto dalle combo. In questo modo si evitano situazioni in cui un giocatore debba pagare un singolo errore con la perdita dell’intero round. Questa scelta rende il gameplay ancor più tattico e ragionato e trasforma le sfide in vere e proprie partite a scacchi in cui la vittoria arriderà a chi saprà maggiormente controllare l’andamento dello scontro e le varie dinamiche che si creeranno in esso.
Picchiaduro in finto 3D menzione d’onore
Per chi cercasse altri giochi con caratteristiche simile ad MK11 non si può non consigliare la serie Injustice. Essa propone un gameplay molto simile a Mortal Kombat inserito in una versione distopica dell’universo DC.
Miglior Picchiaduro 2.5D: Street Fighter V
Ed eccoci arrivati al re dei picchiaduro! Nessuno più di Street Fighter, infatti, può fregiarsi con maggior merito di questo titolo.
Fu proprio l’avvento di Street Fighter 2 nelle sale giochi, nell’ormai lontano 1991, a generare quell’onda di interesse e passione che rese il genere dei picchiaduro il più giocato e apprezzato sulla piazza.
Ogni cosa all’interno di Street Fighter è ormai divenuta iconica. I suoi leggendari personaggi (nomi come Ryu, Ken, Chun-Li o Guile sono conosciuti a praticamente chiunque abbia mai preso in mano un pad), i suoi notissimi brani musicali e, naturalmente, i nomi delle tecniche dei protagonisti, ormai entrate di diritto nel mito (Hadouken!).
La saga di street fighter è stata a lungo sinonimo di picchiaduro
L’ultimo erede della dinastia
L’eredità di Street Fighter viene ancora oggi portata avanti degnamente da Capcom con l’ultimo capitolo uscito, Street Figher V. Per questo gioco Capcom ha adottato una strategia simile a quella utilizzata a suo tempo con Street Fighter 2. Sono state infatti rilasciatenel tempo tutta una serie di versioni rivedute e corrette del titolo. Esse sono uscite principalmente tramite aggiornamenti, ma anche con release vere e proprie delle versioni “potenziate”.
L’ultima di queste versioni è stata Street Fighter V Champion Edition. Questo gioco che ha proposto un roster di personaggi davvero nutrito (ben 40 lottatori) comprendente tutti i vari DLC rilasciati nel tempo. Inoltre ha unito tutte le modalità già viste in SFV e in SFV Arcade Edition (le principali sono Storia, Arcade, Sopravvivenza e naturalmente Online).
In modo simile a Mortal Kombat, Street Fighter presenta una formula in “finto 3D”, con sfondi e personaggi realizzati in 3D che però potranno spostarsi solamente lungo l’asse orizzontale. A differenza del titolo di NetherRealm, però, Street Fighter V sfoggia una grafica dai toni molto più colorati e cartooneschi, che meglio si adattano alle atmosfere e ai protagonisti del titolo Capcom.
Rispetto ai titoli presi in esame finora, la trama in SFV ha un ruolo decisamente secondario, sebbene i personaggi risultino tutti estremamente interessanti. Il tutto si riduce ai malvagi piani dell’organizzazione Shadaloo, guidata dal perfido M. Bison, per la conquista del mondo e alle azioni dei protagonisti per fermarla.
Ken, storico personaggio di Street Fighter
Solo per veri campioni
Il cuore di Street Fighter V infatti sta nello scontro vero e proprio e, in particolare, nello scontro pvp. A differenza di Tekken o Mortal Kombat, infatti, Street Fighter è un gioco quasi unicamente rivolto ai giocatori esperti. Senza se e senza ma.
Ogni lottatore ha a disposizione tre attacchi con i pugni (debole, medio e forte) e altrettanti con i calci. A questi si andranno ad aggiungere le varie mosse speciali di ogni personaggio (circa quattro o cinque). Ci saranno poi le V-skills, attacchi o abilità uniche a cui il personaggio potrà ricorrere tramite la pressione contemporanea del pugno e del calcio medio.
Fa il suo ritorno anche la barra ex, indicatore che va riempiendosi via via che lo scontro prosegue a seconda dei colpi messi a segno. Questa barra sarà divisa in tre tacche. Ognuna di esse, una volta riempita, consentirà di eseguire una versione “potenziata” di ognuna delle nostre mosse speciali. Quando la barra sarà totalmente piena il giocatore potrà ricorrere alla critical art, supermossa dalla potenza devastante.
Street Fighter V propone inoltre una seconda barra, denominata V. A essa sarà legato il V-trigger, una particolare abilità a cui il giocatore potrà ricorrere solo dopo aver incassato una certa quantità di colpi.
Senza margine di errore
Per poter avere anche solo la minima possibilità di progredire in SFV, il giocatore dovrà conoscere ognuno di questi attacchi alla perfezione. Il sistema di controllo di Street Fighter è di una precisione millimetrica ed è pronto a punire ogni singolo errore in maniera anche spietata.
Inoltre Street Fighter V, salvo rari casi, non propone vere e proprie combo standard da imparare. Infatti ogni singolo attacco può essere concatenato all’altro. Starà quindi al giocatore comprendere le combinazioni più efficaci con la pratica e l’osservazione dei suoi avversari.
Tutti i concetti che abbiamo affrontato in precedenza, (framing degli attacchi, gestione dello spazio e controllo del personaggio) ora vengono portati agli estremi. Il giocatore dovrà imparare a essere costantemente in guardia, sia che si trovi in una posizione di stallo (neutral), in attacco o sulla difensiva.
Frame e data frame sono fondamentali nei picchiaduro
Un picchiaduro da competizione
Quindi è chiaro che, per raggiungere risultati positivi, occorreranno ore di gioco e numerosissimi incontri di pratica. Tuttavia, la soddisfazione che si prova al raggiungimento dei primi risultati è davvero incredibile, molto simile alla conquista dei primi successi nelle attività sportive.
Non a caso, Street Fighter V è ancora oggi il dominatore indiscusso dei vari circuiti legati al mondo degli esport. Questo grazie soprattutto ai numerosi Capcom Pro tours, eventi competitivi organizzati da Capcom stessa e al ruolo di main eventer assoluto che Street Fighter V ha rivestito negli ultimi anni all’interno dell’EVO.
Miglior picchiaduro a squadre: Dragon Ball Fighterz
Alzi la mano chi, tra coloro che leggono, non ha mai visto Dragon Ball o addirittura non ha mai sentito parlare di questa serie. Il capolavoro di Akira Toriyama, nato sulle pagine di Shonen Jump nel 1984, è indiscutibilmente il manga/anime più famoso e seguito al mondo.
Si può ben dire che le avventure di Goku e dei suoi amici alla ricerca delle sfere del drago, tra situazioni demenziali, avventure ai confini dell’universo e combattimenti all’ultimo sangue, abbiano ormai guadagnato un posto importante nell’immaginario collettivo della nostra società.
Ancor più dall’inizio della serie Super, che, a partire dal 2016, ha ripreso e portato avanti la trama del manga, ferma ormai dalla metà degli anni ’90, rendendo il brand di Dragon Ball ancora più “vivo” e attuale.
Dopo anni di sofferenza ecco il picchiaduro di riferimento per i fan di Dragon Ball
Una tradizione di cui non andare fieri
Naturalmente, nel corso di tutta la sua storia, la saga di Dragon Ball ha visto il proliferare di un numero davvero incalcolabile di videogiochi a essa dedicati.
Fin dai tempi del NES, a quelli della PS4, sono davvero molti i titoli usciti dedicati a Dragon Ball, con una prevalenza per gli rpg e, naturalmente, per i picchiaduro.
La maggior parte di questi titoli, sfortunatamente, erano assolutamente mediocri e dimenticabili, spesso ben al di sotto delle aspettative dei fan (mi limito qui a ricordare l’osceno Dragon Ball Final Bout per la prima playstation, uno dei picchiaduro 3D peggiori di sempre).
Le cose cominciarono a migliorare con serie come Budokai, Budokai Tenkaichi e i più recenti Xenoverse, che, pur senza risultare capolavori, seppero alzare in modo importante la qualità dei titoli legati al mondo di Dragon Ball.
Giungiamo così al 2018, anno in cui Arc System Works, casa produttrice già famosa per la serie Guilty Gear, realizza Dragon Ball Fighterz, titolo poi edito da Bandai Namco.
Combattiamo!
Il gioco si presenta come un picchiaduro 2D a squadre, nel quale ogni giocatore dovrà selezionare un gruppo di tre combattenti per fronteggiare altrettanti guerrieri nemici, finché tutti i lottatori di una delle due squadre non saranno annientati.
Il titolo non presenta particolari artifici di trama o elaborati collegamenti con l’anime a cui si ispira. Certo, esiste una modalità storia ma sembra quasi un riempitivo, giusto per spiegare in qualche modo la presenza di personaggi che nella continuity della saga dovrebbero essere defunti.
Anche per quanto riguarda il numero di modalità, il gioco non propone nulla di particolarmente innovativo, oltre agli ormai noti arcade, allenamento, modalità online e storia (sebbene uno dei successivi aggiornamenti abbia introdotto anche la modalità camp, composta da una serie di sfide più varie e particolari).
Basterà tuttavia impugnare il joypad e iniziare ad addentrarsi negli scontri per rendersi conto di come il cuore di FighterZ sia nel suo eccezionale gameplay e nell’incredibile spettacolarità dei suoi combattimenti.
Gli assist in Dragon Ball FighterZ
Anime Interattivo
Per quel che riguarda la grafica, il lavoro compiuto da Arc Syetm è semplicemente magistrale. I modelli dei protagonisti sono identici a quelli della serie originale e sono animati con una fluidità e un’eleganza dei movimenti degna delle più recenti produzioni cinematografiche (addirittura, ogni singolo movimento di ogni lottatore è stato ricalcato da tavole originali del maga o da schizzi dell’anime!).
Per quanto concerne il gameplay, invece, esso si presenta subito come piuttosto complesso. Le sfide avverranno 1vs1, con gli altri due personaggi che faranno da supporto e potranno essere chiamati all’azione in ogni momento per sostituire il personaggio attivo o semplicemente per eseguire un attacco di supporto.
Affinare le proprie armi
I personaggi potranno muoversi solo lungo l’asse orizzontale e avranno la possibilità di eseguire due tipi diversi di salto (più lungo o più corto) e anche un doppio salto a mezz’aria. Il giocatore avrà poi a disposizione tre tipologie di attacco (rapido medio e potente), la possibilità di sparare un proiettile di aura e di eseguire una presa, qui chiamata dragon rush, in grado di generare automaticamente una combo.
Ogni combattente avrà anche a disposizione uno scatto (sia a terra che in aria) e persino un super scatto, che ci proietterà automaticamente contro il nemico, innescando possibili combo. Nelle prime fasi di gioco sarà molto semplice abusare di questa tecnica, ma ci renderemo presto conto di quanto essa vada invece usata con attenzione, dal momento che lascia totalmente scoperti a possibili contrattacchi.
Ogni personaggio avrà poi naturalmente a disposizione le proprie mosse speciali e due attacchi dell’aura (denominati attacco speciale e attacco finale), eseguibili tramite l’apposita barra (che può essere caricata automaticamente premendo due tasti insieme) che andranno a consumare rispettivamente uno e tre indicatori del suddetto indicatore. Questi attacchi sono naturalmente molto spettacolari e distruttivi e propongono animazioni di fattura davvero pregevole, andando a ricalcare tutte le mosse segrete più devastanti sfoggiate dai personaggi nel corso dell’anime. La barra dell’aura può arrivare fino a sette indicatori e sarà addirittura possibile eseguire in serie i colpi dell’aura di tutti e tre i nostri lottatori, con risultati a dir poco apocalittici (anche per i fondali!).
Dragon Ball FighterZ è probabilmente il miglior gioco di sempre dedicato all’anime
Il signore delle combo
Rispetto ai picchiaduro affrontati finora, con FighterZ la parola d’ordine è una soltanto: combo!
Il sistema di gioco creato da Arc System infatti si basa fondamentalmente nel riuscire a creare un’apertura nelle difese nemiche per poi andare a inanellare il maggior numero di colpi possibile (si può facilmente superare il centinaio di colpi consecutivi!) per riuscire a decimare i personaggi nemici con una singola offensiva.
Naturalmente, un simile stile di gioco richiede molta pazienza e applicazione. Oltre a dover imparare A MENADITO le combo più potenti dei nostri combattenti (il tutorial in questo purtroppo è abbastanza carente) ed essere in grado di eseguirle sempre alla perfezione, senza errori (il gioco propone anche un sistema di autocombo per venire incontro ai novizi, ma ci si renderà presto conto di quanto esse risultino poco efficaci in una sfida contro un giocatore esperto), sarà altrettanto importante imparare a gestire le primissime fasi del combattimento (il cosiddetto neutral) per evitare passi falsi e mosse avventate e riuscire a cogliere il momento esatto per dare il via alla nostra offensiva e mettere a segno devastanti combinazioni di colpi, super, attacchi di supporto e tutto quanto ci sarà nel nostro arsenale.
Certo, uno stile incentrato in modo così ossessivo sulle combo potrà sembrare poco divertente, ma assicuriamo che si sposa perfettamente sia con l’atmosfera del gioco che coi ritmi indiavolati delle battaglie.
Lavoro di Squadra
Infine, ricordiamo come anche la scelta delle squadre necessiti di molta strategia. I personaggi infatti non andranno scelti solo in base alla nostra capacità di destreggiarci con essi, ma anche in base al ruolo che intendiamo affidare loro.
Il personaggio iniziale sarà colui che avrà il compito di iniziare a mettere a segno le prime combo e, soprattutto, di accumulare gli indicatori d’aura. Il personaggio mezzano disporrà di solito di un attacco di supporto molto forte o comunque insidioso e dovrà essere pronto a sostituire il primo in ogni momento della battaglia. L’ultimo, infine, dovrà capitalizzare il lavoro della squadra, sfruttando gli indicatori messi da parte per scatenare tremendi attacchi in grado di andare a eliminare i membri della squadra avversaria.
Dunque è chiaro come FighterZ rappresenti un incredibile mix tra la frenesia e la velocità delle sue battaglie e la strategia e la tattica per quanto riguarderà la scelta della squadra e la pratica con essa.
Picchiaduro a squadre menzione d’onore
Titoli che richiamano in qualche modo FighterZ sono la serieGuilty Geardi Arc System e la saga crossover Marvel vs Capcom, il cui ultimo episodio, Infinite, ha dato però una sterzata in favore dei giocatori più casual.
La nuova frontiera dei picchiaduro: Super smash Bros Ultimate
E concludiamo il nostro viaggio con quello che è diventato, a tutti gli effetti, il nuovo dominatore del mercato dei picchiaduro. Con quasi 30 milioni di copie vendute, infatti, Super Smash Bros Ultimate è a tutti gli effetti il picchiaduro più venduto di sempre, dopo essere riuscito nell’impresa di superare persino le vendite di un mostro sacro come Street Fighter 2.
Ultimate rappresenta il quarto capitolo dell’ormai leggendaria saga super smash bros, nata nel 1999 su Nintendo 64 ed è apparso su nintendo Switch nel dicembre del 2018.
Benvenuti al party Nintendo delle mazzate!
Botte per tutti i gusti
Se per descrivere Mortal Kombat 11ero ricorso al termine completezza, per Ultimate il termine più consono sarebbe abbondanza. In questo gioco infatti si ha enorme abbondanza di ogni cosa: a partire dai personaggi giocabili (arrivati, grazie ai DLC, all’incredibile cifra di 89), proseguendo per il numero degli stage (espandibile quasi all’infinito grazie all’editor), delle modalità (c’è davvero di tutto: classica, sopravvivenza, avventura, gara di home run, sfide personalizzabili…) e dei bonus e sfide sbloccabili.
Sembra davvero di trovarsi non di fronte a una torta, ma di un’intera pasticceria, al punto che riesce quasi difficile orientarsi all’interno delle possibilità offerte.
Un picchiaduro insolito
Per quanto riguarda il gameplay, il gioco ripropone quasi inalterata la formula vincente dei suoi predecessori.
A differenza dei picchiaduro tradizionali, in Smash Bros l’obiettivo non sarà quello di mandare a zero la barra dell’energia dell’avversario (anche se è possibile giocare anche in questa modalità), bensì riuscire a scagliare il proprio avversario fuori dallo schermo. Per fare ciò però sarà molto importante riuscire a danneggiarlo a sufficienza coi nostri attacchi, finché la percentuale di danno subita dal suo personaggio non sarà sufficientemente alta da permetterne l’eliminazione.
I comandi del gioco sono in apparenza molto semplici: un pulsante per l’attacco, uno per le mosse speciali, uno per il salto, uno per la parata e uno per la presa.
Da questa premessa, il gioco crea un numero incredibile di varianti, con sfide da un minimo di 2 fino a 8 combattenti, incontri a coppie, incontri di sopravvivenza contro stormi di avversari, sfide contro nemici giganti e chi più ne ha più ne metta.
La varietà è tale che, anche in single player, il gioco risulta sempre estremamente fresco e divertente.
Un originale party game
Come ogni picchiaduro che si rispetti, però, Ultimate mostra il meglio di sé nelle sfide multigiocatore.
In questo particolare caso, tuttavia, occorre fare una distinzione. Come accennato in precedenza, smash permette di competere a un massimo di otto contendenti.
Inoltre il gioco presenta stage estremamente complessi e diversificati tra loro, con piattaforme, ostacoli, fasi a scorrimento, rotazioni improvvise dell’asse di gioco e moltissime altre stranezze. Come se non bastasse, durante la sfida appariranno casualmente nello stage una serie di armi e potenziamenti, spesso in grado di capovolgere l’andamento dello scontro.
Ciò vale soprattutto per le capsule degli alleati e la famosa sfera smash, che se spezzata permetterà di ricorrere ai famosi attacchi smash, devastanti tecniche in grado di regalare facilmente una o più eliminazioni.
Super Smash Bros. Ultimate è anche un party game
Con l’anima di un vero picchiaduro
È chiaro come tutti questi fattori aumentino di molto la randomicità delle battaglie, con una serie di dinamiche che male si sposano con la natura competitiva di un picchiaduro, ricordando più da vicino i party games.
Le sfide saranno rigorosamente 1vs1 (o 2vs2 nel caso di gioco a squadre) a vite (di solito 3) in stage di dimensioni ridotte e assolutamente privi di qualunque tipo di ostacolo o azzardo, e senza alcun tipo di arma o bonus, eccezion fatta, a volte, per la sfera smash.
Giocato in questa maniera, Smash sembra un titolo totalmente diverso e rivela tutta la sua complessità e profondità.
La chiave per il successo
Ogni personaggio, infatti, è dotato di un set di mosse e attacchi speciali estremamente vasto, dal momento che entrambi i pulsanti di attacco andranno a combinarsi con la levetta direzionale per generare un numero elevatissimo di tecniche diverse.
Inutile sottolineare che, per riuscire a giocare in modo efficace, il giocatore sarà chiamato ad avere una conoscenza e un controllo praticamente totali del suo personaggio e delle sue caratteristiche. Con un roster sconfinato come quello di Ultimate, sarà davvero arduo memorizzare le caratteristiche e i movimenti di ogni lottatore e raggiungere un buon livello richiederà davvero moltissima pratica e dedizione.
Scalata verso il successo
Il primo passo sarà imparare in modo perfetto i movimenti, in particolare i salti, onde evitare errori grossolani ed eliminazioni banali.
Occorrerà poi individuare la tipologia di personaggio più adatta al nostro stile di gioco (personaggi bilanciati, veloci, massicci, specializzati negli attacchi a distanza, ecc.).
Inoltre, bisogna scegliere quello che tra tutti si adatta maggiormente alle nostre caratteristiche e studiarne ogni attacco e movimento fin nei minimi dettagli.
L’ultimo passo, il più complesso, sarà imparare a conoscere anche tutti gli altri personaggi di Smash, in modo da comprenderne punti di forza e debolezze e avere un gameplan con cui affrontare ognuno di loro.
Ancora una volta, è chiaro che tutti questi passi richiederanno moltissimo tempo e molta, molta pratica, ma in fondo è proprio questo il bello dei picchiaduro: impegnarsi e fare costantemente pratica per riuscire a migliorarsi e diventare sempre più performanti, senza scorciatoie, trucchi o potenziamenti, ma solo con le nostre abilità e la nostra voglia di vincere.
Il 21 aprile 1989 esce in Giappone una nuova console portatile: il Nintendo Game Boy. L’hardware non è il più potente in circolazione e lo schermo LCD è in bianco e nero, o meglio in verde e nero. Nell’odierna folle corsa alle prestazioni, molti direbbero che il Game Boy meriterebbe di fallire, esattamente come gli stessi già dicono di Nintendo Switch. Questa parte della community evidentemente non ha imparato la lezione del Game Boy, la console portatile più iconica della storia videoludica.
La console war tascabile
Nella storia dei videogiochi, il 1989 e il 1990 sono ricordati come l’anno delle console portatili. Nintendo, SEGA e Atarisi contendono il primato sul mercato, rispettivamente, con Game Boy, Game Gear e Lynx.
SEGA e Atari si concentrano sul fornire un prodotto potente e che possa garantire alte performance. Nintendo, invece prende una direzione diversa: Hiroshi Yamauchi, presidente dell’epoca e nipote di Fusajiro, fondatore di Nintendo, chiede che la nuova console debba essere accessibile a tutti: il suo costo non deve superare i 100 dollari.
Il progetto è affidato al team R&D1 diretto da Gunpei Yokoi, autorevole figura della compagnia grazie ai successi ottenuti con i Game & Watch e oggi ricordato come leggenda del mondo videoludico: ha inventato i controller con croce direzionale. Con Yokoi, Nintendo prende la scelta più naturale: la futura console portatile dovrà essere la naturale evoluzione dei Game & Watch.
Gunpei Yokoi
Game & Watch
Nel 1980, Nintendo vende i primi Game & Watch, videogame portatili composti da uno schermo LCD e un microprocessore. Gunpei Yokoi ebbe l’intuizione dei Game & Watch guardando un annoiato business man giocare con la sua calcolatrice elettronica durante un viaggio in treno.
Cosa hanno in comune una calcolatrice elettronica e una console portatile? Uno schermo LCD. I Game & Watch permettono di giocare a un singolo titolo, solitamente molto semplice nel suo game design. In particolare, per abbassare i costi e necessità computazionali, i Game & Watch hanno uno sfondo di gioco statico disegnato sullo schermo LCD. L’idea di portare la tecnologia LCD nel mondo dei videogiochi è un vero successo: i Game & Watch vendono oltre 43 milioni di unità, più di Nintendo 64 e quasi il doppio rispetto alla prima Xbox e GameCube.
Game & Watch
L’evoluzione di un successo
Nel 1990, il Nintendo Research & Development No. 1 Department deve evolvere il concetto di Game & Watch lavorando su due punti: creare un’unica console che possa far giocare a più videogiochi e mantenere un basso prezzo di vendita.
Un progetto complicato, ma possibile grazie alle novità tecnologiche che rendono quell’anno il periodo perfetto per portare sul mercato nuove console portatili: il bassissimo costo dei display LCD, di cui il Giappone diviene il maggior fornitore grazie ad aziende come SHARP, che garantirà gli schermi alla nuova creatura di Nintendo.
Il Game Boy e il suo schermo LCD
Successo immediato
Dopo un travagliato sviluppo, non privo di veleni interni all’azienda, il Game Boy vede la luce con un obiettivo ben preciso: dare la possibilità ai videogiocatori di godersi i titoli del NES in portabilità; di conseguenza, il naturale candidato a primo gioco della storia del Game Boy sembra essere Super Mario. In realtà, i videogiochi disponibili all’uscita, in Giappone, sono quattro: Super Mario Land, Tetris, Alleyway e Yakuman. In Europa, invece i titoli disponibili al day one furono gli stessi a meno di Yakuman, che mai uscì dai confini nipponici.
Sorprendentemente, negli Stati Uniti il Game Boy esce con un titolo pre-installato: Tetris. La scelta è presa direttamente dal presidente di Nintendo America, Minoru Arakawa, che vede nel puzzle game per PC il titolo con maggior appeal per il pubblico statunitense. La sua intuizione è corretta: durante tutta la storia, il Game Boy venderà di più soprattutto in Nord America.
Purtroppo, Nintendo non ha mai fornito dati per ogni singola versione del Game Boy prodotta, ma possiamo comunque confermare che è stato un successo sin dal primo giorno. In tutta la sua storia, il Nintendo Game Boy (e Game Boy Color) ha venduto oltre 118 milioni di unità. Numeri straordinari che risultano ancora più sorprendenti se pensiamo che il Game Boy è la terza console più venduta di sempre (battuta solamente da PlayStation 2 e Nintendo DS), mentre i suoi rivali diretti, SEGA Game Gear e Atari Lynx, hanno venduto rispettivamente 10,5 e 3 milioni di unità.
Vendite del Game Boy per regione di vendita (in milioni)
Analisi di un successo tascabile
Come anticipato all’inizio di questo articolo sulla storia del Game Boy, la console portatile Nintendo era la peggiore in termini di prestazioni e qualità del suo schermo; di conseguenza, come ha fatto Nintendo a vincere la grande guerra del portable?
Il grande vantaggio di Game Gear e Atari Lynx rispetto al Game Boy era lo schermo LCD. I competitor Nintendo vantavano uno schermo LCD a colori, mentre la console Nintendo aveva un display in bianco e nero senza retroilluminazione. Questo malus garanti però al Game Boy tre plus che fecero la differenza: numero e durata delle batterie; dimensioni; prezzo di vendita.
Il Game Boy necessitava di 4 batterie per una durata di gioco di più di 10 ore; Game Gear e Lynx richiedeva 6 batterie e aveva una durata di meno di 5 ore.
Inoltre, il Game Boy entrava in una tasca dei jeans, poiché la dimensione della sua prima versione era 148 x 90 x 32 mm. Non si può dire lo stesso del Game Gear (209 x 111 x 37 mm) e soprattutto di Atari Lynx (273 × 108 × 38 mm). Questa feature ha reso il Game Boy una console tascabile, invece che portatile.
Game Boy, Game Gear e Atari Lynx: dimensioni a confronto
Lunga vita al Re
L’immediato successo della console garantì al Game Boy una vita lunga 14 anni con svariate versioni più o meno migliorate.
La prima è il Game Boy Play It Loud! (1995), che ottiene uno speaker, ma soprattutto aggiunge varie colorazioni alla scocca. La vera rivoluzione è il Game Boy Pocket (1996): le dimensioni sono ridotte, lo schermo migliorato, ma ancora in bianco e nero e soprattutto richiede solamente due batterie mini stilo. Inoltre, un’interessante versione denominata GameBoy Light (1997) viene resa disponibile nel solo Giappone: lo schermo è ora retroilluminato. Infine, la perfezione è raggiunta con il Game Boy Color (1998): lo schermo LCD è a colori e viene presentato in Occidente insieme al Re dei giochi tascabili: Pokémon Rosso/Blu.
Game Boy Color
I giochi più venduti su Game Boy
La grande forza di Nintendo sono sempre stati i titoli proprietari; in particolare, il Game Boy ha potuto attingere alla vasta libreria della storia Nintendo e in particolare di NES. Questo ha permesso alla tascabile di Nintendo di avere una libreria di oltre 1000 videogiochi.
La classifica dei giochi più venduti vede in testa sei nomi; in ordine di successo: Pokémon, Tetris, Super Mario, Donkey Kong, Kirby e The Legend of Zelda.
Videogiochi Game Boy
Pokémon su Game Boy
Tutto ebbe inizio il 27 febbraio 1996 con Pokémon Rosso e Verde. Il 15 ottobre dello stesso anno arriva, in Sol Levante, anche Pokémon Blu. Solo il 5 ottobre 1999 sarà il turno anche di noi europei.
Gli aneddoti sui Pokémon sono tantissimi così come il suo incredibile successo, che ha indubbiamente influenzato anche le vendite del Game Boy Color; del resto, Pokémon Blu, Giallo, Rosso e Verde hanno venduto oltre 46 milioni di copie in tutto il mondo.
Tra i grandi successi di mercato, vale la pena citare anche Pokémon Oro, Argento, Cristallo che hanno collezionato oltre 24 milioni di copie vendute, Pokémon Pinball con più di cinque e il mio spin-off preferito, Pokémon Trading Card Game con più di tre milioni di unità vendute.
Le versioni nipponiche di Pokémon Rosso e Verde
Il franchise, che su Game Boy ha totalizzato il numero record di 84.54 milioni di copie vendute tra tutti i titoli, deve molto del suo successo proprio alla console, piuttosto che il viceversa; infatti, quando uscirono Pokémon Rosso e Verde, il Game Boy era già entrato nella storia come la console più venduta di sempre e si era già affermata da quasi un decennio come un successo planetario. D’altro canto, il termine Pokémon è un’abbreviazione di Pocket Monsters, cioè mostri che sono potuti essere tascabili proprio grazie alla sua console nativa.
Tetris: dove tutto ha avuto inizio
Probabilmente il Game Boy sarebbe stata la miglior console tascabile del suo tempo e una delle migliori di tutti i tempi anche senza l’intuizione di Minoru Arakawa, ma non possiamo negare che Tetris abbia velocizzato il processo. Dopo Pokémon, Tetris è il videogioco con il maggior numero di copie vendute: 35 milioni! Numero mai raggiunto nemmeno dalla seconda generazione di Pokémon né dall’intera saga di Super Mario su Game Boy.
I successivi Tetris 2 e Tetris DX non hanno avuto i numeri assurdi del primo capitolo, ma insieme superano comunque le tre milioni di copie vendute.
Bundle Game Boy con Tetris
Super Mario su Game Boy
Super Mario significa Nintendo e viceversa. Non stupisce dunque che l’idraulico italiano sia presente in questa speciale classifica. Inoltre, considerando che Super Mario non è mai stata soltanto una saga di platform, non deve nemmeno stupire che i giochi con milioni di vendite siano tanti e di diversa natura.
I titoli di Super Mario hanno collezionato nella storia di Game Boy vendite per 34.39 milioni di unità. Il più venduto è Super Mario Land, mentre il secondo è Super Mario Land 2: 6 Golden Coins con, rispettivamente, 18 e 11 milioni di copie vendute in tutto il mondo. Tutti gli altri titoli che superano il milione di copie si assestano, ognuno, intorno alle 5 milioni di unità vendute: Dr. Mario; Wario Land: Super Mario Land 3 e Super Mario Bros. Deluxe. Fanalino di coda con poco meno di 2 milioni: Mario Tennis.
Super Mario Land
Donkey Kong di Rare
La storia di Donkey Kong è alquanto bizzarra e richiederebbe svariati articoli. La serie dello scimmione nipponico ha dato il via alle grandi IP di Nintendo, ma ha subito anche bruschi stop. Il Game Boy ha avuto il pregio di rilanciare la serie, anche grazie all’incredibile lavoro svolto da Rare tra il 1994 e il 1997.
Donkey Kong ha totalizzato vendite per 12.55 milioni di unità grazie a giochi di qualità eccelsa. Il più venduto con quasi 4 milioni di unità vendute è: Donkey Kong Land; segue il porting della versione arcade, denominato semplicemente Donkey Kong con 3 milioni. Inoltre, hanno superato il milione di copie vendute anche Donkey Kong Land 2 (2 milioni), la remastered del titolo per Super Nintendo: Donkey Kong Country (2 milioni) e Donkey Kong Land 3 (1 milione).
Donkey Kong Land nipponico
Kirby su Game Boy
Noi europei non abbiamo mai veramente capito la serie della palletta rosa. Del resto, gli oscuri nemici di Kirby sono tra le cose più inquietanti che io abbia mai visto. I giapponesi, invece lo adorano e i dati lo dimostrano: Kirby ha venduto complessivamente, su Game Boy, 10.91 milioni di copie superando anche l’iconica saga di The Legend of Zelda.
Kirby’s Dream Land ha ottenuto il record di 5 milioni di copie vendute, mentre il sequel si è fermato a poco più di 2 milioni di unità. Completano l’opera gli spin-off Kirby’s Pinball Land con 2 milioni e Kirby Tilt ‘n’ Tumble (mai arrivato in Europa) con un milione di unità vendute.
Kirby’s Dream Land
The Legend of Zelda su Game Boy
La saga di Link non ha ricevuto molte trasposizioni per Game Boy. Il motivo lo si può trovare nei due capolavori degli anni ’90 per Nintendo 64: Ocarina of Time e Majora’s Mask. Questi due titoli hanno oberato di lavoro i team di sviluppo, diminuendo la potenza di fuoco creativa per la versione tascabile. Nello specifico, The Legend of Zelda: Link’s Awakening è divenuto un videogioco con una propria trama solamente quando Takashi Tezuka prese la direzione del titolo; infatti, l’idea originale era di portare su Game Boy il capolavoro di SNES: A Link to the Past.
The Legend of Zelda: Oracle of Seasons
The Legend of Zelda: Link’s Awakening è ancora oggi un gioco molto apprezzato dagli utenti e dalla critica. Ha venduto 3.8 milioni di copie a cui bisogna aggiungere le ulteriori due milioni di unità vendute dalla sua versione a colori, The Legend of Zelda: Link’s Awakening DX del 1998.
Paradossalmente, i meno brillanti The Legend of Zelda: Oracle of Seasons e Oracle of Ages sono i videogiochi della saga di Link che hanno venduto più di tutti su Game Boy (Color): 3.9 milioni di copie.
Nell’immaginario collettivo quella dei pirati è la categoria che, probabilmente, più suscita emozioni. Si pensi al coraggio, all’efferatezza, ai tradimenti, alle imprese eroiche… se poi ci mescoliamo anche la magia vodoo, antiche tradizioni e tesori meravigliosi, il cocktail è perfetto. I pirati sono i cattivi ai quali tutto è concesso ed è per questo che sono, forse, tra i personaggi più amati.
Innumerevoli sono le trasposizioni cinematografiche del mondo piratesco: alla famosissima saga di Capitan Jack Sparrow e dei suoi Pirati dei Caraibi, che tutti conosciamo ed amiamo, mi piace affiancare Master and Commander, film del 2003 diretto da Peter Weir con protagonista Russell Crowe, che narra le vicende del Capitano Jack Aubrey alle prese con l’inseguimento di una nave corsara. Il film, lontano dalla trama ai confini con la realtà di Sparrow, riporta tutto su un piano più realistico, sulla vita dei marinai di fine XVII secolo, su tattiche di guerra navale e sul coraggio dei suoi protagonisti. E il mondo videoludico? Di certo non poteva restare a guardare!
Videogiochi corsari
La storia dei videogiochi è stata spesso costellata da titoli, di diversi generi, che hanno trattato i pirati. Il più grande di tutti? Monkey Island e i suoi ben quattro episodi – la cui trama è stata snocciolata in questo articolo – che ci guidano lungo la storia di un giovane pirata, inesperto, alla ricerca della sua avventura della vita. Il genere è quello di avventura grafica. Altri titoli che non possono mancare nella collezione di un appassionato che si rispetti è Sid Meier’s Pirates!, un adventure/gestionale e il più recente Sea of Thieves, un titolo in prima persona, che porta il giocatore in giro per i sette mari, alla ricerca di tesori, maledizioni pirata e leggende.
La Saga di Monkey Island
La più famosa serie di videogiochi sui pirati, nonché, la mia preferita, narra le gesta dell’aspirante pirata Guybrush Threepwood. Parliamo di Monkey Island, avventura grafica targata Lucasarts, soprattutto riferendosi ai primi due titoli: The Secret of Monkey Island e Monkey Island 2: Le Chuck’s Revenge. Nati entrambi dall’estro di Ron Gilbert, Tim Schafer e Dave Grossman.
I successivi due capitoli della serie, invece anche se prodotti sempre dalla Lucas hanno genitori diversi: The Curse of Monkey Island, che riprende idealmente le fila dalla fine del secondo capitolo e The Escape from Monkey Island, titolo che, ahimè, nonostante una buona storia di fondo, snatura un po’ il concetto di avventura grafica classica implementando un 3D che spesso storce il naso alla fluidità del gameplay creando problemi nella gestione della visuale.
Differenze tra gli episodi
C’è da chiarire un punto: i primi due capitoli, datati 1990 e 1992 sono frutto di quella mente geniale di Ron Gilbert e del suo team. e si vede. Le storie trasudano comicità ed ironia in ogni momento, spronando il giocatore ad andare avanti anche solo per il gusto di sapere quale altra battuta ironica o pungente lo aspetta.
I successivi due capitoli, per quanto la Lucasarts abbia tentato di renderli appetibili come i predecessori, risultano sì godibili, ma non hanno la stessa verve dei titoli di Gilbert: Nello specifico, il terzo capitolo, The Curse of Monkey Island, abbandona la “pixel art” dei primi due, prediligendo una grafica “cartoonata” gradevole, implementando contestualmente effetti vocali nella serie. Ebbene sì, conosceremo la voce del nostro amato Guybrush! Il sistema vocale è oggi la normalità per un videogioco, ma nel 1997, anno di uscita di The Curse of Monkey Island, la feature non era così scontata.
La storia del nostro Guybrush
La trama è la classica storia di ogni bucaniere che si rispetti: Guybrush Threepwood, aspirante pirata, sbarca sull’isola di Melee per cercare fortuna, troverà invece l’amore della sua vita, Elaine Marley, governatore di Melee e ossessione della nemesi di Guybrush, il pirata fantasma Le Chuck che farà di tutto per sposare la donna. Guybrush però, tra battaglie di fini battute sarcastiche (avete presente il detto la lingua taglia più della spada? Ecco!), magie vodoo, teste di scimmia giganti, cannibali vegetariani e naufraghi strampalati, riuscirà nell’intento di rovinargli decisamente la festa distruggendo, alla fine del primo episodio, la sua essenza spirituale.
Nel secondo capitolo le cose si fanno decisamente più complicate: in Le Chuck’s Revengeil nostro eroe dovrà trovare il meraviglioso tesoro di Big Whoop, approdando su ben tre isole diverse, mentre il cadavere marcio, putrefatto e maleodorante di Le Chuck, riportato in vita dalla magia Vodoo, gli darà la caccia.
Per i puristi della saga la storia si ferma qui, i secondi due episodi (a cui volendo, potremmo aggiungere il quinto, prodotto da Telltale Games sotto licenza) non sono frutto della mente di Gilbert e quindi non degni di nota.
Return to Monkey Island : il suo segreto verrà finalmente rivelato?
Con queste premesse appare chiaro come l’hype, l’attesa per il tanto agognato sequel, firmato Ron Gilbert, di Monkey Island sia ormai a livelli altissimi. Per chi si fosse perso la notizia (ma dove vivete?!), il primo aprile scorso, in linea con un mega fantascientifico “pesce di aprile”, viene annunciato Return to Monkey Island. La comunità è in fibrillazione, ci si chiede se sia vero, ma fortunatamente man mano che il tempo passa le notizie diventano più certe, cominciano a girare i primi screenshots e addirittura l’anno di rilascio, 2022! Il gioco sarà disponibile inizialmente per PC e Switch, poi probabilmente anche per le altre piattaforme.
Il rilascio del titolo non ha solo un valore tecnico, non è solo un’altra avventura grafica che potrà essere bella per alcuni e brutta per altri. Return to Monkey Island sarà un tuffo nel passato per tutti coloro che hanno superato gli “anta”, per coloro che hanno trascorso la loro giovinezza dietro a dei pixel che lasciavano immaginare grandi imprese, duelli di spade e donzelle da salvare e poco importa se la grafica non è in linea con gli standard di oggi, cosa che ha deluso più d’uno.
Non importa se entrerà nella lista dei migliori videogiochi sui pirati o se la trama non soddisferà tutti. L’uscita di un nuovo Monkey Island è sempre un evento che lascia speranze di emozioni nuove, ma anche di emozioni che possano rinverdire i fasti di quelle passate; un titolo, quello di Gilbert, che è un’opera d’arte, senza tempo, a pieno titolo nel gotha della storia di videogiochi. Non ci resta che attendere il 19 settembre, data realistica del rilascio (a meno di clamorosi rinvii) davanti ad un rinfrescante boccale di grog!
Sea of Thieves
Sea of Thieves è un open world in cui si vivrà un’esperienza piratesca totale, dai combattimenti alla navigazione, dalla pesca alla caccia, con un’infinità di obiettivi secondari da sbloccare, scheletri da sconfiggere, tesori da trovare. Salpa con la tua ciurma: Sea of Thieves è uno dei migliori videogiochi sui pirati e l’unico di questa lista che supporta il gioco multiplayer consentendo di incontrare altre ciurme di pirati e decidere se allearsi con esse o combatterle. Una libertà praticamente infinita è data all’avventuriero che deciderà di solcare questi mari.
Sid Meier’s Pirates!
Sid Meier’s Pirates!, targato Microprose, anno di uscita 1987, è uno adventure/gestionale in cui si simulerà la vita di un pirata. Beh… non proprio di un pirata, ma di un corsaro al servizio di re di vari nazioni (la scelta della nazione da servire indica il livello di difficoltà del gioco). Però, la fedeltà ad una nazione non deve per forza rimanere tale. Nel corso del gioco si potrà cambiare bandiera, come si potranno catturare altri banditi e consegnarli alla legge per ottenere le ricompense, salvare donzelle rapite, conquistare città e forti. Non c’è una storia a fare da conduttore, ma la storia la creerà il giocatore mano mano che effettuerà le proprie scelte.
Nonostante l’anno d’uscita, Sid Meier’s Pirates! è uno dei migliori videogiochi sui pirati di sempre, tanto che nel 2004 è stato proposto un remake del titolo ad opera di Firaxis (che attualmente ne detiene i diritti) in cui è stato introdotto un motore 3D che ha migliorato il comparto grafica complessivo, è stato migliorato il sistema di combattimento e introdotto la fase del ballo, dove il protagonista prima di conquistare l’agognata donzella deve sfoggiare abilità danzanti.
Mi sono preso un intero anno per scoprire il motivo per cui FUT sia così giocato e se sia solo una prerogativa dei casual gamer. Alla fine del viaggio, ho scoperto che FIFA Ultimate Team ha delle meccaniche casual, ma tanti suoi videogiocatori sono molto seri, con ben poco di occasionale. Ho dovuto studiare il gioco, sbagliare, capirne l’economia e il gameplay, ma ora sono pronto per fornirvi la guida più completa per affrontare un’intera stagione su FIFA Ultimate Team.
EA sta guadagnando i massimi grazie alle microtransazioni di FUT
I periodi di FIFA Ultimate Team
Free-to-play è possibile…
La guida di FIFA Ultimate Team non può che iniziare parlando delle microtransazioni. Il denaro reale ha un’importanza altissima su FUT, così come nei tantissimi altri gatcha disponibili sul mercato. Nonostante tutto però, senza spendere nemmeno un euro, ho raggiunto la massima divisione e ottenuto ottimi risultati durante la FUT Champions (ex Weekend League).
… ma non sarete mai i migliori
Purtroppo, questo non significa che sia possibile diventare un top player o raggiungere facilmente l’agognato 20-0 durante la FUT Champion; questi risultati sono sicuramente frutto di allenamento e talento, ma i giocatori contano tanto, molto spesso troppo. Del resto vi basta avviare una partita in Squad Battle con una squadra di scarso livello (per esempio: solo giocatori argento come richiesto da alcune sfide leggenda). Sarà spesso una passeggiata vincere le partite in cui la CPU ha una squadra scarsa, ma sarà una vera agonia fare lo stesso contro un team composto da giocatori speciali e costosissimi.
FIFA Ultimate Team: la mia formazione finale (inizio maggio)
All’inizio la skill conta
Le prime due stagioni (circa i primi tre mesi) sono state il momento migliore del mio percorso su FIFA Ultimate Team. Nonostante in questo periodo ci siano già calciatori rotti, la probabilità di beccare videogiocatori con squadre imbattibili è drasticamente più bassa rispetto ai mesi successivi. Per questo motivo, la prima cosa da fare è scoprire il meta del gioco e imparare tutte quelle tattiche e tecniche per dominare le partite. Da settembre fino a dicembre, la skill personale conta e si costruiscono le basi per poter affrontare al meglio il resto della stagione; di conseguenza, per vincere bisogna prima di tutto imparare le meccaniche di gioco.
Tragedia TOTY
L’evento più importante è il Team of the Year di fine gennaio, perché è possibile trovare all’interno dei pacchetti i migliori giocatori dell’anno, che ci porteremo dietro praticamente fino alla fine. Dato che la percentuale di drop è di circa l’1% per pacchetto, l’ideale è accumulare circa 100 pacchetti da aprire durante l’evento. Purtroppo per molti giocatori, questo si può tramutare in una grande delusione; infatti, come capitato a me, non trovare nemmeno un TOTY significa avere una squadra molto più debole rispetto ai fortunati rivali e nessun introito dalla vendite; di conseguenza, ritengo i TOTY uno spartiacque ingiusto perché il loro impatto, dovuto dalla fortuna, cambia eccessivamente le sorti dell’intera stagione.
Il Team of the Year di FIFA 22
Economia di gioco
La FUT Champions genera denaro
Fino allo scorso anno, la Weekend League era il terreno dei pro player. Da quest’anno, la WL è stata sostituita dalla FUT Champion, che non ha alcun ruolo nel panorama competitivo, ma è comunque importante; infatti, i premi sono il modo migliore del gioco per accumulare diversi pacchetti e di conseguenza calciatori da vendere, o scambiare. Inoltre, l’evento del fine settimana garantisce dei pacchetti TOTW (Team of the Week), i cui giocatori sono fondamentali per le SBC, il vero motore del gioco f2p.
Le SBC sono fondamentali
L’errore principale per un videogiocatore free-to-play di FIFA è scegliere le Squad Building Challenge sbagliata (in italiano SCR, Sfida Creazione Rosa); infatti, le SBC sono l’unico modo per ottenere giocatori forti senza contare sulla fortuna. Per questo, è assolutamente fondamentale documentarsi attraverso le player review sui migliori giocatori da sbloccare (io seguo HOLLYWOOD285).
Le SBC sono fondamentali
Il tempo è denaro
Se avete tempo da spendere, potete anche sbloccare i giocatori gratuiti durante gli eventi, ma per me sono stati un optional, poiché raramente si tratta di calciatori sufficientemente forti da poter schierare nelle divisioni più alte. Lo stesso vale per la compravendita. Il tempo da dedicare è così elevato, anche con le tecniche più semplici di compravendita, che non ne vale la pena.
Le swaps sono le migliori (tranne le leggende)
Tra gli eventi che ho incontrato durante l’anno, quelli che mi hanno dato maggiore soddisfazioni sono le swaps e tutto quello che ha a che fare con i token. Questi giocatori-gettoni si accumulano completando una serie di sfide e sono usati per sbloccare pacchetti o giocatori speciali.
Richiedono un po’ di tempo, ma la loro natura permette di pianificare anche un intero mese di gioco garantendo quasi sempre buoni risultati. Nel mio caso, ho avuto la fortuna di ottenere, purtroppo non scambiabile, la carta Future Star di Jude Bellingham, uno dei migliori centrocampisti del gioco su cui ho basato l’intera squadra.
Discorso inverso invece per le leggende. Completare le sfide, soprattutto le Squad Battle, è troppo oneroso in termini di tempo e fatica; nello specifico, solo un enorme colpo di fortuna ci garantisce un giocatore di altissimo profilo, poiché la maggior parte delle leggende sono giocatori mediocri, utili solo per l’intesa.
Gli scambi (swaps) Future Stars
Gameplay e costruzione squadra
Tutti i videogiochi online obbligano il videogiocatore a seguire il META. Troverete questo consiglio in ogni guida di qualsiasi gioco e la mia di FIFA Ultimate team non è differente. Le patch correttive cambiano il gioco radicalmente e per rimanere ad alti livelli bisogna sapersi adattare su tutti i fronti. Moduli, skill e giocatori utilizzabili cambiano nel tempo: rimanere aggiornati è una priorità.
I moduli sono la base della costruzione della squadra. Se sei un pro player di FUT puoi usare il 4-2-3-1 tutto l’anno; viceversa, devi abituarti a cambiare modulo nel tempo e imparare a gestirlo al meglio. Nel giro di pochi mesi ho giocato il 4-4-2, il 4-1-2-1-2 fino ad arrivare al 3-5-2, modificando ampiezza, pressing e comandi individuali. Fallo anche tu!
Il discorso è meno impattante per i calciatori. Solitamente ogni edizione di FIFA predilige un certo tipo di giocatori. Quest’anno è stato l’anno di quelli veloci, che si girano velocemente sul posto; di conseguenza, è stato necessario saper valutare le sub-stat dei calciatori per capire chi valga la pena acquistare ed evitare come la peste i famosi tronchi.
Jude Bellingham ha trainato la mia squadra di FUT
Segui le stelle
Inizialmente non avevo dato molto peso a due importantissime statistiche: piede debole e stelle skill. Queste caratteristiche hanno la particolarità di essere valutate tramite delle stelline, da una fino a cinque. Inizialmente, non volevo imparare le skill e pensavo che mai sarei arrivato a livelli così alti da avere la necessità di rendermi imprevedibile con giocatori che potessero girarsi indifferentemente da un lato o dall’altro grazie alla quinta stelle piede debole. Andando avanti però mi sono reso conto che FIFA può anche essere meritocratico e nelle divisioni più alte (dalla terza in poi) è stato necessario aggiungere in squadra giocatori con cinque stelle skill e cinque piede debole.
Il motivo per cui siano così costosi è totalmente giustificato: fare un elastico a ridosso dell’area fa la differenza, mentre avere un trequartista che segni con tutte e due i piedi svolta le partite.
Vinicius Junior, un crack anche in FUT
Impara le skill fondamentali
Volevo essere un no skiller, ma mi sono dovuto ricredere per due motivi. Il primo è che skillare aumenta il livello del proprio gioco e ci completa come videogiocatori; il secondo è che skillare è facile. Giocare a FUT richiede riflessi, ma non enormi abilità. Chi come me ha giocato a diversi picchiaduro (anche molto tecnici come The King of Fighters XV) non avrà alcun problema a effettuare un reverse elastico o roll ball+fake shot davanti l’area di rigore.
Soffermati un attimo a capire quale siano le migliori skill da imparare e usale al meglio; per farlo, il mio ultimo consiglio è quello di guardare le partite dei pro player. Questa regola generale, valida per tutti i giochi competitivi, ha senso anche su FIFA. Seguire i consigli dei pro player, ma soprattutto guardarli all’opera mentre giocano, mi ha permesso di emularli con ottimi risultati.
Sempre per la serie di articoli che appartengono al variegato mondo del gioco, oggi vi presento l’interessantissimo progetto I Cancelli di Hellwinter, aiutato come di consueto dal fondamentale contributo dei suoi creatori e curatori.
Con te, Andrea, ci conosciamo da diversi anni, e sei già stato nostro ospite con un’ampia intervista; di conseguenza, direi che è venuto il momento di conoscere anche gli altri ragazzi del party de I Cancelli di Hellwinter. Presentatevi!
Danilo: Eccomi! Sono Danilo Frontani, classe 1980. Sono da sempre un appassionato dei giochi a 360 gradi. Ho iniziato da giovanissimo a giocare ai GDR, poi sono venuti i boardgame e i giochi di carte. Amo anche videogiocare, e se esce un nuovo CRPG potete star sicuri che lo acquisterò. Che poi riesca a finirlo è un altro paio di maniche!
Gianluca: Ciao, sono Gianluca Boccia, ho 43 anni e sono un accanito giocatore di ruolo da più di 30. Amo in particolare le ambientazioni fantasy e il mio GDR del cuore è D&D. Ma sono anche un appassionato di boardgame e videogame.
Marcello: Ciao a tutte/i! Sono Marcello Scarponi, classe 1974. Anche io sono un giocatore veterano e appassionato. Amo la fantascienza e il mio GDR preferito è Cyberpunk, anche se non ci gioco più da tanto tempo. In passato sono stato anche un amante dei giochi di carte collezionabili e non. E sono stato costretto a dire addio alla XBox da quando mia figlia Flavia ha infilato una pila di DVD nel lettore tutti insieme!
Per iniziare, raccontateci che cos’è il podcast de I Cancelli di Hellwinter, come si struttura e come è nata l’idea.
Andrea: L’idea di Hellwinter mi è venuta dopo aver ricevuto da Matteo Poropat e Marco Caponera il suggerimento di trasferire su podcast gli audioracconti e il radiodramma Sotto una Luna Spezzata che avevo caricato sul mio canale YouTube. All’inizio ero un po’ titubante, credevo fosse una cosa complicata da gestire, poi mi sono studiato il tutto, ho capito che potevo farlo, e quindi ho lanciato Hellwinter.
Danilo: All’inizio, quando Andrea ci ha chiesto di registrare delle puntate di cazzeggio ludico insieme a lui, tutto era partito come una cosa molto leggera, solo un gioco. Poi ci siamo innamorati del formato radiofonico, e abbiamo cominciato a fare un po’ più sul serio, con un team che si è evoluto e definito nel tempo.
Gianluca: Guarda, ci siamo convinti a impegnarci di più sulle uscite del podcast quando abbiamo toccato con mano il riscontro positivo da parte delle amiche e degli amici della community, che davvero non ci aspettavamo! Come diciamo sempre, abbiamo scoperto che le avventuriere e gli avventurieri che ci ascoltano si divertono almeno la metà di quanto ci divertiamo noi a registrare!
Marcello: Ma la verità, in fondo, è che siamo dei nerd che non hanno una vita!
Hellwinter GDR – Cronache della Luna Spezzata
Personalmente sono rimasto assai colpito dal radiodramma e dagli audioracconti, in particolare Il Giardino di Pietra, che è un audioracconto interattivo in quattro puntate. Cosa potete dirmi su questo progetto?
Andrea: L’idea mi è venuta sempre nell’ambito delle sperimentazioni che faccio con i giochi interattivi. Se ci pensi, il funzionamento è lo stesso di un LibroGame: si arriva a un bivio e si fa una scelta. Per Il Giardino di Pietra alla fine di ciascuna puntata ho pubblicato dei sondaggi, e poi ho scritto e registrato il seguito della storia in base alla preferenza di chi aveva votato. La cosa è talmente piaciuta che poi l’ho replicata con dev/null: l’audioracconto interattivo che introduce alle vicende di Hong Kong Hustle e che si può ascoltare e giocare sul sito di Aristea”.
Marcello: Diciamo anche che a tutti noi piacciono molto i radiodrammi, che da ragazzini ascoltavamo sulla RAI. Peraltro, su RaiPlay Sound si possono trovare ancora tutti, comprese le riduzioni di Dylan Dog, Tex, Diabolik e Philip Dick. Per le ragazze e i ragazzi più giovani che non li hanno mai ascoltati, potrebbe essere una bella scoperta!
Audiolibri, audioracconti e radiodrammi…
E la campagna di GDR di Hellwinter? Che regolamento usate, e come fate a farla sembrare quasi un radiodramma? Dite la verità, giocate “a copione”?
Andrea: L’ambientazione della campagna è farina del mio sacco, ed è la stessa degli audioracconti e del radiodramma Sotto una Luna Spezzata. Anche il regolamento è stato sviluppato da me.
Marcello: Dopo alcune prove, il regolamento lo abbiamo poi limato appositamente per riuscire a giocare su podcast – o in generale online – in modo agilissimo e veloce.
Danilo: Poi considera che noi giochiamo insieme da una vita. È questo forse che dà l’effetto “radiodramma”. In realtà si tratta di una intesa fra di noi che, come avrai capito, è trentennale.
Gianluca: Oltre comunque al fatto che siamo accomunati dalle medesime letture, passioni cinematografiche e di serie TV. Siamo molto in sintonia. Comunque, per rispondere alla tua domanda, non giochiamo a copione e ogni puntata è per noi sempre una nuova scoperta!
Ho alcune curiosità “tecniche”: come gestite e dove pescate le musiche, gli effetti sonori e compagnia bella?
Andrea: Ci sono diversi siti web che offrono musica ed effetti sonori gratuitamente e per il libero uso, a patto di citarne la fonte. E qualcosa, come la sigla iniziale delle puntate, l’ho composta ed eseguita io. Per il resto, registriamo online multitraccia su una piattaforma dedicata al podcasting. Poi mi dedico al montaggio audio con GarageBand.
I Cancelli di Hellwinter è un progetto fine a se stesso (frutto di puro divertimento) oppure vuole trasformarsi in qualcos’altro, per esempio in un prodotto multimediale, di fruizione di contenuti, in un progetto editoriale o altro? In particolare mi riferisco da un lato alle interviste Hell Talks e ai Winter Party, dall’altro alla campagna GDR e alla relativa ambientazione.
Andrea: Hellwinter è già un piccolo network multimediale, con un podcast e un blog, più un paio di social media. E non ti nascondo che vorrei tantissimo riuscire a far crescere e conoscere l’ambientazione di Hellwinter in vista di un qualche possibile progetto editoriale futuro!
Danilo: Inoltre, in autunno, se tutto va bene, contiamo di sbarcare anche su Twitch, dove porteremo brevi campagne GDR sia di grandi classici, sia delle ultime uscite.
Gianluca: Comunque è un progetto nuovo. Non abbiamo un’idea precisa di come si evolverà. Ci piace molto, al momento, lasciarci trasportare dalla corrente.
Marcello: L’idea che ci ispira è quella di esplorare diverse forme di comunicazione, e di avere una scusa eccellente per provare un sacco di nuovi giochi! Inoltre, da quando abbiamo cominciato, abbiamo stretto delle bellissime amicizie con tante protagoniste e protagonisti della community ludica italiana. E questa è una delle soddisfazioni più grandi!
Rayn GDR cartaceo (Aristea – 2022)
Sul blog c’è una serie di articoli relativa ai videogame, e avete anche dedicato due puntate del podcast ai CRPG e ai MMORPG. Visto che questo è il nostro ambito, cosa vi va di dirci in merito?
Danilo: I GDR sono per loro natura un medium multipiattaforma. Ne esistono moltissimi in formato videoludico, e noi non ci tiriamo mai indietro quando si tratta di immergersi in nuovi mondi fantastici!
Gianluca: Considera che noi siamo cresciuti con il mezzo videoludico sin dall’era gloriosa delle sale giochi. Vi ricordate Dungeon Hack e le avventure testuali con parser per il Commodore 64? Beh, noi c’eravamo!
Marcello: Nel party di Hellwinter, c’è anche qualcuno che ha ancora il tempo di dedicarsi ai MMORPG, beato lui!
Andrea: A me piacciono le vecchie avventure punta-e-clicca!
Dungeon Hack (SSI & TSR – 1993)
In conclusione, ragazzi, diteci qualcosa dei vostri progetti futuri.
Andrea: Al momento stiamo lavorando sul nostro approdo (naufragio? 😊) su Twitch. Questa è la novità che sta occupando le energie che non dedichiamo al podcast. Poi ho quasi finito di scrivere un nuovo radiodramma in sei puntate. In autunno dovremmo cominciare a registrarlo e produrlo.
Gianluca: E non dimentichiamo che il party di Hellwinter sarà presente a FabCon! Io e Danilo terremo due tavoli di RAYNe faremo giocare le demo ufficiali del GDR.
Danilo: Abbiamo in cantiere (e qualcuna ne abbiamo già realizzata) anche diverse collaborazioni con le avventuriere e gli avventurieri della community ludica italiana, che vogliamo portare su Twitch e sul podcast.
Marcello: E poi, il nostro sogno sarebbe di riuscire ad organizzare una piccola convention nel nostro territorio. Ma per ora resta un sogno nel cassetto!
Ringrazio in ordine sparso Andrea, Gianluca, Danilo e Marcello per la prolifica chiacchierata e per tutte le informazioni relative al progetto I Cancelli di Hellwinter. Vi ricordo che per chi volesse incontrare (e magari giocare dal vivo) col party de I Cancelli di Hellwinter si può presentare alla FabCon di Fabriano (AN) dal 25 al 28 agosto 2022. Alla prossima!
Monster Hunter Rise: Sunbreak rappresenta quel che dovrebbe essere l’espansione tipo. Migliora ogni singolo aspetto del gioco base, ampliandolo enormemente al tempo stesso. Il roster è uno dei migliori dell’intera saga, e tutti i nuovi mostri sono più che convincenti. Le due nuove mappe sono un piacere da esplorare, ma da chi ha creato le mappe del gioco base non ci si poteva aspettare che questo. Le novità di gameplay sono tante e succose, dai compagni alle nuove tecniche scambio/fildiseta, fino ad arrivare ai rotoli di scambio abilità. Ovviamente viene introdotto il Grado Maestro, che dona nuova vita a tutti i mostri del gioco base. E questa volta Capcom non ha dimenticato di inserire un endgame loop per fortuna. Resta un po’ di amaro in bocca per il trattamento riservato alla Furia. Insomma, se siete appassionati della saga, ma più in generale dei buoni giochi, correte subito a comprarne una copia!
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Rieccoci qui a parlare di una delle serie a me più care, il mitico hunting game made by Capcom. L’ultima volta mi lancia in un paragone tra World e Rise, le nuove iterazioni della saga che ad uno sguardo più attento mostrano differenze strutturali mica da poco. Da una parte World che enfatizza ai massimi livelli l’esplorazione di mappe intricatissime – si, Foresta Antica, parlo di te – esaltando quella sensazione di star effettivamente cacciando qualcosa. Dall’altra Rise, con la sua mobilità estrema ed il focus quasi assoluto su gameplay e combattimento.
Metto le mani avanti, io preferisco la formula proposta da Rise. Pur reputando entrambi i titoli dei pesi massimi, e non potrei più fare a meno dei miei Insetti Filo. Detto questo, ho sempre reputato Rise un lavoro svolto a metà. Un ottimo gioco azzoppato dal mancato supporto Capcom nel periodo di post release. Certo, abbiamo avuto il finale della storia – seriamente? – in un update. E poi il trio delle meraviglie, e poi Valstrax, e poi altro ancora. Tutta roba che onestamente mi sarei aspettato già presente il 26 marzo 2021, giorno della release.
Insomma, un Rise 3.0 che somigliava più ad un Rise 1.1, con il ricordo lontano di eventi collab come il Behemoth o il Leshen. O un endgame loop, cosa praticamente assente in Rise, con i mostri Apex relegati a meri riempitivi. Quindi con un po’ di titubanza attendevo Sunbreak, la “massiva espansione” che avrebbe portato il Master Rank anche nelle terre di Kamura. Ci ho giocato tante, forse troppe ore, ma era necessario affinché ve ne potessi parlare con cognizione di causa. Quindi bando alle ciance e vediamo cosa ha da offrirci Capcom stavolta.
Una nuova minaccia, un nuovo regno
Kamura è finalmente salva, il regno del terrore di Narwa ed Ibushi è terminato e con esso le Furie. Ma una presenza sinistra si fa viva in una terra lontana, oltre il mare, e toccherà proprio al primo cacciatore di Kamura risolvere l’ennesima crisi. È così che ci ritroveremo nell’avamposto di ricerca di Elgado, di proprietà della Corona. Il regno è ancora una volta minacciato dal drago anziano di quelle terre, il Malzeno, o banalmente il flagship monster di Sunbreak.
Questo l’incipit della trama di Sunbreak, che come da tradizione non è che un pretesto per cacciare roba sempre più grossa e cattiva. Devo però ammettere che Capcom ha ascoltato le lamentele della fanbase circa le criticità della trama di Rise, che a conti fatti risultava un po’ buttata lì. Io ad esempio continuo a chiedermi che c’entra il Magnamalo con Ibushi e Narwa, ma credo che non riceverò mai risposta.
In Sunbreak ci troviamo alle prese con solita storiella tipica dei Monster Hunter, con una minaccia – il Malzeno – che nasconde un’altra minaccia ancora più grande, ma nascosta. Per quanto semplice ho apprezzato decisamente di più la storia di Sunbreak, forse anche grazie ad un cast di personaggi più curato ed alla maggiore presenza di cutscene e dialoghi.
Castelli, giungle e porti
Soffermiamoci un attimo sulle nuove aree esplorabili, partendo proprio dal nuovo hub di gioco. Elgado è un piccolo avamposto costiero dallo stile medievaleggiante, e sostanzialmente offre tutto ciò di cui un cacciatore necessita. Nulla di più, nulla di meno, letteralmente. Se avete giocato un qualsiasi titolo della saga saprete già cosa aspettarvi insomma.
Andiamo invece a quel che interessa davvero a noi cacciatori, ovvero il terreno di caccia. Sunbreak aggiunge due nuove mappe o per meglio dire, un lieto ritorno ed una new entry. Ritroviamo la Giungla, mappa introdotta nel lontanissimo Monster Hunter 2, e la Cittadella, location esclusiva di Sunbreak.
Non tutti gli eroi portano un mantello
La prima è un tuffo nel passato, e come già visto con la Foresta Inondata anche qui ci ritroviamo davanti ad un lavoro di rifacimento perfetto. Tutte le aree caratteristiche della vecchia mappa sono presenti, come ad esempio il tempio sulla spiaggia o la cascata sotterranea. Al tempo stesso Capcom ha svolto un gran lavoro di level design, creando una mappa a prima vista compatta, ma piena di cunicoli, scorciatoie e luoghi segreti da scoprire.
Ma ancora più bella è sicuramente la Cittadella, una strana unione tra più biomi. Laghi velenosi, pozze di resina, picchi ghiacciati ed un borgo in rovina con tanto di castello, il tutto in una sola mappa. E non mancano porte da far saltare in aria con esplosivi, cunicoli che passano sotto il castello e tanto altro ancora.
Il castello in rovina della Cittadella
In parole povere se avete giocato Rise sapete già cosa aspettarvi, mappe dalla verticalità spiccatissima, curate tanto sul lato visivo quanto su quello più giocoso, divertenti da esplorare e piene zeppe di piccoli segreti, come l’immancabile fauna endemica “rara” o le note del diario.
A volte ritornano…
Ovviamente le mappe aggiunte sono cosa assai gradita, ma a cosa servirebbero senza nuove prede da cacciare? Fortunatamente Sunbreak non delude sotto questo punto di vista, ed anzi, tra new entries ed attesissimi ritorni riesce ad offrire quel che reputo tra i migliori roster di sempre, non contando quello di Generations Ultimate per ovvie ragioni.
Questa variante di Bishaten è decisamente più pericolosa del suo cuginetto
Non starò qui ad elencarvi ogni nuovo mostro presente nell’espansione, ma sappiate che tutti i nuovi mostri, nessuno escluso, mi hanno convinto, ed in alcuni casi anche sorpreso. Cosa che invece non avevo provato in Rise, o quantomeno non fino in fondo, reputando alcune new entries poco sfruttate.
Poi troviamo illustri ritorni, come l’amatissimo – od odiatissimo, a voi la scelta – Gore Magala, il flagship di Monster Hunter 4, papà Shagaru Magala, o ancora il Seregios, il richiestissimo Astalos e tanti altri. Non posso poi non citare due tra i miei mostri preferiti di sempre, il duo dei crostacei giganti, il Damyio e lo Shogun. Ben vengano aggiunte come queste, mostri un po’ più esotici della classica viverna o belva. E spero questi due piccoli amici siano il preludio a qualcosa di ancor più interessante, come il Nerscylla o il mitico duo Seltas/Seltas Queen, chissà.
Finalmente anche lui è tornato, guardate come esulta!
E tutti gli altri mostri invece? Ricordiamo che Sunbreak aggiunge finalmente il Grado Maestro. Questo si traduce in una rivisitazione di quasi tutti i mostri già presenti in Rise, che per l’occasione hanno qualche nuovo asso nella manica da utilizzare contro noi cacciatori. Ognuno dei “vecchi” mostri infatti ha acquisito nuove mosse, spesso davvero pericolose. Ad esempio ora il Khezu dispone di un attacco AoE elettrico da distanza che potrebbe mettere in seria difficoltà il cacciatore meno attento. Addirittura il Ludroth Reale, simpaticamente rinominato “sacco da boxe” dal sottoscritto, potrà darci filo a torcere in Sunbreak. A questo aggiungiamo che il GM ci pone davanti a mostri più resistenti, più veloci e soprattutto fanno un gran male, e la sfida è servita.
Il terrificante Gore Magala
Insomma, uno dei grandi difetti di Rise, la difficoltà tarata verso il basso, qui in Sunbreak è un lontano ricordo. Badate bene, siamo ben lontani da sfide ai limiti del masochismo come il Molten Tigrex di MH4U, ma “cartare” sarà una costante in Sunbreak, ed era anche ora direi io.
Dracula, Frankenstein ed il Lupo Mannaro?
Mentirei se dicessi che tutti i mostri nascono uguali, poiché le vere stelle di Sunbreak sono tre, ovvero i Tre Signori – così nominati dai cavalieri del regno – ovvero potenti mostri che dominano i territori confinanti Elgado. Tre bestie che si ispirano all’immaginario del periodo buio, ed in particolare al folklore europeo.
Partiamo con Garangolm, una belva zannuta molto simile ad un gigantesco gorilla. Dall’aspetto decisamente imponente, questo gigante è in grado di utilizzare dei guantoni “fatti in casa” per picchiarci nelle maniere più disparate. Devo essere sincero, forse questo è il nuovo mostro che più mi ha stupito, ovviamente in positivo. Mai mi sarei aspettato di vedere un bestione simile che parte letteralmente a razzo sfruttando il suo pugno ricoperto di roccia lavica. Un mostro che ricorda Frankenstein già nell’aspetto fisico, tranquillo finché non viene provocato, e che si ricopre di altro materiale per lottare.
Granagolm è solitamente mansueto, ma occhio a farlo arrabbiare
Il secondo signore è invece il Lunagaron, di cui faremo la conoscenza proprio durante la prima quest di Sunbreak, ma che verrà affrontato solo molto più avanti. Inutile utilizzare mezzi termini, Lunagaron è a tutti gli effetti un lupo mannaro, la sua presenza è indissolubilmente legata alla luna piena. Durante la caccia assisteremo prima ad un Lunagaron molto simile ad un “comune” lupo, che corre sulle 4 zampe. Ad un certo punto però il nostro amico si arrabbierà, ricomprendosi di una corazza ghiacciata – alla Zamtrios maniera – ed ergendosi sulle zampe posteriori, trasformandosi a tutti gli effetti in un vero e proprio lupo mannaro. Anche qui poco da dire, bellissimo scontro, bellissimo mostro, a dir poco perfetto.
Il Lunagaron ulula alla luna.
Ed infine arriviamo al flagship monster di Sunbreak, sua Altezza Malzeno. Sono sicuro che durante il reveal trailer, alla vista di Malzeno, chiunque di noi abbia pensato “Ohhhhh, un drago vampiro!”. In effetti avevamo proprio ragione, per la sopresa di letteralmente nessuno. Malzeno rappresenta in maniera perfetta quello che sarebbe stato Dracula se fosse nato sottoforma di drago. Membrane scarlatte terribilmente simili a merletti d’abito d’altri tempi, la classica “posa” in cui il Malzeno si cela dietro le sue ali come fossero un mantello. O l’inaspettato teletrasporto di cui il drago è padrone, che fa tanto Dracula dei vari Castlevania. Che dire di lui? Probabilmente uno dei migliori flagship di sempre, maestoso, regale, veloce, cattivo e pieno di sorprese. Non voglio rovinarvi il brivido della prima caccia, quindi mi limiterò solo a questo.
La traduzione sarà corretta???
In realtà vi sarebbe anche un quarto signore, di cui però non voglio proprio parlarvi, sarete voi a scoprirlo sul finale di Sunbreak. Ovviamente anche quest’ultimo ispirato ad un altra figura che andava tanto in voga durante il periodo buio.
Cacciare in compagnia
Una delle aggiunte più gradite è sicuramente quella dei Compagni, ovvero la possibilità di andare a caccia con dei cavalieri del Regno stanziati ad Elgado, tra cui Fiorayne, la “comprimaria” di Sunbreak. Devo essere sincero, quando Capcom annunciò la possibilità di cacciare assieme a quelli che sono dei semplici bot, non è che me ne fregasse poi tanto. Neanche ricordavo della presenza di tale feature fin quando non l’ho sbloccata in game.
Adesso invece mi vien da dire “mai più senza”. I compagni hanno delle cacce a loro dedicate, e dopo un certo numero di richieste completate diventeranno disponibili per un numero via via crescente di missioni. Quel che stupisce è l’efficienza dei Compagni. Quando ho visto Fiorayne allontanarsi dal nostro bersaglio per poi tornare in sella ad un altro mostro e darmi man forte sono rimasto piacevolmente stupito. Ma potrei anche dirvi che i compagni riescono ad utilizzare meccaniche di gameplay più avanzate, come ad esempio lo sfruttamento dei guardpoints della Lama Caricata.
Si, potremo reclutare anche il nostro capo
Ognuno di essi ha a disposizione 5 armi diverse, e tutti hanno un proprio stile di caccia. C’è chi è più votato al supporto, magari utilizzando polveri curative per tirarvi fuori dai guai, e chi invece punta tutto sull’offensiva, o magari sulla difensiva distraendo l’attenzione del mostro. Il punto è che i compagni funzionano dannatamente bene, ed offrono l’opportunità di braccare un mostro in gruppo anche offline. Anzi, a volte risultano essere anche più bravi di noi o di eventuali compagni beccati nelle lobby di gioco.
Altra aggiunta gradita è l’interazione che hanno tra di loro. Possiamo portare fino a due compagni assieme a noi, ed in base alle combinazioni i due prescelti potrebbero scambiare battute uniche, cosa che fa sempre piacere ed aiuta nell’immedesimazione. Ovviamente, oltre ai cavalieri del regno, anche le nostre vecchie conoscenze a Kamura vorranno darci una mano. Se avete sempre desiderato cacciare assieme ad Hinoa e Minoto, o magari all’Anziano Fugen, Sunbreak ve ne dà l’opportunità.
Un piccolo cratere, si crede sia stato causato dal Malzeno
L’unica perplessità è che a conti fatti non potremo usufruire dei compagni in una missione qualsiasi del gioco, ma solo in quelle a loro dedicate, scelta che risulta alquanto strana. Tolto questo piccolo neo però spero che questa feature venga mantenuta anche nei futuri capitoli della saga.
Rotoli ed arsenali
Arriviamo infine al nostro arsenale, la cosa più cara a qualsiasi cacciatore. Ogni singola arma presente in Rise potrà essere portata fino al grado massimo, la rarità 10. Quindi non tutto quel che avete farmato su Rise è da buttare, e per fortuna direi. Ogni singola armatura del gioco ha poi una variante X, che richiede i materiali di grado GM ovviamente. Come da tradizione le armature X, oltre ad essere immensamente più potenti, differiscono da quelle basso/alto grado anche dal punto di vista estetico, raddoppiando a conti fatti le armature da far indossare al nostro cacciatore. Questo per la felicità di chi ricerca lo stile sopra ogni cosa.
Almudron X, l’armatura dei Gundam
Ovviamente anche la meccanica regina di Rise, le abilità scambio/fildiseta, gode di un grande aggiornamento. Ogni arma riceve così due nuove mosse, una abilità scambio ed una tecnica fil di seta. Due potrebbero sembrare pochine, e guardando solo il numerino vi darei pure ragione, ma anche qui Capcom ha fatto un lavorone. Ad esempio la Spadascia riceve finalmente la counter move di cui aveva dannatamente bisogno, cambiando di fatto lo stile di gioco dell’arma, che ora può essere mandata in stato amplificato quasi immediatamente. Lo Spadone può finalmente offrire un po’ di varietà grazie alla combo fendente super, che predilige attacchi veloci a discapito del classico fendente caricato. Questi sono solo due esempi, ma tutte le armi hanno ricevuto modifiche sostanziali.
Vecchie conoscenze
Capcom ha inoltre introdotto i rotoli di scambio, o in parole povere la possibilità di creare due set di abilità scambio/tecniche fil di seta liberamente selezionabili durante la caccia. In soldoni questo permette di avere una maggiore varietà di approcci allo scontro. Ad esempio io, giocando spesso con Spada e Scudo, utilizzo un primo set che mira a stordire il malcapitato mostro tramite l’utilizzo di colpi di scudo, per poi passare al secondo set che invece predilige combo di spada più lunghe ed un maggiore danno elementale. Un’aggiunta più che gradita che aumenta a dismisura la versatilità dei nostri moveset.
Pad alla mano Sunbreak risulta un’esperienza fresca, il feeling delle armi è sempre più convincente e soprattutto offre tanta varietà anche utilizzando un’unica arma. Non ho voluto parlare dell’endgame loop per scelta, ma sappiate che c’è ed offre un bel grado di sfida.
Pensieri finali
Come avrete intuito sì, Sunbreak mi ha stupito in positivo. Mi aspettavo una buona espansione, ed invece Capcom ha sfornato un’ottima espansione, ricchissima di contenuti già dalla release. Il roster dei mostri, tra new entries e vecchie conoscenze, è davvero eccezionale. Esplorare le nuove mappe e scoprirne tutti i segreti è stato un vero piacere. Il gameplay è più fluido che mai ed offre più varietà. I compagni sono un’ottima aggiunta che spero sarà mantenuta anche nei prossimi capitoli della saga.
C’è un po’ di perplessità circa il trattamento riservato alla modalità Furia, forse mi sarei aspettato una reinterpretazione di tale modalità piuttosto che il suo totale abbandono. Detto questo comunque Capcom è partita con il piede giusto stavolta, e la roadmap degli update sta lì a dimostrarlo. Quindi, se non lo avete ancora fatto, imbracciate le armi e correte a difendere il Regno da quel che si annida ad Elgado!